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La responsabilità della persona giuridica per l’abbandono e il deposito di rifiuti sul suolo e per l’immissione di rifiuti nelle acque (art 192 Codice Ambiente)

1. L’art 192 del Codice dell’ambiente

In questa sede si vuole evidenziare un collegamento molto interessante tra il d.lg. n. 231/2001 sulla responsabilità da reato degli enti collettivi e il Codice dell’ambiente (d.lg. 3 aprile 2006 n. 152).

Il collegamento risiede nell’art 192, il quale fa divieto di abbandono e di deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo e dell’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee (commi 1 e 2).

Il comma 3 dell’art 192 obbliga chiunque violi i divieti di cui sopra - ferme restando le sanzioni previste negli artt 255 e 256 - “a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.”

La violazione dei divieti di abbandono/deposito/immissione dei rifiuti è, appunto, sanzionata dagli artt 255 e 256.

In particolare l’art 255 (abbandono di rifiuti) punisce, per quel che qui interessa, e “fatto salvo quanto disposto dall’articolo 256, comma 2”, “chiunque, in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 192, commi 1 e 2 … abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee”: è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra 105 euro e 620 euro (o tra 25 euro e 155 euro se si tratta di rifiuti non pericolosi e non ingombranti).

Il successivo art 256 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata), al comma 2, commina le pene di cui al comma 1 (id est: arresto da tre mesi a un anno o ammenda da 2600 euro a 26000 euro se si tratta di rifiuti non pericolosi; arresto da sei mesi a due anni e ammenda da 2600 euro a 26000 euro se si tratta di rifiuti pericolosi) “ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 192, commi 1 e 2”.

Immediatamente dopo è dato rinvenire il collegamento con il d.lg. 231, contenuto nel comma 4 dell’art 192:

“Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni.”

2. Esame della disposizione

Già prima facie sono possibili alcune considerazioni su questa “singolare” disposizione.

In primo luogo, il “fatto illecito” considerato dall’art 192 comma 4 può integrare, come visto, un illecito amministrativo (ex art 255: se commesso da “chiunque”) o un reato contravvenzionale (art 256 comma 2: se commesso da “titolari o responsabili di imprese”).

Quanto stabilito dal comma 4 si applica evidentemente soltanto nelle ipotesi di abbandono/deposito/immissione che sono qualificate quali contravvenzioni ai sensi dell’art 256 comma 2 in quanto commesse da soggetti qualificati.

Peraltro, va rilevata la non perfetta coincidenza tra i soggetti attivi del reato di cui all’art 256 comma 2 (“titolari di imprese e responsabili di enti”) e i soggetti considerati nell’art 192 comma 4 (“amministratori o rappresentanti”).

Ancora: l’art 192 comma 4 si riferisce alle sole persone giuridiche e non, in generale, agli enti collettivi, anche sforniti di personalità giuridica.

Tuttavia il punto nodale, che ci ha spinto a parlare di disposizione “singolare”, risiede senza dubbio nell’affermazione di un’obbligazione solidale della persona giuridica e nel suo ancoraggio al d.lg. 231: se il fatto illecito è imputabile ai soggetti menzionati, con essi è “tenuta in solido” la persona giuridica, “secondo le disposizioni del d.lg. 231”.

3. L’obbligazione solidale della persona giuridica secondo le disposizioni del d.lg. 231/2001: le tesi in campo

Divergenti opinioni è dato registrare sul contenuto dell’obbligazione solidale e del rinvio al d.lg. 231.

Secondo una prima tesi [Maglia – Balossi, La delega di funzioni in relazione al d.lgs. 231/2001 e all’art 192 comma 4 del d.lgs. 152/2006, Ambiente e Sviluppo, 3/07, 212], l’obbligo solidale riguarderebbe l’illecito contravvenzionale di cui all’art 192 comma 4, il quale andrebbe ad aggiungersi a quelli contemplati dal d.lg. 231: il rinvio alle disposizioni di quest’ultima normativa sarebbe da intendersi quale rinvio tout court ai principi generali, ai criteri di attribuzione della responsabilità, alle sanzioni, al procedimento di accertamento.

Altro Autore [Romolotti, Il nuovo Testo Unico dell’ambiente e il d.lgs. 231/2001: un’occasione perduta?, Rivista sulla responsabilità amministrativa delle società, 1/07, 37 ss.], dopo aver evidenziato la natura “anomala” di tale disposizione, rileva che la responsabilità solidale dell’ente concerne un obbligazione di “fare”; tale obbligazione non nasce da un reato e non è, appunto, autonoma (contrariamente al disposto di cui all’art 8 del d.lg. 231).

