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La revocabilità del decreto di archiviazione e la sua esclusione dalle “prove nuove” ai fini della revisione processuale

​​​​​​​The revocability of the decree of dismissal and its exclusion from ‘new evidence’ for the purposes of procedural review.
max_gibelli_philippines_esistenza-rurale
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BSTRACT

Il presente contributo intende indagare, muovendo dalla recentissima pronuncia della Suprema Corte n. 2933/2021, la natura del decreto di archiviazione in relazione ai requisiti necessari al fine di esperire revisione processuale ai sensi dell’art. 630 lett. c) c.p.p.; pertanto, esamina il concetto di “prova nuova” e si interroga sui motivi per cui il decreto di archiviazione è considerato “debole” difronte alla capacità di resistenza del giudicato.

 

The present article intends to investigate, starting from the recent decision of the Supreme Court no. 2933/2021, the nature of the decree of dismissal in relation to the requisites necessary for procedural review pursuant to art. 630 letter c) c.p.p.; therefore, it examines the concept of “new evidence” and questions the reasons why the decree of dismissal is considered “weak” in the face of the capacity of resistance of the judgement.

 

Sommario

1. Brevi note sulla sentenza n. 2933/2022 della Corte di Cassazione

2. Tra forza e “flessibilità” del giudicato

3. Revisione processuale e concetto di “nuova prova”

4. Il decreto di archiviazione quale atto endo-procedimentale

5. Considerazioni conclusive

 

Summary

1. Brief notes on judgment 2933/2022 of the Court of Cassation

2. Between the force and the “flexibility” of the judgement

3. Procedural review and the concept of “new evidence”

4. The decree of dismissal as an endo-procedural act

5. Concluding remarks

 

1. Brevi note sulla sentenza n. 2933/2022 della Corte di Cassazione

La seconda sezione penale della Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata sull’inutilizzabilità del decreto di archiviazione ai fini della revisione processuale ex art. 630 lett. c) c.p.p. affermando il seguente principio di diritto: “In tema di revisione, non costituisce prova nuova, ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., il decreto di archiviazione, in quanto decisione allo stato degli atti, di natura endoprocedimentale, non irrevocabile, alla quale può sempre seguire la riapertura delle indagini.”

La questione processuale che ha dato origine alla sentenza in commento ha visto i ricorrenti proporre ricorso in Cassazione al fine di richiedere l’annullamento dell’ordinanza resa dalla Corte di Appello di Messina in data 23/03/2021 che dichiarava inammissibile l’istanza di revisione proposta nell’interesse degli stessi. In particolare – per quanto ivi interessa – con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art 630 e ss. c.p.p. e 378 c.p., assumendo che l’ordinanza fosse stata emessa in violazione di legge ricorrendo l’ipotesi disciplinata dall’art 630, lett. c), c.p.p., in presenza di prova nuova sopravvenuta – ovvero il decreto di archiviazione – nonché dell’art 634 c.p.p., in quanto non è stato instaurato il contraddittorio tra la parti. Invero, la difesa dei ricorrenti riteneva che la Corte di Appello di Messina avesse erroneamente escluso il decreto di archiviazione da loro addotto al fine di esperire revisione processuale, in quanto emesso successivamente alla condanna a carico degli istanti ai sensi dell’art 378 c.p. e incidente sulla posizione degli stessi.

Ciò premesso, la Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato e – con specifico riferimento alla questione in esame – ha reputato che non vi fosse alcuna violazione di legge, poiché la Corte di Appello di Messina aveva correttamente applicato il principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 5, 09/01/2020, n. 12763, Rv. 279068-01) secondo cui per prove nuove, ai fini dell’ammissibilità dell’istanza di revisione, ex art 630, lett. c) c.p.p., “devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente”. In particolare, la Corte di Appello di Messina non aveva considerato il decreto di archiviazione come nuova prova a causa della mancanza di definitività delle conclusioni assunte con tale provvedimento. I Giudici di legittimità hanno, quindi, confermato la predetta soluzione in ragione della natura «endo-procedimentale»[1] del decreto di archiviazione, ritenendo lo stesso non suscettibile di essere considerato quale prova nuova in quanto revocabile perché assunto allo stato degli atti, senza che vi sia stato l’esercizio dell’azione penale.

Ai fini di una più approfondita analisi della questione occorre, innanzitutto, esaminare gli istituti del giudicato e della revisione processuale per, poi, studiare – in relazione a questi – la natura del decreto di archiviazione.

 

2. Tra forza e “flessibilità” del giudicato

Scopo ultimo dell’attività giudiziaria è conseguire un accertamento definitivo[2].

Tale accertamento definitivo – irrevocabile perché non più cassabile dalle impugnazioni ordinarie – è il punto d’arrivo cui tende l’intero procedimento penale e «custodisce la res iudicata»[3]. Mentre nell’ottica del codice fascista il giudicato era inteso quale strumento d’affermazione dell’imperio statuale – da qui l’espressione «mito del giudicato»[4] – la promulgazione della Costituzione ha affermato la funzione del giudicato «quale presupposto per il pieno perseguimento di alcuni fondamentali principi»[5]. In particolare, il giudicato penale assume una duplice funzione: da un lato riveste il profilo di tutela individual-garantista, mentre dall’altro assume una finalità di ispirazione collettiva[6].

Nella sua concezione individual-garantista, il giudicato è volto ad eliminare le incertezze derivanti dal processo e a tutelare i diritti del singolo e le situazioni giuridiche soggettive mediante il suo effetto preclusivo, non potendo un soggetto essere riprocessato su quanto già definitivamente deciso; rispettabile dottrina riconosceva esclusivamente l’entità soggettiva dell’istituto, in quanto preordinato «ad assicurare la sicurezza dei diritti, indipendentemente dalla stabilità dei rapporti giuridici»[7]; le conseguenze di un processo protratto all’infinito non ricadrebbero, per di più, esclusivamente sull’imputato, ma altresì sulla persona offesa, per la quale sarebbe obbligatoria una rievocazione continua del fatto accaduto.

 

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[1] Cass., Sez. 2, Sent. n. 2933 del 15/12/2021 Cc. (dep. 26/01/2022) Rv. 282591 – 01.

[2] Corte cost., 5 luglio 1995, n. 294, in Cass. pen., 1995, 3244.

[3] GIOSTRA G., Prima lezione sulla giustizia penale, Roma, 2020, 153; Giudicato e res iudicata, nonostante siano spesso utilizzati come sinonimi, indicano aspetti differenti: il giudicato indica il dictum suscettibile di esecuzione, mentre la res iudicata delimita il tema decisorio che è oggetto della pronuncia. MANCUSO ENRICO MARIA, Il Giudicato nel processo penale, Giuffrè editore, p. 3.

Art. 111, comma 2 Cost.

[4] LEONE G., Il mito del giudicato, in Riv. Dir. Proc. Pen., 1956, 197.

[5] CASIRAGHI R., La revisione, Milano, 2020, 11.

[6] CONTI C., La preclusione nel processo penale, Milano, 2014, 216 secondo cui il giudicato è una «sintesi tra l’interesse statuale a tutelare l’autorità della giurisdizione, l’interesse individuale ad evitare l’esposizione sine die a vicende giudiziarie relative al medesimo fatto e l’interesse collettivo alla certezza delle situazioni giuridiche».

[7] DE LUCA G., I limiti soggettivi della cosa giudicata penale, Milano, 1963, 92.