La sentenza delle S.U. n. 24418/2010 ed il “gioco delle tre carte” degli econometrici filobancari
La Cass. Civ. Sez. I n. 10219 del 26 aprile 2010, Cons. rel. Renato Rordorf, con l’ampia Giurisprudenza richiamata, è la prova provata che la sentenza delle S.U. n. 24418 del 2 dicembre 2010 non costituisce alcuna novità, ma l’ovvietà, ovvero l’applicazione di principi già conosciuti da anni dalla giurisprudenza della S. C..
Sul sito www.studiotanza.it è riportata la “memoria ex art. 378 cpc” redatta dalla difesa del cliente della banca nel processo dinanzi alle S.U. e dalla lettura del documento si può evincere come i principi poi espressi nel testo delle S.U. erano certamente noti e, diremmo, scontati.
Le sconfitte del ceto bancario dinanzi alle SU ed alla Consulta hanno portato la filobancaria a creare un caso intorno alla sentenza delle S.U. n. 24418/10 al fine di creare una dolosa confusione di pacifici principi confondendo le carte sul tavolo, reintroducendo teorie abbandonate e superate (ad es. 1194 c.c.), calcoli errati che falsando la realtà e la matematica finanziaria giungono a risultati del tutto sbagliati.
Non mancano i mercanti di programmi straordinari che cercano di ridurre il diritto del singolo ad un calcolo omogeneo, anche quando ciò non è possibile, come nel caso della sentenza delle S.U. n. 24418/10.
Purtroppo si cerca di commercializzare tutto: ma alcune volte la singolarità non può essere duplicata se non al prezzo di violare i diritti e stravolgere la realtà, ogni rapporto di apercredito ha delle sue peculiarità non riconducibili all’omogeneità.
Si è già detto in un precedente lavoro (Sentenza 24418/10 Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione: Gli effetti sulle nuove consulenze tecniche sul Web) come gli effetti della Sentenza sarebbero stati di poco conto e, a due anni dalla pubblicazione, ne siamo sempre più convinti.
Le banche nelle loro memorie ante 2 dicembre 2010 hanno sempre eccepito genericamente la prescrizione decennale, ma non accennano minimamente alla prescrizione delle operazioni extrafido.
La tematica, già esposta in altro scritto (Sulla tardiva eccezione della prescrizione delle operazioni operate extrafido sul Web), ha trovato un’adeguata e successiva trattazione dalla Corte d’Appello di Milano:
“Quanto alla decorrenza del termine prescrizionale, la Banca fa esplicito richiamo all’art. 2 comma 61 del D.L. n. 225/10 convertito nella l. 26.2.2011 n. 10, inapplicabile perché dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 5.4.2012. Inoltre, essendo pacifico che il conto corrente per cui è causa era assistito da apertura di credito, la Banca avrebbe dovuto, quanto meno, allegare quali versamenti abbiano avuto natura ripristinatoria della provvista e qual i abbiano avuto funzione solutoria; infatti, l’assolvimento di tale onere appariva necessario per individuare a quale rimessa di c/c poteva essere ancorato il termine di decorrenza della prescrizione secondo il principio più volte ritenuto dalla S.C. e definitivamente assunto nella sentenza S.U. 2 dicembre 2010 n. 24418 (l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del “solvens” con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens”. Appello di Milano, Cons. Maria Rosaria Sodano, Sent. 2195 del 18 maggio 2012.
Ma da ultimo, anche dal Tribunale di Udine:
Ora, stante la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 2 comma 61 del citato decreto, conv. nella legge 26/2/11 n.10, di cui ovviamente il giudicante non può che prendere atto, aderendo al citato e condivisibile indirizzo della Suprema Corte a sezioni unite, va senz’altro respinta l’eccezione di prescrizione sollevata dall’istituto bancarie, senza necessità di ulteriore istruttoria. L’istituto bancario, a seguito della pronuncia delle sezioni unite della Corte di Cassazione, come detto intervenuta nel corso del giudizio dopo il deposito della CTU, da un lato ha genericamente contestato (per la prima volta) che il rapporto di conto corrente oggetto di causa fosse assistito da un’apertura di credito, dall’altro ha sostenuto che, comunque, sarebbe stato onere di parte attrice fornire la prova (non fornita) che i versamenti in conto erano stati effettuati su conto "scoperto", nel senso di effettuati in conto passivo extrafido. Ha poi in subordine richiesto un richiamo della CTU per l’individuazione dei versamenti su conto passivo extrafido, e quindi da qualificare "pagamenti", da cui far decorrere il termine di prescrizione. Orbene va in primo luogo rilevato che parte attrice, sin dall’atto introduttivo del giudizio ha dedotto espressamente che il conto corrente di cui era titolare era assistito da "apertura di credito", deducendo quindi anche che gli interessi (indebitamente) addebitati erano relativi ad un conto "affidato". Tale deduzione non è stata mai contestata dall’istituto bancario, né in modo "specifico” né tanto meno implicitamente. La circostanza deve ritenersi pertanto pacifica in quanto incontestata. Dagli estratti conto prodotti in giudizio emerge l’esistenza di diversi versamenti, anche di notevole importo, effettuati dalla correntista sul conto in questione in momenti in cui lo stesso era in "passivo" (prova indiretta anche questa dell’esistenza, dell’affidamento), ma non è possibile capire se tra questi versamenti ve ne siano alcuni che, alla luce della citata sentenza n.24418/10 (peraltro già formatasi in materia di revocatoria di rimesse bancarie), non costituivano meri ripristini della provvista, in quanto effettuati all’interno della somma "affidata" , bensì veri e propri "pagamenti’ in quanto effettuati oltre fido. Né ciò sarebbe verificabile e ricostruibile a mezzo CTU poiché non è stato riferito dalle parti in causa quale era l’importo massimo dell’affidamento pattuito. Tale difetto di prova – contrariamente all’assunto difensivo di parte convenuta - non può che essere posto a carico dell’istituto che ha sollevato l’eccezione di prescrizione e che era tenuto a dedurre tutti gli elementi costitutivi della propria eccezione e a fornire la prova, degli stessi. A tale riguardo si osserva anzi che l’istituto, il quale per pacifica giurisprudenza aveva l’onere di specificare il momento iniziale dell’inerzia in relazione a ciascun "pagamento", ha tempestivamente sollevato un’eccezione di prescrizione assolutamente generica indicando indistintamente quale momento iniziale tutte le singole "annotazioni" di versamenti, da considerarsi in tesi tutti "pagamenti". Non ha cioè operato alcuna distinzione né ha specificato quali erano i versamenti da considerare veri pagamenti. Ma, come osservato dalle prime sentenze di merito pronunciate a seguito della pronuncia delle Suprema Corte, la prescrizione dei singoli versamenti effettuati extrafido dal correntista andava sollevata tempestivamente nel termine di cui all’art. 167 cpc, con allegazione e tipizzazione della fattispecie e, in particolare, con precisa allegazione dell’elemento costitutivo della prescrizione, dato dall’ “inerzia” in relazione a ciascun versamento extrafido. L’eccezione di prescrizione, in quanto eccezione in senso stretto, deve fondarsi infatti su fatti allegati dalla banca, quand’anche suscettibili di diversa qualificazione da parte della banca. Il giudice potrà solo accertare il tipo e la durata del termine di prescrizione applicabile alla fattispecie, ma non può né individuare (o far individuare da un CTU) il termine iniziale né accogliere l’eccezione sulla base di un fatto diverso da quello dedotto (ved. ex multis Cass.16326/2009). Nel caso in esame la Banca, come sopra detto, pur prospettando un’eccezione che decorreva dai singoli pagamenti (quasi fosse una revocatoria di rimesse) nulla ha specificatamente osservato circa la natura solutoria dei versamenti effettuati dal correntista durante il rapporto, né ha individuato o allegato detti versamenti. Ne consegue che l’eccezione sollevata dalla banca, da un lato è infondata perché, in presenza di rapporto affidato e quindi di "passivo" mantenuto dal cliente nei limiti del fido, nonostante i versamenti periodici effettuati, la prescrizione dell’azione di ripetizione inizia a decorrere dalla revoca o dalla chiusura del rapporto; dall’altro è comunque inammissibile, se modificata nel senso di riferirsi solo a versamenti da individuare a mezzo CTU come effettuati extrafido in quanto nuova, tardivamente e genericamente formulata. Tribunale di Udine, Dott. Mimma Grisafi, Sent. n. 1180 del 31 agosto 2012.
