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La non punibilità per particolare tenuità del fatto

Il nuovo articolo 131 bis del codice penale, un passo deciso verso un diritto penale minimo fondato sull’offensività della condotta, o piuttosto, una cura palliativa che non incide sui mali della giustizia penale?
La non punibilità per particolare tenuità del fatto
La non punibilità per particolare tenuità del fatto

De minimis. Partiamo dagli esempi di scuola che spesso hanno efficacia euristica apprezzabile: il soggetto che ruba un acino d’uva si impossessa della cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene commette furto? A nessuno verrebbe in mente di dare una risposta positiva: osta l’umana ragione. Gli autori chiosano: si tratta di un fatto che non può dirsi tipico, vale a dire corrispondente alla fattispecie incriminatrice del reato di furto, in quanto manca l’aspetto qualificante della tipicità, vale a dire la concreta lesione o anche solo la messa in pericolo dell’altrui possesso, che è il bene-interesse penalmente protetto dal reato de quo. Ossia, secondo un’altra teoria il fatto in questione, pur essendo tipico, non può ritenersi comunque in concreto offensivo e pertanto non può ritenersi reato.

Dato comune di entrambe le prospettive è la centralità del parametro cardine dell’offensività al fine di valutare il fatto come penalmente rilevante o meno.

Tali considerazioni sono in realtà meno scontate di quel che appaiono, trovando invece la loro matrice ultima nell’applicazione delle cogenti norme costituzionali di cui in primis agli articoli 2, 13, e 27 della Costituzione[1], le quali impongono di ritenere l’insussistenza del reato qualora difetti la concreta offesa del bene giuridico protetto. Ad opinare diversamente, invece, la sanzione penale si giustificherebbe in base alla mera disobbedienza del reo ai precetti normativi, o addirittura in base alla sua condotta di vita, sulla scorta di vetuste e nefaste teorie autoritarie ed antidemocratiche intese a sancire la preminenza assoluta dell’apparato monopolizzatore della forza (lo Stato), e degli interessi dell’elite che ne è al vertice, sulle prerogative ed istanze dei cittadini relegati in sostanza a ruolo di sudditi.

È evidente quindi che l’offensività abbia un ruolo fondamentale al fine di realizzare un diritto penale coerente con le istanze garantiste e di stretta legalità all’interno di sistema autenticamente civile e democratico, che ritiene delitto solo fatti offensivi di beni giuridici: nullum crimen sine iniuria.

Non è un caso certo che del lemma offensività sono ormai colme le rassegne giurisprudenziali. Per summa capita possiamo solo rilevare che sono molteplici le pronunce che ancorano la rilevanza penale del fatto e la relativa responsabilità del suo autore all’indefettibile requisito della lesione in concreto della condotta (ex plurimis Cassazione Penale n. 8142/2006). Cosi come sono molte le norme dell’ordinamento che, in disparte l’articolo 49[2] del codice penale - che, secondo alcuni può essere considerato la fonte normativa dell’offensività - vincolano ad apprezzare in modo adeguato l’offesa in concreto arrecata dalla condotta, al fine di commisurare in concreto la pena, (cfr articolo 62 n. 4) oppure sanciscono la stessa rilevanza penale del fatto. In tale prospettiva viene in rilievo l’articolo 34 del Decreto Legislativo n. 274/2000 che, per i procedimenti instaurati dinanzi al giudice di pace, esclude la procedibilità per particolare tenuità del fatto, per esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado di colpevolezza dell’autore. In tale sede, poi, non possiamo neanche accennare alla problematica complessa ed oltremodo interessante riguardante i fatti di lieve entità di cui al comma 5 dell’articolo 73 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 (testo unico in materia di sostanza stupefacenti) cosi come modificato dall’articolo 2 del Decreto Legge del 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni nella Legge 2014, n. 10. Esso configura autonoma fattispecie di reato e non mera circostanza attenuante, con risvolti in termini di favor rei del tutto evidenti. Infatti, trattandosi di circostanza attenuante, l’ipotesi lieve era soggetta al giudizio di comparazione con le aggravanti eventualmente contestate, di talché, in caso di ritenuta equivalenza, la pena veniva determinata sulla base della sanzione edittale prevista per le fattispecie di cui al primo comma dell’articolo 73 (reclusione da sei a venti anni e multa da 26.000 ad 260.000 euro).

