La riforma della riscossione

Instanbul, 2015
Ph. Alessandro Saggio / Instanbul, 2015

Indice:

Premessa

Lo stato attuale del sistema di riscossione: focus sugli importi dovuti in base alle cartelle

Elementi della riforma

Osservazioni conclusive

Quadro sinottico

 

Premessa

L'emergenza pandemica ha imposto una serie di proroghe in merito alla notifica di atti impositivi e di cartelle di pagamento. In particolare, in materia di riscossione, la prima sospensione è stata disposta dal ben noto Decreto “Cura Italia” a partire dall’8 marzo 2020 sino al 31 maggio 2020, termine successivamente e costantemente prorogato da numerosi decreti emergenziali.

E invero, l’ultimo provvedimento è riferibile al “Decreto Sostegni-bis” (DL n. 73/2021), convertito con modificazioni dalla Legge n. 106/2021, recante “Misure urgenti connesse all'emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali”, che ha differito al 31 agosto 2021, il termine “finale” del periodo di sospensione delle attività di riscossione (che probabilmente sarà prorogata ulteriormente fino al 31 dicembre 2021).

In linea generale, la sospensione dei termini di versamento, in scadenza nel periodo dall'8 marzo 2020 al 31 agosto 2021, ha riguardato le entrate tributarie e non tributarie derivanti da:

  • cartelle di pagamento emesse dagli agenti della riscossione;
  • accertamenti esecutivi emessi dall’Agenzia delle entrate (art. 29, D.L. n. 78/2010);
  • avvisi di addebito emessi dall’INPS (art. 30, D.L. n. 78/2010);
  • atti di accertamento emessi dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli ai fini della riscossione delle risorse proprie tradizionali e della connessa IVA all'importazione (art. 9, comma 3-bis, D.L. n. 16/2012);
  • ingiunzioni emesse dagli enti territoriali ai sensi del R.D. n. 639/1910;
  • accertamenti esecutivi emessi dagli enti locali (art. 1, comma 729, legge n. 160/2019);

Conseguentemente, a partire dal 1° settembre 2021, l’Agente della riscossione ha ripreso l’attività di notifica di cartelle, avvisi di addebito e avvisi di accertamento e le ordinarie procedure di riscossione, incluse quelle derivanti dalle verifiche effettuate dalle PA ai sensi dell’art. 48-bis del D.P.R. 602/73.

Tanto premesso, non può non rilevarsi che la sospensione dell’attività di riscossione non ha fatto altro che ingolfare ulteriormente la complessa e arrugginita macchina dello Stato, in cui il c.d. “magazzino ruoli” - la cui giacenza dei ruoli affidati all’agente della riscossione viaggia oltre la soglia dei mille miliardi - rappresenta un problema in progressiva crescita e che, alla luce delle ultime sospensioni emergenziali disposte, ha raggiunto dimensioni non più sostenibili e gestibili. Tanto chiarito, le criticità di sistema relative alla riscossione dei debiti fiscali sono state sostanzialmente individuate in una generale frammentazione delle funzioni tipiche dell’Amministrazione fiscale tra più enti, con alcune sovrapposizioni di ruoli e responsabilità; all’accumulo dei debiti fiscali in mancanza di cancellazione delle posizioni non più riscuotibili; alla farraginosità del processo di riscossione, che si presenta eccessivamente macchinoso, imponendo azioni di recupero pressoché indistinte per tutti i carichi affidati all’Agente della riscossione, a prescindere dal loro importo e da una preliminare valutazione di solvibilità del debitore. Tale impostazione, in altri termini, non consente di modulare le attività di recupero sulla base di una strategia volta a massimizzare l’efficacia dell’azione di riscossione. L’attuale sistema di riscossione coattiva necessita, dunque, di urgenti e radicali riforme.

Detta situazione è stata peraltro oggetto di attenzione e valutazione da parte della Corte Costituzionale con la recentissima sentenza n. 120/2021 la quale, nel pronunciarsi sulla vexata quaestio della legittimità o meno dell’aggio nell’esecuzione forzata tributaria, ha rivolto un monito incisivo al legislatore per un urgente intervento di riforma, in quanto «la grave situazione di inefficienza della riscossione coattiva, che incide negativamente su una fase essenziale della dinamica del prelievo delle entrate pubbliche, non solo si riflette di fatto sulla ragionevolezza e proporzionalità dell’aggio, ma determina altresì una grave compromissione, in particolare, del dovere tributario».

Peraltro, la necessità di «un’ampia e organica revisione dell’intero sistema della riscossione per individuare soluzioni idonee a potenziare l’efficienza della struttura amministrativa e tutelare adeguatamente l’interesse dello Stato» è stata altresì evidenziata dalla Corte dei conti anche sotto l’ulteriore punto di vista della dimensione dei residui attivi, impropriamente ritenuti di riscossione certa – anche a causa di difetti di gestione e di comunicazione dei dati –, che si riflettono in termini negativi anche sulla stessa affidabilità dei bilanci pubblici (Corte dei conti, sezioni riunite in sede di controllo, Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica approvato il 24 maggio 2021, pagina 140).

Ebbene, proprio in virtù dei numerosi e continui appelli al Governo affinché intervenga sempre di più con iniziative che vadano a soccorrere tale situazione ormai sicuramente al limite, la legge di bilancio 2021 (articolo 1, ai commi da 2 a 6) ha istituto un Fondo con una dotazione di 8.000 milioni di euro per l'anno 2022 e 7.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2023 per interventi di riforma del sistema fiscale, da realizzare con appositi provvedimenti normativi.

Dunque, il piano di ristrutturazione del sistema di riscossione ad oggi prende sempre più forma e la meta sembra quasi raggiunta, soprattutto in vista delle ultime notizie fornite dal Governo, secondo cui il cantiere della riforma in parlamento dovrebbe chiudersi entro il 6 ottobre per consentire un anticipo di riforma già nella legge delega fiscale o nella legge di bilancio.

A questo punto, alla luce delle suesposte considerazione, e in vista di una ristrutturazione della materia della riscossione, con il presente contributo si intende evidenziare le principali criticità del sistema di riscossione italiano, fornendo, mediante un approfondimento del tema, possibili spunti di efficientamento per intervenire sui meccanismi attualmente in vigore.

A parere di chi scrive, l’argomento risulta essere molto delicato ed infatti, al fine di compiere tale obiettivo, si renderà necessario un confronto tra la posizione dell’Amministrazione Finanziaria e il contribuente.

