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La consultazione dei popoli indigeni nell’ordinamento canadese

Il ruolo fondamentale del formante giurisprudenziale
Popoli indigeni in Canada
Popoli indigeni in Canada

Diritto costituzionale, diritto internazionale e diritto giurisprudenziale si intrecciano, nel sistema giuridico canadese, per tutelare i popoli indigeni e, in particolare, rendere effettivo il dovere di consultazione dei popoli medesimi[i]. Sebbene, ovviamente, la rilevanza nella materia de qua degli aspetti giusinternazionalistici non possa essere sottostimata[ii], tuttavia la dimensione del diritto costituzionale appare prevalente e, ancora più, quella della produzione giurisprudenziale[iii].

La base normativa da cui partire è rappresentata dalla section 35(1) del Constitution Act del 1982. Tale disposizione stabilisce che «The existing aboriginal and treaty rights of the aboriginal peoples of Canada are hereby recognized and affirmed»[iv]. I diritti devono essere esistenti nel 1982, al fine di disporre della protezione di cui alla section 35(1) del Constitution Act, come è stato affermato dalla sentenza della Corte suprema canadese nella causa R. v. Sparrow del 1990, che fu la prima pronuncia della Supreme Court di applicazione della citata disposizione costituzionale, che implica un fiduciary duty between the Crown and Aboriginal Peoples[v]. Come anche molto recentemente è stato osservato[vi], la decisione del caso Sparrow è fondamentale per comprendere la portata del dovere di consultare i popoli indigeni; la sentenza, infatti, «planted the seed that later grew into a more substantial and much-litigated duty to consult». Obblighi particolari di informazione, consultazione e partecipazione degli aborigeni sono, altresì, contenuti in specifici accordi (comprehensive land claims agreements) sottoscritti dalle autorità federali, o anche provinciali e territoriali, con le comunità indigene locali[vii].

L’interpretazione che è stata data alla section 35(1) del Constitution Act è nel senso che essa implica la messa in gioco dell’onore della Corona, ossia che lo Stato ha il dovere di trattare «con onore» le questioni concernenti la tutela dei popoli indigeni, artici e non-artici, del Canada. Si tratta, dunque, di materie che riguardano, per un verso, l’esercizio della sovranità nello Stato canadese e, per altro verso, i diritti sulle terre, sulle acque e sulle risorse naturali delle comunità aborigene.

La prima affermazione, da parte della Corte suprema del Canada, del dovere delle autorità pubbliche di consultare le comunità aborigene in via preventiva rispetto alla realizzazione di progetti di sfruttamento delle risorse naturali che si trovano nei territori di tradizionale insediamento o “ancestrali” delle popolazioni indigene, come manifestazione dei doveri che incombono sulla Corona e ne impegnano l’onore nei confronti dei nativi amerindiani e Inuit, si è avuta con la decisione del 2004 nella causa Haida Nation v British Columbia (Minister of Forests)[viii]. La vicenda giudiziaria aveva avuto inizio nel 2000, con l’opposizione delle comunità indigene locali verso l’utilizzo delle risorse naturali in un’area da loro tradizionalmente abitata. Il giudice di primo grado (British Columbia Supreme Court)[ix], con sentenza del 2001, escluse che vi fosse un dovere giuridico (legal duty) di consultazione degli indigeni[x], ritenendo invece che sussistesse soltanto un obbligo morale (moral duty).

La decisione fu riformata in grado d’appello, nella misura in cui la British Columbia Court of Appeal stabilì, con pronuncia emanata nel 2012, affermò che il dovere di consultazione sussisteva sia per le autorità pubbliche, impegnando l’onore della Corona, che per l’impresa privata interessata alla realizzazione del progetto industriale. A sua volta, la Corte suprema canadese, chiudendo la vicenda giudiziaria, statuì nel 2004 che il dovere di consultare i popoli indigeni – sul quale nel frattempo si era espressa la dottrina[xi] – era posto in capo alle autorità pubbliche, le quali non potevano delegare l’adempimento di siffatto dovere a soggetti privati, fatta salva ovviamente l’eventuale responsabilità di questi ultimi per le condotte dannose e/o fraudolente nei riguardi delle comunità aborigene.