La rimessione delle cause sul ruolo ed i vari chiarimenti alle CTU, dunque, spesse volte costituiscono uno spreco del denaro dei cittadini ed un assurdo, in quanto ingiustificato, allungamento dei tempi processuali: le cause possono essere decise senza ulteriore istruttoria non avendo la banca sollevato, nei termini imposti nel codice di procedura civile, la nota eccezione di prescrizione delle operazioni extrafido.
Tuttavia, nelle sole ipotesi in cui la banca abbia tempestivamente sollevato l’eccezione di prescrizione delle operazioni extrafido, la violazione delle norme giuridiche e della tecnica bancaria avviene proprio ad opera dei filobancari che devono confondere il chiaro testo della Sentenza Rordorf delle SU al fine di ridurre il quantum della restituzione dell’indebito.
In riferimento alla decorrenza dei termini di prescrizione per la ripetizione delle illegittime competenze addebitate sui rapporti di conto corrente bancario, la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha testualmente stabilito con la Sentenza 24418/10 il seguente principio di diritto: “…il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati".
Se il principio sopra riportato appare inequivocabile sotto il profilo del diritto, diventa oggetto di numerose inutili, quanto dolose, decodificazioni da parte dei consulenti incaricati per la redazione delle perizie contabili.
Un primo marchiano errore (ovvero consapevolezza di voler diminuire il quantum della domanda del maltolto) compiuto da taluni tecnici filobancari è di considerare solutorie (ovvero extrafido) tutte le rimesse e per l’intero importo: la sentenza n. 1994 10869 Cass. ha stabilito che "nel contratto di apertura di credito regolata in conto corrente, le singole rimesse effettuate sul conto dell’imprenditore poi fallito, nel periodo sospetto di cui all’art.67, comma 2, L.F., quando il conto sia scoperto, sono revocabili per la parte relativa alla differenza fra lo scoperto ed il limite del fido, atteso che lo scoperto costituisce per la banca un credito esigibile e che la rimessa, non creando nuova disponibilità per il cliente, ha carattere solutorio".
Dunque la parte di rimessa che riveste natura solutoria non potrà mai essere superiore “alla differenza fra lo scoperto ed il limite del fido”, così come non potrà mai eccedere l’importo delle competenze sino a quel momento maturate.
E’ superfluo sottolineare che la verifica dei versamenti aventi natura solutoria deve essere effettuata limitatamente al periodo antecedente il decennio l’atto interruttivo della prescrizione: quindi, gli ultimi dieci anni di rapporto non sono soggetti ad alcuna forma di prescrizione. Un rapporto chiuso oggi, ma acceso da dieci anni ed un giorno, verrebbe sottoposto (erroneamente) alla verifica delle rimesse solutorie in ordine alla prescrizione, ipotesi che sarebbe ancor più penalizzante di quella decorrente dall’annotazione in conto. Tale modus operandi è decisamente censurabile ed inaccettabile e non trova alcuna giustificazione per una sua applicazione sotto nessun profilo.
Alcuni magistrati, profondi in materia, hanno colto il problema e lo hanno chiarito nei quesiti che pongono ai CTU:
“considerato che in effetti, sulla base dei principi espressi da tale sentenza, il problema della prescrizione si pone solo per i versamenti effettuati nel periodo precedente al decennio precedente la proposizione della domanda, purché effettuati con funzione solutoria, ossia in una condizione di superamento del fido accordato (con la precisazione che tale superamento deve essere valutato tenuto conto non già degli estratti conto allegati dalla banca, bensì delle risultanze del conto come ricalcolate dal CTU con l’esclusione degli effetti della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e degli addebiti della CMS);
considerato che tale accertamento presuppone una specifica allegazione della parte che solleva l’eccezione di prescrizione, circa la configurabilità in concreto di siffatti versamenti;” Tribunale di Verona, Dott. DOTT. Pier Paolo LANNI – RG 12977/08, ordinanza del 28-29 dicembre 2010.
“in caso di eccepita prescrizione, prima di epurare gli estratti conto da clausole e addebiti illegittimi, verifichi il C.T.U. se, oltre 10 anni prima della domanda giudiziale o della preventiva richiesta stragiudiziale di restituzione delle somme indebitamente percepite, vi siano addebiti di interessi o comunque di somme non dovuti, quando il conto non era affidato e presentava comunque un saldo negativo, oppure quando il correntista era sconfinato dall’affidamento; nel caso in cui rilevi tale sconfinamento, quantifichi il C.T.U. l’importo di tali addebiti, per l’intero o fino all’importo necessario per eliminare lo sconfinamento dal fido oppure, in caso di mancato affidamento, per tornare al saldo zero” Tribunale di Brindisi, Sez. di Francavilla Fontana, Dott. Giuseppe MARSEGLIA, RG 262/11, ordinanza del 28 settembre 2012.
Inequivocabilmente stabilito che il periodo da esaminare per la verifica delle rimesse solutorie deve essere quello antecedente l’atto interruttivo della prescrizione, rimane la problematica di come si arrivi alla formazione del saldo di conto corrente su cui operare tale verifica.
Sono due le ipotesi estreme e diametralmente opposte comunemente adottate, ma che entrambe hanno dei limiti che le rendono di fatto inapplicabili: una prima che considera il saldo da estratto conto così come fornito dalla banca ed una seconda che depura tale saldo da tutte le competenze, legittime ed illegittime (in pratica il saldo in linea capitale).
L’inapplicabilità del saldo banca, ovvero dei saldi rinvenienti dall’esame degli e/c bancari, è stato ampiamente dibattuto (seppur inutilmente essendo un’offesa alla comune intelligenza il voler considerare il falso saldo degli e/c bancari come data di partenza di un ricalcolo) e perfino la stessa Sentenza 2010/24418 S.S.U.U. a pagina 13 riporta “…e la circostanza che, in quel momento, il saldo passivo del conto sia influenzato da interessi illegittimamente fin li computati si traduce in un’indebita limitazione di tale facoltà di maggior indebitamento, ma non nel pagamento anticipato di interessi.”.
Anche la verifica dei versamenti solutori sul mero saldo in linea capitale non può trovare applicazione: nel periodo esaminabile (decennio antedente l’atto interruttivo) sono state annotate competenze illegittime e competenze legittime e non vi è alcuna ragione, tecnica ma soprattutto giuridica, per la quale queste ultime non devono entrare nella formazione del saldo.
Per effettuare il ricalcolo in tal modo non è necessario ricorrere a particolari programmi di calcolo o software professionali (utili solo a chi li produce), dato che è sufficiente un semplice formula condizionale, da inserire in un qualsiasi foglio elettronico , che restituisca il valore relativo al versamento che eccede il fido accordato, limitatamente alla parte relativa alla differenza fra lo scoperto ed il limite del fido e che non eccede la sommatoria pregressa delle competenze si lì computate.
