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La salute, un diritto anche dei liberi professionisti?

Appunti sull’intervento rilasciato nel corso della conferenza UNGDCEC a palazzo Giustiniani del 28 febbraio 2022 “la salute un diritto di tutti”
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Abstract

Il presente contributo, partendo da alcune considerazioni sul diritto - fondamentale - alla salute (art. 32 Cost.), intende affrontare un tema assai delicato per le professioni intellettuali, ossia quello della possibilità di veder riconosciuto in capo ai liberi professionisti un diritto, storicamente esclusivo dei soli lavoratori dipendenti, alla ‘malattia’ senza incorrere, né far incorrere i loro clienti in sanzioni amministrative o penali a causa del mancato adempimento di obblighi (di varia natura entro le scadenze fissate legalmente)                              .


Il diritto alla salute come presupposto necessario per lo svolgimento dell’attività professionale

Mai come in questi ultimi anni di pandemia il dibattito pubblico si è concentrato così intensamente, in generale, sul tema del diritto alla salute e, più nel dettaglio, sull’annosa questione in merito alla riconoscibilità di un ‘diritto ad ammalarsi’ in capo ai liberi professionisti.  

Diritto alla salute e diritto al lavoro che, come noto, costituiscono l’uno il presupposto dell’altro poiché solo attraverso il godimento di uno stato di salute qualitativamente sostenibile è possibile svolgere con altrettanta qualità il lavoro nel quale ciascuno è occupato, in modo particolare quando - come nel caso delle professioni intellettuali - quest’ultimo trovi come destinatario finale la collettività.

Non pare, dunque, azzardato sostenere che lo stato di salute del singolo, libero professionista, contribuisce al buon esito dell’attività professionale resa nei confronti di ciascun destinatario della stessa: sempre più, quindi, l’attenzione verso il professionista fa propria una concezione della salute ‘integrata’, la cui tutela è resa possibile anche mediante la preziosa opera di intermediazione tra ordini/enti professionali e casse previdenziali in un’ottica di politica attiva e di welfare sociale; in questi termini si suole parlare della salute come mezzo, come strumento per svolgere proficuamente l’attività lavorativa cui il professionista è chiamato e non come obiettivo finale.

Questa, peraltro, pare la lettura più conforme a quanto disposto dalla nostra Carta costituzionale se solo ci si sofferma sul combinato di cui agli artt. 1, 4 e 32 della stessa: il diritto al lavoro, non solo quello dipendente, su cui si fonda la nostra Repubblica, per poter concorrere al progresso materiale o spirituale della società non può che presupporre, a monte, uno stato di salute idoneo ad attendere un’occupazione lavorativa in quanto essa - la salute - fondamentale interesse dell’individuo e interesse della collettività.

Il concetto di ‘salute’, dunque, travalica la mera concezione organicistica dell’assenza di sintomi (ossia assenza di malattia) ed apre ad un significato più ampio, dinamico, di stato di completo benessere fisico, mentale e sociale [OMS, 1946] che impone di essere “parametrato e calibrato anche, e soprattutto, in relazione alla percezione che ognuno ha di sé, alle proprie concezioni di identità e dignità, nonché con un’idea di persona non accolta apoditticamente in astratto bensì valutata giuridicamente nelle sue reali e concrete sfumature” [Consiglio di Stato, Adunanza della Commissione speciale del 18 luglio 2018, n. 01991].

In definitiva, un’idea di salute coincidente con quella di integrità psico-fisica di ciascun individuo.


Brevi considerazioni sul valore e sulla responsabilità sociale della professione forense

Se queste sono le premesse occorre riflettere su come il libero professionista possa conciliare l’attività lavorativa, oneri connessi (gestione del cliente, scadenze, etc…), con le sue proprie esigenze di salute.

Appurato che alcune professioni, come quella forense, rivestono nella società un ruolo ‘ibrido’ - i suoi appartenenti, infatti, non sono qualificabili di norma né come pubblici ufficiali né come incaricati di un pubblico servizio (artt. 357 e 358 c.p.) bensì come soggetti privati esercenti un servizio di pubblica necessità (art. 359 c.p.), qual è quello del concorso all’amministrazione della giustizia - è proprio da tale ‘doppia anima’ che si innesca il valore sociale della professione forense e dunque la responsabilità sociale dell’avvocatura [per maggiori approfondimenti si veda: L. DEL PAGGIO, La formazione forense: investire nell’etica professionale e nella responsabilità sociale dell’Avvocato, in Riv. la Previdenza Forense, 3/2020].