La sentenza dei supremi giudici canadesi nella causa Haida Nation pose importanti principi relativi alla fase di negoziazione e consultazione con le popolazioni indigene. Da un lato, si stabilì che se la richiesta (claim) avanzata dai rappresentanti dei popoli aborigeni sulle terre di tradizionale insediamento, nel senso della loro preservazione nelle condizioni attuali (id est, ante investimento industriale), appare prima facie fondata, le autorità devono predisporre misure adeguate volte a prevenire i potenziali danni alle popolazioni stesse, o comunque per minimizzare gli effetti pregiudizievoli. Dall’altro lato, le consultazioni/negoziazioni devono essere condotte in buona fede. Tale comportamento viene richiesto, nella sentenza de qua, a entrambi i soggetti della trattativa/consultazione (vale a dire: le autorità pubbliche e i popoli indigeni). Da un altro lato ancora, i giudici di ultima istanza hanno stabilito che il contenuto concreto delle consultazioni in esame varia a seconda di molteplici fattori, soprattutto in funzione dell’impatto, maggiore o minore, che la realizzazione del progetto può avere sui diritti degli indigeni coinvolti.

Quest’ultimo profilo è stato approfondito dalla giurisprudenza successiva. Viene in considerazione, tra l’altro, il caso Clyde River del 2017[xii]. Nel decidere la causa, la Corte suprema del Canada ha statuito che l’agenzia indipendente governativa National Energy Board (NEB) non ha adempiuto al dovere di consultare preventivamente i popoli indigeni interessati (da un progetto relativo all’estrazione di petrolio e gas), e quindi non ha rispettato lo standard giurisprudenziale fissato dalla sentenza Haida Nation. In particolare, nel caso Clyde River il NEB aveva effettuato una valutazione d’impatto ambientale, consultando le comunità indigene soltanto entro i limiti di quanto richiesto da tale tipologia di valutazione, senza prendere perciò in adeguata e separata considerazione l’impatto del progetto industriale estrattivo sulla sfera dei diritti tradizionali dei popoli aborigeni, non necessariamente racchiusi nel perimetro delle valutazioni di diritto ambientale. In altri termini, la consultazione degli Inuit del Nunavut[xiii] – questa era la comunità aborigena artica interessata – si era svolta, ma non secondo le modalità e con il grado di approfondimento già delineato nella sentenza pronunciata nella vertenza Haida Nation.

Come si è osservato innanzi[xiv], occorre inoltre menzionare l’influenza che il diritto internazionale (comprensivo degli strumenti di soft law) esercita su quello interno. Interessante è, da questo punto di vista, la Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni (United Nations Declaration on the Rights of Indigenous Peoples, UNDRIP), approvata dall’Assemblea generale dell’ONU il 13 settembre 2007 e successivamente recepita dalle politiche canadesi in materia di consultazione preventiva delle comunità aborigene. A distanza di quasi un decennio dalla Dichiarazione onusiana[xv], il Governo federale canadese ha reso pubblici il 14 luglio 2017[xvi] i «Principles respecting the Government of Canada’s relationship with Indigenous peoples», articolati in dieci punti. Al punto 6 dei citati Principles, si stabilisce che «The Government of Canada recognizes that meaningful engagement with Indigenous peoples aims to secure their free, prior, and informed consent when Canada proposes to take actions which impact them and their rights, including their lands, territories and resources». Orbene, il principio n. 6 sul free, prior, and informed consent (FPIC) costituisce una trasposizione delle analoghe previsioni contenute negli articoli 10, 19 e 32, c. 2, della Dichiarazione delle Nazioni Unite sopra ricordata[xvii].

