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Revenge porn, diffusione di immagini pedopornografiche e gruppi Telegram. Riflessioni

Revenge porn
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Indice:

1. Premessa

2. La pornografia minorile

3. Immagini e video sessualmente espliciti: il Revenge porn

 

1. Premessa

Recentemente Wired ha portato alla luce l’esistenza di un grande canale italiano su Telegram, in cui alcuni iscritti sembrerebbero scambiarsi materiale pornografico ottenuto senza il consenso delle persone riprese, nonché immagini e video di natura pedopornografica e richieste di effettuazione di molestie ai danni di ex partner (articolo reperibile cliccando qui).

Questo contributo tenterà di illustrare lo stato attuale della tutela penale dello sviluppo sessuale del minore e della tutela della libertà sessuale dell’individuo, alla luce dell’utilizzo dei social network, dei siti pornografici e dei moderni sistemi di messaggistica.

In particolare, si farà riferimento alle norme ex articoli 600 ter, 600 quater, 600 quater 1, e 612 ter del Codice penale.

 

2. La pornografia minorile

L’articolo 600 ter Codice penale, rubricato “Pornografia minorile”, è stato inserito dall’articolo 3, legge 3 agosto1998, n. 269 ed è stato poi modificato ad opera dell’articolo 2, legge 6 febbraio 2006, n. 38 e dell’articolo 4, legge 1° ottobre 2012, n. 172. Allo stato attuale, la norma punisce aspramente – reclusione dai 6 ai 12 anni più multa – una serie di condotte di realizzazione di esibizioni e spettacoli pornografici mediante l’utilizzo di minori di anni 18, o tramite il loro reclutamento.

Ai nostri fini, interessa quanto disposto dal comma III, che prevede e punisce le condotte di chiunque, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico realizzato utilizzando minori di anni 18, e quanto previsto dal comma IV, che punisce le condotte di offerta e cessione anche gratuita del materiale pedopornografico.

Ma cosa si intende per materiale pedopornografico?

Il comma VII, così come introdotto dalla novella del 2012, fornisce una definizione espressa di questo concetto, statuendo che si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali”.

Il carattere pornografico di un’immagine o video, in realtà, secondo la giurisprudenza, deve essere interpretato nel caso concreto.

Così, “il carattere pornografico o meno di immagini ritraenti un minore, costituisce apprezzamento di fatto demandato al giudice di merito e, pertanto, sottratto al sindacato di legittimità se sorretto da una motivazione immune da vizi logici e giuridici(Cass. penale, Sez. III, 9 giugno 2017, n. 38651).

Vi è perciò spazio per interpretazioni anche se, in ogni caso, recentissimamente la Suprema Corte ha rilevato che “debba escludersi la limitabilità della rilevanza penale delle sole rappresentazioni di organi genitali di soggetti infradiciottenni, con conseguente inclusione anche di organi sessuali “secondari”, quali il seno e i glutei” (Cass. penale, Sez. III, Sent. 9 marzo 2020, n. 9354).

Ora, alla luce di queste nozioni, sembra tutto abbastanza chiaro. Sovviene però un dubbio interpretativo, frutto di un testo normativo scritto in tempi in cui gli autoscatti, i c.d. selfie, non esistevano o, comunque, non erano diffusi come lo sono ora.

Come si diceva, l’articolo 600 ter Codice penale punisce le condotte di distribuzione e divulgazione del materiale pornografico realizzato sfruttando – rectius, utilizzando – i minori di anni 18. Ma se tali contenuti pornografici fossero invece autoprodotti dal minore e poi diffusi dal proprio aguzzino, tale fatto costituirebbe reato? In altri termini, che ne è del selfie a contenuto sessuale realizzato dal minore e poi da questi inviato ad un terzo, che lo distribuisce ad altri?

In effetti, alcuni contenuti presenti sui canali network dei principali sistemi di messaggistica sembrano proprio di questo tipo.

La norma sembra cristallina: vengono punite le condotte di distribuzione di foto o video realizzati utilizzando il minorenne – c.d. materiale eteroprodotto – e non quelli autoprodotti dalla vittima.

La Suprema Corte aveva affermato che nella condotta di chi trasmette ad altri delle immagini, riprese in autoscatto da un minorenne, non sussisteva l’ipotesi di cessione di materiale pedopornografico, con riferimento a un caso in cui le immagini erano state riprese in autoscatto direttamente da un minore e da lui volontariamente cedute. Così, la Corte aveva ritenuto corretta la decisione del Tribunale di non ritenere il giovane utilizzato da terzi (Cass. penale, Sez. III, 21 marzo 2016, n. 11675).

