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Scudo penale e responsabilità medica durante l’emergenza Covid-19

Tramonto a Bologna
Ph. Francesca Russo / Tramonto a Bologna

In questo amaro periodo di pandemia, le categorie lavorative più a rischio – medici, infermieri, assistenti e operatori sanitari e le altre professioni – stanno dando prova di grande efficienza, strenuità e precisione scientifica, godendo del giusto supporto dell’opinione pubblica e, almeno a parole, dell’impianto statale.

In tale contesto, ha provocato sgomento la notizia che alcuni avvocati e società di consulenza legale dalla dubbia composizione, approfittando del dolore di parenti delle vittime del virus, abbiano promesso l’avvio di azioni legali civili e penali nei confronti dei sanitari, per asseriti casi di malpractice medica, col fine ultimo, così almeno sembrerebbe a una prima lettura, di intercettare nuova clientela.

A reagire a tale situazione, fra i molti, Filippo Anelli, Presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (Fnomceo), che il 27 Marzo u.s. ha scritto pubblicamente al Consiglio Nazionale Forense, lamentando “delusione nel constatare che gli interessi di natura economica prevalgono sull’interesse generale che, al contrario, vorrebbe i medici operare nella massima serenità possibile per garantire l’assistenza duramente messa alla prova in questi frangenti” e chiedendo al CNF di ”rafforzare la vigilanza affinché i valori deontologici non siano accantonati neanche in questo momento di difficoltà”.

Sulla stessa linea anche la FNOPI - Federazione nazionale degli ordini professioni infermieristiche, con un appello accorato.

Queste vicende hanno provocato sdegno anche nel mondo forense. Si vedano, fra gli altri, il comunicato dell’Unione Triveneta dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati, che il 30 marzo ha dichiarato di invitare “i Colleghi tutti al rigoroso rispetto dei canoni deontologici che distinguono e qualificano la nostra Professione, nella convinzione che ognuno e ciascuno di noi saprà rinnovare in concreto e quotidianamente, ancor più in questo critico momento, il giuramento solenne pronunciato, rappresentando che i Consigli degli Ordini, i cui Presidenti hanno condiviso la presente, vigileranno con assoluto rigore la condotta degli iscritti, trasmettendo gli atti relativi ad ogni violazione di canoni deontologici ai Consigli di Disciplina Distrettuali in ragione del  disvalore che detta violazione comporta alla categoria forense tutta.

Né in questa sede riveste minore importanza la segnalazione effettuata dall’Organismo Congressuale Forense, secondo il quale “Si tratta di comportamenti rapaci e inaccettabili, posti in palese e grave violazione delle elementari regole deontologiche, con cui pochi “avvocati” scorretti agiscono in modo da indurre in errore gli utenti meno avveduti, così procurando un incalcolabile danno di immagine e di credibilità all’intera Avvocatura Italiana che è invece impegnata in modo serio e responsabile a garantire la reale e adeguata tutela dei diritti, in un momento tanto delicato per la nostra nazione.”

A chiosa, il CNF, il 2 aprile ha comunicato: “Il Consiglio nazionale forense assicura alla Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri l’attenta e forte vigilanza di tutte le istituzioni forensi nell’individuare e sanzionare i comportamenti di quei pochi avvocati che intendono, speculare sul dolore e le difficoltà altrui, nel difficile momento che vive il nostro Paese”.

Dinanzi a tali movimenti, il Parlamento non sta rimanendo inerte. Allo stato attuale, infatti, sono in esame vari emendamenti in tema di responsabilità penale in ambito medico e sanitario, di iniziativa di correnti politiche differenti fra loro, alla conversione in legge del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, recante misure di potenziamento del Servizio Sanitario Nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, e cioè il c.d. Cura Italia.

In particolare, improntato sul lato penalistico è l’emendamento presentato dagli On.li Mallegni e Sicari:

 «1-bis. Per tutta la durata dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 di cui al decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6 e ai provvedimenti attuativi, l’esercente una professione sanitaria o il soggetto abilitato a norma dell’articolo 102 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, non è punibile per i reati di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale quando il profilo di colpa sia determinato da indisponibilità di mezzi o il soggetto abbia agito in situazione di urgenza allo scopo di salvaguardare la vita o l’integrità del paziente. Nei casi contemplati dal precedente periodo, qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, in deroga a quanto previsto dall’articolo 590-sexies, secondo comma, del codice penale, la punibilità è sempre esclusa».

