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La “sindrome di Pindaro” nelle adunanze degli organi collegiali delle università

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Uno dei punti cardine delle collegialità amministrative è il principio della immutabilità dell’ordine del giorno.

Come statuito da consolidata giurisprudenza, la sua applicazione nel corso delle adunanze ha due effetti principali.

In primo luogo, seguendo un’esegesi letterale, non possono essere trattate questioni non iscritte all’ordine del giorno.

In seconda battuta, i punti iscritti devono essere completamente trattati, tranne nel caso in cui il Presidente ne stabilisca uno stralcio o un rinvio.

La potestà di stralciare (di fatto, eliminare il punto) o di rinviare (ad altra seduta, ma anche sine die), infatti, è prerogativa esclusiva del Presidente dell’organo e non dei consiglieri.

Ne consegue l’irritualità di una deliberazione riguardo a modifiche, integrazioni o inversione dei punti iscritti all’ordine del giorno nel corso della seduta (si veda, ad esempio, la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 25 maggio 1993, n. 383).

L’ordine del giorno è un atto monocratico essenziale all’avviso di convocazione, la cui ratio si rinviene nel fatto di rendere edotti i consiglieri sui provvedimenti in discussione e consentirne un’idonea preparazione ai fini delle decisioni da adottare.

In pratica, si tratta di un documento essenziale, che svolge un’informativa affinché ciascun componente l’organo possa intervenire adeguatamente preparato e possa decidere scientemente la propria partecipazione o meno alla seduta. Da ciò consegue che l’oggetto della deliberazione deve essere indicato con espressioni idonee a consentire la precisa individuazione degli argomenti da trattare (cfr. TAR Lazio, sez. III, 31 luglio 1998, n. 1940).

Come tale, non necessita di alcun provvedimento collegiale, ma di una semplice presa d’atto delle determinazioni assunte dal Presidente. Semmai, utilizzando il garbo istituzionale, è opportuno che il Presidente condivida informalmente con i presenti la propria volontà inerente all’inversione o allo stralcio di uno o più punti.

In realtà il principio dominante è lo stesso di istituti di matrice privatistica.

Si pensi alle assemblee condominiali: anche in quel caso l’obbligo di inserire nella convocazione l’ordine del giorno trova il proprio fondamento nell’esigenza di far comprendere ai convocati «sia pure in termini non analitici e minuziosi, l’oggetto essenziale degli argomenti da esaminare, in modo da consentire di partecipare, direttamente o indirettamente, con cognizione di causa alla relativa deliberazione» (così in Cass. civile, 9 gennaio 2006 n. 63), principio giurisprudenziale affermato e recepito nella novella dell’art. 66 delle disposizioni di attuazione al Codice civile.

Ordine del giorno senza l’utilizzo, improprio e fuorviante, della voce “varie ed eventuali”, la quale potrebbe nascondere un oggetto di rilevanza e comportante un articolato procedimento.

Di conseguenza, come ribadito anche di recente in puntodelibere, un organo collegiale non può legittimamente deliberare, in mancanza di previa indicazione nell’ordine del giorno della seduta, su un argomento di valore, grazie all’inserzione nelle varie ed eventuali.

Esiste una sola via d’uscita: inserire un nuovo punto all’ordine del giorno e solo nel caso in cui siano presenti tutti i membri del collegio e ci sia accordo sul trattare l’argomento (così, ex multis, in TAR Puglia, Bari, sez. I, 5 febbraio 2003, n. 550).

Torniamo all’adunanza.

Il Presidente apre la discussione esclusivamente sui punti iscritti all’ordine del giorno.

I vari interventi dei consiglieri, se e in quanto avvenuti, devono essere riportati per sommi capi nel verbale, da momento che non incombe sul segretario verbalizzante alcun obbligo di trascrizione integrale di ogni singola opinione espressa.

La molteplice e coerente giurisprudenza formatasi nel corso degli anni fa riferimento all’articolo  2735 del Codice civile.