Tuttavia, le più recenti interpretazioni della Cassazione, impegnata nella tutela del corretto sviluppo sessuale del minore, hanno trovato due eccezioni, in cui risulta punibile ai sensi dell’articolo 600 ter Codice Penale anche la condotta di distribuzione del selfie:

1) qualora l’autoscatto venga acquisito dall’agente mediante minaccia nei confronti del minorenne, indotto quindi all’invio del materiale autoprodotto (Cass. pen., Sez. III, 28 agosto 2018, n. 39039);

2) qualora l’autoscatto venga acquisito dall’agente mediante inganno o, comunque, senza il consenso del minorenne, che intendeva invece tenere riservato il materiale (Cass. pen., Sez. III, 12 febbraio 2020, n. 5522).

Probabilmente, sarebbe necessario un intervento di riforma del legislatore, perché la Cassazione è fortemente limitata, in quest’opera di tutela, da una norma che appare non più attualizzata agli strumenti e ai comportamenti nel mondo digitale.

Il delitto ex articolo 600 quater Codice penale punisce la “Detenzione di materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni 18 - cioè quel materiale di cui al citato articolo 600 ter Codice penale. Secondo parte della dottrina l’articolo 600 ter Codice Penale è il reato presupposto a quello previsto e punito ex articolo 600 quater Codice Penale, vale a dire che è quel fatto criminoso che rappresenta, a sua volta, la condizione per la commissione di tale reato di detenzione (Commento online all’ articolo 600 quater Codice penale, Pluris, Wolter Kluvers).

Per questo motivo, salvo fattispecie residuali, la giurisprudenza esclude il concorso fra i due reati, anche per effetto della clausola di riserva espressa "al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 600 ter". Ciò significa che quasi mai un unico agente potrà, con la stessa condotta, commettere entrambi i delitti. Oltre a ciò, la forte connessione fra i due delitti si denota anche dal fatto che per questo reato valgono le considerazioni svolte per l’articolo 600 ter Codice Penale in tema di materiale autoprodotto o eteroprodotto.

La condotta di detenzione di materiale pedopornografico, secondo la giurisprudenza, è quella dei fruitori di contenuti illeciti, cioè i c.d. utenti passivi e si può estrinsecare nel collocare “in memoria” i video o le immagini, anche solo fra i c.d. temporary files (Cass. pen. Sez. III, 4 luglio-30 agosto 2017, n. 39548, Cass. pen. Sez. III, 20 settembre 2007, n. 41067). Quanto all’elemento volitivo, tale condotta detentiva deve essere effettuata “consapevolmente” e, pertanto, vanno escluse le fattispecie in cui l’agente scarichi inconsciamente i file vietati, anche nel caso in cui non sia stato particolarmente avveduto. Il dolo, dunque, non può essere eventuale.

La mera consultazione di siti contenenti materiale illecito non prefigurerebbe il reato, quindi, ma va tenuto conto del fatto che raramente la navigazione on-line non lascia residui nei dispositivi, compresa quella effettuata tramite applicazioni di messaggistica istantanea, in alcuni anche dopo l’abbandono del canale e l’eliminazione dell’applicazione dal dispositivo.

Il delitto di cui all’articolo 600 quater 1 Codice Penale, introdotto su istanze sovranazionali, estende la portata degli articoli 600 ter e 600 quater Codice Penale anche all’ipotesi in cui il materiale pedopornografico rappresenti immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori o parti di esse, e cioè immagini fittizie, espressione di un evento mai accaduto nella realtà fenomenica.

La giurisprudenza ha esteso la portata della norma a rappresentazioni fumettistiche di minorenni in atti sessualmente rilevanti (Cass. pen., Sez. III, 13 gennaio 2017, n. 22265) e nel caso di impiego di volti reali di minori sovrapposti a corpi di adulti intenti ad atti di natura sessuale (Cass. pen., Sez. III, 24 novembre 2017, n. 15757), per cui in questi casi potrebbero essere rilevanti penalmente anche le condotte di distribuzione o di detenzione di materiale pedopornografico virtuale a mezzo di sistemi di chat online.

 

3. Immagini e video sessualmente espliciti: il Revenge porn

Va ora analizzato il delitto di cui all’articolo 612 ter Codice Penale, rubricato “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, introdotto dall’articolo 10, legge 19 luglio 2019, n. 69 (c.d. Codice Rosso). A differenza delle norme trattate finora, tale reato si pone a tutela anche delle persone che abbiano già compiuto la maggiore età.

Scopo della norma è il contrasto al fenomeno del c.d. revenge porn, cioè la diffusione, per movente vendicativo, di immagini sessualmente esplicite di una persona – di solito l’ex partner.