Vi è, infine, il peculiare strumento dei land claims agreements conclusi dal Governo federale canadese, oppure dagli esecutivi delle Province e dei Territori, con le singole popolazioni autoctone[xviii], i quali contengono regole specifiche sulla consultazione, e più in generale, sui diritti delle comunità aborigene in relazione all’uso dei territori di insediamento tradizionale/“ancestrale” nonché delle relative risorse naturali. Si tratta dei modern treaties, o comprehensive land claims agreements, stipulati dal 1975 a oggi[xix]. Essi si distinguono dagli historic treaties, conclusi tra il 1701 e il 1923[xx]. I land claims agreements riguardano anche altre questioni, oltre alla gestione congiunta delle terre e delle risorse naturali, quali trasferimenti di risorse economiche, forme di autogoverno locale, tutela delle lingue e culture indigene.

La conclusione di land claims agreements con i popoli indigeni è pratica comune dei Paesi di common law[xxi]. In particolare, i c.d. trattati moderni sono stati stipulati in Canada facendo seguito al riconoscimento giurisprudenziale dei diritti tradizionali sulle terre abitate dai popoli autoctoni da tempo immemorabile, ben prima quindi della colonizzazione europea; tale riconoscimento si è avuto per la prima volta con la celebre sentenza della Corte suprema canadese nel caso Calder del 1973[xxii]. Questa decisione viene abitualmente considerata (dalla dottrina canadese) espressione e fondamento della common law doctrine of aboriginal rights[xxiii]; essa muove dalla considerazione che the land was not empty when it was “discovered” (come vorrebbe la vetusta doctrine of discovery), proprio perché vi erano, ab immemorabili, i popoli indigeni, la cui tradizione giuridica[xxiv] deve essere tutelata e garantita come living law[xxv]. Non manca, peraltro, chi vede nei land claims una fase anticipata rispetto al ripristino della sovranità tribale indigena[xxvi].

Da ciò che precede risulta, in definitiva, che la combinazione del livello internazionale con quello interno di protezione dei popoli indigeni, quest’ultimo attivato soprattutto sotto il profilo della produzione giurisprudenziale nonché in attuazione del dettato costituzionale, cui si aggiungono le previsioni più specifiche inserite nei land claims agreements, rappresenta un fattore decisivo per la tutela soddisfacente dei diritti delle comunità aborigene nell’attuale ordinamento della Federazione canadese, con implicazioni rilevanti sia per l’evoluzione dell’autogoverno indigeno che per il futuro del federalismo canadese[xxvii].

 

[i] Sia consentito rinviare a M. Mazza, La condizione giuridica dei popoli indigeni nell’ordinamento canadese, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2004, p. 1199 ss., nonché, amplius, Id., La protezione dei popoli indigeni nei Paesi di common law, Padova, Cedam, 2004, e ivi spec. p. 63 ss.; Id., Aurora borealis. Diritto polare e comparazione giuridica, Bologna, Filodiritto, 2014, passim. Da ultimo, M. Mazza, Linguistic Rights of Minorities and Indigenous Communities, in DPCE online, 2019, p. 775 ss.

[ii] Come opportunamente evidenziato da autorevole dottrina: v. D.G. Newman, Revisiting the Duty to Consult Aboriginal Peoples, Vancouver (BC)-Saskatoon (SAS), University of British Columbia Press-Purich Publishing, 2014.

