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La ratifica dei provvedimenti d’urgenza

Ratifica dei provvedimenti di urgenza
Ratifica dei provvedimenti di urgenza

Nell’articolo precedente abbiamo proposto un modello di ordine del giorno dedicato alle collegialità universitarie https://www.filodiritto.com/un-modello-di-ordine-del-giorno-gli-organi-collegiali-delle-universita.

Ora, invece, esaminiamo preliminarmente le prime voci e la metodologia sottesa all’utilizzo di questo modello condiviso. Poi affronteremo il problema della ratifica dei provvedimenti d’urgenza. Questo aspetto, infatti, ha suscitato molto interesse.

Prima di farlo, sembra opportuna una precisazione.

L’obiettivo della condivisione è la redazione di un documento unitario e valido per tutti i collegi delle università: da quelli centrali (Senato e Consiglio di amministrazione), a quelli periferici (Consiglio di Scuola e di Dipartimento).

Ne conseguono un fattore positivo e un aspetto critico:

  • il fattore positivo è la normalizzazione nell’individuazione delle pratiche, come distribuite nelle rispettive voci dell’ordine del giorno, in particolare, per omogeneità funzionale; ciò rileva anche per il processo decisionale dagli organi centrali a quelli periferici e viceversa; si pensi, ad esempio, al procedimento di chiamata di un professore, che coinvolge più organi periferici e centrali, unitamente – a seconda dei casi – a organi e organismi di controllo, valutazione e supporto (Collegio dei revisori, Nucleo di valutazione, Presidio per la qualità);
  • l’aspetto critico è l’eventualità – peraltro, molto limitata e scarna – di poter non utilizzare alcune voci; in questo caso, l’ordine del giorno sarà inviato con annotata alla voce corrispondente la dicitura “nessuna pratica iscritta”; in tal modo ne sarà garantita la normalizzazione e la corretta sequenza.

Le ragioni, come abbiamo visto, sono essenzialmente tassonomiche e risiedono nell’ottenimento di un regolare e ordinato fluire degli argomenti nel corso dell’adunanza. A ciò si aggiunge l’utilizzo di uno strumento di trasparenza dell’azione amministrativa, soprattutto nei confronti dei consiglieri e nella gestione efficiente dei singoli punti.

Non ultimo, un modello di ordine del giorno permette al personale di segreteria di seguire i lavori del collegio secondo un ordine logico e condiviso per affari, attività e procedimenti omogenei, il quale diviene funzionale anche all’efficienza amministrativa.

Vediamo ora insieme com’è stato enucleato.

Il modello di ordine del giorno è stato redatto dipanando queste macroaree concettuali:

  • Presa d’atto e ratifica di provvedimenti monocratici con appropriazione temporanea di poteri collegiali
  • Comunicazione istituzionale non provvedimentale
  • Ordinamento giuridico interno, organi e soggetti esterni
  • Strategie e organizzazione
  • Funzioni finali e fondanti
  • Clienti interni ed esterni
  • Attività giuridico-legale
  • Risorse umane, strumentali, finanziarie, di supporto e lavori

In primo luogo, conviene ribadire, ancora una volta però fino solo a sfiorare la petulanza, che il verbale non è soggetto ad approvazione da parte dell’organo collegiale. Si tratta, infatti, di un atto monocratico proprio del Segretario nella veste di pubblico ufficiale, come ribadito in maniera imprescindibile da copiosa e consolidata giurisprudenza, passata in rassegna anche in più quesiti di puntodelibere (http://www.procedamus.it/8-eventi/156-puntodelibere-quesitierisposte001.html).

Pertanto, non è giuridicamente corretto scrivere nel primo punto dell’ordine del giorno “Approvazione del verbale”, dal momento che la corretta nomenclatura giuridica è “Presa d’atto”. Si tratta, infatti, di un atto meramente ricognitivo e non di natura provvedimentale.

Veniamo al secondo punto del modello di ordine del giorno.

Alcuni colleghi mi hanno fatto presente che nei rispettivi Atenei è prassi inserire la ratifica dei provvedimenti d’urgenza nei singoli punti in trattazione. Ciò servirebbe a mantenere la coerenza nella discussione. In realtà, ci sono due buone ragioni per confermarne la correttezza in esordio di adunanza.