Si ritiene, altresì, che, insieme alle auspicate e ben volute decisioni relative alla riforma della riscossione, si rende necessario, altresì, un ulteriore allungamento dei tempi per la ripartenza della riscossione, disponendo una sospensione della notifica delle cartelle fino al 31 dicembre 2021.

 

Lo stato attuale del sistema di riscossione: focus sugli importi dovuti in base alle cartelle

La materia della riscossione è regolata dal D.P.R. n. 602 del 29 settembre 1973 recante Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito, pubblicato in G.U. 16 ottobre 1973, n. 268, S.O. n. 2, e successive modificazioni e integrazioni.

Com’è noto, il ruolo è un elenco formato dall’ente impositore, ai fini della riscossione, che contiene i nominativi dei debitori e le somme dovute. Esso viene trasmesso all’agente della riscossione – che dal 1° luglio 2017 è costituito da Agenzia delle Entrate-Riscossione (ADER), subentrata alla soppressa Equitalia - che provvede alle successive procedure che sono nel dettaglio:

  • predisposizione e notifica delle cartelle;
  • riscossione delle somme e relativo riversamento alle casse dello Stato e degli altri enti impositori;
  • avvio dell’esecuzione forzata in caso di mancato pagamento.

L’Agente della Riscossione gode di ampi poteri al fine di tutelare il credito erariale, poteri che, ovviamente, sono strumentali non alla ricerca di materia imponibile, ma a garantire l’effettività della riscossione.

Il legislatore negli anni ha sempre ulteriormente potenziato ed accelerato la fase della riscossione, tuttavia dimenticando di controbilanciare la posizione del contribuente che, a parità di posizione creditoria (il riferimento è al caso in cui quest’ultimo presenti istanza di rimborso per aver versato somme non dovute), viene a trovarsi in una posizione di netto disparità rispetto al Fisco.

A riguardo, si evidenzia che al rapporto esattoriale ineriscono numerosi diritti a favore dell’Agenzia delle Entrate- Riscossione, interamente a carico del debitore, che, in caso di notifica della cartella, sono pari al  4 o 6% dell’importo dovuto a titolo di oneri di riscossione (aggio), percentuale non indifferente che si somma alla sanzione per il mancato pagamento pari al 30% (ovvero dal 100 al 200% nei casi di compensazione di crediti inesistenti) ed agli interessi di mora (il cui tasso attualmente applicabile è pari al 2,68% annuo).

Al fine di comprendere appieno l’ingiustizia perpetrata nei confronti dei contribuenti, si rende necessario procedere ad un’analisi delle voci (e relativi tassi) che l’ADER può richiedere, e di fatto sempre richiede, con la cartella di pagamento, rispetto agli importi che può richiedere il contribuente in ipotesi di rimborso.

Tanto premesso, non ci resta che analizzare nel dettaglio la base sulla quale è effettuato il calcolo, ossia l’importo delle somme iscritte a ruolo, che, nel caso dei tributi erariali, è così composto:

  • TRIBUTO
  • INTERESSI: Tale tipologia di interessi è disciplinata dall’art. 20 (quando dalla dichiarazione sottoposta a liquidazione o a controllo formale emergono importi non versati dal contribuente) e 21 (applicati alle somme rateizzate o sospese) D.P.R. 602/73.

In particolare, l’art. 20 D.P.R. 602/73, rubricato "Interessi per ritardata iscrizione a ruolo", stabilisce che «Sulle imposte o sulle maggiori imposte dovute in base alla liquidazione ed al controllo formale della dichiarazione od all'accertamento d'ufficio si applicano, a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento e fino alla data di consegna al concessionario dei ruoli nei quali tali imposte sono iscritte, gli interessi al tasso del quattro per cento annuo.(…)».

Ai sensi del successivo art. 21 cit, rubricato "Interessi per dilazione del pagamento", è disposto un ulteriore aumento del tasso percentuale nella misura del 6% nel caso in cui sulle somme dovute il pagamento sia stato rateizzato o sospeso: «Sulle somme il cui pagamento è stato rateizzato o sospeso ai sensi dell’art. 19, comma 125, si applicano gli interessi al tasso del 6 per cento annuo».

In sintesi, ad oggi, sulle imposte o sulle maggiori imposte dovute in base alla liquidazione ed al controllo formale della dichiarazione o all'accertamento d'ufficio si applicano, a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento e fino alla data di consegna all’ADER dei ruoli nei quali tali imposte sono iscritte, il tasso di interesse del 4% ovvero del 6% nel caso di rateizzazione o sospensione del pagamento delle somme dovute.

  • INTERESSI DI MORA: si tratta di interessi applicati per legge su cartelle e avvisi non pagati entro la scadenza (60 giorni).

Gli interessi di mora, come prescritto dall’articolo 30 del DPR 602/1973, vengono applicati «decorso inutilmente il termine previsto dall' articolo 25 , comma 2, sulle somme iscritte a ruolo, esclusi le sanzioni pecuniarie tributarie e gli interessi, si applicano, a partire dalla data della notifica della cartella e fino alla data del pagamento, gli interessi di mora al tasso determinato annualmente con decreto del Ministero delle finanze con riguardo alla media dei tassi bancari attivi.».

Essi sono fissati annualmente con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, sulla base della media dei tassi bancari attivi. Ad oggi, il provvedimento Agenzia delle Eentrate n. 148038 del 23.05.2019 stabilisce la percentuale degli interessi di mora nel 2,68% annuo.

  • ONERI DI RISCOSSIONE (AGGIO): costituiscono la remunerazione che l'Agente della riscossione percepisce per la sua attività di riscossione. Sul punto si precisa fin da subito che il D.lgs. n. 159/2015 ha stabilito che, a partire dai carichi affidati all’Agente della riscossione dal 1° gennaio 2016, l’aggio è sostituito dagli “oneri di riscossione”, che sono dovuti per il funzionamento del servizio nazionale di riscossione. Gli oneri di riscossione sono disciplinati dall’articolo 17, comma 2, del Dlgs 112/1999, come modificato dal citato D.Lgs. 159/2015, a norma del quale:

«2. Gli oneri di riscossione e di esecuzione previsti dal comma 1 sono ripartiti in:

a) una quota, denominata oneri di riscossione a carico del debitore, pari:

1) all’uno per cento, in caso di riscossione spontanea effettuata ai sensi dell’articolo 32 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46;

2) al tre per cento delle somme iscritte a ruolo riscosse, in caso di pagamento entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella;

3) al sei per cento delle somme iscritte a ruolo e dei relativi interessi di mora riscossi, in caso di pagamento oltre tale termine; (…)».

