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La revoca del decreto penale di condanna: un caso di incostituzionalità?

La revoca del decreto penale di condanna: un caso di incostituzionalità?
La revoca del decreto penale di condanna: un caso di incostituzionalità?

A norma del comma 3 dell’articolo 460 del codice di procedura penale il decreto penale di condanna è notificato al condannato e al suo difensore.

In caso di irreperibilità del condannato, attesa l’impossibilità di eseguire la notifica, il comma 4 dispone che il G.I.P. debba emettere un provvedimento (decreto) di revoca del decreto penale, restituendo gli atti al P.M.

Quest’ultima norma, come è evidente, non prescrive che questo secondo decreto (di revoca) debba essere a sua volta notificato allo stesso difensore cui era stato notificato il decreto penale (revocato). E neppure prescrive la previa emissione di decreto di irreperibilità del condannato, giusta quanto dispone l’articolo 160 del codice di procedura penale.

L’omissione normativa - che non risulta sia mai stata colmata dalla prassi seguita dai G.I.P. - è difficilmente giustificabile. Appare evidente come la mancanza di notifica al difensore anche del provvedimento di revoca del decreto penale di condanna (per irreperibilità dell’imputato) costituisca implicita ed indiretta lesione di tre posizioni fondamentali: dell’imputato, del difensore, dell’ordinamento nel suo complesso.

Le esigenze dei primi due sono tra loro strettamente connesse e riflettono il diritto, tanto dell’imputato quanto del difensore, a che il decreto penale spieghi tutti i suoi effetti. Questo atto, infatti, beninteso se fondato, rappresenta una soluzione di soddisfo degli interessi dell’imputato, dati gli effetti premiali che in concreto ne scaturiscono. È superfluo sottolineare i vantaggi offerti dal rito speciale, non tutti surrogati dalle pur innegabili garanzie difensive offerte dal rito ordinario (e, d’altronde, l’effetto “premiale” un senso deve pur averlo): la comminazione della sola pena pecuniaria; la sua riduzione; l’esenzione dal pagamento delle spese giudiziali; la concedibilità della sospensione condizionale; l’inapplicabilità delle pene accessorie e della confisca se non obbligatoria; l’inefficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo; la possibilità di beneficiare di ulteriore sospensione condizionale una volta estinto l’effetto penale della condanna subita.

Ma tutto questo è vanificato dall’attuale impianto normativo ove, nell’impossibilità della notifica del decreto penale per irreperibilità, si addivenga alla revoca senza aver considerato che quest’ultima potrebbe - quantomeno in teoria - essere evitata proprio attraverso la notifica al difensore del relativo decreto (oltre che del decreto di irreperibilità, anch’esso non previsto dalla norma). Non può infatti escludersi che proprio il difensore possa fornire indicazioni utili ai fini della reperibilità dell’assistito se solo venisse edotto delle difficoltà insorte nelle operazioni di notifica del decreto penale.

Non meno rilevante è, poi, l’esigenza dell’ordinamento giudiziario nel suo complesso ad una celerità nello svolgimento dei procedimenti penali, ove questi rimangano improntati al principio di economia processuale. La revoca del decreto penale, infatti, non solo getta nel nulla il lavoro di Procura, G.i.p., e relative segreterie; ma determina il necessario avvio di un nuovo iter procedimentale che, se da una parte si caratterizza per il riconoscimento di maggiori e più complete garanzie, è al contempo foriero di significativi costi e di dispendio di tempo (neppure determinabili ex ante) ed energie dei soggetti chiamati ad attuarlo. In definitiva, ci sembra che lo strumento del decreto penale, per gli indubbi vantaggi che offre all’imputato, come pure per l’effetto deflattivo che mira a decongestionare il lavoro degli operatori giudiziari, dovrebbe porre il legislatore nell’ottica di conservarne quanto più possibile gli effetti, invece che porlo nel nulla senza neppure portare a conoscenza il difensore della sua revoca.