In questa prospettiva il rinvio al d.lg. 231 sarebbe limitato al criterio di imputazione soggettiva: l’ente non risponde (nel senso che non è tenuto alla rimozione/avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti/ripristino dei luoghi) se dimostra di aver adottato ed efficacemente attuato un Modello organizzativo idoneo.

4. Una (faticosa) ricostruzione sistematica del regime dell’obbligazione solidale introdotto dall’art 192 comma 4

Quanto segue rappresenta un tentativo di attribuire un significato utile alla norma, evitando la soluzione, invero più “allettante” – sul piano dogmatico e avuto riguardo alla tecnica di redazione della norma – del vero e proprio errore del Legislatore.

Il Codice dell’ambiente introduce una responsabilità della persona giuridica per taluni reati ambientali, solo in parte rientrante nel paradigma del d.lg. 231/2001.

Il d.lg. 231 introduce, come è noto, una responsabilità punitiva diretta ed autonoma dell’ente collettivo – correlata a specifiche sanzioni - seppur connessa a quella penale (e in alcune ipotesi amministrativa) della persona fisica.

L’art 192 comma 4 sancisce invece un’obbligo solidale a carico della persona giuridica per il pagamento dell’ammenda irrogata alla persona fisica, secondo uno schema analogo a quello introdotto dall’art 6 comma 3 della legge n. 689/1981.

Parziali analogie sono pure rinvenibili nell’art 187-quinquies T.U.F., ai sensi del quale l’ente “è responsabile del pagamento di una somma pari all’importo della sanzione amministrativa irrogata per gli illeciti di cui al presente capo (art 187-bis - Abuso di informazioni privilegiate e art 187 ter - Manipolazione del mercato, n.d.r.) commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:

a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria o funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;

b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).

Tuttavia, quella prevista dall’art 187 quinquies è una responsabilità civile da illecito amministrativo: l’ente, infatti, non è tenuto al pagamento della sanzione amministrativa, ma di una “somma pari all’importo” di quest’ultima [Nel caso in questione, poi, c’è un rinvio – molto puntuale – ai principi fondamentali del d.lg. 231/2001: il comma 4 dell’art 187 quinquies prevede che, in relazione agli illeciti menzionati, si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 6, 7, 8 e 12 del decreto. Il rinvio a queste disposizioni consente (nell’ambito della procedura amministrativa sanzionatoria dinanzi alla CONSOB) di:

• dare rilievo esimente all’adozione/attuazione dei compliance programs;

• affermare l’autonoma responsabilità dell’ente anche nei casi di autore non identificato;

• configurare casi di riduzione della pena in seguito a condotte riparatorie].

Poiché però, nell’art 192 comma 4, la sanzione pecuniaria è connessa ad una contravvenzione e non ad un mero illecito amministrativo, non si è ritenuto di introdurre sic et simpiciter una solidarietà che sarebbe risultata palesemente incostituzionale per contrasto con l’art 27 comma 3 Cost.

Si è invece operato un rinvio alle disposizioni del d.lg. 231/2001, senza specificare esattamente quali.

Tuttavia non v’è dubbio che se l’ente vuole dimostrare l’adozione e l’attuazione di idonei Modelli preventivi (o anche la mancanza dell’interesse alla commissione del reato), dovrà intervenire formalmente nel procedimento penale a carico dei soggetti di vertice.

E’ qui che sorge un problema di non poco momento e che tuttavia, in questa sede è possibile solo prospettare: fino a che punto si applicano le disposizioni procedurali del d.lg. 231?

In altri termini: quando il P.M. procede a carico di un amministratore per il reato di cui all’art 256 comma 2, deve procedere ad iscrivere la società nel registro ex art 335 c.p.p.? deve procedere, all’esito delle indagini alla contestazione dell’illecito?

Le problematiche appena esposte – e numerose altre ipotizzabili – sono forse difficilmente risolvibili sulla base dell’attuale testo dell’art 192 comma 4.

Non va nemmeno taciuto che comunque si tratterebbe di sanzioni pecuniarie dall’effetto deterrente praticamente nullo.

Insomma per adesso si tratta senz’altro di un’occasione perduta (riprendendo il titolo del contributo di Romolotti sopra menzionato): non resta che confidare nel disegno di legge di recente approvato dal Consiglio dei Ministri che, anticipando la Direttiva europea (sostitutiva dell’annullata Decisione quadro 2003/80), assicura un’effettiva tutela dell’ambiente attraverso il diritto penale, avendo riguardo anche al corporate crime.