Ai fini del calcolo dell’aggio occorre, dunque, fare una distinzione tra riscossione spontanea e coattiva a mezzo ruolo:

  1. Aggio e riscossione spontanea a mezzo ruolo: vi sono ruoli e quindi cartelle esattoriali, non utilizzati per la riscossione coattiva, ma per quella "spontanea". A riguardo, l'art. 32, D.Lgs. 26 febbraio 1999 n. 46 rubricato "Riscossione spontanea a mezzo ruolo" stabilisce che:

" 1. La riscossione spontanea a mezzo ruolo è effettuata nel numero di rate previsto dalle disposizioni relative alle singole entrate; le rate scadono l'ultimo giorno del mese. Si considera riscossione spontanea a mezzo ruolo quella da effettuare, nei casi previsti dalla legge:

  1. a seguito di iscrizione a ruolo non derivante da inadempimento;
  2. quando la somma da iscrivere a ruolo è ripartita in piu' rate su richiesta del debitore. (…)».

In tali ipotesi l'aggio di riscossione è posto a carico dell'ente creditore se il pagamento avviene entro 60 giorni della notifica, oltre tale termine, viceversa risulta a carico del debitore nella misura dell’1%.

  1. Aggio e riscossione coattiva a mezzo ruolo:

Per i ruoli consegnati a partire dal 1° gennaio 2016, l’onere della riscossione è pari a:

  • 3% a carico del debitore e il restante 3% a carico dell’ente creditore, nel caso in cui il contribuente versi le somme prima del decorso dei 60 giorni (in tal caso gli oneri sono ripartiti tra contribuente ed ente impositore);
  • il 6% delle somme dovute, nel caso in cui il contribuente versi le somme decorsi 60 giorni (in tal caso gli oneri sono interamente a carico del debitore);

In pratica, l’avvio della procedura di riscossione coattiva non opera alcuna distinzione tra il contribuente-debitore “ligio” che salda il suo debito entro il termine di 60 giorni dalla data della notifica della cartella di pagamento e quello “moroso” salvo la diversa misura dell’aggio che è elevato dal 3% al 6% e dell’addebito degli interessi di mora.

  • SANZIONI: la violazione di obblighi tributari determina, da parte della Legge, l’irrogazione di sanzioni amministrative tributarie che non produce interessi e non è trasmissibile agli eredi.

Ai fini de qua, si fa riferimento ai casi di tributi iscritti a ruolo, e ad ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto. E invero, a fini esemplificativi, non si prenderà in considerazione le sanzioni derivante dalla fase accertativa (sanzioni conseguenti ad omessa o infedele dichiarazione, etc.) bensì solo a quelle sanzioni conseguenti la diretta iscrizione a ruolo.

Gli articoli 13, 14 e 15 stabiliscono le sanzioni in materia di riscossione e costituiscono il Titolo II del D.Lgs. 471/1997.

L'articolo 13, in particolare, disciplina gli omessi o i ritardati versamenti accertabili direttamente dalla dichiarazione. Ai sensi del primo comma, infatti, è colpito dalle sanzioni previste, indicate nel 30% dell'importo, chi, alle previste scadenze, non provvede in tutto o in parte:

  • ai versamenti in acconto;
  • ai versamenti periodici;
  • al versamento di conguaglio;
  • al versamento a saldo dell'imposta risultante dalla dichiarazione.

Come stabilito dall’articolo 13, comma 4, del Dlgs 471/1997, poi, l’utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti è sanzionato nella misura del 30% del credito utilizzato, salva l’applicazione di leggi speciali. Ove poi l’utilizzo concerna crediti inesistenti indebitamente compensati, la sanzione è dal 100% al 200%, come stabilito dall’articolo 13, comma 5, del Dlgs 471/1997.

Dunque, in relazione ai ruoli, le principali sanzioni tributarie riguardano:

  • i versamenti diretti: in caso di pagamenti omessi o ritardati delle imposte dirette, la sanzione è pari al 30% del valore dell’imposta dovuta. Se l’importo viene saldato entro 90 giorni la sanzione viene ridotta della metà passando dal 30 al 15%. Un’ulteriore riduzione della sanzione è prevista per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 15 giorni in quanto in tali casi la sanzione del 15% è ulteriormente ridotta a 1/15 per ogni giorno di ritardo (1%). (art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997);
  • utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti: in tali ipotesi, salva l’applicazione di disposizioni speciali, si applica, la sanzione pari al 30% del credito utilizzato;
  • utilizzo in compensazione di crediti inesistenti: in caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti la sanzione è applicata dal 100 al 200% della misura dei crediti stessi (art. 13, co. 5, D.Lgs. n. 471/1997).

In caso di dichiarazione tardiva (cioè entro i 90 giorni), si può applicare il c.d. ravvedimento operoso, che consente al contribuente di regolare le sanzioni in funzione del momento di effettiva regolarizzazione della violazione, modulando l’entità delle sanzioni in ordine alla tempistica del ravvedimento.

Brevemente giova rammentare che l’istituto del ravvedimento operoso, disciplinato dall’articolo 13 del D. Lgs. del 18 dicembre 1997 n. 472, consente al contribuente la possibilità di poter porre spontaneamente rimedio ad errori commessi in materia fiscale e tributaria, con il versamento di sanzioni ridotte, il cui importo varia in relazione alla tempestività del ravvedimento ed al tipo di violazioni commesse. Dunque, con il ravvedimento operoso, l’analisi delle violazioni commesse è rimessa interamente al contribuente, che deve provvedere a liquidare le maggiori imposte dovute, i relativi interessi e le sanzioni in misura ridotta.

In particolare, la sanzione ridotta è pari:

  1. a 1/10 di quella ordinaria nei casi di mancato pagamento del tributo o di un acconto, se esso viene eseguito nel termine di 30 giorni dalla data di scadenza;
  2. a 1/9 del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il novantesimo giorno successivo al termine per la presentazione della dichiarazione, oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro novanta giorni dall'omissione o dall'errore;
  3. a 1/8 del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione, oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno dall'omissione o dall'errore;
  4. a 1/7 del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro due anni dall'omissione o dall'errore;
  5. a 1/6 del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene oltre il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno successivo a quello nel corso del quale è stata commessa la violazione, oppure, quando non è prevista dichiarazione periodica, oltre due anni dall'omissione o dall'errore;
  6. a 1/5 del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene dopo la constatazione della violazione (ai sensi dell'articolo 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4), salvo nei casi di mancata emissione di ricevute fiscali, scontrini fiscali o documenti di trasporto o di omessa installazione degli apparecchi per l'emissione dello scontrino fiscale;
  7. a 1/10 del minimo di quella prevista per l'omissione della presentazione della dichiarazione, se questa viene presentata con ritardo non superiore a novanta giorni, oppure a 1/10 del minimo di quella prevista per l'omessa presentazione della dichiarazione periodica prescritta in materia di imposta sul valore aggiunto, se questa viene presentata con ritardo non superiore a trenta giorni.

