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La “sofferta” camera di consiglio

Camera di consiglio
Camera di consiglio

Un venerdì pomeriggio di luglio particolarmente afoso.

Un processo per droga con svariati imputati, in un tribunale deserto.

La Giudice si ritira in camera di consiglio.

Trascorre il tempo nell’aula e i commenti degli avvocati inizialmente piacevoli si fanno ripetitivi.

Nella attigua camera di consiglio il silenzio regna sovrano.

I colleghi ripensano e parlano delle molteplici questioni di fatto e diritto sollevate, che dovranno trovare soluzione nella meditazione della Giudice.

Stanco delle chiacchiere, esco dall’aula a fare due passi nei corridoi desolati.

Odo dei richiami sommessi … e lontani “aiuto ... c’è qualcuno? … aiuto”.

Provengono dai bagni.

Accorro ed è la Giudice con voce rassegnata: “la serratura della porta si è bloccata, non riesco ad uscire chiamate la sicurezza o i vigili del fuoco”.

La sento agitata e la tranquillizzo e trovo la possibile soluzione: “Dottoressa sfili la chiave dalla serratura e me la passi da sotto la porta”.

La libero, mi sorride e molto sudata e provata: “sono ore ed ore che grido” la lascio ricomporsi e torno nell’aula, senza fare commenti.

Poco dopo suona la campanella.

Il cancelliere pomposo intona: “In piedi il Giudice”.

In nome del popolo italiano……”.

Un collega alla fine della lettura mi dice “Sentenza severa ma meditata.

Gli rispondo: “meditata senza dubbio!”.