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Remote and smart working around the world tra fiscalità domestica e internazionale

Smart Working
Smart Working

Remote and smart working around the world tra fiscalità domestica e internazionale

 

Abstract

I redditi derivanti dalla prestazione lavorativa effettuata regolarmente dal lavoratore al di fuori della sede di lavoro (lavoro a distanza) possono subire una tassazione esclusiva o concorrente combinando la residenza e il luogo in cui viene prestata l’attività.

 

Remote e smart working

Il remote working non è un autonomo contratto di lavoro, bensì una prestazione lavorativa effettuata regolarmente dal lavoratore al di fuori della sede di lavoro (lavoro a distanza), con il prevalente supporto di tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT): è disciplinato, unicamente per i contratti di lavoro subordinato, distintamente sia per il settore pubblico che per quello privato. In particolare, nel settore privato il remote working “costituisce una forma di organizzazione e/o di svolgimento del lavoro che si avvale delle tecnologie dell’informazione nell’ambito di un contratto o di un rapporto di lavoro, in cui l’attività lavorativa, che potrebbe anche essere svolta nei locali dell’impresa, viene regolarmente svolta al di fuori dei locali della stessa”.

Spesso utilizzati come sinonimi, “smart working/lavoro agile” e “remote working/telelavoro” tuttavia hanno differenze sostanziali:

  • nello smart working il lavoro è svolto senza una postazione fissa e può essere all’esterno dei locali aziendali o al loro interno, può essere effettuato ovunque si disponga di una rete Wi-Fi. Il lavoratore può decidere autonomamente come, dove e soprattutto quando lavorare;
  • nel remote working, invece, il dipendente lavora generalmente da casa e nel contratto può essere specificata la necessità di raggiungere il posto di lavoro tradizionale una volta alla settimana, o in base agli accordi presi. Gli orari sono stabiliti dal contratto di assunzione.

In presenza di queste modalità di lavoro, ove il proprio dipendente lavora stabilmente in collegamento remoto da un Paese estero, i datori di lavoro devono adempiere a obblighi fiscali e previdenziali sia in Italia sia all'estero, stabiliti dalla normativa nazionale e dalle norme convenzionali contro le doppie imposizioni.
 

Remote working e residenza fiscale

Fulcro della fiscalità domestica per il dipendente che lavora all'estero in remote working è la residenza fiscale.

La residenza fiscale deriva dal fatto che le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta:

  • siano iscritte nelle anagrafi della popolazione residente
  • abbiano nel territorio dello Stato il domicilio ai sensi del Codice civile;
  • abbiano nel territorio dello Stato la residenza ai sensi del Codice civile.

La sussistenza di uno dei 3 citati presupposti unitamente all’ulteriore requisito temporale (per almeno 183 giorni nell’anno) configurano le sole condizioni che identificano in modo puntuale il soggetto che è fiscalmente residente in Italia: deve sussistere un legame effettivo e non provvisorio del soggetto con il territorio dello Stato. Tuttavia, abbiamo già scritto che in alcune convenzioni pattizie (ad esempio Italia-Germania) è previsto esplicitamente che in presenza di una doppia residenza viene adottato il frazionamento dell'anno d'imposta (split year), in caso di trasferimento da uno Stato all'altro nel corso dell'anno.

Si rammenta che l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente, in quanto presunzione assoluta, qualifica una persona fisica quale contribuente fiscalmente residente in Italia a nulla rilevando la permanenza costante all’estero e, in questo caso trova applicazione il worldwide taxation principle a nulla rilevando che il reddito prodotto all’estero abbia subìto o meno tassazione.

