x

x

La forma dell'acqua

Introduzione
La forma dell'acqua
La forma dell'acqua

PER LEGGERE L'INTERO LIBRO SCOPRI FILODIRITTO PREMIUM!

 

Un interrogativo insolito e affascinante: se l’acqua abbia una sua forma e quale sia.

Così affascinante da avere attratto l’attenzione di ogni genere di artisti.

Scrittori come Andrea Camilleri[1] e Daniel Kraus[2], registi come Guillermo Del Toro, pittori, scultori, poeti.

Neanche la scienza è rimasta indifferente: qualche anno fa un esperimento guidato dal CNR[3] ha dimostrato che l’acqua allo stato liquido immersa in un contenitore non si limita a prenderne la forma ma ne assume anche altre due: una più strutturata, affine a quella del ghiaccio, e una più disordinata e instabile.

Un elemento straordinariamente duttile, capace di conformarsi a ogni cosa che lo ospita e di rimanere distinto dal contenitore.

Ma anche un’immagine facile da accostare all’oggetto di questo scritto.

Da più parti, autorevolmente, la ‘Ndrangheta è stata intesa e rappresentata come una mafia liquida in senso baumaniano[4], capace di adeguarsi con successo a tutte le sfide della modernità: che siano le periodiche ondate repressive dello Stato o il cambiamento di considerazione dell’opinione pubblica o la crescente attenzione mediatica, oppure, in senso contrario, le gigantesche opportunità di business consentite da un’inesauribile disponibilità finanziaria e dalla globalizzazione dei mercati.

Al tempo stesso la liquidità della ‘Ndrangheta è declinata come sinonimo della sua elevata capacità di mimesi e infiltrazione in contesti istituzionali o imprenditoriali o associativi che pure dovrebbero rimanerle distanti.

Tra questi ultimi, con notevole evidenza ormai da molti anni, la Massoneria.

Ecco allora che l’immagine iniziale dell’acqua e della sua forma ben si presta a caratterizzare uno scritto che si propone di esplorare il connubio descritto nel titolo.

Interessano più cose: la sua esistenza, certo, ma soprattutto la consistenza che ha raggiunto, la sua effettiva capacità di soddisfare gli interessi delle due entità in relazione, se abbia natura contingente o strutturale, se si sia spinto così in avanti e in modo così irreversibile da determinare addirittura mutamenti ideologici e organizzativi in ognuna di esse.

E pure qualcos’altro: se la liquidità si limiti al connubio in sé ed ai suoi protagonisti oppure si sia estesa alla sua narrazione e a coloro cui spetta il compito di narrare.

Per la verità, la possibilità di offrire risposte plausibili a questi interrogativi è messa a dura prova da alcune caratteristiche comuni ai due mondi.

Strutturalmente (ontologicamente, dovrebbe dirsi) segreta la ‘Ndrangheta per fin troppo ovvie ragioni, massimamente riservata fino ai limiti della segretezza la Massoneria per un complesso di cause tra le quali spicca una diffusa diffidenza verso le sue regole, ritenute improprie in società che guardano alla trasparenza come un valore democratico, e i suoi adepti, spesso considerati alla stregua di mestatori occulti che si avvalgono della forza del vincolo massonico per ricavarne vantaggi di ogni genere.

Questa condivisa ritrosia verso la visibilità ha provocato reazioni uguali e contrarie: tanto più i due ambiti si sottraggono alla vista tanto più si accendono fari su di essi.

Reazione doverosa verso la ‘Ndrangheta per la sua natura di organismo criminale di devastante impatto sociale.

Ugualmente legittima verso la Massoneria se si considera che in numerose vicende risalenti ed attuali di interesse investigativo e giudiziario si è ritenuto che abbiano avuto un ruolo di rilievo penale individui dei quali si assume lo status massonico.

Questa complessiva spinta alla visibilità ha originato come effetto collaterale una diffusa curiosità verso i due organismi cui è seguita la proliferazione di studi, saggi, instant book, romanzi, inchieste e reportage giornalistici, trasmissioni televisive, blog, chat e ogni altra forma di comunicazione e scambio consentita dai format disponibili.

Si può dire allora che la capacità di destare curiosità, talvolta anche morbosa, è un’altra caratteristica comune di ‘Ndrangheta e Massoneria.