Si tratta di una norma che, se approvata, presenterà un evidente carattere protezionistico nei confronti degli esercenti le professioni sanitarie, in particolare dei neo-immessi e dimostrerà una buona volontà del legislatore nell’evitare abusi degli strumenti giuridici, anche per infondere serenità nei medici e negli operatori che si trovano a lavorare in questi momenti di crisi.

Oltre a questo, vi è anche l’emendamento proposta dall’On.le Marcucci e altri, il quale per il versante penale dispone:

3. Fermo quanto previsto dall’articolo 590-sexies del codice penale, per tutti gli eventi avversi che si siano verificati od abbiano trovato causa durante l’emergenza epidemiologica COVID-19 di cui alla delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, la punibilità penale è limitata ai soli casi di colpa grave. La colpa si considera grave unicamente laddove consista nella macroscopica e ingiustificata violazione dei principi basilari che regolano la professione sanitaria o dei protocolli o programmi emergenziali eventualmente predisposti per fronteggiare la situazione in essere, tenuto conto di quanto stabilito dal comma 2.”

Ma c’è veramente bisogno di queste nuove norme? Se sì, questo emendamento è davvero attinente alla situazione?

Per poter rispondere, occorre brevemente trattare la disciplina della responsabilità medica, civile e penale, nel nostro ordinamento, alla luce della legge 8 marzo 2017, n. 24 - la c.d. Gelli Bianco.

Questa normativa, ultimo tassello di un lungo e difficoltoso percorso compiuto dal nostro ordinamento, introduce una fattispecie di reato, di cui all’articolo 590 sexies Codice Penale, rubricato “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario che dispone: “Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma.

Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico - assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.

Si prevede perciò una causa di esclusione della punibilità per gli operatori sanitari incorsi nei delitti di omicidio colposo o lesioni personali colpose, in presenza delle seguenti condizioni:

1) l’evento morte, o lesione, si sia verificato a causa di imperizia, con esclusione delle ipotesi di negligenza e imprudenza, ed a prescindere da qualsiasi gradazione della colpa;

2) siano state rispettate le raccomandazioni contenute nelle linee guida o le best pratices;

3) le linee guida o le buone pratiche sono adeguate al caso di specie.

Necessario corollario della rilevanza assunta dalle linee guida è la predisposizione di una loro disciplina quanto più specifica e puntuale.

Sul punto, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno recentemente statuito che: “L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica: a) se l’evento si è verificato per colpa (anche lieve) da negligenza o imprudenza; b) se l’evento si è verificato per colpa (anche lieve) da imperizia, quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali; c) se l’evento si è verificato per colpa (anche lieve) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto; d) se l’evento si è verificato per colpa grave da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico” (Cass. Pen., Sez. Unite, 22 febbraio 2018, n. 8770).

Attualmente, le linee guida e le buone pratiche per il contrasto del Covid-19 sono regolarmente presenti sul sito internet dell’Istituto Superiore di Sanità. Pertanto, è a questi standard che gli operatori e gli esercenti si devono adeguare per lavorare, se vogliono rimanere immuni da responsabilità penali.

L’emendamento Mallegni-Sicari inserirebbe una causa di non punibilità per il medico/operatore reo di lesioni personali colpose o di omicidio colposo, in due differenti situazioni:

  1. se si trova in indisponibilità di mezzi, non altrimenti meglio specificata. Si lascia perciò decidere alla giurisprudenza i contorni di questa fattispecie;
  2. se vi è una situazione di urgenza allo scopo di salvaguardare la vita o l’integrità del paziente. Tale situazione non è delineata con precisione, e si potrebbe persino dire che lo scopo di salvaguardare la vita o l’integrità del paziente è, per ogni intervento medico, in re ipsa.

Tutto questo, sempre che l’evento non sia stato determinato dall’imperizia medica che, secondo la prevalente giurisprudenza, è quell’atteggiamento soggettivo di inosservanza delle leges artis, per ignoranza della loro esistenza, inattitudine ad applicarle o semplice inapplicabilità concreta, con riferimento all’atto colposo addebitabile all’agente (fra i molti, Corte di Cassazione penale, sez. IV, 30 maggio 2018 n. 24384). Difatti, secondo l’emendamento proposto, qualora ricorra tale elemento soggettivo in capo all’esercente, la condotta sarà non punibile, a prescindere da situazioni di emergenza e urgenza, e anche se non avrà seguito le linee guida previste dall’Istituto superiore di sanità.

Se ne deduce perciò che le cause di non punibilità del primo periodo dell’emendamento risultano applicabili solo alle condotte negligenti (cioè non aver fatto ciò che sarebbe stato doveroso fare) o imprudenti (cioè aver fatto quello che non sarebbe stato doveroso fare), non anche a quelle imperite.