[iii] Sulla peculiare esperienza canadese del formante giurisprudenziale nella tutela dei diritti, v. per tutti G.F. Ferrari, Canadian Rights: A jurisprudential Canadian “Style”?, in DPCE online, 2019, p. 727 ss. Con riferimento specifico ai diritti (individuali e collettivi) dei popoli indigeni, v. i miei scritti dal titolo Canada: La Corte Suprema stabilisce che l’esercizio di un diritto aborigeno “transfrontaliero” non può incidere sul principio di sovranità nazionale, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2001, p. 1578 ss.; Canada: La protezione del patrimonio culturale dei popoli autoctoni secondo una recente decisione della Corte Suprema, ivi, 2002, p. 1171 s.; Canada: La Corte suprema su boschi, indigeni, diritti ancestrali e treaty rights, ivi, 2005, p. 1729 ss.; Canada: L’affermazione progressiva dei diritti della popolazione inuit nordatlantica, ibidem, 2006, p. 173 ss.; Canada: I diritti di pesca degli aborigeni nuovamente al vaglio della Corte suprema: aboriginal rights o minoranze (di diritto comune) superprotette?, ibid., 2009, p. 203 ss.; Canada. La propriété foncière dei Métis manitobani davanti alla Corte suprema, in DPCE online, 2013, n. 3, epp. 1-13.

[iv] Cfr., per esempio, P.W. Hogg, The Constitutional Basis of Aboriginal Rights, in P. Noreau, L. Rolland (dir.), Mélanges Anfrée Lajoie, Montréal (QC), Thèmis, 2008, p. 177 ss., nonché prima B. Slattery, The Constitutional Guarantee of Aboriginal and Treaty Rights, in Queen’s Law Journal, 1983, p. 232 ss.; K. McNeil, The Constitutional Rights of the Aboriginal People of Canada, in Supreme Court Law Review, 1982, p. 255 ss.

[v] R. v. Sparrow, [1990] 1 SCR 1075. A commento, v. ex multis M. Asch, P. Macklem, Aboriginal Rights and Canadian Sovereignty: An Essay on R. v. Sparrow, in Alberta Law Review, 1991, p. 498 ss.; W.I.C. Binnie, The Sparrow Doctrine: Beginning of the End or End of the Beginning?, in Queen's Law Journal, 1991, p. 217 ss.; D.W. Elliot, In the Wake of Sparrow, in University of New Brunswick Law Journal, 1991, p. 23 ss.; P. Kulchyski (Ed.), Unjust Relations. Aboriginal Rights in Canadian Courts, Toronto, Oxford University Press, 1994, sub Sparrow, p. 212 ss. La sentenza contiene il c.d. Sparrow test, ossia una lista di criteri per determinare: a) se un diritto aborigeno è esistente; b) a quali condizioni esso è derogabile dal Governo. Per la decisione Sparrow, quindi, i diritti aborigeno non sono “assoluti”.

[vi] Cfr. E. Hellinga, The Legacy of R v Sparrow, in www.thecourt.ca, 6 febbraio 2020, secondo cui «The decision has shaped virtually all of the jurisprudence on s. 35 Aboriginal and treaty rights and land claims since it was rendered».

[vii] V. oltre, nella parte finale di questo scritto.

[viii] Haida Nation v. BC, [2004] 3 SCR 511.

[ix] Sul sistema giudiziario canadese, v. R.J. Sharpe, Ordinamento giudiziario e giustizia costituzionale, in J. Frémont et al., L’ordinamento costituzionale del Canada, Torino, Giappichelli, 1997, p. 163 ss.; T. Groppi, Canada, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 133 ss., nonché più recentemente E. Ceccherini, The Judicial Power in Canada: The Mirror of a Pluralistic Society, in DPCE online, 2019, p. 705 ss. In relazione ai popoli indigeni del Canada, v. H.S. LaForme, The Justice System in Canada: Does it Work for Aboriginal People?, in Indigenous Law Journal, v. 4, autunno 2005, p. 1 ss., il quale riporta le parole del leader aborigeno Al Chartrand, presidente della Native Clan Organization (Winnipeg, Manitoba), secondo cui «[The Aboriginal person] will probably appear before a white judge, be defended and prosecuted by white lawyers, and if he goes to jail he’ll be supervised by white guards. The justice system is often seen as a white man’s weapon—a heavy hand that enforces his laws. It is them and us ... the white man’s law”(cfr. 17).