In prima battuta, la decretazione d’urgenza è da considerarsi extrema ratio. Nella sostanza, dunque, rappresenta un’esautorazione della competenza dell’organo collegiale a favore di un organo monocratico. La decisione, infatti, viene presa al di fuori di un contraddittorio collegiale e, potenzialmente, in maniera pericolosamente e unilateralmente discrezionale.

Il senso della ratifica, quale conferma della legittimità dell’operato dell’organo monocratico e della coerenza verificata a posteriori della volontà del collegio, assume le sembianze di “furto” temporaneo di poteri. Pertanto, serve a sanare il vulnus istituzionale che si potrebbe creare tra il Presidente e il Consiglio, ancora potenzialmente, destinato a divenire un conflitto interorganico.

Per queste ragioni, è preferibile che tutta l’attività svolta in difetto di competenza dal Presidente in nome e per conto del Consiglio a valle di un’adunanza determinata e nelle more della convocazione della successiva, sia sanata in un unico punto. E ciò deve avvenire prima che il Consiglio inizi la propria attività deliberativa, come a tirare una riga accademica su quanto agito dal proprio Presidente.

In secondo luogo, cosa accadrebbe in caso di non ratifica oppure di annullamento in autotutela dell’organo monocratico del proprio provvedimento percepito in bilico? Fatto salvo quanto disposto da statuto e da regolamenti, la mancata ratifica non comporta, ovviamente, la decadenza dell’organo monocratico. Tuttavia, si instaurerebbe una grave forma di sfiducia, ancorché circoscritta a determinati provvedimenti amministrativi. Infatti, non trattandosi di organi di natura politica (con maggioranza e opposizione), ma di governance di un ente dedicato alla didattica e alla ricerca scientifica, lo spirito di cooperazione, anche indotto, finisce quasi sempre con il prevalere. Sul punto, dunque, sussiste una naturale acquiescenza da parte dei consiglieri su tematiche che, pur appartenendo alla sfera collegiale, l’accademia considera di routine, se non di scarso interesse.

Da ciò consegue che il provvedimento d’urgenza, da un lato dovrebbe avere le caratteristiche oggettive della contingibilità e della indifferibilità, dall’altro non dovrebbe essere esteso ad atti di indirizzo, a mozioni o a provvedimenti per i quali risulti necessaria la maggioranza qualificata degli aventi diritto.

E, non ultimo, due sono gli ingredienti indispensabili per qualsiasi collegialità che abbia l’intento di mantenere vivo il rispetto verso gli organi chiamati a deliberare sul bene comune: il senso istituzionale e la diligenza del buon padre di famiglia.

Ulteriormente, non bisognerebbe mai dimenticare che il concetto di “urgenza”, spesso privo di fondamento oggettivo, è sempre più radicato nel mondo accademico, soprattutto nelle strutture dipartimentali, come ho avuto modo di segnalare ampiamente https://www.forumpa.it/riforma-pa/la-pa-vittima-della-cultura-dellurgenza/. Quando tutto – o una grande mole del tutto – diviene urgente, nulla lo è per davvero. Anzi, ciò rischia di trasformarsi in un pericoloso crinale di sciatteria molesta.

Chiudiamo con un consiglio salvavita.

Un modo efficace e rispettoso delle collegialità esiste. Si tratta della delegazione funzionale di poteri in capo al Presidente del collegio, tipicamente al Direttore di Dipartimento. Non una mera delega di firma. Pertanto, anziché continuare a far ratificare con routine procedurali – perlopiù in una discussione disattenta di pochi secondi – una serie cospicua di provvedimenti monocratici di assunzione di poteri collegiali, è preferibile che il Presidente sia delegato a decretare su determinati ambiti e a rendicontare periodicamente al Consiglio i provvedimenti assunti su delegazione. In questo modo, il collegio avrà fatte salve le proprie prerogative di controllo sui poteri esercitati e l’azione amministrativa godrà di uno snellimento notevole, nella piena trasparenza e nell’abolizione di indolenti ratifiche seriali, che finiscono per svilire proprio l’attività collegiale.

Come spesso sostenuto, bisogna saper rinunciare a un po’ di sé per lavorare in armonia, specialmente in contesti istituzionali chiamati a riconoscere le urgenze reali, senza rincorrere quelle presunte tali, che finiscono soltanto con far aumentare la burocrazia e gli adempimenti superflui.