1. L’art 192 del Codice dell’ambiente

In questa sede si vuole evidenziare un collegamento molto interessante tra il d.lg. n. 231/2001 sulla responsabilità da reato degli enti collettivi e il Codice dell’ambiente (d.lg. 3 aprile 2006 n. 152).

Il collegamento risiede nell’art 192, il quale fa divieto di abbandono e di deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo e dell’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee (commi 1 e 2).

Il comma 3 dell’art 192 obbliga chiunque violi i divieti di cui sopra - ferme restando le sanzioni previste negli artt 255 e 256 - “a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.”

La violazione dei divieti di abbandono/deposito/immissione dei rifiuti è, appunto, sanzionata dagli artt 255 e 256.

In particolare l’art 255 (abbandono di rifiuti) punisce, per quel che qui interessa, e “fatto salvo quanto disposto dall’articolo 256, comma 2”, “chiunque, in violazione delle disposizioni di cui agli articoli 192, commi 1 e 2 … abbandona o deposita rifiuti ovvero li immette nelle acque superficiali o sotterranee”: è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra 105 euro e 620 euro (o tra 25 euro e 155 euro se si tratta di rifiuti non pericolosi e non ingombranti).

Il successivo art 256 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata), al comma 2, commina le pene di cui al comma 1 (id est: arresto da tre mesi a un anno o ammenda da 2600 euro a 26000 euro se si tratta di rifiuti non pericolosi; arresto da sei mesi a due anni e ammenda da 2600 euro a 26000 euro se si tratta di rifiuti pericolosi) “ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 192, commi 1 e 2”.

Immediatamente dopo è dato rinvenire il collegamento con il d.lg. 231, contenuto nel comma 4 dell’art 192:

“Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni.”

2. Esame della disposizione

Già prima facie sono possibili alcune considerazioni su questa “singolare” disposizione.

In primo luogo, il “fatto illecito” considerato dall’art 192 comma 4 può integrare, come visto, un illecito amministrativo (ex art 255: se commesso da “chiunque”) o un reato contravvenzionale (art 256 comma 2: se commesso da “titolari o responsabili di imprese”).

Quanto stabilito dal comma 4 si applica evidentemente soltanto nelle ipotesi di abbandono/deposito/immissione che sono qualificate quali contravvenzioni ai sensi dell’art 256 comma 2 in quanto commesse da soggetti qualificati.

Peraltro, va rilevata la non perfetta coincidenza tra i soggetti attivi del reato di cui all’art 256 comma 2 (“titolari di imprese e responsabili di enti”) e i soggetti considerati nell’art 192 comma 4 (“amministratori o rappresentanti”).

Ancora: l’art 192 comma 4 si riferisce alle sole persone giuridiche e non, in generale, agli enti collettivi, anche sforniti di personalità giuridica.

Tuttavia il punto nodale, che ci ha spinto a parlare di disposizione “singolare”, risiede senza dubbio nell’affermazione di un’obbligazione solidale della persona giuridica e nel suo ancoraggio al d.lg. 231: se il fatto illecito è imputabile ai soggetti menzionati, con essi è “tenuta in solido” la persona giuridica, “secondo le disposizioni del d.lg. 231”.

3. L’obbligazione solidale della persona giuridica secondo le disposizioni del d.lg. 231/2001: le tesi in campo

Divergenti opinioni è dato registrare sul contenuto dell’obbligazione solidale e del rinvio al d.lg. 231.

Secondo una prima tesi [Maglia – Balossi, La delega di funzioni in relazione al d.lgs. 231/2001 e all’art 192 comma 4 del d.lgs. 152/2006, Ambiente e Sviluppo, 3/07, 212], l’obbligo solidale riguarderebbe l’illecito contravvenzionale di cui all’art 192 comma 4, il quale andrebbe ad aggiungersi a quelli contemplati dal d.lg. 231: il rinvio alle disposizioni di quest’ultima normativa sarebbe da intendersi quale rinvio tout court ai principi generali, ai criteri di attribuzione della responsabilità, alle sanzioni, al procedimento di accertamento.

Altro Autore [Romolotti, Il nuovo Testo Unico dell’ambiente e il d.lgs. 231/2001: un’occasione perduta?, Rivista sulla responsabilità amministrativa delle società, 1/07, 37 ss.], dopo aver evidenziato la natura “anomala” di tale disposizione, rileva che la responsabilità solidale dell’ente concerne un obbligazione di “fare”; tale obbligazione non nasce da un reato e non è, appunto, autonoma (contrariamente al disposto di cui all’art 8 del d.lg. 231).

