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La relazione del ministero della Giustizia sulle misure cautelari e l’ingiusta detenzione per l’anno 2021

Una storia di abusi senza fine
Ministero di Grazia e Giustizia
Ministero di Grazia e Giustizia

La relazione del ministero della Giustizia sulle misure cautelari e l’ingiusta detenzione per l’anno 2021: una storia di abusi senza fine


Focus

È stata appena pubblicata sul sito web istituzionale del ministero della Giustizia la relazione annuale sulle misure cautelari e sulle sentenze di riparazione dell’ingiusta detenzione.

Raccontiamo in questo scritto ciò che abbiamo letto.


Scopo della relazione

Entro il 31 gennaio di ogni anno, il Governo (per esso il ministero della Giustizia) ha l’obbligo, imposto dall’art. 15 della L. 47/2015, di presentare alle Camere “una relazione contenente dati, rilevazioni e statistiche relativi all’applicazione, nell’anno precedente, delle misure cautelari personali, distinte per tipologie, con l’indicazione dell’esito dei relativi procedimenti, ove conclusi”.

L’ultimo periodo dello stesso articolo aggiunge che “La relazione contiene inoltre i dati relativi alle sentenze di riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, pronunciate nell’anno precedente, con specificazione delle ragioni di accoglimento e dell’entità delle riparazioni, nonché i dati relativi al numero di procedimenti disciplinari iniziati nei riguardi dei magistrati per le accertate ingiuste detenzioni, con indicazione dell’esito, ove conclusi”.

È agevole comprendere lo scopo di questa prescrizione, non a caso inserita in una legge varata al dichiarato scopo di rimediare a disinvolte prassi legislative e giurisprudenziali il cui comune effetto è stato di riempire le carceri nazionali oltre ogni livello di civiltà e ragionevolezza.

Così si leggeva infatti nella proposta (prima firmataria on. Donatella Ferranti) da cui è derivata la Legge 47: “Il problema carcerario in Italia è cronico e assume dimensioni sempre più preoccupanti, con istituti penitenziari sovraffollati e condizioni detentive sempre meno degne di un Paese civile. Urge trovare soluzioni immediate, in grado non più solo di lenire temporaneamente il problema ma di risolverlo definitivamente. In questa direzione occorre anzitutto una riflessione culturale. Negli ultimi anni la situazione carceraria si è ulteriormente aggravata sotto la pressione di un’ansia di sicurezza, talora assecondata con troppa disinvoltura, che ha germinato una legislazione emergenziale soprattutto preoccupata di prevenire e di punire, senza particolare attenzione per le ricadute sanzionatorie complessive. La stessa prassi giudiziaria si è talora mostrata fin troppo sensibile all’ondata securitaria, favorendo ulteriormente l’espansione dell’uso della leva detentiva a fini sanzionatori e cautelari. Non si tratta allora più soltanto di arginare la piaga del sovraffollamento, che da anni attanaglia il nostro sistema carcerario, né semplicemente di assicurare modalità detentive che rispettino i più basilari diritti dell’individuo, ma più in generale si deve ridare senso e dignità alla forma più drastica di restrizione dei diritti dell’individuo che il nostro ordinamento conosce […] È necessario superare quelle forme surrettizie di presunzione giurisprudenziale che di fatto enucleano la sussistenza di esigenze cautelari dalla sola gravità del reato commesso e puntare su una valutazione rigorosa, che sappia valorizzare il principio della tendenziale prevalenza della libertà sulla restrizione. L’intervento normativo deve quindi tendere a riallineare il sistema italiano agli standard previsti dalla Costituzione e a quelli previsti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva dalla legge n. 848 del 1955, e dalla sua giurisprudenza. È in queste coordinate che si inscrive la presente proposta di legge”.

È chiaro allora che la relazione imposta dall’art. 15 ha una funzione strumentale: il monitoraggio annuale serve ad offrire al legislatore conoscenza e possibilità di intervento modificativo ove occorra.


Incompletezza dei dati e ritardo della relazione

Solo il 70% degli uffici giudiziari interpellati (sezioni GIP-GUP e sezioni dibattimentali dei tribunali) hanno inviato i dati necessari per la relazione, pur trattandosi non di una graziosa concessione ma di un adempimento dovuto.

Desta ulteriore sconcerto che la percentuale delle risposte sia pressoché in costante calo nell’ultimo quadriennio (84% nel 2018, 86% nel 2019, 76% nel 2020 e 70% nel 2021).

Nella relazione si minimizza questa circostanza, si parla di una percentuale comunque significativa e si aggiunge che i dati dei più importanti uffici inadempienti sono stati stimati (secondo una metodologia non precisata).