Prima di applicare la formula sopra proposta è, però, necessario “costruire manualmente” il saldo (che potremmo definire ricalcolato), e che tiene in debita considerazione tutti i disposti normativi, giurisprudenziali e codicistici: detto saldo è formato dal saldo il linea capitale, dalle competenze legittime e dalla sola parte di competenze “pagate” con quei versamenti che solo confrontati con questo saldo sono correttamente considerabili solutori.
Quindi una metodologia corretta da applicare è un processo iterativo che indica quali sono i versamenti solutori solo in corso di ricalcolo, che non perde mai di vista i limiti temporali di applicazione e cioè, il periodo antecente il decennio l’atto interrutivo della prescrizione, che la parte di rimessa che riveste natura solutoria non potra mai essere superiore alla differenza fra lo scoperto ed il limite del fido, così come la rimessa solutoria non potrà mai eccedere l’importo delle competenze sino a quel momento maturate.
Un quesito, che tenga conto del diritto (S.U. n. 244418/2010) e della tecnica bancaria, non può prescindere da questo preciso tenore:
"... con riferimento al rapporto di apertura di credito mediante affidamento con scopertura su c/c ordinario, oggetto del giudizio, e tenuto conto dei conti collegati intrattenuti dal correntista con la banca, il CTU:
a) CALCOLI la durata solare dell’intera apertura di credito tra le parti in causa;
b) CALCOLI la scopertura media in linea capitale;
c) CALCOLI il saldo in linea capitale (partendo da saldo iniziale pari a zero in mancanza di documentazione precedente) nel corso dell’intero rapporto;
d) CALCOLI il tasso d’interesse effettivo globale medio annuo con riferimento ai periodi trimestrali di rilevazione del c.d. tasso – soglia secondo i criteri dettati esclusivamente dalla Legge 108/1996 ed art 6444 c.p. (secondo i criteri tracciati da Corte di Cassazione Sez. II Penale, 26 marzo 2010, n. 12028 – Pres. Carmenini – Est. Gallo; nonché da Cassazione penale, 19 dicembre 2011 - Pres. Esposito - Est. Chindemi);
d) per i contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge n. 154/92, applichi solo gli interessi (sia a credito che a debito per il correntista) al saggio legale (art. 1284 c.c.) in luogo di quelli determinati mediante rinvio agli usi della piazza, sino al momento in cui è intervenuta tra le parti espressa pattuizione per iscritto con la quale è stato determinato il saggio degli interessi dovuti dal correntista. Per il periodo successivo, il c.t.u. dovrà applicare il tasso convenzionale (ovvero il più favorevole all’utente tra quello contrattuale e quello degli e/c) semplice, cioè senza capitalizzazioni, con eliminazione delle c.m.s. trimestrali, computando le valute delle singole operazioni dal giorno in cui la banca ha acquisito o perduto la disponibilità dei relativi importi, oppure in difetto con la valuta del giorno dell’operazione effettuata dall’utente, partendo da un saldo iniziale pari a “0” (nell’ipotesi di mancanza degli e/c iniziali).
e) Dal 9 luglio 1992, quando è entrata in vigore la c.d. legge sulla trasparenza (L. 154/92), trasfusa nel decreto legislativo n 385 del 1993 (che non prevede alcuna forma di capitalizzazione), e da quel giorno sino al soddisfo, DETERMINI l’effettivo dare – avere aggiungendo al capitale interessi al saggio convenzionale (ovvero il più favorevole all’utente tra quello contrattuale e quello degli e/c) ovvero ( quando non vi è pattuizione) gli interessi previsti dall’art 117, settimo comma, del suddetto decreto legislativo senza alcuna capitalizzazione e senza commissioni di massimo scoperto e valute fittizie. Il ricalcolo degli interessi a norma dell’art 117 del decreto legislativo n 385 del 1993 deve essere effettuato applicando il tasso massimo ivi previsto ai saldi creditori (debitori per la banca) e quello minimo ai saldi debitori (creditori per la banca) e ciò in quanto la norma costituisce una sanzione per gli istituti di credito, partendo da un saldo iniziale pari a “0” (nell’ipotesi di mancanza degli e/c iniziali).
f) il regime di capitalizzazione degli interessi dovrà essere, per l’intero periodo: semplice per gli interessi dovuti dal correntista all’istituto di credito, annuale per gli interessi che il correntista riceve dall’istituto di credito.
g) laddove vi sia incompletezza della documentazione per periodi intermedi, provvederà il c.t.u. ad effettuare un raccordo dei saldi (utilizzando come data valuta quella media tra i periodi mancanti).
h) nelle sole ipotesi in cui la banca abbia tempestivamente eccepito (nei termini di cui agli artt. 166 e 167 c.p.c.), indicato e documentato l’esistenza di operazioni solutorie, accerti il CTU, sulla base dei risultati raggiunti nei quesiti precedenti (quindi, tenendo conto dei saldi ricalcolati depurati dalle illegittime competenze bancarie e non degli erronei saldi evidenziati nei vari conti correnti bancari), se oltre 10 anni prima della domanda giudiziale o della preventiva richiesta stragiudiziale di restituzione delle somme indebitamente percepite, vi siano addebiti di interessi o comunque di somme non dovuti, quando il conto non era affidato e presentava comunque un saldo negativo, oppure quando il correntista era sconfinato dall’affidamento; solo nel caso in cui rilevi tali sconfinamenti, verifichi il CTU, se nel corso del rapporto si siano verificati dei versamenti (che abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca) che abbiano superato il limite dell’affidamento (contrattuale o comunque desumibile a mezzo dell’analisi dei tassi e/o numeri debitori entro e/o fuori fido annotati negli e/c bancari o negli scalari, o rilevabile dall’analisi delle categorie comunicate alla Centrale dei rischi, o dai contratti di fideiussione, ecc. cfr. Cass. sez. I, 17 febbraio 2011, n. 3903). Nell’ipotesi in cui si sia verificato detto superamento il CTU consideri “pagate” con i successivi versamenti (solo per “per la parte relativa alla differenza fra lo scoperto ed il limite del fido” Cass. sentenza n. 10869 del 1994 ) del correntista il capitale e le competenze legittime in esubero dell’affidamento e, quindi, prescritte dopo il decorso decennale dalla data in cui è stata effettuata l’operazione, utilizzando il metodo d’imputazione normalmente utilizzato dalla banca durante il rapporto (ovvero derogando a quello previsto dall’art. 1194 c.c., come consentito alla volontà del creditore dalla stessa norma).
La Cass. Civ. Sez. I n. 10219 del 26 aprile 2010, Cons. rel. Renato Rordorf, con l’ampia Giurisprudenza richiamata, è la prova provata che la sentenza delle S.U. n. 24418 del 2 dicembre 2010 non costituisce alcuna novità, ma l’ovvietà, ovvero l’applicazione di principi già conosciuti da anni dalla giurisprudenza della S. C..
Sul sito www.studiotanza.it è riportata la “memoria ex art. 378 cpc” redatta dalla difesa del cliente della banca nel processo dinanzi alle S.U. e dalla lettura del documento si può evincere come i principi poi espressi nel testo delle S.U. erano certamente noti e, diremmo, scontati.
Le sconfitte del ceto bancario dinanzi alle SU ed alla Consulta hanno portato la filobancaria a creare un caso intorno alla sentenza delle S.U. n. 24418/10 al fine di creare una dolosa confusione di pacifici principi confondendo le carte sul tavolo, reintroducendo teorie abbandonate e superate (ad es. 1194 c.c.), calcoli errati che falsando la realtà e la matematica finanziaria giungono a risultati del tutto sbagliati.
Non mancano i mercanti di programmi straordinari che cercano di ridurre il diritto del singolo ad un calcolo omogeneo, anche quando ciò non è possibile, come nel caso della sentenza delle S.U. n. 24418/10.