Quanto fin qui chiarito in merito alle voci (interessi, oneri di riscossione e sanzioni) richieste nella cartella di pagamento, da un punto di vista pratico comporta che, ipotizzando il caso di un contribuente a cui sia stata notificata una cartella di pagamento che non ha provveduto a pagare entro 60 giorni dalla notifica, e per la quale ha chiesto la rateizzazione degli importi dovuti, questo sarà tenuto a corrispondere all’agente della riscossione una percentuale, rispetto al tributo richiesto, maggiore di più del 40%.

 

ESEMPIO

IMPOSTA ISCRITTA A RUOLO                                                            € 1.000,00

IMPORTI RICHIESTI IN SEDE DI RISCOSSIONE:

  • Sanzione                                        30%                                            € 300,00
  • Interessi per rateizzazione           6% annuo                                  € 60,00 (per ogni anno)
  • Interessi di mora                           2,68% annuo                             € 26,28 (per ogni anno)
  • Aggio dopo 60 giorni                    6%                                              € 61,61

   

TOTALE DA RIMBORSARE DOPO UN ANNO                             € 1.448,41

TOTALE DA RIMBORSARE DOPO DUE ANNI                             € 1.535,21

TOTALE DA RIMBORSARE DOPO TRE ANNI                              € 1.622,01                                             

Dal prospetto sopra indicato, emerge che, a fronte di un debito iscritto a ruolo pari a 1.000,00 euro, in seguito alla notifica della cartella di pagamento, nell’ipotesi in cui il contribuente non abbia adempiuto entro i 60 giorni e abbia inteso rateizzare le somme richieste, esso sarà tenuto a versare 448,41 euro in più in relazione al primo anno (circa 44% in più rispetto all’imposta), che diventano 535, 21 euro nell’ipotesi in cui il pagamento avvenga nel secondo anno (circa 53% in più), per diventare  622,01 euro in relazione al terzo anno (circa 62 % in più).

Tanto chiarito, vale la pena procedere ad un’analisi delle somme che, al contrario, è tenuto a versare l’ADER nel caso in cui, a seguito di un indebito pagamento, il contribuente presenti istanza di rimborso.

Il diritto al rimborso di una somma indebitamente versata a titolo di imposta è sancito nel nostro ordinamento dall’articolo 38 del D.P.R.602/1973, rubricato “Rimborso dei versamenti diretti”, il quale stabilisce che il soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare all'intendente di Finanza (oggi Agenzia delle Entrate) nella cui circoscrizione ha sede il concessionario presso la quale è stato eseguito il versamento istanza di rimborso, entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione e inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento.

Pertanto, il contribuente che ha versato le imposte in misura maggiore a quanto dovuto ha diritto a essere rimborsato. A seconda dei casi, i rimborsi possono essere richiesti con la dichiarazione dei redditi ovvero con specifica domanda.

Tralasciando le ipotesi in cui il rimborso può essere richiesto con la dichiarazione dei redditi, per tutte le altre ipotesi di versamenti non dovuti o eccedenti l’importo dovuto occorre presentare una domanda entro un determinato termine dal versamento, a pena di decadenza.

Giova rammentare che l’istanza di rimborso deve essere presentata, in carta semplice, all’ufficio dell’agenzia delle Entrate competente in base al domicilio fiscale del contribuente al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi da cui genera il rimborso (o, per le imposte indirette, all’ufficio dove è stato registrato l’atto o la successione) e deve contenere i motivi in base ai quali si ritiene di aver diritto al rimborso. Alla domanda vanno allegate le distinte dei versamenti eseguiti o le certificazioni delle ritenute subite.

A prescindere dalla tipologia di rimborso attivata, sulle somme dovute al contribuente a titolo di rimborso di imposte sui redditi da questi pagate, maturano interessi calcolati, ai sensi degli artt. 44 e 44 bis, D.P.R. 602/1973, ad un tasso semestrale prestabilito, ad oggi pari a 2,50 %.

In particolare, l’art. 44 cit, così dispone: «Il contribuente che abbia effettuato versamenti diretti o sia stato iscritto a ruolo per un ammontare di imposta superiore a quello effettivamente dovuto per lo stesso periodo ha diritto, per la maggior somma effettivamente pagata, all'interesse del 2,50 per cento per ognuno dei semestri interi, escluso il primo, compresi tra la data del versamento o della scadenza dell'ultima rata del ruolo in cui è stata iscritta la maggiore imposta e la data dell'ordinativo emesso dall'intendente di finanza o dell'elenco di rimborso. L'interesse di cui al primo comma è dovuto, con decorrenza dal secondo semestre successivo alla presentazione della dichiarazione, anche nelle ipotesi previste nell'art. 38 , quinto comma e nell'art. 41 , secondo comma. L'interesse è colcolato dall'ufficio delle imposte, che lo indica nello stesso elenco di sgravio, o dall'intendente di finanza ed è a carico dell'ente destinatario del gettito dell'imposta.»

Il calcolo degli interessi decorre per semestri interi, escluso il primo, dalla data del versamento errato o dalla data di presentazione della dichiarazione dalla quale emerge il rimborso o dalla data di presentazione della domanda con la quale il rimborso è stato richiesto e fino alla data di emissione dell'ordinativo del rimborso, nonché l’ultimo, in cui tale ordinativo è emesso. Tanto comporta che, nell’ipotesi in cui il rimborso venga emesso entro un anno dalla richiesta, il credito vantato dal contribuente non maturerà alcun interesse in quanto, per legge, occorre scomputare il primo e l’ultimo semestre (per un totale di dodici mesi).

Dunque, tenendo a mente lo schema di cui sopra, se ipotizziamo il caso in cui il contribuente richieda all'Amministrazione finanziaria, a titolo di rimborso, lo stesso importo di € 1.000,00, esso vedrà corrispondersi una maggiorazione del suddetto importo di solo il 2,5 % ( a fronte del 42% che, invece, deve essere corrisposto all’Amministrazione finanziaria tra interessi e oneri di riscossione), con l’ulteriore aggravio che tale interesse non verrebbe maturato nel caso in cui il rimborso avvenga entro un anno dalla richiesta (dovendo scomputarsi dal calcolo il primo e ultimo semestre).