La costante tensione verso l’altro e il più debole, che anche il Codice deontologico forense impone al professionista di avere sempre come faro ultimo del suo operato, conduce giocoforza al riconoscimento in capo al difensore di una funzione pubblicistica e, conseguentemente, di un fascio di diritti e doveri a partire da quel diritto ‘universale’ irrinunciabile qual è quello alla salute.

Proprio in questi termini si pone il protocollo d’intesa stipulato il 14 settembre 2016 tra la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO) e il Consiglio Nazionale Forense (CNF) con lo scopo di avviare un percorso comune per la promozione di una più efficace tutela dei diritti fondamentali alla salute e alla difesa e per una corretta informazione sui principi e sui valori che informano le due professioni [CNF, www.consiglionazionaleforense.it].

Merita altresì evidenziare come la stessa giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è più volte pronunciata su tale materia (si veda Graziani-Weiss v. Austria, 18.10.11) disponendo come la figura dell’avvocato, per il particolare ruolo e funzione sociale che riveste nonché per la particolare abilitazione conseguita, è deontologicamente deputato all’assunzione di funzioni pubbliche quali quelle di tutela e curatela di soggetti incapaci (si pensi, nell’ordinamento domestico, all’art. 408 c.c. in materia di amministrazione di sostegno).

Il rilevo pubblico delle professioni giuridiche distingue – afferma la Corte – gli Avvocati da altre figure che, pur avendo ricevuto formazione giuridica, non presentano quel complesso universo deontico di diritti e doveri che connotano invece “lawyers, public notaries and judges”.

È importante quindi che in momenti di crisi, l’avvocatura – e tutte le professioni – individuino al proprio interno le risorse per essere d’ausilio al Cittadino nei limiti e nel rispetto delle regole ordinamentali e deontologiche che sono poste a presidio della qualità delle prestazioni forensi.


Professioni intellettuali e ddl ‘malattia’ per i liberi professionisti (DDL 1474/2020)

Annoso si presenta ormai il dibattito circa il riconoscimento legale di un ‘diritto’ alla malattia per i liberi professionisti, come quello di cui godono i lavoratori dipendenti.

Se è vero che, tradizionalmente, si è sempre negata tale possibilità - sostenendo una ontologica differenza tra queste due categorie di lavoratori nonché l’esistenza di una sorta di privilegio di cui godrebbero i liberi professionisti tale da giustificare, come contraltare, una loro minore tutela - è altresì indubbio che proprio l’assenza di tutele a favore dei liberi professionisti ha ingenerato in costoro un malsano cortocircuito, in primis proprio con quella nozione di salute intesa come ‘integrità psico-fisica: lo stress ‘da scadenze’ ovvero l’ansia da adempimento [per un approfondimento si veda A. ZULIANI, Il libero professionista di fronte al tema dello stress lavoro-correlato].

Si legge nella relazione introduttiva al ddl De Bertoldi (primo firmatario ed estensore) di cui si dirà infra che “nella situazione attuale una larga platea di liberi professionisti sono avversi a curarsi, in quanto considerano che il periodo di riposo derivante dalla degenza possa danneggiare il proprio lavoro […]”.

Si badi bene. Non si tratta di una questione meramente corporativa. Il professionista - e.g. avvocato o commercialista - che si trovi ammalato non potendo contare su di un apparato di tutele per sé e per i propri clienti nelle ipotesi di adempimenti dovuti entro scadenze fissate per legge sempre più spesso si trova a dover operare una scelta obbligata: salvaguardare i propri clienti e le ‘scadenze’, rinunciando ad un proprio diritto costituzionalmente tutelato ma costantemente negato, ovvero curare sé stesso incorrendo e facendo incorrere i clienti in illeciti amministrativi e finanche penali nei casi di omesso adempimento nei termini.

Ecco allora perché si è parlato di una svolta epocale, di una conquista storica, di uno primo passo per il riconoscimento in capo agli esercenti una libera professione di una forma di giustizia sociale quando nell’agosto del 2019 è stato presentato alla II Commissione Giustizia del Senato il disegno di legge n. 1474/2020, avente come primo firmatario il sen. De Bertoldi, in materia di Disposizioni per la sospensione della decorrenza di termini relativi ad adempimenti a carico del libero professionista in caso di malattia o di infortunio approvato, a seguito di numerosi passaggi parlamentari e non senza difficoltà  - si vedano i pareri negativi sulle coperture espressi dalla Ragioneria dello Stato - come emendamento, dapprima, alla legge di conversione del D.L. 146/2021 (Decreto fiscale), successivamente, alla legge di Bilancio per il 2022 (artt. 1, cc. 927-944, l. 30 dicembre 2021, n. 234).