Purtroppo si cerca di commercializzare tutto: ma alcune volte la singolarità non può essere duplicata se non al prezzo di violare i diritti e stravolgere la realtà, ogni rapporto di apercredito ha delle sue peculiarità non riconducibili all’omogeneità.
Si è già detto in un precedente lavoro (Sentenza 24418/10 Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione: Gli effetti sulle nuove consulenze tecniche sul Web) come gli effetti della Sentenza sarebbero stati di poco conto e, a due anni dalla pubblicazione, ne siamo sempre più convinti.
Le banche nelle loro memorie ante 2 dicembre 2010 hanno sempre eccepito genericamente la prescrizione decennale, ma non accennano minimamente alla prescrizione delle operazioni extrafido.
La tematica, già esposta in altro scritto (Sulla tardiva eccezione della prescrizione delle operazioni operate extrafido sul Web), ha trovato un’adeguata e successiva trattazione dalla Corte d’Appello di Milano:
“Quanto alla decorrenza del termine prescrizionale, la Banca fa esplicito richiamo all’art. 2 comma 61 del D.L. n. 225/10 convertito nella l. 26.2.2011 n. 10, inapplicabile perché dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 5.4.2012. Inoltre, essendo pacifico che il conto corrente per cui è causa era assistito da apertura di credito, la Banca avrebbe dovuto, quanto meno, allegare quali versamenti abbiano avuto natura ripristinatoria della provvista e qual i abbiano avuto funzione solutoria; infatti, l’assolvimento di tale onere appariva necessario per individuare a quale rimessa di c/c poteva essere ancorato il termine di decorrenza della prescrizione secondo il principio più volte ritenuto dalla S.C. e definitivamente assunto nella sentenza S.U. 2 dicembre 2010 n. 24418 (l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del “solvens” con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens”. Appello di Milano, Cons. Maria Rosaria Sodano, Sent. 2195 del 18 maggio 2012.
Ma da ultimo, anche dal Tribunale di Udine:
Ora, stante la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 2 comma 61 del citato decreto, conv. nella legge 26/2/11 n.10, di cui ovviamente il giudicante non può che prendere atto, aderendo al citato e condivisibile indirizzo della Suprema Corte a sezioni unite, va senz’altro respinta l’eccezione di prescrizione sollevata dall’istituto bancarie, senza necessità di ulteriore istruttoria. L’istituto bancario, a seguito della pronuncia delle sezioni unite della Corte di Cassazione, come detto intervenuta nel corso del giudizio dopo il deposito della CTU, da un lato ha genericamente contestato (per la prima volta) che il rapporto di conto corrente oggetto di causa fosse assistito da un’apertura di credito, dall’altro ha sostenuto che, comunque, sarebbe stato onere di parte attrice fornire la prova (non fornita) che i versamenti in conto erano stati effettuati su conto "scoperto", nel senso di effettuati in conto passivo extrafido. Ha poi in subordine richiesto un richiamo della CTU per l’individuazione dei versamenti su conto passivo extrafido, e quindi da qualificare "pagamenti", da cui far decorrere il termine di prescrizione. Orbene va in primo luogo rilevato che parte attrice, sin dall’atto introduttivo del giudizio ha dedotto espressamente che il conto corrente di cui era titolare era assistito da "apertura di credito", deducendo quindi anche che gli interessi (indebitamente) addebitati erano relativi ad un conto "affidato". Tale deduzione non è stata mai contestata dall’istituto bancario, né in modo "specifico” né tanto meno implicitamente. La circostanza deve ritenersi pertanto pacifica in quanto incontestata. Dagli estratti conto prodotti in giudizio emerge l’esistenza di diversi versamenti, anche di notevole importo, effettuati dalla correntista sul conto in questione in momenti in cui lo stesso era in "passivo" (prova indiretta anche questa dell’esistenza, dell’affidamento), ma non è possibile capire se tra questi versamenti ve ne siano alcuni che, alla luce della citata sentenza n.24418/10 (peraltro già formatasi in materia di revocatoria di rimesse bancarie), non costituivano meri ripristini della provvista, in quanto effettuati all’interno della somma "affidata" , bensì veri e propri "pagamenti’ in quanto effettuati oltre fido. Né ciò sarebbe verificabile e ricostruibile a mezzo CTU poiché non è stato riferito dalle parti in causa quale era l’importo massimo dell’affidamento pattuito. Tale difetto di prova – contrariamente all’assunto difensivo di parte convenuta - non può che essere posto a carico dell’istituto che ha sollevato l’eccezione di prescrizione e che era tenuto a dedurre tutti gli elementi costitutivi della propria eccezione e a fornire la prova, degli stessi. A tale riguardo si osserva anzi che l’istituto, il quale per pacifica giurisprudenza aveva l’onere di specificare il momento iniziale dell’inerzia in relazione a ciascun "pagamento", ha tempestivamente sollevato un’eccezione di prescrizione assolutamente generica indicando indistintamente quale momento iniziale tutte le singole "annotazioni" di versamenti, da considerarsi in tesi tutti "pagamenti". Non ha cioè operato alcuna distinzione né ha specificato quali erano i versamenti da considerare veri pagamenti. Ma, come osservato dalle prime sentenze di merito pronunciate a seguito della pronuncia delle Suprema Corte, la prescrizione dei singoli versamenti effettuati extrafido dal correntista andava sollevata tempestivamente nel termine di cui all’art. 167 cpc, con allegazione e tipizzazione della fattispecie e, in particolare, con precisa allegazione dell’elemento costitutivo della prescrizione, dato dall’ “inerzia” in relazione a ciascun versamento extrafido. L’eccezione di prescrizione, in quanto eccezione in senso stretto, deve fondarsi infatti su fatti allegati dalla banca, quand’anche suscettibili di diversa qualificazione da parte della banca. Il giudice potrà solo accertare il tipo e la durata del termine di prescrizione applicabile alla fattispecie, ma non può né individuare (o far individuare da un CTU) il termine iniziale né accogliere l’eccezione sulla base di un fatto diverso da quello dedotto (ved. ex multis Cass.16326/2009). Nel caso in esame la Banca, come sopra detto, pur prospettando un’eccezione che decorreva dai singoli pagamenti (quasi fosse una revocatoria di rimesse) nulla ha specificatamente osservato circa la natura solutoria dei versamenti effettuati dal correntista durante il rapporto, né ha individuato o allegato detti versamenti. Ne consegue che l’eccezione sollevata dalla banca, da un lato è infondata perché, in presenza di rapporto affidato e quindi di "passivo" mantenuto dal cliente nei limiti del fido, nonostante i versamenti periodici effettuati, la prescrizione dell’azione di ripetizione inizia a decorrere dalla revoca o dalla chiusura del rapporto; dall’altro è comunque inammissibile, se modificata nel senso di riferirsi solo a versamenti da individuare a mezzo CTU come effettuati extrafido in quanto nuova, tardivamente e genericamente formulata. Tribunale di Udine, Dott. Mimma Grisafi, Sent. n. 1180 del 31 agosto 2012.
La rimessione delle cause sul ruolo ed i vari chiarimenti alle CTU, dunque, spesse volte costituiscono uno spreco del denaro dei cittadini ed un assurdo, in quanto ingiustificato, allungamento dei tempi processuali: le cause possono essere decise senza ulteriore istruttoria non avendo la banca sollevato, nei termini imposti nel codice di procedura civile, la nota eccezione di prescrizione delle operazioni extrafido.
Tuttavia, nelle sole ipotesi in cui la banca abbia tempestivamente sollevato l’eccezione di prescrizione delle operazioni extrafido, la violazione delle norme giuridiche e della tecnica bancaria avviene proprio ad opera dei filobancari che devono confondere il chiaro testo della Sentenza Rordorf delle SU al fine di ridurre il quantum della restituzione dell’indebito.