La natura di autonoma ipotesi di reato, per effetto delle modifiche introdotte dal Decreto Legge n. 146/2013 comporta invece, in caso di riconoscimento di attenuanti e/o di aggravanti, l’applicazione dei criteri di cui agli articoli 63 e seguenti del codice penale con la conseguenza che, operando il giudizio di comparazione, la pena base sarà, in caso di equivalenza delle circostanze, quella prevista dalla nuova fattispecie (reclusione da uno a cinque anni e multa da euro 3.000 ad euro 26.000). Ulteriore conseguenza favorevole per il reo è la sottoposizione di tali fatti  al termine prescrizionale più  breve di sei anni, anziché di venti, in quanto non più calibrato sull’ipotesi di cui al comma 1 dell’articolo 73.

E di offensività discorre anche il nuovo articolo 131-bis del codice penale, inserito dal Decreto Legislativo del 16 marzo 2015, n. 28 in attuazione della Legge del 28 aprile 2014, n. 67 [3]. Non è questa la sede per approfondire tutti gli aspetti di cui alla novella legislativa sul punto, in attesa della casistica che si produrrà sul tema. Basti osservare ai nostri fini che la tenuità dell’offesa che esclude la punibilità del reo è desunta letteralmente dall’esiguità del danno o del pericolo, valutate sulla base dei criteri di cui all’articolo 133 del codice penale [4].

In prima approssimazione è lecito però accennare a rilievi critici della nuova disciplina che appare collocarsi non sul versante dell’insussistenza del fatto di reato per mancanza di offensività ma sul mero versante, come detto, della non punibilità del reo che abbia commesso un fatto comunque ritenuto penalmente rilevante, anche se poco offensivo.

In altri termini, il fatto tenue è comunque ritenuto reato, e quindi implica l’accertamento della penale responsabilità dell’autore, come confermato dall’articolo 651-bis del codice di procedura penale[5] e dalla circostanza che i provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale sono iscritti nel casellario giudiziale .Tanto ciò è vero che all’imputato, oltre che alla persona offesa viene data possibilità di opporsi alla richiesta del pm di archiviazione per l’ipotesi de quo [6]. Da tali primissime considerazioni evidentemente del tutto parziali, si comprende come l’obiettivo di un diritto penale minimo che sanzioni effettivamente condotte lesive di beni penalmente protetti, può essere solo in minima parte raggiunto dal nuovo articolo 131 bis del codice penale, che non valorizza pienamente tutte le potenzialità ragionevoli e costituzionalmente orientate del cardine dell’offensività.

Da qui la conclusione che si tratti di intervento troppo parcellizzato, che appare aver la pretesa di raccogliere con il secchiello degli indici di cui al nuovo articolo 131 bis del codice penale l’acqua del mare dell’inflazione del carico penale. Mentre, per realizzare un sistema di repressione penale realmente fondato sul principio di offensività, occorre procedere alla revisione del sistema sanzionatorio penale, seguendo in modo coerente e senza indugio, la prospettiva del “diritto penale minimo”. In tal senso occorre depenalizzare sul serio le fattispecie bagatellari, evitare di procedere nei confronti di cittadini che, non essendo mai stati compiutamente generalizzati, rimarrebbero fantasmi nei cui confronti la pena non sarà mai eseguita, estendere anche al processo a carico dei maggiorenni le formule del proscioglimento per irrilevanza del fatto, generalizzando quindi l’articolo 34 del Decreto Legislativo n. 274/2000 citato, consentendo sostanzialmente al giudice del caso concreto di verificare la reale offensività delle condotte ascritte all’imputato, non mancando di auspicare l’applicazione estesa dell’estinzione del reato per esito positivo di messa alla prova di cui al nuovo articolo 161 bis[7]. Il cammino per apprendere la lezione della ragione e non degli istinti sicuritari è ancora impervio e tortuoso, non perdendo mai di vista il rispetto delle garanzie di ciascuno cosi tutelate e difese dalla roccaforte della nostra Costituzione.