Se, e nella misura in cui, queste considerazioni hanno un pregio, è evidente che la norma meriterebbe una rivisitazione. Tuttavia, al di là delle prospettive auspicabili de jure condendo, non sembra azzardato formulare un serio dubbio di incostituzionalità dell’articolo 460, comma 4,  del codice di procedura penale, nel combinato disposto con l’articolo 160. E, segnatamente, nella parte in cui non è previsto che, appunto nel caso di omessa notifica per irreperibilità del condannato, previa emissione di decreto di irreperibilità ad opera del g.i.p. venga notificato al difensore il provvedimento di revoca del decreto penale di condanna, con previsione normativa di adeguato termine per interporre specifico gravame al decreto di revoca.

La Costituzione delinea un quadro ben chiaro di procedimento penale, attraverso una serie di principi espressione di libertà fondamentali, di garanzie individuali, di diritti soggettivi, di poteri e doveri degli organi giudiziari. In particolare, all’articolo 2 è stabilito che sono assicurati il riconoscimento e la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo e, all’articolo 24, comma 2, si aggiunge che la difesa rappresenta un diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo. Infine, all’articolo 111 è sancito il principio del giusto processo e della sua ragionevole durata.

Il fatto che la revoca del decreto penale per irreperibilità conduca a un procedimento (quello ordinario) maggiormente garantista in punto ai diritti di difesa, non supera la considerazione che la migliore e più efficace tutela dei diritti fondamentali dell’individuo deriva proprio dalla conservazione di quel giudizio premiale (quello per decreto) che l’imputato, o il suo difensore, avrebbero accettato se almeno il secondo fosse venuto a conoscenza dell’impossibilità di notifica. In altri termini, non appare ragionevole la compressione dei benefici insiti nel giudizio per decreto in automatica conseguenza della mera irreperibilità del condannato-beneficiato. Mentre, per converso, proprio siffatta “compressione” è contraria ai principi costituzionali di cui agli articoli 2, 24 e 111 della Carta; mentre l’articolo 111 - in ordine al principio del giusto processo e della sua ragionevole durata - subisce un’ulteriore violazione in conseguenza di quanto sopra obiettato in punto alla vanificazione dell’intero giudizio per decreto, che ormai si è consumato, e alla sua sostituzione col più oneroso e lungo giudizio ordinario.

A norma del comma 3 dell’articolo 460 del codice di procedura penale il decreto penale di condanna è notificato al condannato e al suo difensore.

In caso di irreperibilità del condannato, attesa l’impossibilità di eseguire la notifica, il comma 4 dispone che il G.I.P. debba emettere un provvedimento (decreto) di revoca del decreto penale, restituendo gli atti al P.M.

Quest’ultima norma, come è evidente, non prescrive che questo secondo decreto (di revoca) debba essere a sua volta notificato allo stesso difensore cui era stato notificato il decreto penale (revocato). E neppure prescrive la previa emissione di decreto di irreperibilità del condannato, giusta quanto dispone l’articolo 160 del codice di procedura penale.

L’omissione normativa - che non risulta sia mai stata colmata dalla prassi seguita dai G.I.P. - è difficilmente giustificabile. Appare evidente come la mancanza di notifica al difensore anche del provvedimento di revoca del decreto penale di condanna (per irreperibilità dell’imputato) costituisca implicita ed indiretta lesione di tre posizioni fondamentali: dell’imputato, del difensore, dell’ordinamento nel suo complesso.

Le esigenze dei primi due sono tra loro strettamente connesse e riflettono il diritto, tanto dell’imputato quanto del difensore, a che il decreto penale spieghi tutti i suoi effetti. Questo atto, infatti, beninteso se fondato, rappresenta una soluzione di soddisfo degli interessi dell’imputato, dati gli effetti premiali che in concreto ne scaturiscono. È superfluo sottolineare i vantaggi offerti dal rito speciale, non tutti surrogati dalle pur innegabili garanzie difensive offerte dal rito ordinario (e, d’altronde, l’effetto “premiale” un senso deve pur averlo): la comminazione della sola pena pecuniaria; la sua riduzione; l’esenzione dal pagamento delle spese giudiziali; la concedibilità della sospensione condizionale; l’inapplicabilità delle pene accessorie e della confisca se non obbligatoria; l’inefficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo; la possibilità di beneficiare di ulteriore sospensione condizionale una volta estinto l’effetto penale della condanna subita.