La presenza, per la maggior parte del periodo d'imposta, anche di una sola delle condizioni sostanziali, come definite dall'articolo 43 del codice civile (ossia il domicilio, individuato nel luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi e la residenza, individuata nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale), è sufficiente per far ritenere che un soggetto sia considerato residente in Italia in base alla vigente normativa interna mentre la presenza nel nostro Paese dell'abitazione principale del contribuente, per la maggior parte del periodo d'imposta, farebbe prevalere, in ogni caso, la residenza italiana ai sensi delle vigenti disposizioni convenzionali (cfr. articolo 4, paragrafo 2, della citata Convenzione). In altri termini, il contribuente che trasferisce in Italia la residenza, ai sensi del Codice civile, e l'abitazione principale, dal 30 agosto dell'anno X deve  essere considerato residente nello Stato estero per l'anno X (essendo ivi residente per la maggior parte di tale periodo d'imposta e non residente in Italia, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del TUIR); diversamente nell'anno di imposta successivo X+1, al permanere delle condizioni dichiarate della residenza ai sensi del codice civile e dell’abitazione principale in Italia, lo stesso contribuente risulterebbe residente nel nostro Paese per la maggior parte di tale periodo d'imposta (183 giorni nell'anno X+1), indipendentemente dalla sua iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia.  Nel presupposto, quindi, di una residenza italiana nell'anno X+1, l'articolo 3, comma 1, del TUIR prevede che ''l'imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell'articolo 10''. I redditi erogati dal datore di lavoro dello Stato estero, a fronte dell'attività lavorativa svolta nell'anno X+1 nel nostro Paese in modalità smart working, devono essere assoggettati ad imposizione esclusiva in Italia, ai sensi dell'articolo 15, paragrafo 1, della convenzione (in quanto residente in Italia e l'attività lavorativa viene svolta nell'anno X+1 nel nostro Paese), e, di conseguenza, non dovranno essere assoggettati a tassazione nello Stato estero.
 

Remote working e norme convenzionali

Nelle norme convenzionali contro le doppie imposizioni sottoscritte dall'Italia l'art. 15 del Modello OSCE prevede un regime di tassazione analogo a quello interno, stabilendo:

  • la tassazione esclusiva dei redditi da lavoro nello Stato di residenza del dipendente, purché l'attività lavorativa non sia svolta nell'altro Stato;
  • la tassazione concorrente sia nello Stato della residenza sia in quello dove l'attività lavorativa è prestata, nel caso l'attività lavorativa sia svolta nell'altro Stato, diverso da quello dove il dipendente risiede.

Il regime della tassazione concorrente subisce una deroga, nel secondo paragrafo dell'art. 15 del Modello OCSE, prevedendo che sono soggetti a tassazione esclusiva nel Paese della residenza del dipendente i redditi erogati in corrispettivo di un'attività svolta nell'altro Stato, qualora ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni:

  1. il beneficiario soggiorna nell'altro Stato per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale 183 giorni in un periodo di 12 mesi che inizia o termina nell'anno fiscale in considerazione;
  2. le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente dell'altro Stato;
  3. l'onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell'altro Stato.

Il rispetto delle richiamate condizioni rende i redditi imponibili soltanto nello Stato di residenza del lavoratore: il lavoratore invece che, pur lavorando all'estero, mantenga la residenza fiscale in Italia sarà soggetto a tassazione in Italia con la possibilità di recuperare l'eventuale doppia tassazione, subìta nello Stato estero dove lavora, attraverso il credito per le imposte pagate all'estero.
 

Remote working e retribuzioni convenzionali

In due recenti risposte a interpello (nn. 98 e 99 del 2023) l’Agenzia delle Entrate si è occupata di due casi di contribuenti residenti in Italia che hanno svolto attività lavorativa in smart working in Italia nei confronti di soggetti stranieri.

Nel primo interpello il caso era riferito a un contribuente, con domicilio in Svizzera da giugno 2020, che ha percepito un reddito di lavoro dipendente da una Università elvetica a fronte dell'attività lavorativa svolta in Italia in modalità smart working: l’Agenzia delle Entrate precisa che il reddito di fonte svizzera corrisposto al contribuente, a fronte di un'attività di ricerca scientifica post dottorato, rientra tra quelli di lavoro dipendente disciplinati nell'art. 15 della Convenzione tra Italia e Svizzera.