 

ESEMPIO

IMPOSTA ISCRITTA A RUOLO                                                            € 1.000,00

IMPORTI RICHIEDIBILI DAL CONTRIBUENTE OLTRE IMPOSTA INDEBITAMENTE PAGATA:

  • Interessi                          2,50 % per semestre                                    

TOTALE DA PAGARE DOPO UN ANNO                                              € 1.000,00

N.B. gli interessi del primo semestre e dell’ultimo non si considerano si sensi dell’art. 44  D.P.R. 602/1973

TOTALE DA PAGARE DOPO DUE ANNI                                             € 1.050,00

TOTALE DA PAGARE DOPO TRE ANNI                                              € 1.150,00                                             

Come emerge dal prospetto sopra illustrato, in ipotesi di rimborso di versamenti diretti, il contribuente potrà maturare, oltre l’imposta indebitamente versata, solo una maggiorazione a titolo di interessi del 2,5% per semestre, escluso il primo e l’ultimo semestre. Ne consegue, dunque, che, se il rimborso viene effettuato entro un anno dalla presentazione dell’istanza, il contribuente non maturerà alcun interesse; se il rimborso viene effettuato entro due anni dalla presentazione dell’istanza di rimborso, il contribuente su un importo di 1.000 euro maturerà una maggiorazione pari a 50 euro (2,5% a semestre), che diventano 150 euro nel caso in cui il rimborso venga effettuato entro il terzo anno.

A tal punto, operando un raffronto tra le due posizioni creditorie sopra esposte emerge che, a parità di importo iscritto a ruolo, l’Agenzia delle Entrate maturerà una maggiorazione di quasi il 45% dell’importo, che appare del tutto ingiustificato e iniquo rispetto a quanto può, invece, maturare il contribuente in ipotesi di rimborso che, si rammenta, è solo del 2,5% dal secondo anno dalla richiesta di rimborso.

Sempre a titolo esemplificativo, si riporta di seguito una tabella che pone a confronto le due posizion

FISCO

 

CONTRUBUENTE

(in ipotesi di rimborso)

Importo iscritto a ruolo:                     € 1.000,00

Importo iscritto a ruolo:                      €1.000,00

 

a) Importo da pagare dopo un anno:   €1.448,41

b) Importo da pagare dopo due anni:  €1.535,21

c) Importo da pagare dopo tre anni:    €1.622,01

 

a) Importo rimborsato dopo un anno: €1.000,00

b)Importo rimborsato dopo due anni: €1.050,00

c) Importo rimborsato dopo tre anni:  €1.150,00

In definitiva, oggi, il contribuente deve pagare il tributo (imposte, tasse e contributi) e sulle imposte o sulle maggiori imposte dovute in base alla liquidazione e al controllo formale della dichiarazione o all’accertamento d’ufficio si applicano:

    1. gli interessi legali (a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento e fino alla data di consegna al concessionario dei ruoli nei quali tali imposte sono iscritte):
  • ordinariamente, al tasso del 4% annuo, ai sensi dell’art. 20 D.P.R 602/73;
  • in caso di rateizzazione o sospensione, al tasso del 6 % annuo, come disposto dall’art. 21, comma 1, DPR n. 602/73;
    1. gli interessi di mora, pari al 2,68% annuale se il pagamento avviene dopo 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale;
    2. gli oneri di riscossione (aggio), sempre di competenza dell’agente della riscossione:
  • nella misura fissa del 1% in caso di riscossione spontanea (ruoli non coattivi)
  • nella misura del 3% nei casi di ruoli coattivi, se il pagamento avviene entro 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale (il restante 3% è a carico dell’ente creditore);
  • nella misura del 6% sul riscosso e sugli interessi di mora, nei casi di ruoli coattivi, se il pagamento avviene oltre 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale;
    1. le sanzioni amministrative, in caso di liquidazione in misura fissa pari al 30% ovvero, in ipotesi di compensazione di credito inesistente, tra il 100 e 200%;

Tali importi, tuttavia non saranno altrettanto dovuti e corrisposti al contribuente nell’ipotesi in cui, in seguito a somme indebitamente versate, questi chieda il rimborso. In tal caso, il contribuente maturerà solo dal secondo anno dalla richiesta di rimborso, un tasso percentuale del 2,5% sull’importo chiesto a rimborso.

In definitiva, il contribuente-debitore, con le somme richieste con la cartella di pagamento, decorsi 60 giorni dalla notifica, dovrà corrispondere all’agente della riscossione una percentuale rispetto al tributo richiesto di quasi il 45% in più, a fronte di una maggiore percentuale del solo 2,50 % a semestre nel caso in cui sia, invece, il contribuente a chiedere il rimborso di quanto indebitamente versate all’Erario; percentuale che non viene assolutamente maturata nel caso in cui il rimborso venga effettuato entro un anno dalla richiesta (essendo per legge previsto che la percentuale del 2,5% non è dovuta in relazione al primo e ultimo semestre). Tale paradossale situazione, appare ancora più assurda se si considera che l’agente della riscossione non ha subìto alcun danno economico in quanto non ha dovuto anticipare alcuna somma.

Infine, un ulteriore aspetto del sistema di riscossione che merita attenzione in questa sede è certamente la declaratoria di fallimento, alla quale spesso l’Amministrazione Finanziaria ricorre per omesso pagamento del debito fiscale.

L’istituto del fallimento di un imprenditore determinato dal mancato pagamento delle imposte (c.d. Fallimento Fiscale), inizialmente disciplinato dall’ordinamento italiano dall’art. 97 del D.P.R. 602/1972, è stato dichiarato incostituzionale dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 89/1992 (G.U. 18.03.1992, n. 12, Prima Serie Speciale) e abrogato dall'art 16, D.Lgs. 18.12.1997, n. 471.

In particolare, del fallimento fiscale è stata contestata sia la natura di sanzione impropria, in quanto il mancato pagamento delle imposte determinava un pregiudizio civile (la dichiarazione di fallimento), sia la particolare durezza della misura, che consentiva automaticamente la dichiarazione di fallimento a seguito della constatazione della morosità fiscale.