Si tratta di un disegno di legge che, benché abbia trovato la sua genesi nel periodo ante Covid-19, si è poi interamente sviluppato nel corso dei due anni di convivenza con il virus, i quali hanno aggravato i problemi che il DDL mirava anzitempo a risolvere e proprio per questo hanno reso ancor più urgente la necessità dell’intervento del legislatore su tale materia.

Le finalità perseguite dal DDL, si legge nella relazione introduttiva, sono volte ad “evitare che un grave incidente o una grave malattia oppure la morte del libero professionista, i grado di impedire il rispetto di adempimenti aventi scadenze con termini perentori a carico dei propri clienti, possano produrre sanzioni o danni per i clienti stessi” e, conseguentemente, “a garantire tranquillità e certezza nel lavoro a ciascun libero professionista, senza che questi debba preoccuparsi di quello che succederà ai propri clienti” nel caso dovesse essere colpito dagli eventi di cui si è detto (grave malattia, infortunio o decesso).


Brevemente

Per assolvere a tali dichiarate finalità si è proposto di introdurre una causa di sospensione della decorrenza dei termini relativi agli adempimenti tributari a carico del libero professionista in ipotesi di malattia, grave infortunio o intervento chirurgico (incluso il parto prematuro della libera professionista) che importino un periodo di astensione dall’attività professionale superiore a tre giorni ovvero nel caso di decesso del professionista.

Peraltro, la medesima disciplina si applica anche nel caso di esercizio associato della libera professione purché il numero complessivo dei professionisti associati non sia superiore a tre.

La concessione della sospensione della decorrenza dei termini, che necessita di una lato sensu istruttoria amministrativa - si richiede, infatti, la presentazione presso gli uffici competenti di apposita documentazione medica che attesti lo stato di salute del professionista e il decorso della malattia; la sussistenza di un mandato professionale con data antecedente all’evento -, comporterà quindi la non punibilità, tanto da illeciti amministrativi quanto da quelli penali, del professionista e del cliente per le scadenze di quei termini tributari sottoposti a perentorietà stabiliti in favore della PA per l’adempimento di una prestazione a carico del cliente da eseguire da parte del libero professionista nei sessanta giorni successivi all’evento.

I termini relativi agli adempimenti tributari rimarranno sospesi dal giorno del ricovero ospedaliero o in quello di inizio delle cure domiciliari fino a trenta giorni dopo la dimissione dal primo o la conclusione delle seconde e riprenderanno a decorrere dal giorno successivo a quello di scadenza dei termini di sospensione di cui si è detto. Nell’ipotesi di decesso del professionista i termini sono sospesi per sei mesi decorrenti dalla data dell’evento infausto ed entro trenta giorni il cliente deve dare comunicazione e consegnare apposita documentazione agli uffici competenti della pubblica amministrazione.

Si prevedono, infine, delle sanzioni pecuniarie e detentive per coloro che mediante la presentazione di false dichiarazioni o attestazioni abbiano beneficiato della sospensione della decorrenza dei termini di cui si è detto.


Riflessioni conclusive

Volendo giungere a delle riflessioni conclusive si può osservare, come è stato fatto, che con il riconoscimento di un ‘diritto ad ammalarsi’ anche per i liberi professionisti è stato “piantato un albero”, si è posata la prima pietra.

Tuttavia, ancora molte permangono le richieste avanzate dal mondo delle libere professioni che non trovano piena cittadinanza nell’articolato normativo qui brevemente esposto, come ad esempio l’inclusione tra i termini oggetto di  sospensione, a meno di una interpretazione estensiva in tal senso, anche di quelli riferibili a scadenze previdenziali, assicurative e giudiziarie; l’applicabilità della disciplina de qua anche ai professionisti per i quali non è previsto un obbligo di iscrizione ad un albo professionale; l’estensione della disciplina sospensiva dei termini anche nei casi in cui siano dei familiari del professionista ad essere infortunati, affetti da gravi malattie, o sottoposti ad interventi chirurgici.

Il testo licenziato con la legge di Bilancio 2022 ha segnato un punto di svolta nel mondo delle libere professioni riconoscendo loro quel diritto alla salute (nel senso ampio di cui si è detto) troppo spesso negato che la pandemia ha reso più fragile imponendo al legislatore un intervento che, atteso da anni, non poteva più essere ulteriormente rinviato.