 

[1] Art. 2 Cost: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Art. 13 Cost. La libertà personale è inviolabile.  Art. 27 Cost. La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.Non è ammessa la pena di morte.

[2] Art. 49 comma 2 :La punibilità è altresì esclusa quando, per la inidoneità dell'azione o per l'inesistenza dell'oggetto di essa, è impossibile l'evento dannoso o pericoloso.

[3] Art. 131 bis c.p. Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. L'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. Il comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'articolo 69. La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante.

[4] Art. 133 c.p. Nell'esercizio del potere discrezionale indicato nell'articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta: 1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione; 2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; 3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa. Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta: 1) dai motivi a delinquere e dal carattere del reo; 2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato; 3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato; 4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.

[5] «651-bis. Efficacia della sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto nel giudizio civile o amministrativo di danno.

1. La sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale.

2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuita' del fatto a norma dell'articolo 442, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato». 

[6] All'articolo 411 c.p.p.  sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, dopo le parole: «condizione di procedibilità» sono inserite le seguenti: «, che la persona sottoposta alle indagini non è punibile ai sensi dell'articolo 131-bis del codice penale per particolare tenuità del fatto»;

b) dopo il comma 1 è aggiunto il seguente: «1-bis. Se l'archiviazione è richiesta per particolare tenuità del fatto, il pubblico ministero deve darne avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, precisando che, nel termine di dieci giorni, possono prendere visione degli atti e presentare opposizione in cui indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta. Il giudice, se l'opposizione non è inammissibile, procede ai sensi dell'articolo 409, comma 2, e, dopo avere sentito le parti, se accoglie la richiesta, provvede con ordinanza. In mancanza di opposizione, o quando questa è inammissibile, il giudice procede senza formalità e, se accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato. Nei casi in cui non accoglie la richiesta il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, eventualmente provvedendo ai sensi dell'articolo 409, commi 4 e 5». 

[7]. Art. 168 bis c.p.p.Nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell'articolo 550 del codice di procedura penale, l'imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova. La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta altresì l'affidamento dell'imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l'altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali. La concessione della messa alla prova è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell'imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell'imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore. La sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato non può essere concessa più di una volta. La sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica nei casi previsti dagli articoli 102, 103, 104, 105 e 108.

De minimis. Partiamo dagli esempi di scuola che spesso hanno efficacia euristica apprezzabile: il soggetto che ruba un acino d’uva si impossessa della cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene commette furto? A nessuno verrebbe in mente di dare una risposta positiva: osta l’umana ragione. Gli autori chiosano: si tratta di un fatto che non può dirsi tipico, vale a dire corrispondente alla fattispecie incriminatrice del reato di furto, in quanto manca l’aspetto qualificante della tipicità, vale a dire la concreta lesione o anche solo la messa in pericolo dell’altrui possesso, che è il bene-interesse penalmente protetto dal reato de quo. Ossia, secondo un’altra teoria il fatto in questione, pur essendo tipico, non può ritenersi comunque in concreto offensivo e pertanto non può ritenersi reato.

Dato comune di entrambe le prospettive è la centralità del parametro cardine dell’offensività al fine di valutare il fatto come penalmente rilevante o meno.

Tali considerazioni sono in realtà meno scontate di quel che appaiono, trovando invece la loro matrice ultima nell’applicazione delle cogenti norme costituzionali di cui in primis agli articoli 2, 13, e 27 della Costituzione[1], le quali impongono di ritenere l’insussistenza del reato qualora difetti la concreta offesa del bene giuridico protetto. Ad opinare diversamente, invece, la sanzione penale si giustificherebbe in base alla mera disobbedienza del reo ai precetti normativi, o addirittura in base alla sua condotta di vita, sulla scorta di vetuste e nefaste teorie autoritarie ed antidemocratiche intese a sancire la preminenza assoluta dell’apparato monopolizzatore della forza (lo Stato), e degli interessi dell’elite che ne è al vertice, sulle prerogative ed istanze dei cittadini relegati in sostanza a ruolo di sudditi.

È evidente quindi che l’offensività abbia un ruolo fondamentale al fine di realizzare un diritto penale coerente con le istanze garantiste e di stretta legalità all’interno di sistema autenticamente civile e democratico, che ritiene delitto solo fatti offensivi di beni giuridici: nullum crimen sine iniuria.