Cionostante, ad oggi, l’Amministrazione Finanziaria procede ugualmente alla richiesta di fallimento nei casi di inadempimento del debito fiscale mediante l’ordinario procedimento ex artt. 5 e 6 R.D. R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (cd. legge Fallimentare). Tale circostanza, soprattutto alla luce del forte stato di crisi causato dalla crisi pandemica in atto, deve assolutamente essere oggetto di riforma soprattutto alla luce del fatto che è assurdo ipotizzare che un contribuente possa essere dichiarato fallito per tributi non versati dovuti a motivi di necessità, difficoltà economica oppure a seguito di accertamenti in contestazione e non ancora definitivi. Non vi è dubbio alcuno che, in questo modo, è stato fatto entrare dalla finestra ciò che, per motivi di assoluta irragionevolezza, era stato fatto uscire dalla porta.

Alla luce quadro sin qui rappresentato, dunque, si rende quanto mai necessaria una riforma della riscossione.

SI RINVIA AL QUADRO SINOTTICO ALLEGATO

 

Elementi della riforma

Come precisato in premessa, è in aria una ristrutturazione del sistema di riscossione.

I principi cardine, indicati come necessari e fondamentali per la realizzazione concreta del piano di riforma, sono stati individuati dalla stessa Agenzia delle Entrate - Riscossione essenzialmente nel potenziamento dello scambio dati tra AdE e AdER, tendente alla maggiore integrazione tra i due enti sino alla possibile definitiva incorporazione della seconda nella prima; nella rivisitazione e nel prolungamento del termine di efficacia della notifica della cartella e dell’avviso di intimazione per le conseguenti attività di esecuzione; nella rimodulazione del meccanismo della remunerazione dell’Agente della riscossione (“aggio”); nella revisione dell’attuale disciplina delle diverse forme di rateizzazione dei debiti iscritti a ruolo a carico dei contribuenti, oggi prive di coerenza sistematica nonché della disciplina alla determinazione degli interessi che vengono liquidati a carico dei cittadini per i loro debiti verso l’Erario e degli interessi corrisposti dalla pubblica amministrazione per debiti di quest’ultima verso i cittadini e le imprese.

Nonostante tali elementi siano certamente fondamentali ai fini dell’ottenimento di una maggiore efficienza ed efficacia del sistema di riscossione, tuttavia, ai fini di una visione più costituzionalizzata del sistema de qua, devono essere presi in considerazione ulteriori aspetti rilevanti.

E invero, proprio in virtù di quanto evidenziato nel precedente paragrafo, in un’ottica di riforma del sistema di riscossione, non può non essere tenuta in considerazione, e conseguentemente riformata, l’incomprensibile disparità di trattamento della posizione creditoria tra l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (in caso di riscossione diretta) e il contribuente (nel caso di presentazione di istanza di rimborso), in relazione alla quantificazione del dovuto.

E invero, come sopra illustrato, in seguito alla notifica dell’avviso di pagamento, laddove (magari per congiunture economiche) il contribuente non ottemperi al pagamento entro i 60 giorni e decida di rateizzare le somme dovute, esso sarà tenuto al pagamento di un importo di quasi il 45 % in più dell’importo iscritto a ruolo, importi così ripartiti: 4% annuo a titolo di interessi (che diventa del 6% nelle ipotesi di rateizzazione o sospensione delle somme); 2,68 % annuo, quale interessi di mora; 6% quali oneri di riscossione; 30% a titolo di sanzione (che diventa dal 100 al 200% nel caso di utilizzo in compensazione dei crediti inesistenti). Tale circostanza, assume dei connotati davvero paradossali se si considera che, a parità di posizione creditoria (in caso di rimborso di quanto indebitamente pagato), il contribuente, che ha certamente subito un danno in quanto ha pagato somme non dovute, potrà richiedere solo il 2,5% a semestre, e solo dal secondo anno dalla richiesta di rimborso.

Tale situazione rappresenta certamente una inaccettabile e quantomai ingiustificata disparità di trattamento tra Amministrazione Finanziaria e contribuente, con una evidente lesione del principio di uguaglianza che costituisce un principio di così evidente rilevanza nel nostro ordinamento che non può essere oggetto di deminutio.

A riguardo, la stessa Corte Costituzionale ha riconosciuto la straordinaria portata di detto principio affermando che “l’eguaglianza è un principio generale che condiziona tutto l’ordinamento nella sua obbiettiva struttura: esso vieta che la legge ponga in essere una disciplina che direttamente o indirettamente dia vita ad una non giustificata disparità di trattamento delle situazioni giuridiche, indipendentemente dalla natura e dalla qualificazione dei soggetti ai quali queste vengano imputate (Corte Costituzionale, Sentenza n. 25 del 17 Marzo 1966).

Sulla scorta di tali considerazioni, si rende necessario un intervento anche in tal senso, riducendo e, in taluni casi, annullando, tassi percentuali che appaiono ingiustificati e ingiustificabili e che rappresentano una disparità di trattamento che si pone in netto contrasto con i principi costituzionali del nostro ordinamento.

Sul punto, a parere di chi scrive, questi sono gli ulteriori elementi che, unitamente a quelli già al vaglio del governo, devono assolutamente essere riformati:

Oneri di riscossione (Aggio)

L’iniquità degli oneri di riscossione rappresenta da sempre un tema piuttosto spinoso e ben noto a tutti, tuttavia nulla si è mossa fino alla pronuncia della Corte Costituzionale.  Muovendo una preliminare e dovuta critica in quanto è inaccettabile sperare nell’intervento dei giudici costituzionali per consentire al contribuente una parità sostanziale e processuale con il Fisco, si evidenzia che con la sentenza n. 120 del 10 giugno 2021 la Corte Costituzionale è tornata nuovamente ad esprimersi sulla legittimità costituzionale dell’aggio di riscossione e, sia pur dichiarando inammissibile la questione sollevata, ha rivolto un monito al legislatore, esortandolo a procedere ad un’urgente ed indifferibile riforma sia delle norme relative all’aggio, sia, e più in generale, del sistema di riscossione coattiva, al fine di renderlo coerente con i principi di eguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità sanciti a livello costituzionale.

Ebbene, proprio in virtù dello stimolo fornito dalla stessa Corte Costituzionale, organo di maggior garanzia nel nostro ordinamento, la riforma deve necessariamente prevedere la rideterminazione dei soggetti tenuti al pagamento e la riformulazione delle modalità di determinazione dell'aggio.

E invero, la citata sentenza offre «In questa situazione, infatti, il meccanismo di finanziamento della funzione di riscossione degenera nel paradosso di addossare su una limitata platea di contribuenti, individuati in ragione della loro solvenza (tardiva rispetto alla fase dell’accertamento dei tributi), il peso di una solidarietà né proporzionata, né ragionevole, perché originata, in realtà, dall’ingente costo della «sostanziale impotenza dello Stato a riscuotere i propri crediti» (Corte dei conti, sezioni riunite in sede di controllo, deliberazione 8 aprile 2021, n. 4, pagina 9) nei confronti dei contribuenti insolventi.».

