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La legittimazione passiva nei giudizi di responsabilità medica

Legittimazione passiva e azione di rivalsa tra struttura e professionista nei giudizi di responsabilità medica, alla luce di una recente pronuncia della Cassazione.
Responsabilità medica
Responsabilità medica

Abstract

La legge Gelli Bianco ha fissato rigidi criteri in ordine alla legittimazione passiva nei giudizi di responsabilità medica, con l’evidente finalità di tutelare i professionisti sanitari rispetto alla possibilità di venire chiamati in causa. Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità si era già occupata delle questioni di legittimazione passiva in questi giudizi, in particolar modo dell’estensione della domanda rispetto alla chiamata in causa dei professionisti da parte dell’Azienda ospedaliera convenuta. Scopo del presente articolo è la ricognizione dello stato dell’arte, alla luce di una recente pronuncia di legittimità.

 

Indice:

1. La legittimazione passiva nei giudizi di responsabilità medica

2. La solidarietà dell’obbligazione tra struttura sanitaria e professionista sanitario

3. I limiti all’estensione della domanda nei confronti del professionista sanitario

4. Conclusioni sulla rivalsa nei giudizi di responsabilità medica

 

1. La legittimazione passiva nei giudizi di responsabilità medica

La responsabilità professionale medica è regolata attualmente dalla Legge 24/2017 (cosiddetta “legge Gelli-Bianco”), entrata in vigore il 1° marzo 2017.

La normativa del 2017 è, in qualche misura, una “consolidazione” di quanto già previsto dalle disposizioni di legge previgenti e dalle pronunce giurisprudenziali precedenti, con qualche rilevante novità normativa.

La legge è apertamente finalizzata a bilanciare il diritto costituzionale all’esercizio dell’azione, riconosciuto al paziente, con l’esigenza di tutela degli esercenti la professione sanitaria, di fronte ai numeri enormi del contenzioso in ambito medico, sia penale che civile, che porta sempre più spesso i professionisti sanitari a fare ricorso alle pratiche della c.d. “medicina difensiva”.

Il Ministero della Salute ha stimato che, a causa della sola medicina difensiva “positiva” (accertamenti o trattamenti fondamentalmente inutili, ma prescritti o praticati solo in via cautelativa rispetto all’insorgere di un possibile contenzioso), si è registrato un surplus di spesa pubblica pari a circa 10 miliardi di euro, lo 0,75% del PIL.

Una delle disposizioni più importanti della legge Gelli-Bianco è l’articolo 9, che regolamenta l’esercizio dell’azione di rivalsa da parte delle strutture sanitarie e delle loro compagnie di assicurazione, nei confronti degli esercenti la professione sanitaria, qualora non siano stati convenuti in giudizio direttamente dal paziente.

Con l’espressione “azione di rivalsa”, il legislatore si riferisce in realtà a due azioni ben precise:

- l’azione di regresso del co-obbligato solidale, ex articolo 1299 Codice Civile;

- l’azione di surrogazione ex articolo 1203 Codice Civile o, per l’impresa di assicurazione, ex articolo 1916 Codice Civile.

L’esercizio dell’azione (rectius, delle azioni) di rivalsa è sottoposto a limiti ben precisi, ed in particolare:

  1. limite soggettivo: la scelta di convenire in giudizio l’esercente la professione sanitaria è rimessa in primo luogo al paziente; qualora ciò non avvenga, solo successivamente al pagamento in favore del danneggiato la struttura sanitaria o l’assicurazione possono rivalersi sul sanitario, alle condizioni dell’articolo 9;
  2. limite oggettivo: in via generale, l’azione di rivalsa nei confronti dei professionisti sanitari si può esercitare solo in caso di dolo o colpa grave (articolo 9 comma 1);
  3. limite temporale: l’azione di rivalsa può essere esercitata successivamente al risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o stragiudiziale ed è esercitata, a pena di decadenza, entro un anno dell’avvenuto pagamento (articolo 9 comma 2);
  4. limite causale: il sanitario dipendente pubblico viene chiamato a rispondere tenuto conto delle situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura sanitaria pubblica (articolo 9 comma 4);
  5. limite di valore: solamente nel caso sussista una condotta gravemente colposa, i professionisti sanitari rispondono esclusivamente entro il triplo (articolo 9 comma 5).

 

2. La solidarietà dell’obbligazione tra struttura sanitaria e professionista sanitario

Nei confronti del creditore (il paziente), la struttura sanitaria e l’esercente la professione sanitaria sono co-obbligati solidali, ai sensi degli articoli 1228, 1292 e 2055 Codice Civile. Ciò a prescindere dalla diversità del titolo di responsabilità dei due soggetti (contrattuale per la struttura sanitaria, extracontrattuale per il professionista sanitario).