Non è un caso certo che del lemma offensività sono ormai colme le rassegne giurisprudenziali. Per summa capita possiamo solo rilevare che sono molteplici le pronunce che ancorano la rilevanza penale del fatto e la relativa responsabilità del suo autore all’indefettibile requisito della lesione in concreto della condotta (ex plurimis Cassazione Penale n. 8142/2006). Cosi come sono molte le norme dell’ordinamento che, in disparte l’articolo 49[2] del codice penale - che, secondo alcuni può essere considerato la fonte normativa dell’offensività - vincolano ad apprezzare in modo adeguato l’offesa in concreto arrecata dalla condotta, al fine di commisurare in concreto la pena, (cfr articolo 62 n. 4) oppure sanciscono la stessa rilevanza penale del fatto. In tale prospettiva viene in rilievo l’articolo 34 del Decreto Legislativo n. 274/2000 che, per i procedimenti instaurati dinanzi al giudice di pace, esclude la procedibilità per particolare tenuità del fatto, per esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado di colpevolezza dell’autore. In tale sede, poi, non possiamo neanche accennare alla problematica complessa ed oltremodo interessante riguardante i fatti di lieve entità di cui al comma 5 dell’articolo 73 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 (testo unico in materia di sostanza stupefacenti) cosi come modificato dall’articolo 2 del Decreto Legge del 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni nella Legge 2014, n. 10. Esso configura autonoma fattispecie di reato e non mera circostanza attenuante, con risvolti in termini di favor rei del tutto evidenti. Infatti, trattandosi di circostanza attenuante, l’ipotesi lieve era soggetta al giudizio di comparazione con le aggravanti eventualmente contestate, di talché, in caso di ritenuta equivalenza, la pena veniva determinata sulla base della sanzione edittale prevista per le fattispecie di cui al primo comma dell’articolo 73 (reclusione da sei a venti anni e multa da 26.000 ad 260.000 euro).

La natura di autonoma ipotesi di reato, per effetto delle modifiche introdotte dal Decreto Legge n. 146/2013 comporta invece, in caso di riconoscimento di attenuanti e/o di aggravanti, l’applicazione dei criteri di cui agli articoli 63 e seguenti del codice penale con la conseguenza che, operando il giudizio di comparazione, la pena base sarà, in caso di equivalenza delle circostanze, quella prevista dalla nuova fattispecie (reclusione da uno a cinque anni e multa da euro 3.000 ad euro 26.000). Ulteriore conseguenza favorevole per il reo è la sottoposizione di tali fatti  al termine prescrizionale più  breve di sei anni, anziché di venti, in quanto non più calibrato sull’ipotesi di cui al comma 1 dell’articolo 73.

E di offensività discorre anche il nuovo articolo 131-bis del codice penale, inserito dal Decreto Legislativo del 16 marzo 2015, n. 28 in attuazione della Legge del 28 aprile 2014, n. 67 [3]. Non è questa la sede per approfondire tutti gli aspetti di cui alla novella legislativa sul punto, in attesa della casistica che si produrrà sul tema. Basti osservare ai nostri fini che la tenuità dell’offesa che esclude la punibilità del reo è desunta letteralmente dall’esiguità del danno o del pericolo, valutate sulla base dei criteri di cui all’articolo 133 del codice penale [4].

In prima approssimazione è lecito però accennare a rilievi critici della nuova disciplina che appare collocarsi non sul versante dell’insussistenza del fatto di reato per mancanza di offensività ma sul mero versante, come detto, della non punibilità del reo che abbia commesso un fatto comunque ritenuto penalmente rilevante, anche se poco offensivo.

In altri termini, il fatto tenue è comunque ritenuto reato, e quindi implica l’accertamento della penale responsabilità dell’autore, come confermato dall’articolo 651-bis del codice di procedura penale[5] e dalla circostanza che i provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale sono iscritti nel casellario giudiziale .Tanto ciò è vero che all’imputato, oltre che alla persona offesa viene data possibilità di opporsi alla richiesta del pm di archiviazione per l’ipotesi de quo [6]. Da tali primissime considerazioni evidentemente del tutto parziali, si comprende come l’obiettivo di un diritto penale minimo che sanzioni effettivamente condotte lesive di beni penalmente protetti, può essere solo in minima parte raggiunto dal nuovo articolo 131 bis del codice penale, che non valorizza pienamente tutte le potenzialità ragionevoli e costituzionalmente orientate del cardine dell’offensività.