È evidente che la perizia di un buon segretario si esplica anche nel conciliare adeguatamente analisi e sintesi della discussione, in modo da dar conto nel verbale degli elementi essenziali della stessa: analisi dei punti strategici trascritti in modo chiaro e sintetico.

Equilibrio non facile da realizzare dovendo nel contempo avere bene chiaro l’argomento della trattazione e descriverlo usando un linguaggio corretto sintatticamente e scevro dalle digressioni non sostanziali che, naturalmente, un discorso dialettico porta con sé.

Capita, infatti, di assistere – in particolare per deliberazioni articolate e complesse – a interventi prolissi e scarsamente votati alla chiarezza concettuale. Ciò accade, in particolare e più frequentemente, nel Senato accademico e nel Consiglio di Dipartimento, di Istituto o della Scuola. Una delle abitudini che si va più consolidando poi, è la richiesta al consigliere da parte del Presidente di esporre in sintesi, salvo poi, posteriormente, articolare un vero e proprio intervento in un documento scritto che, a valle della seduta, avrà cura di trasmettere al segretario verbalizzante.

Ora, il verbale è un atto monocratico del segretario e si estrinseca come il risultato di una attività descrittiva di quanto effettivamente accaduto nel corso dell’adunanza.

Tale attività notarile, certativa, certificatoria, attestativa, ricognitiva, descrittiva, con i poteri degli artivcoli 2699 e 2700 del Codice civile, è sempre seriore rispetto alla seduta, dal momento che sussiste un’asincronia tra adunanza e verbalizzazione.

È bene ricordare che il verbale ha rilevanza giuridico-probatoria autonoma rispetto alle deliberazioni, che pure contiene, mantenendo il carattere di essenzialità e di imprescindibilità rispetto al sub-procedimento a cui si riferisce.

Di conseguenza, non è possibile verbalizzare in maniera integrale gli interventi, nemmeno a richiesta, né è consentito in maniera legittima riportare interventi mai effettuati.

Ma veniamo a una delle patologie che affligge le collegialità amministrative, riconducibile a quella che, con locuzione coniata ex novo or ora – ben lungi dagli aspetti clinici – potremmo definire “la sindrome di Pindaro”, mutuata con riferimento alle digressioni ardite e spesso avulse dal contesto principale, proprie del poeta greco.

Adattata alla problematica della collegialità amministrative universitarie, la potremmo definire come la propensione a intervenire su argomenti non iscritti all’ordine del giorno, in un susseguirsi di argomentazioni non pertinenti all’oggetto della proposta di deliberazione.

Senza ostacolare o interrompere l’intervento in seduta, deve essere tuttavia chiarito che, come non incombe in capo al segretario alcun obbligo di verbalizzazione integrale, men che meno ciò deve avvenire nel caso di interventi risultati estranei agli argomenti iscritti all’ordine del giorno.

Tale sindrome trova ampia diffusione tra alcuni soggetti determinati e portatori di interessi di parte o, anche, tra i liberi battitori, ma cozza indefettibilmente con il principio di pertinenza della discussione ai punti iscritti, altro principio fondamentale e irrinunciabile nel contesto della collegialità amministrativa.

In conclusione, quand’anche fossero accaduti, gli interventi resi al di fuori del contesto provvedimentale emersi nel corso della seduta non hanno dignità di inserzione nel verbale, rischiando di introdurre surrettiziamente argomenti estranei a ciò che si era stabilito di discutere, come tali privi di idonea istruttoria e non opportunamente meditati: ciò è contrario al principio di buona amministrazione che pervade in ogni istante l’azione amministrativa.

Anche in questo contesto, dunque, deve emergere l’onestà intellettuale, la coerenza e il rigore istituzionale dell’opera del segretario nella redazione del verbale che, in quanto atto pubblico formato da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni, contestabile solo a querela di falso, deve documentare quanto accaduto nel corso dell’adunanza attenendosi alle decisioni il cui fil rouge deve essere individuato limitatamente agli argomenti posti all’ordine del giorno.