Sarà ma pare ugualmente grave, e sinonimo nel migliore dei casi di una disorganizzazione preoccupante, che 3 uffici giudiziari su 10 non possano o non vogliano comunicare al ministero dati così importanti.

Si sottolinea infine che la relazione è stata diffusa e comunicata al Parlamento a maggio inoltrato sebbene per legge la presentazione alle Camere debba avvenire entro il mese di gennaio di ogni anno.

Pare anche questo un effetto della difficoltà di interlocuzione del ministero della Giustizia con gli uffici giudiziari.


I numeri


…In generale

Nel 2021 sono state emesse 81.102 misure cautelari personali.

Erano state 82.199 nel 2020, 94.197 nel 2019 e 95.798 nel 2018.

C’è un calo evidente ma due fattori importanti inducono a considerarlo meno significativo di quanto sembrerebbe suggerire il puro dato numerico.

Il primo, rilevato anche nella relazione, è l’incidenza della pandemia che, facendo diminuire drasticamente la circolazione degli individui, ha ridotto le occasioni di reato.

Il secondo è che nel biennio 2018/2019 i dati sulle misure cautelari sono stati forniti da una percentuale di uffici giudiziari ben più alta di quella del biennio successivo sicché è dato presumere che, se le due percentuali fossero state uguali o simili, la diminuzione delle misure sarebbe stata meno marcata di quanto risulta.

È quindi sensato affermare che la flessione del ricorso al potere cautelare appare dovuta più a fattori contingenti (pandemia e incompletezza dei dati disponibili) più che a maggiore cautela di PM e giudici.


…La tipologia delle misure

Gli arresti domiciliari (con o senza “braccialetto) e la custodia in carcere o in luogo di cura rappresentano il 56,2% delle misure totali e la custodia in carcere (29,7%) è di gran lunga la misura più applicata, seguita a distanza dagli arresti domiciliari nelle due forme (25,7%), dall’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (15,8%) e dal divieto di avvicinamento (10,4%).

Il ricorso alle due misure più afflittive pesava per il 57,6% nel 2020, per il 58,6% nel 2019 e per il 58,9% nel 2018.

C’è quindi una modesta diminuzione ma un fatto continua ad essere innegabile: il carcere e gli arresti domiciliari, cui si dovrebbe fare ricorso solo quando ogni altra misura è inadeguata, rimangono le destinazioni più probabili per i destinatari delle iniziative cautelari.


…Prassi locali

Risultano notevoli differenze nella scelta delle misure cautelari allorché si prendano in considerazione i cinque più importanti distretti giudiziari italiani.

Nel 2021 il podio per il ricorso alla custodia carceraria (o in luogo di cura) vede saldamente al primo posto il distretto di Napoli (51,4% sul totale delle misure), seguito da quello di Milano (38,3%) e da quello di Torino (33,6%). Seguono Palermo (29,3%) e Roma (26,1%).

Se si guarda agli arresti domiciliari (con o senza “braccialetto), in testa c’è Palermo (28,5%), seguita da Napoli (27,8%), Roma (27%), Milano (21,7%) e Torino (17,1%).

Se si fa infine la somma delle due percentuali il primato assoluto spetta a Napoli (78,2%), seguita da Milano (59,3%), Palermo (57,9%), Roma (53,1%) e Torino (50,7%).

In tre dei grandi distretti giudiziari italiani il ricorso alle due più gravi misure cautelari è quindi più alto della già alta media nazionale.


…Gli esiti dei procedimenti penali nei quali siano state emesse misure cautelari

È bene chiarire preliminarmente che in questa voce della relazione sono presi in considerazione soltanto i procedimenti penali conclusi (con sentenza sia definitiva che non definitiva) nello stesso anno di emissione della misura (i cosiddetti procedimenti “cautelati”).

Il campione complessivo è costituito da 32.805 casi.

Interessa rilevare, per i fini propri di questa riflessione, che il 5,4% dei procedimenti in questione si è concluso con assoluzione non definitiva, l’1,5% con assoluzione definitiva e il 2% con sentenze di proscioglimento a vario titolo. La percentuale complessiva di questi ammonta all’8,9% (era il 9,1% nel 2020, il 10% nel 2019 e il 10,2% nel 2018).

C’è poi un secondo insieme ed è quello costituito dai procedimenti conclusi con condanna (definitiva e non definitiva) a pena sospesa. Nel 2021 il loro totale è stato del 14,4% (era il 14,5% nel 2020, il 14,8% nel 2019 e il 14,1% nel 2018).

Si può dunque affermare che, relativamente all’anno 2021, nell’8,9% dei casi la sentenza ha escluso la fondatezza dell’accusa o ha comunque riconosciuto la presenza di una causa estintiva) e nel 14,4% dei casi le caratteristiche del fatto- reato e della personalità dell’autore hanno consentito una prognosi favorevole tale da escludere la commissione futura di nuovi reati.