La diseguale efficienza causale delle condotte attribuite ai co-obbligati rimane irrilevante nel rapporto tra danneggiato e danneggiante, poiché il danneggiato può pretendere l’intera obbligazione anche da uno solo dei co-obbligati, senza pregiudicare l’eventuale diritto di rivalsa del condebitore solidale (Cass. civ., sez. III, n. 15431 del 22/07/2005).

In altre parole, la scelta del legittimato passivo contro cui agire è rimessa al paziente danneggiato.

Normalmente, il danneggiato chiamerà in causa, in primo luogo, la struttura sanitaria, non solo perché di norma è il soggetto maggiormente solvibile (direttamente o tramite una o più compagnie di assicurazione), ma perché la qualificazione della responsabilità della struttura sanitaria in termini di responsabilità contrattuale determina da un lato la decorrenza del termine di prescrizione decennale, e d’altra parte pone a carico del danneggiato l’onere della prova del solo inadempimento, rimanendo a carico della convenuta l’onere di provare il corretto adempimento delle prestazioni, ex articolo 1218 Codice Civile.

Ovviamente, la struttura sanitaria potrà estendere il contraddittorio chiamando in garanzia, ex articolo 106 c.p.c., la propria compagnia di assicurazione.

Si tratterà, di regola, di una chiamata in garanzia impropria, caratterizzata sotto il profilo processuale dal litisconsorzio facoltativo e dalla scindibilità delle cause: la domanda principale proposta dal paziente non si estenderà, di regola, nei confronti dell’assicurazione (Cass. civ., sent. n. 5444 del 14/03/2006; n. 23308 del 08/11/2007).

Viceversa, la struttura sanitaria, nel sistema disegnato dalla legge Gelli Bianco, non potrà chiamare in giudizio l’esercente la professione sanitaria ex articolo 106 c.p.c. (ove questi non sia già stato chiamato dal paziente), se non con i tempi e nei limiti di cui all’articolo 9, e dunque dopo il pagamento del risarcimento.

Nella letteratura si parla di “doppio binario” dell’azione di rivalsa rispetto all’accertamento principale richiesto dal paziente.

Già prima dell’entrata in vigore della legge Gelli Bianco, la giurisprudenza di legittimità ha affrontato la questione della natura dell’azione di rivalsa.

In particolare, la sentenza Cassazione civile n. 30601 del 27/11/2018 (Presidente Armano, relatore Olivieri) ha affrontato il problema dell’estensione automatica della domanda principale nei confronti dell’esercente la professione sanitaria, che venga chiamato in causa dalla struttura sanitaria.

La sentenza citata traccia una distinzione netta tra le ipotesi in cui vi sia una chiamata in garanzia (propria od impropria), nella quale la posizione assunta dal terzo chiamato nel giudizio non contrasti, ed anzi coesista, con la legittimazione passiva del convenuto-responsabile rispetto alla azione risarcitoria proposta dall’attore, ed invece la chiamata effettuata al solo scopo di indicare un terzo esclusivo responsabile: questa seconda ipotesi determina una posizione processuale del terzo oggettivamente incompatibile con quella del convenuto, ponendosi in termini di alternatività, in quanto l’accertamento della responsabilità dell’uno esclude quella dell’altro.

Ebbene, mentre nella prima ipotesi (chiamata in garanzia), non si applica la regola della estensione automatica della domanda principale, nella seconda (indicazione di un terzo esclusivo responsabile) si applica, atteso che in tal caso l’originario oggetto del giudizio non viene ad essere modificato, unico rimanendo l’accertamento del rapporto principale, non essendo fatto valere nei confronti del convenuto “o” del terzo chiamato un distinto titolo di responsabilità.

Ne consegue che, nelle ipotesi di chiamata del terzo responsabile, il giudice può e deve considerare estesa al terzo la domanda principale, senza necessità che l’attore ne faccia esplicita richiesta (conforme Cass. civ., ord. n. 5580 del 08/03/2018).

Al contrario, nelle ipotesi di chiamata in garanzia, è rimessa in via esclusiva all’attore la scelta di proporre o meno autonoma domanda anche nei confronti del terzo chiamato (conforme Cass. civ., sez. II, n. 8411 del 27/04/2016).

In tal caso, in letteratura si parla di “triplo binario”, in quanto gli accertamenti richiesti sarebbero tre: l’accertamento della responsabilità (contrattuale) della struttura nei confronti del paziente; l’accertamento della responsabilità (extra-contrattuale) del professionista sanitario nei confronti del paziente, ed infine l’accertamento della responsabilità (contrattuale, ex articolo 1218 o 1228 Codice Civile, o extra-contrattuale) del professionista sanitario nei confronti della struttura e/o dell’assicurazione.