In riferimento alla decorrenza dei termini di prescrizione per la ripetizione delle illegittime competenze addebitate sui rapporti di conto corrente bancario, la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha testualmente stabilito con la Sentenza 24418/10 il seguente principio di diritto: “…il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati".
Se il principio sopra riportato appare inequivocabile sotto il profilo del diritto, diventa oggetto di numerose inutili, quanto dolose, decodificazioni da parte dei consulenti incaricati per la redazione delle perizie contabili.
Un primo marchiano errore (ovvero consapevolezza di voler diminuire il quantum della domanda del maltolto) compiuto da taluni tecnici filobancari è di considerare solutorie (ovvero extrafido) tutte le rimesse e per l’intero importo: la sentenza n. 1994 10869 Cass. ha stabilito che "nel contratto di apertura di credito regolata in conto corrente, le singole rimesse effettuate sul conto dell’imprenditore poi fallito, nel periodo sospetto di cui all’art.67, comma 2, L.F., quando il conto sia scoperto, sono revocabili per la parte relativa alla differenza fra lo scoperto ed il limite del fido, atteso che lo scoperto costituisce per la banca un credito esigibile e che la rimessa, non creando nuova disponibilità per il cliente, ha carattere solutorio".
Dunque la parte di rimessa che riveste natura solutoria non potrà mai essere superiore “alla differenza fra lo scoperto ed il limite del fido”, così come non potrà mai eccedere l’importo delle competenze sino a quel momento maturate.
E’ superfluo sottolineare che la verifica dei versamenti aventi natura solutoria deve essere effettuata limitatamente al periodo antecedente il decennio l’atto interruttivo della prescrizione: quindi, gli ultimi dieci anni di rapporto non sono soggetti ad alcuna forma di prescrizione. Un rapporto chiuso oggi, ma acceso da dieci anni ed un giorno, verrebbe sottoposto (erroneamente) alla verifica delle rimesse solutorie in ordine alla prescrizione, ipotesi che sarebbe ancor più penalizzante di quella decorrente dall’annotazione in conto. Tale modus operandi è decisamente censurabile ed inaccettabile e non trova alcuna giustificazione per una sua applicazione sotto nessun profilo.
Alcuni magistrati, profondi in materia, hanno colto il problema e lo hanno chiarito nei quesiti che pongono ai CTU:
“considerato che in effetti, sulla base dei principi espressi da tale sentenza, il problema della prescrizione si pone solo per i versamenti effettuati nel periodo precedente al decennio precedente la proposizione della domanda, purché effettuati con funzione solutoria, ossia in una condizione di superamento del fido accordato (con la precisazione che tale superamento deve essere valutato tenuto conto non già degli estratti conto allegati dalla banca, bensì delle risultanze del conto come ricalcolate dal CTU con l’esclusione degli effetti della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e degli addebiti della CMS);
considerato che tale accertamento presuppone una specifica allegazione della parte che solleva l’eccezione di prescrizione, circa la configurabilità in concreto di siffatti versamenti;” Tribunale di Verona, Dott. DOTT. Pier Paolo LANNI – RG 12977/08, ordinanza del 28-29 dicembre 2010.
“in caso di eccepita prescrizione, prima di epurare gli estratti conto da clausole e addebiti illegittimi, verifichi il C.T.U. se, oltre 10 anni prima della domanda giudiziale o della preventiva richiesta stragiudiziale di restituzione delle somme indebitamente percepite, vi siano addebiti di interessi o comunque di somme non dovuti, quando il conto non era affidato e presentava comunque un saldo negativo, oppure quando il correntista era sconfinato dall’affidamento; nel caso in cui rilevi tale sconfinamento, quantifichi il C.T.U. l’importo di tali addebiti, per l’intero o fino all’importo necessario per eliminare lo sconfinamento dal fido oppure, in caso di mancato affidamento, per tornare al saldo zero” Tribunale di Brindisi, Sez. di Francavilla Fontana, Dott. Giuseppe MARSEGLIA, RG 262/11, ordinanza del 28 settembre 2012.
Inequivocabilmente stabilito che il periodo da esaminare per la verifica delle rimesse solutorie deve essere quello antecedente l’atto interruttivo della prescrizione, rimane la problematica di come si arrivi alla formazione del saldo di conto corrente su cui operare tale verifica.
Sono due le ipotesi estreme e diametralmente opposte comunemente adottate, ma che entrambe hanno dei limiti che le rendono di fatto inapplicabili: una prima che considera il saldo da estratto conto così come fornito dalla banca ed una seconda che depura tale saldo da tutte le competenze, legittime ed illegittime (in pratica il saldo in linea capitale).
L’inapplicabilità del saldo banca, ovvero dei saldi rinvenienti dall’esame degli e/c bancari, è stato ampiamente dibattuto (seppur inutilmente essendo un’offesa alla comune intelligenza il voler considerare il falso saldo degli e/c bancari come data di partenza di un ricalcolo) e perfino la stessa Sentenza 2010/24418 S.S.U.U. a pagina 13 riporta “…e la circostanza che, in quel momento, il saldo passivo del conto sia influenzato da interessi illegittimamente fin li computati si traduce in un’indebita limitazione di tale facoltà di maggior indebitamento, ma non nel pagamento anticipato di interessi.”.
Anche la verifica dei versamenti solutori sul mero saldo in linea capitale non può trovare applicazione: nel periodo esaminabile (decennio antedente l’atto interruttivo) sono state annotate competenze illegittime e competenze legittime e non vi è alcuna ragione, tecnica ma soprattutto giuridica, per la quale queste ultime non devono entrare nella formazione del saldo.
Per effettuare il ricalcolo in tal modo non è necessario ricorrere a particolari programmi di calcolo o software professionali (utili solo a chi li produce), dato che è sufficiente un semplice formula condizionale, da inserire in un qualsiasi foglio elettronico , che restituisca il valore relativo al versamento che eccede il fido accordato, limitatamente alla parte relativa alla differenza fra lo scoperto ed il limite del fido e che non eccede la sommatoria pregressa delle competenze si lì computate.
Prima di applicare la formula sopra proposta è, però, necessario “costruire manualmente” il saldo (che potremmo definire ricalcolato), e che tiene in debita considerazione tutti i disposti normativi, giurisprudenziali e codicistici: detto saldo è formato dal saldo il linea capitale, dalle competenze legittime e dalla sola parte di competenze “pagate” con quei versamenti che solo confrontati con questo saldo sono correttamente considerabili solutori.
Quindi una metodologia corretta da applicare è un processo iterativo che indica quali sono i versamenti solutori solo in corso di ricalcolo, che non perde mai di vista i limiti temporali di applicazione e cioè, il periodo antecente il decennio l’atto interrutivo della prescrizione, che la parte di rimessa che riveste natura solutoria non potra mai essere superiore alla differenza fra lo scoperto ed il limite del fido, così come la rimessa solutoria non potrà mai eccedere l’importo delle competenze sino a quel momento maturate.