La sensazione è che tale aggiunta normativa, così novellata, potrebbe complicare – più che rasserenare – la già non semplice disciplina sulla responsabilità sanitaria penale.

Per quanto riguarda invece l’emendamento proposto dall’On.le Marcucci e altri, esso introduce un nuovo concetto di colpa grave, definendola come una rilevante violazione dei principi attinenti le professioni sanitarie, e le linee guida, tenendo conto della proporzione tra le risorse umane e materiali disponibili e il numero di pazienti su cui è necessario intervenire nonché il carattere eterogeneo della prestazione svolta in emergenza rispetto al livello di esperienza e di specializzazione del singolo operatore”, come dispone il precedente comma II.

Questa disposizione è evidentemente prevista per far sì che possano essere considerate punibili solo le condotte attuate in spregio non tanto delle linee guida, quanto piuttosto dei loro principi ispiratori. Pertanto, il medico che non rispettasse le linee guida in maniera puntigliosa, ma agisse in maniera tale da condividerne la ratio, sarebbe comunque non punibile, tenendo conto della situazione in cui versi la struttura in cui si trovi ad operare, a livello di pazienti e risorse disponibili.

Tale disposizione potrebbe essere necessaria e utile, probabilmente, per quegli operatori sanitari non specializzati in malattie infettive che, per la necessità del caso, sono stati promossi, o spostati, in reparti Covid-19. Le condotte di costoro potrebbero essere considerate perseguibili solo se non avessero nemmeno rispettato i principi ispiratori delle linee guida anti Covid-19.

Si può chiudere con uno spunto.

Forse, anziché inserire nuove disposizioni, sarebbe l’occasione di una rilettura dell’articolo 54 Codice Penale, rubricato “Stato di necessità”, che recita al primo comma: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.” 

La causa di giustificazione dello stato di necessità gioverebbe a quei medici e operatori che, in questi giorni, dovendo scegliere fra l’uno o l’altro paziente da salvare, scegliessero quello con maggiori probabilità di salvezza.

In letteratura sono presenti casi simili: “per esempio A, per salvare l’alpinista B, potrebbe far precipitare C, che si trova fuori pericolo su una cengia vicina. Il medico A potrebbe staccare il respiratore del ferito gravissimo B, per potervi attaccare il ferito C, che ha qualche chance di salvezza in più (ampia esemplificazione è in Comm. Romano, I, 574). O, per ricordare il caso relativo al naufragio della fregata da guerra britannica Mignonette, i marinai A e B potrebbero uccidere C, per berne il sangue e salvare se stessi, quando altre possibilità di salvezza non si profilino all’orizzonte (due vite contro una) (il caso è stato ripresentato da Balestrieri, Monticelli, Caso in tema di stato di necessità e cannibalismo, in IP, 1998, 519; recentemente su esso Simpson, Cannibalism and the Common Law, London, 1994)” (dal Codice Penale Commentato online, articolo 54 c.p., di Pluris, Wolter Kluvers).

Tale esimente opererebbe – sia chiaro – sempre che sovvengano le seguenti condizioni:

  • vi deve essere un pericolo attuale e idoneo a minacciare la vita o l’integrità del paziente salvato
  • tale pericolo non deve essere altrimenti evitabile dall’agente; tale requisito è interpretato molto severamente dalla giurisprudenza;
  • vi deve essere proporzione fra il pericolo alla vita/integrità fisica del paziente salvato, e il fatto lesivo. Perciò, è necessario che il bene minacciato sia prevalente o equivalente rispetto a quello in capo al paziente sacrificato; ne consegue che, per esempio, un medico potrà salvare la vita di un malato, provocando così lesioni a un altro degente, ma non potrà evocare tale discriminante qualora eviti le lesioni di un paziente, facendo morire un altro; 
  • la scelta del paziente da salvare non sia frutto dell’arbitrarietà del medico, ma avvenga tramite criteri scientifici; in tal caso, sovviene l’applicazione del c.d. triage, criterio di decisione delle priorità mediche negli eventi catastrofici, previsto dalle linee guida affidate al citato Istituto Superiore di Sanità (consultabili cliccando qui).

Pertanto, in base al combinato disposto delle varie norme fin qui presentate, l’esercente una professione sanitaria che uccidesse o lesionasse colposamente un paziente, a causa della scelta di prediligerne un altro, secondo le direttive imposte dal triage, potrebbe venire assolto, perché il reato è stato commesso da persona non punibile ai sensi dell’articolo 54 Codice Penale, come dispone l’articolo 530 Codice di Procedura Penale, ai commi I e III.