Differentemente dai reati di cui si è sopra parlato, con cui il reato ex articolo 612 ter Codice Penale ha in comune il fatto di presidiare la libertà sessuale posti nel novero dei delitti contro la personalità individuale, la collocazione dell’articolo 612 ter Codice Penale è nell’ambito dei delitti contro la libertà morale, come per esempio è il delitto di minaccia.

Tale scelta del legislatore pecca probabilmente di coerenza e di sistematicità, posto che secondo alcuni avrebbe dovuto creare un autonomo titolo, “rubricato tutela della riservatezza sessuale, da inserire dopo i delitti di violenza sessuale e prima dell’attuale Sezione III del titolo XII" (Integrazione alle osservazioni dell’Unione delle Camere Penali Italiane al disegno di legge n. 1200 all’esito dell’audizione innanzi alla Commissione Giustizia del Senato in data 11.6.2019, consultabile cliccando qui).

In effetti, le più frequenti forme di revenge porn non sono legate alla diffusione di materiale allo scopo di minacciare la persona offesa, ma a una forma di vendetta nei confronti di essa.

La norma parla di “contenuto sessualmente esplicito, ma non è chiarito cosa possa intendersi. In assenza, vista la recente formulazione della norma, di giurisprudenza che aiuti a chiarire cosa intenda il legislatore, si osserva che sembrerebbe una nozione più ampia di quella di materiale pornografico.

Anche per questo reato è prevista una clausola di salvezza espressa: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato”, che potrebbe risultare, per molte casistiche, il delitto di estorsione nel caso in cui la diffusione dei contenuti sia funzionale all’ottenimento di denaro o di altre utilità (Corte di Cassazione, Ufficio del Massimario e del Ruolo, Relazione 62/19 su novità normativa Legge 19 luglio 2019, n. 69, reperibile cliccando qui)

E, difatti, le condotte previste e punite al comma I sono quelle di colui che realizza o sottrae immagini o video sessualmente espliciti, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate e li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde.

Le condotte di invio, consegna e cessione sono da intendersi come rivolte ad un destinatario ben preciso, quale quello che può essere raggiunto da sistemi di messaggistica friend-to-friend (si pensi all’utilizzatissimo Whatsapp), mentre le condotte di pubblicazione o diffusione fanno pensare a una pletora di soggetti riceventi indeterminati, quali possono essere quelli raggiunti sui social network, su siti pornografici, o sui canali network di app come Telegram, in cui basta l’iscrizione con un nickname e si può raggiungere facilmente tali contenuti (concorde, sul punto Caletti, "Revenge porn". Prime considerazioni in vista dell’introduzione dell’articolo 612-ter c.p., raggiungibile cliccando qui).

Il comma II è importantissimo. Esso va a reprimere le condotte dei c.d. “secondi diffusori”, che fino ad oggi è il fenomeno più incontrollabile e latore di conseguenze negative sulla persona offesa. Difatti, è punito colui che, avendo ricevuto il materiale sessualmente esplicito distribuito senza consenso, a sua volta lo reinvia, lo consegna a terzi, lo cede ad altri, lo pubblica a sua volta, o comunque lo diffonde.

Appare però un vulnus nella formulazione della norma.

Mentre il comma I prevede come elemento soggettivo il dolo generico, il comma II richiede che le condotte del secondo diffusore vengano portate a termine da questi con il fine di recare nocumento alla persona offesa. Vi è quindi un dolo specifico, che per l’integrazione del reato richiede quindi l’obiettivo del reo di creare un danno nella sfera della persona offesa. Requisito non facile da integrare e da provare, specie se pensiamo che i secondi diffusori sono perlopiù persone che non hanno alcun legame con la vittima, e che compiono tali comportamenti per personale ludibrio, diletto, o eccitazione. Di norma, però, non c’è la finalità di provocare nocumento alle persone raffigurate nelle immagini, che il più delle volte non conoscono.

Ecco perché questa norma appare di portata limitata, perché non consente spesso di punire colui che, ricevuto il materiale da un terzo, lo diffonda al “grande pubblico” dei social o dei canali network.

Si può concludere, quindi, osservando che da un lato l’ordinamento penale italiano si pone proattivamente avverso i delitti contro la libertà sessuale e lo sviluppo del minore realizzati a mezzo dei più recenti programmi telematici, dall’altro lascia pericolosi vuoti di tutela nei confronti di alcune fattispecie ricorrenti, come per esempio le condotte di distribuzione e divulgazione di materiale autoprodotto dal minore di anni 18, qualora questo non sia stato ottenuto mediante minaccia, violenza e/o sottrazione, o per esempio le condotte dei secondi diffusori, qualora questi non abbiano il fine di recare nocumento alla persona offesa dal reato.