[x] Duty to consult and accomodate Aboriginal peoples.

[xi] Con riguardo agli aspetti sia sostanziali che procedurali di tale dovere, v. S. Lawrence, P. Macklem, From Consultation to Reconciliation: Aboriginal Rights and the Crown’s Duty to Consult, in Canadian Bar Review, 2000, p. 252 ss.; T. Isaac, A. Knox, The Crown’s Duty to Consult Aboriginal People, in Alberta Law Review, 2003, p. 49 ss.

[xii] Per esteso: Clyde River (Hamlet) v. Petroleum Geo-Services Inc, [2017] 1 SCR 1069.

[xiii] Sulle problematiche delle industrie estrattive rispetto alle popolazioni indigene nel Territorio del Nunavut (che fa parte della Federazione canadese), si vedano, nell’ottica comparativa, M. Mazza, The Prospects of Independence for Greenland, between Energy Resources and the Rights of Indigenous Peoples (with Some Comparative Remarks on Nunavut, Canada), in Beijing Law Review, 2015, p. 320 ss.; Id., Energy, Environment and Indigenous Rights: Arctic Experiences Compared, in Yearbook of Polar Law, 2015, .p. 317 ss.; D. Newman, M. Biddulph, L. Binnion, Arctic Energy Development and Best Practices on Consultation with Indigenous Peoples, in Boston University International Law Journal, 2014, p. 101 ss., i quali parlano di «under-examined, but important, topic of consultation norms with Indigenous peoples in the specific context of Arctic energy development» (v. p. 103). Il Nunavut (in lingua Inuit: «Nostra Terra») è stato nel 1999; v. C. Pitto, Nunavut: come cambia la carta geopolitica del Canada, in S. Gambino, C. Amirante (cur.), Il Canada: un laboratorio costituzionale. Federalismo, Diritti, Corti, Padova, Cedam,2000, p. 327 ss.

[xiv] Nella parte iniziale del presente contributo.

[xv] Sulle ragioni del ritardo, v. B.L. Gunn, Overcoming Obstacles to Implementing the UN Declaration on the Rights of Indigenous Peoples in Canada, in Windsor Yearbook of Access to Justice, 2013, p. 147 ss.  

[xvi] Mediante una dichiarazione rilasciata da Jody Wilson-Raybould, a quel tempo (dal 2015 al 2019) Minister of Justice and Attorney General of Canada (MOJAG), e inoltre Chair of the Working Group of Ministers on the Review of Laws and Policies. La stessa Jody Wilson-Raybould ha affermato, nell’occasione, che «As we mark 150 years of Confederation, it is time to ask what we want the next 150 years to look like and the role First Nations, Inuit and the Métis Nation will have in building a stronger and more inclusive Canada. These Principles affirm recognition of Indigenous peoples and their rights as the necessary starting point for the Crown to engage in partnership with Indigenous peoples to develop new Indigenous-Crown relations, and as the foundation for transforming laws, policies and operational practices».

[xvii] Sui molteplici problemi interpretativi della UNDRIP, v. D. Newman, Interpreting FPIC in UNDRIP, in International Journal on Minority and Group Rights, 2020, p. 233 ss.

[xviii] V., per esempio, C. Alcantara, Negotiating the Deal. Comprehensive Land Claims Agreements in Canada, Toronto (ON), University of Toronto Press, 2013. In Italia, sulla natura giuridica dei trattati de quibus, v. E. Ceccherini, Un antico dilemma: integrazione o riconoscimento della differenza? La costituzionalizzazione dei diritti delle popolazioni aborigene, in G. Rolla (cur.), Eguali, ma diversi. Identità ed autonomia secondo la giurisprudenza della Corte Suprema del Canada, Milano, Giuffrè, 2006, p. 58 ss. Per un esame delle dinamiche applicative dei trattati, cfr. C. Alcantara, Implementing comprehensive land claims agreements in Canada: Towards an analytical framework, in Canadian Public Administration/Administration publique du Canada, 2017, p. 327 ss. Una comparazione fra il modern treaty-making process canadese e l’esperienza australiana è svolta da A. Pratt, Treaties vs. Terra Nullius: “Reconciliation,” Treaty-Making and Indigenous Sovereignty in Australia and Canada, in Indigenous Law Journal, v. 3, autunno 2004, p. 43 ss.