Un quesito, che tenga conto del diritto (S.U. n. 244418/2010) e della tecnica bancaria, non può prescindere da questo preciso tenore:
"... con riferimento al rapporto di apertura di credito mediante affidamento con scopertura su c/c ordinario, oggetto del giudizio, e tenuto conto dei conti collegati intrattenuti dal correntista con la banca, il CTU:
a) CALCOLI la durata solare dell’intera apertura di credito tra le parti in causa;
b) CALCOLI la scopertura media in linea capitale;
c) CALCOLI il saldo in linea capitale (partendo da saldo iniziale pari a zero in mancanza di documentazione precedente) nel corso dell’intero rapporto;
d) CALCOLI il tasso d’interesse effettivo globale medio annuo con riferimento ai periodi trimestrali di rilevazione del c.d. tasso – soglia secondo i criteri dettati esclusivamente dalla Legge 108/1996 ed art 6444 c.p. (secondo i criteri tracciati da Corte di Cassazione Sez. II Penale, 26 marzo 2010, n. 12028 – Pres. Carmenini – Est. Gallo; nonché da Cassazione penale, 19 dicembre 2011 - Pres. Esposito - Est. Chindemi);
d) per i contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge n. 154/92, applichi solo gli interessi (sia a credito che a debito per il correntista) al saggio legale (art. 1284 c.c.) in luogo di quelli determinati mediante rinvio agli usi della piazza, sino al momento in cui è intervenuta tra le parti espressa pattuizione per iscritto con la quale è stato determinato il saggio degli interessi dovuti dal correntista. Per il periodo successivo, il c.t.u. dovrà applicare il tasso convenzionale (ovvero il più favorevole all’utente tra quello contrattuale e quello degli e/c) semplice, cioè senza capitalizzazioni, con eliminazione delle c.m.s. trimestrali, computando le valute delle singole operazioni dal giorno in cui la banca ha acquisito o perduto la disponibilità dei relativi importi, oppure in difetto con la valuta del giorno dell’operazione effettuata dall’utente, partendo da un saldo iniziale pari a “0” (nell’ipotesi di mancanza degli e/c iniziali). lign="justify">La Cass. Civ. Sez. I n. 10219 del 26 aprile 2010, Cons. rel. Renato Rordorf, con l’ampia Giurisprudenza richiamata, è la prova provata che la sentenza delle S.U. n. 24418 del 2 dicembre 2010 non costituisce alcuna novità, ma l’ovvietà, ovvero l’applicazione di principi già conosciuti da anni dalla giurisprudenza della S. C..
Sul sito www.studiotanza.it è riportata la “memoria ex art. 378 cpc” redatta dalla difesa del cliente della banca nel processo dinanzi alle S.U. e dalla lettura del documento si può evincere come i principi poi espressi nel testo delle S.U. erano certamente noti e, diremmo, scontati.
Le sconfitte del ceto bancario dinanzi alle SU ed alla Consulta hanno portato la filobancaria a creare un caso intorno alla sentenza delle S.U. n. 24418/10 al fine di creare una dolosa confusione di pacifici principi confondendo le carte sul tavolo, reintroducendo teorie abbandonate e superate (ad es. 1194 c.c.), calcoli errati che falsando la realtà e la matematica finanziaria giungono a risultati del tutto sbagliati.
Non mancano i mercanti di programmi straordinari che cercano di ridurre il diritto del singolo ad un calcolo omogeneo, anche quando ciò non è possibile, come nel caso della sentenza delle S.U. n. 24418/10.
Purtroppo si cerca di commercializzare tutto: ma alcune volte la singolarità non può essere duplicata se non al prezzo di violare i diritti e stravolgere la realtà, ogni rapporto di apercredito ha delle sue peculiarità non riconducibili all’omogeneità.
Si è già detto in un precedente lavoro (Sentenza 24418/10 Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione: Gli effetti sulle nuove consulenze tecniche sul Web) come gli effetti della Sentenza sarebbero stati di poco conto e, a due anni dalla pubblicazione, ne siamo sempre più convinti.
Le banche nelle loro memorie ante 2 dicembre 2010 hanno sempre eccepito genericamente la prescrizione decennale, ma non accennano minimamente alla prescrizione delle operazioni extrafido.
La tematica, già esposta in altro scritto (Sulla tardiva eccezione della prescrizione delle operazioni operate extrafido sul Web), ha trovato un’adeguata e successiva trattazione dalla Corte d’Appello di Milano:
“Quanto alla decorrenza del termine prescrizionale, la Banca fa esplicito richiamo all’art. 2 comma 61 del D.L. n. 225/10 convertito nella l. 26.2.2011 n. 10, inapplicabile perché dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza della Corte Costituzionale n. 87 del 5.4.2012. Inoltre, essendo pacifico che il conto corrente per cui è causa era assistito da apertura di credito, la Banca avrebbe dovuto, quanto meno, allegare quali versamenti abbiano avuto natura ripristinatoria della provvista e qual i abbiano avuto funzione solutoria; infatti, l’assolvimento di tale onere appariva necessario per individuare a quale rimessa di c/c poteva essere ancorato il termine di decorrenza della prescrizione secondo il principio più volte ritenuto dalla S.C. e definitivamente assunto nella sentenza S.U. 2 dicembre 2010 n. 24418 (l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del “solvens” con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens”. Appello di Milano, Cons. Maria Rosaria Sodano, Sent. 2195 del 18 maggio 2012.
Ma da ultimo, anche dal Tribunale di Udine:
Ora, stante la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 2 comma 61 del citato decreto, conv. nella legge 26/2/11 n.10, di cui ovviamente il giudicante non può che prendere atto, aderendo al citato e condivisibile indirizzo della Suprema Corte a sezioni unite, va senz’altro respinta l’eccezione di prescrizione sollevata dall’istituto bancarie, senza necessità di ulteriore istruttoria. L’istituto bancario, a seguito della pronuncia delle sezioni unite della Corte di Cassazione, come detto intervenuta nel corso del giudizio dopo il deposito della CTU, da un lato ha genericamente contestato (per la prima volta) che il rapporto di conto corrente oggetto di causa fosse assistito da un’apertura di credito, dall’altro ha sostenuto che, comunque, sarebbe stato onere di parte attrice fornire la prova (non fornita) che i versamenti in conto erano stati effettuati su conto "scoperto", nel senso di effettuati in conto passivo extrafido. Ha poi in subordine richiesto un richiamo della CTU per l’individuazione dei versamenti su conto passivo extrafido, e quindi da qualificare "pagamenti", da cui far decorrere il termine di prescrizione. Orbene va in primo luogo rilevato che parte attrice, sin dall’atto introduttivo del giudizio ha dedotto espressamente che il conto corrente di cui era titolare era assistito da "apertura di credito", deducendo quindi anche che gli interessi (indebitamente) addebitati erano relativi ad un conto "affidato". Tale deduzione non è stata mai contestata dall’istituto bancario, né in modo "specifico” né tanto meno implicitamente. La circostanza deve ritenersi pertanto pacifica in quanto incontestata. Dagli estratti conto prodotti in giudizio emerge l’esistenza di diversi versamenti, anche di notevole importo, effettuati dalla correntista sul conto in questione in momenti in cui lo stesso era in "passivo" (prova indiretta anche questa dell’esistenza, dell’affidamento), ma non è possibile capire se tra questi versamenti ve ne siano alcuni che, alla luce della citata sentenza n.24418/10 (peraltro già formatasi in materia di revocatoria di rimesse bancarie), non costituivano meri ripristini della provvista, in quanto effettuati all’interno della somma "affidata" , bensì veri e propri "pagamenti’ in quanto effettuati oltre fido. Né ciò sarebbe verificabile e ricostruibile a mezzo CTU poiché non è stato riferito dalle parti in causa quale era l’importo massimo dell’affidamento pattuito. Tale difetto di prova – contrariamente all’assunto difensivo di parte convenuta - non può che essere posto a carico dell’istituto che ha sollevato l’eccezione di prescrizione e che era tenuto a dedurre tutti gli elementi costitutivi della propria eccezione e a fornire la prova, degli stessi. A tale riguardo si osserva anzi che l’istituto, il quale per pacifica giurisprudenza aveva l’onere di specificare il momento iniziale dell’inerzia in relazione a ciascun "pagamento", ha tempestivamente sollevato un’eccezione di prescrizione assolutamente generica indicando indistintamente quale momento iniziale tutte le singole "annotazioni" di versamenti, da considerarsi in tesi tutti "pagamenti". Non ha cioè operato alcuna distinzione né ha specificato quali erano i versamenti da considerare veri pagamenti. Ma, come osservato dalle prime sentenze di merito pronunciate a seguito della pronuncia delle Suprema Corte, la prescrizione dei singoli versamenti effettuati extrafido dal correntista andava sollevata tempestivamente nel termine di cui all’art. 167 cpc, con allegazione e tipizzazione della fattispecie e, in particolare, con precisa allegazione dell’elemento costitutivo della prescrizione, dato dall’ “inerzia” in relazione a ciascun versamento extrafido. L’eccezione di prescrizione, in quanto eccezione in senso stretto, deve fondarsi infatti su fatti allegati dalla banca, quand’anche suscettibili di diversa qualificazione da parte della banca. Il giudice potrà solo accertare il tipo e la durata del termine di prescrizione applicabile alla fattispecie, ma non può né individuare (o far individuare da un CTU) il termine iniziale né accogliere l’eccezione sulla base di un fatto diverso da quello dedotto (ved. ex multis Cass.16326/2009). Nel caso in esame la Banca, come sopra detto, pur prospettando un’eccezione che decorreva dai singoli pagamenti (quasi fosse una revocatoria di rimesse) nulla ha specificatamente osservato circa la natura solutoria dei versamenti effettuati dal correntista durante il rapporto, né ha individuato o allegato detti versamenti. Ne consegue che l’eccezione sollevata dalla banca, da un lato è infondata perché, in presenza di rapporto affidato e quindi di "passivo" mantenuto dal cliente nei limiti del fido, nonostante i versamenti periodici effettuati, la prescrizione dell’azione di ripetizione inizia a decorrere dalla revoca o dalla chiusura del rapporto; dall’altro è comunque inammissibile, se modificata nel senso di riferirsi solo a versamenti da individuare a mezzo CTU come effettuati extrafido in quanto nuova, tardivamente e genericamente formulata. Tribunale di Udine, Dott. Mimma Grisafi, Sent. n. 1180 del 31 agosto 2012.