È chiaro che questa seconda tipologia di esiti ha bisogno talvolta della pienezza del giudizio perché ne emergano i presupposti ma il buon senso suggerisce che il più delle volte il quadro è completo già al momento della domanda di misura cautelare. Il che è come dire che in un numero rilevante di procedimenti conclusi con condanna a pena sospesa ben si sarebbe potuto fare a meno di qualsiasi misura, tanto più tenendo conto del disposto dell’art. 275, comma 2-bis, cod. proc. pen., a norma del quale “non può essere applicata la misura della custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena”.

Non è quindi azzardato affermare che, complessivamente ed alla luce dei fatti, in 2 casi su 10 il potere cautelare è stato esercitato in contesti che avrebbero suggerito ben maggiore prudenza valutativa di quella dimostrata.


…La riparazione per ingiusta detenzione

Non c’è da rallegrarsi neanche per questa voce che, d’altro canto, è il riflesso delle condizioni di fatto illustrate nei precedenti sottoparagrafi.

Nel 2021 sono sopravvenute 1.284 nuove domande (194 in più rispetto all’anno precedente).

Nello stesso anno sono state accolte 474 domande con decisione definitiva (erano state 283 nel 2020) e altre 96 con decisione non definitiva.

292 decisioni definitive di accoglimento sono derivate da sentenze di proscioglimento dell’istante e 198 sono derivate da illegittimità delle ordinanze cautelari (ben 147 di queste si riferiscono agli elementi genetici, erano cioè presenti e riscontrabili fin dall’inizio).

L’esborso complessivo dello Stato a titolo di riparazione per l’anno 2021 è stato di 24,5 milioni di euro (era stato di 36,9 milioni per il 2020).


…La giustizia disciplinare dei magistrati in relazione al cattivo uso del potere cautelare

Per questo aspetto non serve alcun commento specifico.

Basta riportare lo schema n. 5 della relazione che, come si suol dire, si commenta da solo.

In sintesi: l’abuso del potere cautelare non ha praticamente colpevoli.

SCHEMA 5 – RILEVAZIONE ILLECITO DISCIPLINARE DI CUI AL CITATO ART. 2 LETT. G) DEL D.LGS N.109/96 – anni 2019-2021
SCHEMA 5 – RILEVAZIONE ILLECITO DISCIPLINARE DI CUI AL CITATO ART. 2 LETT. G) DEL D.LGS N.109/96 – anni 2019-2021

In conclusione

Con rammarico, non si può che ripetere la stanca litania recitata negli anni precedenti:

I numeri hanno parlato e raccontano una brutta storia.

La custodia carceraria è la misura cautelare più utilizzata, a dispetto del principio che assegna alla detenzione carceraria la funzione di ultima trincea, a cui ricorrere solo quando sia stata accertata e adeguatamente motivata l’impossibilità di ricorrere a misure meno afflittive”.

Nulla è cambiato dall’anno scorso e la situazione resta di uguale gravità, anzi peggiora perché ogni anno migliaia di persone si aggiungono alla folta schiera di coloro che sperimentano la violenza di Stato, perché tale è la privazione della libertà di un essere umano con un provvedimento che porta lo stemma della Repubblica senza rispettarne le leggi e i principi.

Così è anche quest’anno.

Bisognerebbe sperare che le cose cambino e perfino credere che il cambiamento sia possibile.

Ma abbiamo appena assistito a uno sciopero, peraltro tramutatosi in un flop di notevoli dimensioni, indetto dall’associazione che rappresenta la quasi totalità dei magistrati italiani.

È stato, dichiaratamente, uno sciopero oppositivo al disegno riformatore della ministra Cartabia, e i suoi principali ispiratori hanno affermato di essere motivati dall’interesse dei cittadini, non certo da ragioni di difesa castale o corporativa.

Sarebbe piaciuto che una simile opposizione fosse stata preceduta da un’analisi (necessariamente spietata) che spiegasse agli italiani in che modo la magistratura intende contribuire a superare questa troppo lunga stagione di diritti e libertà negati, calpestati, talvolta neanche riconosciuti.

Ma la magistratura non lo ha fatto o non lo ha fatto in modo convincente o non lo ha fatto in modo corale.

E quando qualcuno chiede una misura cautelare che non avrebbe dovuto essere chiesta e quando qualcun altro accoglie quella richiesta che non avrebbe dovuto essere accolta, è di magistrati che parliamo e dobbiamo immaginare che la mancanza di una riflessione interna adeguata sugli eccessi cautelari e punitivi contemporanei sia tra le cause che incidono negativamente.

Quindi, no, non abbiamo grande fiducia ma continuiamo a sperare.