[xix] In totale sono ventisei i trattati “moderni” sottoscritti dai popoli indigeni con il Governo federale. Il primo in ordine di tempo è stato il James Bay and Northern Quebec Agreement del novembre 1975; l’ultimo il Tla’amin Final Agreement del luglio 2016.

[xx] Nel numero complessivo di settanta. I trattati storici non furono materialmente sottoscritti dai rappresentanti dei popoli indigeni, ma più semplicemente “marcati”, dal momento che nelle società “orali” degli aborigeni nordamericani/artici l’impegno assunto verbalmente implicava l’onore della persona, senza alcun bisogno della firma del documento, concetto quest’ultimo considerato alieno. La situazione, con riguardo ai trattati moderni, è profondamente mutata. Le negoziazioni si svolgono ora soltanto nelle lingue inglese e francese; inoltre, gli indigeni sono assistiti da avvocati (si ricordi che l’Indian Act/Loi sur les Indiens del 1867 aveva proibito, tra il 1927 e il 1951, la presenza di legali a supporto degli aborigeni nelle fasi delle trattative).

[xxi] V. lo studio comparativo di C. Scholtz, Negotiating Claims. The Emergence of Indigenous Land Claim Negotiation Policies in Australia, Canada, New Zealand, and the United States, London-New York, Routledge, 2006, seguito, della medesima autrice, da Land claim negotiations and indigenous claimant legibility in Canada and New Zealand, in Political Science, 2010, p. 37 ss.

[xxii] Id est, Calder et al. v. Attorney-General of British Columbia, [1973] SCR 313. Su questa landmark decision, v. ampiamente H. Foster, H. Raven, J. Webber (Eds.), Let Right Be Done. Aboriginal Title, the Calder Case, and the Future of Indigenous Rights, Vancouver (BC), University of British Columbia Press, 2007, e inoltre l’efficace sintesi di A. Allen, Reflections on the 40th anniversary of the Calder decision, in Northern Public Affairs (edito dall’Aurora Research Institute-ARI), settembre 2013, p. 14 ss. Gli Aboriginal land claims canadesi fanno costantemente riferimento alla decisione Calder, molto conosciuta (e utilizzata) anche all’estero, specialmente in Australia e Nuova Zelanda.

[xxiii] Cfr. B. Slattery, Making Sense of Aboriginal and Treaty Rights, in Canadian Bar Review, 2000, n. 2, p. 196 ss.

[xxiv] Alla quale si riferisce H.P. Glenn, Tradizioni giuridiche nel mondo. La sostenibilità della differenza, (2010), trad. it. Bologna, Il Mulino, 2011, p. 115 ss., che utilizza l’espressione «tradizione giuridica ctonia» (dal greco khtonos, terra).

[xxv] Su quest’ultimo aspetto, v. F. Harland, Taking the “Aboriginal Perspective” Seriously, in Indigenous Law Journal, v. 16/17, n. 1, 2018, p. 21 ss.

[xxvi] Cfr. B.S. Zellen, Breaking the Ice. From Land Claims to Tribal Sovereignty in the Arctic, Lanham (MD), Lexington, 2008.

[xxvii] In tal senso, v. G.N. Wilson, C. Alcantara, T. Rodon, Nested Federalism and Inuit Governance in the Canadian Arctic, Vancouver (BC), University of British Columbia Press, 2020.