In questa prospettiva il rinvio al d.lg. 231 sarebbe limitato al criterio di imputazione soggettiva: l’ente non risponde (nel senso che non è tenuto alla rimozione/avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti/ripristino dei luoghi) se dimostra di aver adottato ed efficacemente attuato un Modello organizzativo idoneo.

4. Una (faticosa) ricostruzione sistematica del regime dell’obbligazione solidale introdotto dall’art 192 comma 4

Quanto segue rappresenta un tentativo di attribuire un significato utile alla norma, evitando la soluzione, invero più “allettante” – sul piano dogmatico e avuto riguardo alla tecnica di redazione della norma – del vero e proprio errore del Legislatore.

Il Codice dell’ambiente introduce una responsabilità della persona giuridica per taluni reati ambientali, solo in parte rientrante nel paradigma del d.lg. 231/2001.

Il d.lg. 231 introduce, come è noto, una responsabilità punitiva diretta ed autonoma dell’ente collettivo – correlata a specifiche sanzioni - seppur connessa a quella penale (e in alcune ipotesi amministrativa) della persona fisica.

L’art 192 comma 4 sancisce invece un’obbligo solidale a carico della persona giuridica per il pagamento dell’ammenda irrogata alla persona fisica, secondo uno schema analogo a quello introdotto dall’art 6 comma 3 della legge n. 689/1981.

Parziali analogie sono pure rinvenibili nell’art 187-quinquies T.U.F., ai sensi del quale l’ente “è responsabile del pagamento di una somma pari all’importo della sanzione amministrativa irrogata per gli illeciti di cui al presente capo (art 187-bis - Abuso di informazioni privilegiate e art 187 ter - Manipolazione del mercato, n.d.r.) commessi nel suo interesse o a suo vantaggio:

a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria o funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;

b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).

Tuttavia, quella prevista dall’art 187 quinquies è una responsabilità civile da illecito amministrativo: l’ente, infatti, non è tenuto al pagamento della sanzione amministrativa, ma di una “somma pari all’importo” di quest’ultima [Nel caso in questione, poi, c’è un rinvio – molto puntuale – ai principi fondamentali del d.lg. 231/2001: il comma 4 dell’art 187 quinquies prevede che, in relazione agli illeciti menzionati, si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 6, 7, 8 e 12 del decreto. Il rinvio a queste disposizioni consente (nell’ambito della procedura amministrativa sanzionatoria dinanzi alla CONSOB) di:

• dare rilievo esimente all’adozione/attuazione dei compliance programs;

• affermare l’autonoma responsabilità dell’ente anche nei casi di autore non identificato;

• configurare casi di riduzione della pena in seguito a condotte riparatorie].

Poiché però, nell’art 192 comma 4, la sanzione pecuniaria è connessa ad una contravvenzione e non ad un mero illecito amministrativo, non si è ritenuto di introdurre sic et simpiciter una solidarietà che sarebbe risultata palesemente incostituzionale per contrasto con l’art 27 comma 3 Cost.

Si è invece operato un rinvio alle disposizioni del d.lg. 231/2001, senza specificare esattamente quali.

Tuttavia non v’è dubbio che se l’ente vuole dimostrare l’adozione e l’attuazione di idonei Modelli preventivi (o anche la mancanza dell’interesse alla commissione del reato), dovrà intervenire formalmente nel procedimento penale a carico dei soggetti di vertice.

E’ qui che sorge un problema di non poco momento e che tuttavia, in questa sede è possibile solo prospettare: fino a che punto si applicano le disposizioni procedurali del d.lg. 231?

In altri termini: quando il P.M. procede a carico di un amministratore per il reato di cui all’art 256 comma 2, deve procedere ad iscrivere la società nel registro ex art 335 c.p.p.? deve procedere, all’esito delle indagini alla contestazione dell’illecito?

Le problematiche appena esposte – e numerose altre ipotizzabili – sono forse difficilmente risolvibili sulla base dell’attuale testo dell’art 192 comma 4.

Non va nemmeno taciuto che comunque si tratterebbe di sanzioni pecuniarie dall’effetto deterrente praticamente nullo.

Insomma per adesso si tratta senz’altro di un’occasione perduta (riprendendo il titolo del contributo di Romolotti sopra menzionato): non resta che confidare nel disegno di legge di recente approvato dal Consiglio dei Ministri che, anticipando la Direttiva europea (sostitutiva dell’annullata Decisione quadro 2003/80), assicura un’effettiva tutela dell’ambiente attraverso il diritto penale, avendo riguardo anche al corporate crime.