La rimessione delle cause sul ruolo ed i vari chiarimenti alle CTU, dunque, spesse volte costituiscono uno spreco del denaro dei cittadini ed un assurdo, in quanto ingiustificato, allungamento dei tempi processuali: le cause possono essere decise senza ulteriore istruttoria non avendo la banca sollevato, nei termini imposti nel codice di procedura civile, la nota eccezione di prescrizione delle operazioni extrafido.
Tuttavia, nelle sole ipotesi in cui la banca abbia tempestivamente sollevato l’eccezione di prescrizione delle operazioni extrafido, la violazione delle norme giuridiche e della tecnica bancaria avviene proprio ad opera dei filobancari che devono confondere il chiaro testo della Sentenza Rordorf delle SU al fine di ridurre il quantum della restituzione dell’indebito.
In riferimento alla decorrenza dei termini di prescrizione per la ripetizione delle illegittime competenze addebitate sui rapporti di conto corrente bancario, la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha testualmente stabilito con la Sentenza 24418/10 il seguente principio di diritto: “…il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati".
Se il principio sopra riportato appare inequivocabile sotto il profilo del diritto, diventa oggetto di numerose inutili, quanto dolose, decodificazioni da parte dei consulenti incaricati per la redazione delle perizie contabili.
Un primo marchiano errore (ovvero consapevolezza di voler diminuire il quantum della domanda del maltolto) compiuto da taluni tecnici filobancari è di considerare solutorie (ovvero extrafido) tutte le rimesse e per l’intero importo: la sentenza n. 1994 10869 Cass. ha stabilito che "nel contratto di apertura di credito regolata in conto corrente, le singole rimesse effettuate sul conto dell’imprenditore poi fallito, nel periodo sospetto di cui all’art.67, comma 2, L.F., quando il conto sia scoperto, sono revocabili per la parte relativa alla differenza fra lo scoperto ed il limite del fido, atteso che lo scoperto costituisce per la banca un credito esigibile e che la rimessa, non creando nuova disponibilità per il cliente, ha carattere solutorio".
Dunque la parte di rimessa che riveste natura solutoria non potrà mai essere superiore “alla differenza fra lo scoperto ed il limite del fido”, così come non potrà mai eccedere l’importo delle competenze sino a quel momento maturate.
E’ superfluo sottolineare che la verifica dei versamenti aventi natura solutoria deve essere effettuata limitatamente al periodo antecedente il decennio l’atto interruttivo della prescrizione: quindi, gli ultimi dieci anni di rapporto non sono soggetti ad alcuna forma di prescrizione. Un rapporto chiuso oggi, ma acceso da dieci anni ed un giorno, verrebbe sottoposto (erroneamente) alla verifica delle rimesse solutorie in ordine alla prescrizione, ipotesi che sarebbe ancor più penalizzante di quella decorrente dall’annotazione in conto. Tale modus operandi è decisamente censurabile ed inaccettabile e non trova alcuna giustificazione per una sua applicazione sotto nessun profilo.
Alcuni magistrati, profondi in materia, hanno colto il problema e lo hanno chiarito nei quesiti che pongono ai CTU:
“considerato che in effetti, sulla base dei principi espressi da tale sentenza, il problema della prescrizione si pone solo per i versamenti effettuati nel periodo precedente al decennio precedente la proposizione della domanda, purché effettuati con funzione solutoria, ossia in una condizione di superamento del fido accordato (con la precisazione che tale superamento deve essere valutato tenuto conto non già degli estratti conto allegati dalla banca, bensì delle risultanze del conto come ricalcolate dal CTU con l’esclusione degli effetti della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e degli addebiti della CMS);
considerato che tale accertamento presuppone una specifica allegazione della parte che solleva l’eccezione di prescrizione, circa la configurabilità in concreto di siffatti versamenti;” Tribunale di Verona, Dott. DOTT. Pier Paolo LANNI – RG 12977/08, ordinanza del 28-29 dicembre 2010.
“in caso di eccepita prescrizione, prima di epurare gli estratti conto da clausole e addebiti illegittimi, verifichi il C.T.U. se, oltre 10 anni prima della domanda giudiziale o della preventiva richiesta stragiudiziale di restituzione delle somme indebitamente percepite, vi siano addebiti di interessi o comunque di somme non dovuti, quando il conto non era affidato e presentava comunque un saldo negativo, oppure quando il correntista era sconfinato dall’affidamento; nel caso in cui rilevi tale sconfinamento, quantifichi il C.T.U. l’importo di tali addebiti, per l’intero o fino all’importo necessario per eliminare lo sconfinamento dal fido oppure, in caso di mancato affidamento, per tornare al saldo zero” Tribunale di Brindisi, Sez. di Francavilla Fontana, Dott. Giuseppe MARSEGLIA, RG 262/11, ordinanza del 28 settembre 2012.
Inequivocabilmente stabilito che il periodo da esaminare per la verifica delle rimesse solutorie deve essere quello antecedente l’atto interruttivo della prescrizione, rimane la problematica di come si arrivi alla formazione del saldo di conto corrente su cui operare tale verifica.
Sono due le ipotesi estreme e diametralmente opposte comunemente adottate, ma che entrambe hanno dei limiti che le rendono di fatto inapplicabili: una prima che considera il saldo da estratto conto così come fornito dalla banca ed una seconda che depura tale saldo da tutte le competenze, legittime ed illegittime (in pratica il saldo in linea capitale).