 

3. I limiti all’estensione della domanda nei confronti del professionista sanitario

In particolare, nella vicenda esaminata dalla pronuncia in esame, un’Azienda ospedaliera convenuta da paziente in base al titolo di responsabilità contrattuale, aveva chiamato in causa il medico chirurgo proprio dipendente, senza esplicitamente contestare il proprio titolo di responsabilità diretta (ossia senza escludere la propria legittimazione passiva rispetto all’azione risarcitoria), e senza contestare di essere titolare del rapporto obbligatorio instaurato con il paziente, bensì limitandosi a svolgere domanda di rivalsa condizionata all’accoglimento della pretesa attorea, nei confronti del medico chiamato (corresponsabile nei confronti del danneggiato a diverso titolo, extracontrattuale o da contatto sociale).

Secondo la Suprema Corte, non essendo stato il medico chiamato in causa in posizione di alternatività/incompatibilità con l’affermazione di responsabilità dell’Azienda ospedaliera, oggetto della domanda principale, “non sussistevano le condizioni di oggettiva necessità che imponevano di procedere unitariamente nei confronti di più soggetti in posizione di reciproca esclusione – all’accertamento dell’unico soggetto responsabile, esigenza cui provvede la automatica estensione al terzo chiamato della originaria domanda attorea”.

I giudici di legittimità attribuiscono un ruolo determinante all’interpretazione del contenuto dell’atto di chiamata in causa, in funzione del risultato che con lo stesso si prefigge il convenuto-chiamante.

In altre parole, la spiegata domanda di rivalsa nei confronti del medico, in assenza dell’indicazione dello stesso quale esclusivo responsabile, non determinava l’estensione automatica della domanda principale al chiamato, e sotto il profilo processuale costituiva un litisconsorzio facoltativo.

L’unico precedente conforme, rinvenuto dai magistrati di Piazza Cavour, nel senso dell’estensione automatica della domanda principale in ipotesi di chiamata di un terzo in qualità di corresponsabile (e non di esclusivo responsabile), è la sentenza Cass. civ., sez. III, n. 5057 del 03/03/2010.

Tuttavia, ad avviso del Collegio della sentenza in commento, questa pronuncia si fonda su una ricostruzione dottrinaria minoritaria della struttura dell’obbligazione solidale come “complesso plurisoggettivo” in cui vi è un unico rapporto creditore/debitore.

In realtà, per la dottrina dominante e per la giurisprudenza assolutamente maggioritaria (di cui si dà conto in sentenza), l’obbligazione solidale determina una pluralità di rapporti obbligatori distinti, con la conseguenza che sul piano processuale non si verifica un litisconsorzio necessario in quanto, avendo il creditore titolo per rivalersi per intero nei confronti di ogni debitore, è sempre possibile la scissione del rapporto processuale, che può utilmente svolgersi anche nei confronti di uno solo dei coobbligati.

Nel caso de qua, pertanto, ad avviso della Suprema Corte, la scelta di proporre o meno in base al diverso titolo autonoma domanda risarcitoria anche nei confronti del medico, coobbligato solidale dell’Azienda ospedaliera in base a diverso titolo di responsabilità, era rimessa in via esclusiva al paziente attore.

Questi, qualora avesse inteso estendere la propria azione risarcitoria anche nei confronti del terzo, avrebbe dovuto comunque promuovere rituale iniziativa processuale, formulando specifica domanda di condanna anche contro il medico chiamato in causa dalla Azienda ospedaliera, non operando nella concreta fattispecie il principio di automatica estensione della domanda originaria.

 

4. Conclusioni sulla rivalsa nei giudizi di responsabilità medica

In conclusione, dunque, l’impianto adottato dall’articolo 9 della legge Gelli Bianco era già esistente nel diritto vivente antecedentemente all’entrata in vigore di quella legge.

La possibilità di chiamare il professionista sanitario è rimessa esclusivamente alla scelta della parte attrice (o ricorrente, nei giudizi di ATP).

Laddove questa non abbia chiamato l’esercente la professione sanitaria, ma abbia rivolto la domanda solamente contro la struttura sanitaria, senza formulare alcuna domanda autonoma nei confronti del professionista sanitario, non sarà necessaria la sua chiamata in causa, sul presupposto della solidarietà dell’obbligazione.

La struttura sanitaria potrà rivalersi solo in un secondo momento sul professionista sanitario, attraverso le azioni di rivalsa.