La tendenza a fornire rapide risposte a questa sete incessante di notizie porta tuttavia con sé il rischio dell’approssimazione.

Ricerche parziali e forme divulgative superficiali, e magari anche unidirezionali, possono fare non pochi danni a una corretta informazione.

Lo stesso rischio si crea quando l’attenzione viene puntata non sull’essenza oggettiva dei due fenomeni ma sui loro aspetti più folcloristici e di facile presa.

Coppole e lupare da un lato, grembiuli, squadre e compassi dall’altro.

I tre cavalieri Osso, Mastrosso e Carcagnosso e San Michele Arcangelo per la mafia calabrese[5], il grande Architetto dell’universo per la Massoneria[6], per citare alcuni tra gli esempi possibili, sono riferimenti di grande forza iconica e di elevata spendibilità se si privilegia la divulgazione più elementare.

Si mettono così in primo piano e si fanno talvolta prevalere nella rappresentazione mediatica gli aspetti mitologici e leggendari dei due microcosmi mentre dovrebbe esser chiaro, al contrario, che la terribile serietà delle esigenze conoscitive che li riguardano richiede fatti e metodologie razionali.

Si proverà quindi a privilegiare i primi e usare le seconde, nella speranza che questo racconto, pur venendo a contatto con l’acqua, non ne rimanga inzuppato.

È necessaria ancora qualche avvertenza.

Di ‘Ndrangheta e Massoneria si attesta l’esistenza da decenni o addirittura secoli per quest’ultima.

Questa però non è un’indagine storica.

Interessa piuttosto la verifica del rapporto tra le due entità e la scelta riporta a un periodo assai più delimitato, iniziato negli ultimi decenni del secolo scorso e ancora in pieno corso.

Questi confini temporali non sono stati scelti arbitrariamente ma piuttosto imposti dalle varie forme di narrazione che hanno provato a ipotizzare e descrivere la relazione tra i due mondi qui esplorati e gli effetti che ne sarebbero derivati.

Varie forme, appunto.

Perché molti sono gli io narranti e diversi sono gli interessi che perseguono, gli strumenti conoscitivi di cui si servono, le visuali da cui guardano.

La narrazione giudiziaria, in primo luogo.

La sua presenza è imprescindibile se si vuole contare su un apporto istituzionale, definito attraverso procedure ad evidenza pubblica e con l’uso di poteri investigativi e acquisitivi enormemente superiori a quelli di qualsiasi altro ricercatore.

Questa constatazione non impedisce ovviamente l’esercizio della facoltà critica – indagini, processi e sentenze sono nient’altro che prodotti umani e conoscono l’imperfezione e la fallibilità di ogni attività umana – ma resta il fatto che l’attività giurisdizionale è fisiologicamente rivolta all’accertamento della miglior verità possibile nelle condizioni date e i suoi frutti sono la sintesi di un contraddittorio tra tesi contrapposte.

È quanto di meglio l’uomo abbia saputo finora inventare nel suo incessante tentativo di dare risposte a domande complicate, sicché la voce del giudice non può mancare in una ricerca che si incrocia con ipotesi di rilievo istituzionale.

La seconda narrazione è quella delle istituzioni parlamentari, particolarmente delle commissioni di inchiesta.

Il Parlamento rappresenta il popolo, cioè tutti noi come singoli individui e partecipi di una comunità.

È – dovrebbe essere – il luogo dell’emersione dei bisogni, degli interessi, delle paure e delle speranze del corpo sociale e delle risposte alle domande che pone.

Più volte e in più legislature sono state istituite commissioni parlamentari che, con attenzione crescente, hanno provato a comprendere il legame oggetto di questo scritto.

Per ciò stesso, privilegiando per ora un piano esclusivamente formale, bisogna ritenere che il popolo abbia espresso un’esigenza conoscitiva sulla scorta di un sentimento di preoccupazione per la propria sicurezza e il proprio benessere.

Questa constatazione già basterebbe a giustificare l’inserimento tra le narrazioni indispensabili per questo scritto dei risultati cui sono giunte le commissioni parlamentari.