L’inapplicabilità del saldo banca, ovvero dei saldi rinvenienti dall’esame degli e/c bancari, è stato ampiamente dibattuto (seppur inutilmente essendo un’offesa alla comune intelligenza il voler considerare il falso saldo degli e/c bancari come data di partenza di un ricalcolo) e perfino la stessa Sentenza 2010/24418 S.S.U.U. a pagina 13 riporta “…e la circostanza che, in quel momento, il saldo passivo del conto sia influenzato da interessi illegittimamente fin li computati si traduce in un’indebita limitazione di tale facoltà di maggior indebitamento, ma non nel pagamento anticipato di interessi.”.
Anche la verifica dei versamenti solutori sul mero saldo in linea capitale non può trovare applicazione: nel periodo esaminabile (decennio antedente l’atto interruttivo) sono state annotate competenze illegittime e competenze legittime e non vi è alcuna ragione, tecnica ma soprattutto giuridica, per la quale queste ultime non devono entrare nella formazione del saldo.
Per effettuare il ricalcolo in tal modo non è necessario ricorrere a particolari programmi di calcolo o software professionali (utili solo a chi li produce), dato che è sufficiente un semplice formula condizionale, da inserire in un qualsiasi foglio elettronico , che restituisca il valore relativo al versamento che eccede il fido accordato, limitatamente alla parte relativa alla differenza fra lo scoperto ed il limite del fido e che non eccede la sommatoria pregressa delle competenze si lì computate.
Prima di applicare la formula sopra proposta è, però, necessario “costruire manualmente” il saldo (che potremmo definire ricalcolato), e che tiene in debita considerazione tutti i disposti normativi, giurisprudenziali e codicistici: detto saldo è formato dal saldo il linea capitale, dalle competenze legittime e dalla sola parte di competenze “pagate” con quei versamenti che solo confrontati con questo saldo sono correttamente considerabili solutori.
Quindi una metodologia corretta da applicare è un processo iterativo che indica quali sono i versamenti solutori solo in corso di ricalcolo, che non perde mai di vista i limiti temporali di applicazione e cioè, il periodo antecente il decennio l’atto interrutivo della prescrizione, che la parte di rimessa che riveste natura solutoria non potra mai essere superiore alla differenza fra lo scoperto ed il limite del fido, così come la rimessa solutoria non potrà mai eccedere l’importo delle competenze sino a quel momento maturate.
Un quesito, che tenga conto del diritto (S.U. n. 244418/2010) e della tecnica bancaria, non può prescindere da questo preciso tenore:
"... con riferimento al rapporto di apertura di credito mediante affidamento con scopertura su c/c ordinario, oggetto del giudizio, e tenuto conto dei conti collegati intrattenuti dal correntista con la banca, il CTU:
a) CALCOLI la durata solare dell’intera apertura di credito tra le parti in causa;
b) CALCOLI la scopertura media in linea capitale;
c) CALCOLI il saldo in linea capitale (partendo da saldo iniziale pari a zero in mancanza di documentazione precedente) nel corso dell’intero rapporto;
d) CALCOLI il tasso d’interesse effettivo globale medio annuo con riferimento ai periodi trimestrali di rilevazione del c.d. tasso – soglia secondo i criteri dettati esclusivamente dalla Legge 108/1996 ed art 6444 c.p. (secondo i criteri tracciati da Corte di Cassazione Sez. II Penale, 26 marzo 2010, n. 12028 – Pres. Carmenini – Est. Gallo; nonché da Cassazione penale, 19 dicembre 2011 - Pres. Esposito - Est. Chindemi);
d) per i contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge n. 154/92, applichi solo gli interessi (sia a credito che a debito per il correntista) al saggio legale (art. 1284 c.c.) in luogo di quelli determinati mediante rinvio agli usi della piazza, sino al momento in cui è intervenuta tra le parti espressa pattuizione per iscritto con la quale è stato determinato il saggio degli interessi dovuti dal correntista. Per il periodo successivo, il c.t.u. dovrà applicare il tasso convenzionale (ovvero il più favorevole all’utente tra quello contrattuale e quello degli e/c) semplice, cioè senza capitalizzazioni, con eliminazione delle c.m.s. trimestrali, computando le valute delle singole operazioni dal giorno in cui la banca ha acquisito o perduto la disponibilità dei relativi importi, oppure in difetto con la valuta del giorno dell’operazione effettuata dall’utente, partendo da un saldo iniziale pari a “0” (nell’ipotesi di mancanza degli e/c iniziali).
e) Dal 9 luglio 1992, quando è entrata in vigore la c.d. legge sulla trasparenza (L. 154/92), trasfusa nel decreto legislativo n 385 del 1993 (che non prevede alcuna forma di capitalizzazione), e da quel giorno sino al soddisfo, DETERMINI l’effettivo dare – avere aggiungendo al capitale interessi al saggio convenzionale (ovvero il più favorevole all’utente tra quello contrattuale e quello degli e/c) ovvero ( quando non vi è pattuizione) gli interessi previsti dall’art 117, settimo comma, del suddetto decreto legislativo senza alcuna capitalizzazione e senza commissioni di massimo scoperto e valute fittizie. Il ricalcolo degli interessi a norma dell’art 117 del decreto legislativo n 385 del 1993 deve essere effettuato applicando il tasso massimo ivi previsto ai saldi creditori (debitori per la banca) e quello minimo ai saldi debitori (creditori per la banca) e ciò in quanto la norma costituisce una sanzione per gli istituti di credito, partendo da un saldo iniziale pari a “0” (nell’ipotesi di mancanza degli e/c iniziali).
f) il regime di capitalizzazione degli interessi dovrà essere, per l’intero periodo: semplice per gli interessi dovuti dal correntista all’istituto di credito, annuale per gli interessi che il correntista riceve dall’istituto di credito.
g) laddove vi sia incompletezza della documentazione per periodi intermedi, provvederà il c.t.u. ad effettuare un raccordo dei saldi (utilizzando come data valuta quella media tra i periodi mancanti).
h) nelle sole ipotesi in cui la banca abbia tempestivamente eccepito (nei termini di cui agli artt. 166 e 167 c.p.c.), indicato e documentato l’esistenza di operazioni solutorie, accerti il CTU, sulla base dei risultati raggiunti nei quesiti precedenti (quindi, tenendo conto dei saldi ricalcolati depurati dalle illegittime competenze bancarie e non degli erronei saldi evidenziati nei vari conti correnti bancari), se oltre 10 anni prima della domanda giudiziale o della preventiva richiesta stragiudiziale di restituzione delle somme indebitamente percepite, vi siano addebiti di interessi o comunque di somme non dovuti, quando il conto non era affidato e presentava comunque un saldo negativo, oppure quando il correntista era sconfinato dall’affidamento; solo nel caso in cui rilevi tali sconfinamenti, verifichi il CTU, se nel corso del rapporto si siano verificati dei versamenti (che abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca) che abbiano superato il limite dell’affidamento (contrattuale o comunque desumibile a mezzo dell’analisi dei tassi e/o numeri debitori entro e/o fuori fido annotati negli e/c bancari o negli scalari, o rilevabile dall’analisi delle categorie comunicate alla Centrale dei rischi, o dai contratti di fideiussione, ecc. cfr. Cass. sez. I, 17 febbraio 2011, n. 3903). Nell’ipotesi in cui si sia verificato detto superamento il CTU consideri “pagate” con i successivi versamenti (solo per “per la parte relativa alla differenza fra lo scoperto ed il limite del fido” Cass. sentenza n. 10869 del 1994 ) del correntista il capitale e le competenze legittime in esubero dell’affidamento e, quindi, prescritte dopo il decorso decennale dalla data in cui è stata effettuata l’operazione, utilizzando il metodo d’imputazione normalmente utilizzato dalla banca durante il rapporto (ovvero derogando a quello previsto dall’art. 1194 c.c., come consentito alla volontà del creditore dalla stessa norma).