Da qui la conclusione che si tratti di intervento troppo parcellizzato, che appare aver la pretesa di raccogliere con il secchiello degli indici di cui al nuovo articolo 131 bis del codice penale l’acqua del mare dell’inflazione del carico penale. Mentre, per realizzare un sistema di repressione penale realmente fondato sul principio di offensività, occorre procedere alla revisione del sistema sanzionatorio penale, seguendo in modo coerente e senza indugio, la prospettiva del “diritto penale minimo”. In tal senso occorre depenalizzare sul serio le fattispecie bagatellari, evitare di procedere nei confronti di cittadini che, non essendo mai stati compiutamente generalizzati, rimarrebbero fantasmi nei cui confronti la pena non sarà mai eseguita, estendere anche al processo a carico dei maggiorenni le formule del proscioglimento per irrilevanza del fatto, generalizzando quindi l’articolo 34 del Decreto Legislativo n. 274/2000 citato, consentendo sostanzialmente al giudice del caso concreto di verificare la reale offensività delle condotte ascritte all’imputato, non mancando di auspicare l’applicazione estesa dell’estinzione del reato per esito positivo di messa alla prova di cui al nuovo articolo 161 bis[7]. Il cammino per apprendere la lezione della ragione e non degli istinti sicuritari è ancora impervio e tortuoso, non perdendo mai di vista il rispetto delle garanzie di ciascuno cosi tutelate e difese dalla roccaforte della nostra Costituzione.

 

[1] Art. 2 Cost: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Art. 13 Cost. La libertà personale è inviolabile.  Art. 27 Cost. La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.Non è ammessa la pena di morte.

[2] Art. 49 comma 2 :La punibilità è altresì esclusa quando, per la inidoneità dell'azione o per l'inesistenza dell'oggetto di essa, è impossibile l'evento dannoso o pericoloso.

[3] Art. 131 bis c.p. Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. L'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. Il comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest'ultimo caso ai fini dell'applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'articolo 69. La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante.

[4] Art. 133 c.p. Nell'esercizio del potere discrezionale indicato nell'articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta: 1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione; 2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; 3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa. Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta: 1) dai motivi a delinquere e dal carattere del reo; 2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato; 3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato; 4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.

[5] «651-bis. Efficacia della sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto nel giudizio civile o amministrativo di danno.

1. La sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale.

2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuita' del fatto a norma dell'articolo 442, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato». 

[6] All'articolo 411 c.p.p.  sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, dopo le parole: «condizione di procedibilità» sono inserite le seguenti: «, che la persona sottoposta alle indagini non è punibile ai sensi dell'articolo 131-bis del codice penale per particolare tenuità del fatto»;

b) dopo il comma 1 è aggiunto il seguente: «1-bis. Se l'archiviazione è richiesta per particolare tenuità del fatto, il pubblico ministero deve darne avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, precisando che, nel termine di dieci giorni, possono prendere visione degli atti e presentare opposizione in cui indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta. Il giudice, se l'opposizione non è inammissibile, procede ai sensi dell'articolo 409, comma 2, e, dopo avere sentito le parti, se accoglie la richiesta, provvede con ordinanza. In mancanza di opposizione, o quando questa è inammissibile, il giudice procede senza formalità e, se accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato. Nei casi in cui non accoglie la richiesta il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, eventualmente provvedendo ai sensi dell'articolo 409, commi 4 e 5». 

[7]. Art. 168 bis c.p.p.Nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell'articolo 550 del codice di procedura penale, l'imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova. La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta altresì l'affidamento dell'imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l'altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali. La concessione della messa alla prova è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell'imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell'imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore. La sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato non può essere concessa più di una volta. La sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica nei casi previsti dagli articoli 102, 103, 104, 105 e 108.