In particolare, si ritiene che gli oneri di riscossione non devono assolutamente gravare sul contribuente in quanto già largamente inciso dal pagamento di gravosi interessi e sanzioni, bensì dovrebbe essere sempre a carico della Fiscalità generale.

A riguardo, come peraltro illustrato dalla citata sentenza della Corte Costituzionale, si osserva che i principali Paesi europei (Germania, Francia, Spagna, Gran Bretagna) hanno da tempo superato l’istituto dell’aggio e posto a carico della fiscalità generale le ingenti risorse necessarie al corretto funzionamento della riscossione. Tale soluzione è stata in vigore per circa quindici anni anche nel nostro ordinamento con il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 603 (recante “Modifiche ed integrazioni al testo unico delle leggi sui servizi della riscossione delle imposte dirette” approvato con d.P.R. 15 maggio 1963, n. 858). Quest’ultimo, sebbene in un contesto ancora legato alla concessione a soggetti privati dell’attività di riscossione, all’art. 3, primo comma, già disponeva che «[p]er le riscossioni effettuate sia mediante versamenti diretti dei contribuenti sia mediante ruoli l’esattore è retribuito con un aggio a carico degli enti destinatari del gettito dei tributi».

Ad ulteriore conferma della correttezza di tale soluzione, non è marginale rilevare che la più autorevole dottrina riteneva tale opzione particolarmente efficace, sia in termini di trasparenza contabile, sia al fine di eliminare le disparità di trattamento tra i contribuenti.

Alla luce delle suesposte considerazioni, dunque, il legislatore deve intervenire per  controbilanciare gli eccessivi importi dovuti a titolo di oneri di riscossione dovuti ad ADER, spostando la soggettività passiva interamente a carico della Fiscalità generale.

Interessi di ritardata iscrizione a ruolo

E’ del tutto illegittimo e inspiegabile la sproporzione del tasso di interesse di ritardata iscrizione a ruolo ex art. 20 D.P.R. 602/73 tra Fisco e contribuente.

E invero, se il Fisco richiede il 4% di interessi ovvero il 6% in caso di rateizzazione o sospensione, al contrario, non è tenuto a pagare al contribuente il medesimo tasso percentuale bensì solo il 2,5 % a semestre (con esclusione del primo e ultimo semestre).

A parere di chi scrive, è necessario che, a parità di posizione creditoria, il tasso di interesse fiscale sia calcolato in misura uguale sia per il Fisco che per il contribuente, anche e soprattutto alla luce del principio di uguaglianza che costituisce un principio generale che condiziona tutto l’ordinamento nella sua obiettiva struttura, e che rappresenta un fondamento implicito nell’assetto stesso del sistema giuridico.

E invero, proprio in forza della sua stretta connessione con l’essenza della democrazia, pur escludendo l’esistenza di una gerarchia di valori costituzionali, il principio di uguaglianza viene considerato un principio supremo, il punto di riferimento primario per cogliere in tutte le sue implicazioni, il rapporto tra la nostra forma di Stato e la tutela dei diritti fondamentali.

Tale circostanza appare ancora più irragionevole e assurda se si considera che, in ambito civile il tasso di interesse legale per l’anno 2021 è stato fissato allo 0,01 %. Precisamente, gli interessi legali sono tali perché calcolati sulla base del tasso legale, stabilito cioè dalla legge che prevede che il tasso degli interessi legali debba essere determinato annualmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con decreto, da pubblicarsi sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, sulla base del rendimento medio annuo lordo dei titoli di Stato di durata non superiore ai dodici mesi, e tenuto conto del tasso di inflazione che è stato registrato nel corso dell’anno. Ebbene, per l’anno 2021, con D.M. 11 dicembre 2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 dicembre 2020, il Ministero dell'Economia e delle finanze ha fissato allo 0,01% in ragione d’anno, a partire dal 1° gennaio 2021, il saggio degli interessi legali.

Pertanto, è oltremodo necessario intervenire sulla misura del tasso di interesse fiscale ex art. 20 D.P.R. 602/73, anche e soprattutto alla luce dell’ingiustificata e assurda disparità di trattamento tra il tasso del 4% (ovvero del 6% in caso di rateizzazione o sospensione) applicato per l’Amministrazione Finanziaria rispetto a quello del 2,5% di cui può beneficiare il contribuente, nonché dell’inconcepibile divario che segna la quantificazione del tasso legale civile (dello 0,01%) rispetto a quello fiscale (4% - 6%).

Interessi di mora

Come sopra specificato, gli interessi di mora sono ulteriori interessi, oltre a quelli ordinari, applicati per legge su cartelle e avvisi non pagati entro la scadenza (60 giorni).

A parere di chi scrive, tali interessi devono essere esclusi in quanto il contribuente risulta già fortemente penalizzato e sanzionato da maggiori interessi ex art. 20 cit. e dalle sanzioni.

La previsione di ulteriori interessi di mora non fa altro che pregiudicare ingiustificatamente la posizione del contribuente che, soprattutto alla luce della crisi economica in atto, si trova nella difficoltà di pagare.

Sanzioni

In merito alle sanzioni, si evidenzia che deve essere oggetto di revisione l’impianto sanzionatorio di cui al citato art. 13 D.P.R. 602/73 che, ad oggi, vede una sanzione fissa del 30% in caso di liquidazione ovvero di una sanzione tra il 100 e 200% nel caso di compensazione di crediti inesistenti.

È del tutto irragionevole!

A riguardo si osserva che, soprattutto alla luce della forte crisi economica che ha investito il nostro Paese, le suddette sanzioni dovrebbero essere unificate e parificate nella misura fissa del 30% e tanto in virtù dei principi di collaborazione e buona fede in senso oggettivo, espressamente sanciti dall’articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente (L. 212/2000), a cui devono conformarsi sia i contribuenti sia l’Amministrazione finanziaria.

E invero, non è solo il contribuente, quindi, che deve collaborare, ma pure l’ufficio è tenuto ad ispirare la propria condotta ai menzionati canoni di lealtà e collaborazione.

A parere di chi scrive, la sanzione dovrebbe sempre essere unica o al più, se proprio si rende necessaria una differenziazione con la fattispecie della compensazione dei crediti inesistenti, calcolare una forbice sanzionatoria che vada dal 30 al 60%, rappresentando l’attuale impianto sanzionatorio per la fattispecie de qua un eccessivo e ingiustificato aggravio per il contribuente.