In particolare, viene stabilita la tassazione esclusiva dei redditi da lavoro dipendente nello Stato di residenza del beneficiario degli stessi, a meno che l'attività lavorativa non venga svolta nell'altro Stato essendo in questa ipotesi i redditi assoggettati ad imposizione concorrente in entrambi i Paesi.

Da ciò consegue che, nell'ipotesi di una effettiva residenza svizzera del contribuente dal giugno 2020, i redditi a lui erogati, a fronte dell'attività lavorativa svolta in Svizzera a decorrere dalla stessa data, devono essere assoggettati ad imposizione esclusiva in Svizzera (Stato di residenza e di svolgimento dell'attività lavorativa) ai sensi dell'art. 15, paragrafo 1, del citato Trattato internazionale.

Di ulteriore interesse è il regime di tassazione da applicare al reddito erogato da un contribuente da una Università elvetica a fronte dell'attività lavorativa svolta in Italia in modalità smart working: l’Agenzia ritiene che non è possibile applicare il regime particolare di tassazione previsto dall’art. 51, comma 8-bis TUIR e relativo alle retribuzioni convenzionali in quanto tale norma trova applicazione esclusivamente a condizione che il lavoratore che presta l’attività all’estero sia inquadrato in uno dei settori economici per i quali sono fissate le retribuzioni convenzionali e tra questi non rientra il settore dell’università.

Si rammenta che sulla base di quanto richiesto dalla richiamata norma del TUIR, la disciplina fiscale trova applicazione a condizione che:

  • l'attività lavorativa sia svolta all'estero per un determinato periodo di tempo da un soggetto residente in Italia con carattere di permanenza o di sufficiente stabilità;
  • l'attività lavorativa svolta all'estero costituisca l'oggetto esclusivo del rapporto di lavoro e che, pertanto, l'esecuzione della prestazione lavorativa sia integralmente svolta all'estero;
  • il lavoratore nell'arco di dodici mesi soggiorni nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni.
     

Contribuente non residente e smart working in Italia

Nel secondo interpello viene affrontato il caso di un contribuente residente in Cina e iscritto all'AIRE che chiedeva ad Agenzia delle Entrate se ricorreva l’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi, relativi all'anno 2020, solo in Cina, in quanto nella stessa annualità il suddetto contribuente ha percepito esclusivamente redditi da lavoro dipendente prestato prodotti in smart working in Italia.

Per l’Agenzia delle Entrate, il contribuente deve riportare nella dichiarazione dei redditi da presentare in Italia i redditi di lavoro dipendente percepiti nell'anno di riferimento e determinati in base alle disposizioni contenute negli articoli 24 e 51, commi da 1 a 8, del TUIR.

In particolare, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del TUIR, i soggetti non residenti sono tassati in Italia solo in relazione ai redditi prodotti nel territorio dello Stato italiano. Sulla base delle disposizioni contenute nell'articolo 23, comma 1, lettera c) del TUIR, si considerano prodotti nel territorio dello Stato i redditi di lavoro dipendente prestato, da soggetti non residenti, nel territorio italiano.  Tale disposizione non trova applicazione qualora il nostro Paese abbia stipulato, con lo Stato di residenza del lavoratore, una convenzione per evitare le doppie imposizioni che riconosca a quest'ultimo Stato la potestà impositiva esclusiva sul reddito di lavoro dipendente prestato in Italia.  Al riguardo, si fa presente che l'articolo 15, paragrafo 1 del suddetto Trattato internazionale prevede che le remunerazioni percepite da un residente di uno Stato contraente per «l'attività dipendente» svolta nell'altro Stato contraente, sono imponibili in entrambi i Paesi. In base al combinato disposto dell'articolo 15 della citata Convenzione e dell'articolo 23 del TUIR, il reddito di lavoro dipendente percepito dall'Istante residente in Cina, per l'attività di lavoro svolta nel 2020 in Italia, rilevi fiscalmente anche nel nostro Paese, ai sensi degli articoli 49 e 51, commi da 1 a 8 del TUIR.