Ma c’è di più: il modo di procedere delle commissioni antimafia offre un punto di vista che, per quanto sia il  frutto di procedure altrettanto istituzionali di quelle giudiziarie e dell’esercizio di poteri conoscitivi affini a quelli tipici della giurisdizione, ha la sua ragion d’essere nella messa a disposizione del legislatore delle conoscenze necessarie per il suo eventuale intervento e nell’informazione del pubblico perché acquisti migliore consapevolezza delle dinamiche sociali e possa orientare di conseguenza le sue richieste e aspettative.

Si instaura così una relazione bidirezionale tra il popolo e i suoi rappresentanti: il primo esprime umori e bisogni, i secondi li recepiscono, li trasformano in strumenti, attività e atti e danno risposte a chi le chiede; ma queste, al tempo stesso, sono in grado di catalizzare ulteriori bisogni e stati d’animo e assumono quindi un valore orientativo nei confronti dell’opinione pubblica.

C’è poi una terza forma narrativa, quella mediatica, anch’essa in grado di creare una relazione simile alla precedente.

Gli artefici dei mass media intercettano i sentimenti popolari e tarano su di essi i contenuti proposti all’audience ma così facendo rilanciano, enfatizzano e progressivamente modificano gli input ricevuti, trasformandoli in qualcosa di nuovo.

Sicché ognuna di queste narrazioni è una faccia della stessa medaglia.

I giudici sentenziano in nome del popolo, il parlamento lo rappresenta come suo delegato nell’esercizio della sovranità, i mass media lo informano e ne sono informati.

Narrazioni fatte per scopi diversi, composte con metodiche diverse, ognuna all’insegna delle sue proprie regole, ma che si incrociano fatalmente l’una con l’altra.

Tutte servono per comprendere meglio il fenomeno esplorato.

In questo scritto tuttavia si darà spazio soltanto alle prime due.

Si è consapevoli che il racconto mediatico possiede forza e capacità seduttiva non solo in quanto cassa di risonanza e di enfatizzazione degli input politici e giurisdizionali ma anche in proprio, come autonoma fonte di produzione di conoscenze e orientamenti.

Ma ha regole sue proprie che, pur tendendo astrattamente alla verità, lasciano grandi spazi al soggettivismo interpretativo.

Qui si preferisce invece valorizzare risultati che, per quanto discrezionali possano essere, hanno il pregio di derivare da procedure corali nelle quali hanno avuto spazio diverse sensibilità.

C’è infine un altro aspetto importante.

Esigenze di chiarezza e sintesi impongono che a ogni fenomeno sia attribuito un nome che lo identifichi senza possibilità di equivoci.

Questo bisogno caratterizza ogni contesto linguistico che abbia necessità descrittive di tipo generale: il legislatore, il giudice, il funzionario pubblico ma anche lo studioso, il saggista, il divulgatore, il giornalista, lo scrittore, tutti senza distinzione hanno bisogno di un linguaggio comune e di parole stabili per farsi comprendere dai destinatari delle loro comunicazioni.

La parola ‘Ndrangheta evoca dunque la criminalità organizzata mafiosa originaria della Calabria.

La parola Massoneria designa a sua volta l’insieme degli individui che aderiscono a un rito iniziatico sulla base di un ideale di fratellanza tra uguali e di un patto etico e che adottano precisi simbolismi come elementi espressivi dell’identità associativa.

L’evocazione di riferimenti del genere è sufficientemente corretta poiché evidenzia elementi che fanno effettivamente parte del corredo identitario di ciascuno dei due organismi.

È invece metodologicamente improprio affermare che la ricorrenza di elementi comuni in ciascuno di essi consenta da sola di affermare che tutto quanto si agita al loro interno avvenga sempre e comunque secondo un disegno preordinato e unitario e che tale disegno sia necessariamente concepito e realizzato da un’unica cabina di regia.

Non è un caso, infatti, che nel lessico comune, compreso quello giudiziario, i massoni o presunti tali coinvolti in indagini penali siano abitualmente descritti come appartenenti alla Massoneria “deviata”. La stessa aggettivazione – i servizi “deviati” - è usata in atti pubblici e articoli di stampa per i membri dei servizi di sicurezza sospettati di avere avuto un ruolo in trame occulte.