Ravvedimento operoso

Sempre in ossequio ai principi di collaborazione e buona fede in senso oggettivo che permeano il rapporto Amministrazione-contribuente, si ritiene necessario un intervento anche in relazione alla riduzione delle sanzioni nelle ipotesi di ravvedimento operoso.

E invero, le basi giuridiche, le direttive, i piani e le strategie relativi alla gestione delle crisi devono, infatti, permettere di reagire in modo adeguato alla situazione.

Per questo motivo appare del tutto auspicabile una riduzione delle sanzioni nelle ipotesi di ravvedimento operoso, e tanto al fine di favorire ulteriormente lo spontaneo pagamento conseguente a tale forma di compliance così evitando la presentazione di ricorsi, magari anche presentati con scopi dilatori per ritardare eventuali pagamenti e l’ingolfamento della giustizia tributaria, anch’essa oggetto di riforma.

Fallimento

Il fallimento fiscale, come sopra anticipato, è un istituto che è stato oggetto di numerose critiche, con la conseguente pronuncia di incostituzionalità dell'art. 97, c. 3, D.P.R. 602/73, abrogato dall'art 16, D.Lgs. 18.12.1997, n. 471.

Tale istituto costituiva una forma di sanzione impropria e consisteva nella possibilità riconosciuta all'intendente di finanza di chiedere, per il tramite dell'esattore delle imposte, la dichiarazione di fallimento del soggetto, esercente un'impresa commerciale, che avesse omesso il pagamento di tutte o dell'unica rata di un medesimo ruolo, quando il relativo ammontare fosse superiore a 500mila delle vecchie lire.

La legge prevedeva, in sostanza, una presunzione assoluta di stato di insolvenza in capo al soggetto che avesse omesso il pagamento del debito fiscale iscritto a ruolo per un ammontare superiore al citato limite, con la conseguenza che, in presenza di tali presupposti, il tribunale doveva dichiararne il fallimento.

Ad oggi, sebbene il fallimento fiscale sia stato abrogato dal nostro ordinamento, tuttavia permane la possibilità da parte dell’Amministrazione Finanziaria di esperire la procedura ordinaria di fallimento ai sensi dell’art. 5 e 6 R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (cd. legge Fallimentare) ancora sul presupposto della semplice insolvenza del debito d’imposta.

Non vi è dubbio alcuno che un’interpretazione della norma, che ammetta, di fatto, il fallimento fiscale, si pone contro la predetta pronuncia della Corte Costituzionale.

 

Osservazioni conclusive

In conclusione, dall’esame sopra svolto, emergono senza ombra di dubbio forti criticità del sistema di riscossione italiano che impongono un intervento sui meccanismi attualmente in vigore.

Di questa situazione il legislatore è ben conscio, ma sembra essere altrettanto ben conscio che gli interessi e gli oneri di riscossione rappresentano un’entrata importante e poco conosciuta.

E invero, se è giusto combattere l’evasione, è altresì giusto prevedere un tipo di trattamento parificato tra Amministrazione e contribuente, in quanto per contrastare in modo effettivo l’evasione fiscale deve essere riscoperto il fondamento etico dell’obbligazione tributaria e affermato un diritto di uguaglianza anche da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Al contrario, a fronte dei numerosi interventi volti all’aggiornamento e al potenziamento dell’attività di riscossione, il legislatore non ha controbilanciato la posizione del cittadino-contribuente, che viene a trovarsi in una situazione di evidente disparità di trattamento rispetto al Fisco.

In particolare, il riferimento è alle ipotesi in cui, a fronte di un indebito pagamento, il contribuente richieda il rimborso, anche in considerazione del fatto che spesso sono gli stessi uffici fiscali a commettere gravi errori nella determinazione delle imposte da pagare, come l’esperienza delle c.d. cartelle pazze ha più volte dimostrato.

Ebbene, in tali situazioni, il contribuente non si trova in una posizione di parità rispetto al Fisco, in quanto il sistema delle voci relative all’attività di riscossione è attualmente totalmente squilibrato a favore dell’Amministrazione, anche a causa di una normativa evidentemente contorta e frammentata.

Infatti, se per esempio dopo la notifica della cartella esattoriale il contribuente, per motivi di congiuntura economica, pagherà esattamente dopo un anno, lo stesso sarà  costretto a corrispondere i seguenti importi:

  • 4% annuo a titolo di interessi (nelle ipotesi di rateizzazione o sospensione delle somme, il tasso di percentuale è del 6%);
  • 2,68 % annuo, quale interessi di mora;
  • 6 % quali oneri di riscossione;
  • 30% a titolo di sanzione (nel caso di utilizzo in compensazione dei crediti inesistenti la sanzione va dal 100 al 200%)
  • in sostanza, un totale che ammonta al 42,68% in più rispetto al tributo richiesto  (cioè: 4%+ 2,68%+ 6% + 30%).

Infine, sempre a titolo esemplificativo, si ribadisce che se il contribuente chiederà il rimborso di quanto indebitamente pagato mediante istanza di rimborso, le somme a lui spettanti saranno:

  • l’importo versato;
  • il 2,5 % per ognuno dei semestri interi, escluso il primo e l’ultimo semestre in cui tale ordinativo è stato emesso. In sostanza, il contribuente otterrà a titolo di rimborso un totale che ammonta al 2,5 % in più rispetto al tributo indebitamente pagato (con l’ulteriore precisazione che se l’ordinativo è emesso nell’anno, al contribuente non spetterà nulla in quanto devono essere scomputati il primo e ultimo semestre).

Né sarebbe opportuno eccepire che tali voci afferiscono a cifre non omogenee in quanto la tasca dei contribuenti non fa queste sottili distinzioni giuridiche ed economiche.

In altri termini, con siffatto sistema, viene perpetrata una silente ingiustizia ai danni del contribuente che non trova giustificazione alcuna, se non quella del solito potere “di battere le carte” spesso vantato dall’Amministrazione.

In definitiva, alla luce delle suesposte considerazioni e, soprattutto, in vista di una quanto mai auspicata e desirata riforma del sistema di riscossione, è necessario operare un opportuno intervento legislativo che riduca sensibilmente le spese di Riscossione per evitare le critiche situazioni sopra esposte.

Proprio in virtù dell’auspicata riforma si ritiene, dunque, indispensabile disporre una nuova proroga delle cartelle esattoriali sino al 31 dicembre 2021.