Ma tutto questo è vanificato dall’attuale impianto normativo ove, nell’impossibilità della notifica del decreto penale per irreperibilità, si addivenga alla revoca senza aver considerato che quest’ultima potrebbe - quantomeno in teoria - essere evitata proprio attraverso la notifica al difensore del relativo decreto (oltre che del decreto di irreperibilità, anch’esso non previsto dalla norma). Non può infatti escludersi che proprio il difensore possa fornire indicazioni utili ai fini della reperibilità dell’assistito se solo venisse edotto delle difficoltà insorte nelle operazioni di notifica del decreto penale.

Non meno rilevante è, poi, l’esigenza dell’ordinamento giudiziario nel suo complesso ad una celerità nello svolgimento dei procedimenti penali, ove questi rimangano improntati al principio di economia processuale. La revoca del decreto penale, infatti, non solo getta nel nulla il lavoro di Procura, G.i.p., e relative segreterie; ma determina il necessario avvio di un nuovo iter procedimentale che, se da una parte si caratterizza per il riconoscimento di maggiori e più complete garanzie, è al contempo foriero di significativi costi e di dispendio di tempo (neppure determinabili ex ante) ed energie dei soggetti chiamati ad attuarlo. In definitiva, ci sembra che lo strumento del decreto penale, per gli indubbi vantaggi che offre all’imputato, come pure per l’effetto deflattivo che mira a decongestionare il lavoro degli operatori giudiziari, dovrebbe porre il legislatore nell’ottica di conservarne quanto più possibile gli effetti, invece che porlo nel nulla senza neppure portare a conoscenza il difensore della sua revoca.

Se, e nella misura in cui, queste considerazioni hanno un pregio, è evidente che la norma meriterebbe una rivisitazione. Tuttavia, al di là delle prospettive auspicabili de jure condendo, non sembra azzardato formulare un serio dubbio di incostituzionalità dell’articolo 460, comma 4,  del codice di procedura penale, nel combinato disposto con l’articolo 160. E, segnatamente, nella parte in cui non è previsto che, appunto nel caso di omessa notifica per irreperibilità del condannato, previa emissione di decreto di irreperibilità ad opera del g.i.p. venga notificato al difensore il provvedimento di revoca del decreto penale di condanna, con previsione normativa di adeguato termine per interporre specifico gravame al decreto di revoca.

La Costituzione delinea un quadro ben chiaro di procedimento penale, attraverso una serie di principi espressione di libertà fondamentali, di garanzie individuali, di diritti soggettivi, di poteri e doveri degli organi giudiziari. In particolare, all’articolo 2 è stabilito che sono assicurati il riconoscimento e la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo e, all’articolo 24, comma 2, si aggiunge che la difesa rappresenta un diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo. Infine, all’articolo 111 è sancito il principio del giusto processo e della sua ragionevole durata.

Il fatto che la revoca del decreto penale per irreperibilità conduca a un procedimento (quello ordinario) maggiormente garantista in punto ai diritti di difesa, non supera la considerazione che la migliore e più efficace tutela dei diritti fondamentali dell’individuo deriva proprio dalla conservazione di quel giudizio premiale (quello per decreto) che l’imputato, o il suo difensore, avrebbero accettato se almeno il secondo fosse venuto a conoscenza dell’impossibilità di notifica. In altri termini, non appare ragionevole la compressione dei benefici insiti nel giudizio per decreto in automatica conseguenza della mera irreperibilità del condannato-beneficiato. Mentre, per converso, proprio siffatta “compressione” è contraria ai principi costituzionali di cui agli articoli 2, 24 e 111 della Carta; mentre l’articolo 111 - in ordine al principio del giusto processo e della sua ragionevole durata - subisce un’ulteriore violazione in conseguenza di quanto sopra obiettato in punto alla vanificazione dell’intero giudizio per decreto, che ormai si è consumato, e alla sua sostituzione col più oneroso e lungo giudizio ordinario.