Non dovrebbe sfuggire tuttavia che la deviazione è una categoria priva di reale capacità descrittiva se non si definisce in modo condiviso ciò che il soggetto munito di uno specifico status è tenuto ad essere, ciò che è realmente e quando e a quali condizioni tale divaricazione assuma un significato[7].

Comunque sia, la ‘Ndrangheta e la Massoneria sono galassie composte da migliaia di individui, hanno una storia secolare, hanno vissuto e vivono diaspore e scontri, perseguono interessi compositi, dispongono di un corredo ideologico ed etico loro proprio.

Ognuno di questi aspetti evoca una possibilità di differenziazione piuttosto che di unità e impedisce l’applicazione scontata di quei sillogismi di cui si diceva.

Certo, un legame tra due organismi è possibile anche quando ciascuno di essi ospiti più sensibilità, strategie e prassi operative: in questo caso, tuttavia, a differenza di quanto avverrebbe se entrassero in relazione due entità realmente unitarie e omogenee, la sua capacità di tenuta sarebbe ridotta, la sua validità temporale e spaziale dovrebbe essere ridimensionata, la sua capacità di generare ferree catene causali scemerebbe.

È quantomai necessario, quindi, destinare la giusta attenzione a questo tema così da non correre il rischio di attribuire ai due ambiti esplorati e alle loro connessioni caratteristiche e significati non corrispondenti alla loro reale natura.

 

PER LEGGERE L'INTERO LIBRO SCOPRI FILODIRITTO PREMIUM!

 

[1] A. Camilleri, La forma dell’acqua, Sellerio, 1994.

[2] G. Del Toro e D. Kraus, La forma dell’acqua (The shape of water), tre60, 2018.

[3] Per un resoconto dell’esperimento, si veda: http://blog.netafim.it/la-duplice-forma-dellacqua/

[4] Nella relazione annuale sulla ‘Ndrangheta inviata il 20 gennaio 2008 ai presidenti delle Camere, così si espresse la commissione parlamentare antimafia della quindicesima legislatura, presieduta dall’On. Forgione: «La ‘Ndrangheta affronta le sfide della globalizzazione con una modernissima utilizzazione di antichi schemi, con una combinazione di strutture familiari arcaiche e di un’organizzazione, reticolare, modulare o – per usare l’espressione di un grande studioso della modernità e della post modernità, Zygmunt Bauman – liquida».

[5] Si segnala, tra i tanti, E. Ciconte, E. Macrì, V. Macrì, F. Forgione, Osso, Mastrosso, Carcagnosso. Immagini, miti e misteri della ‘ndrangheta, Rubbettino Editore, 2010.

[6] Per una rassegna generale, G. Di Bernardo, Filosofia della Massoneria e della tradizione iniziatica, Marsilio, 2016.

[7] Viene in mente, come evento esemplificativo di questa difficoltà, il processo palermitano noto come Trattativa Stato – mafia, recentemente definito in primo grado (la lettura del dispositivo è avvenuta il 20 aprile 2018, tre mesi più tardi – in significativa coincidenza con la commemorazione della strage di via D’Amelio – è stata depositata la motivazione), dopo una lunga e complessa istruttoria dibattimentale, con l’accoglimento della prospettiva accusatoria la quale ha appunto accreditato l’esistenza di un canale di dialogo tra organi dello Stato e Cosa nostra che avrebbe portato ad uno scambio: l’impegno mafioso ad interrompere il periodo stragista in cambio di un’attenuazione multilivello delle politiche restrittive antimafia.

La Corte di Assise di Palermo ha autorevolmente avallato la tesi della DDA di Palermo, eppure non sono mancate voci critiche, impossibili da ignorare ove si voglia cogliere il dibattito nella sua pienezza. Si rimanda per questo a G. Fiandaca e S. Lupo, La mafia non ha vinto. Il labirinto della trattativa, Laterza, 2014.

È degno di nota, peraltro, che la differente opinione degli autori dell’opera derivi non tanto dall’incredulità verso il fatto centrale, la trattativa, ma dalla convinzione che esso rispondesse a un fine legittimo.

Non si vuole certo mettere a confronto il valore formale di una sentenza, ancorché non definitiva, con la tesi di studiosi, sebbene di riconosciuta autorevolezza. È solo un esempio, tra i tanti possibili, di come possa essere discordante il significato che si vuole attribuire alla devianza.