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La strage della funivia e il clamore mediatico: la colpa prima e fuori del giudizio

strage funivia
strage funivia

I tre fermi disposti dalla Procura di Verbania in conseguenza della tragedia del Mottarone sono stati motivati da tre ragioni:

  • la straordinaria gravità dei fatti,
  • l’elevatissima pena detentiva prevedibile in caso di condanna degli indagati;
  • l’eccezionale clamore anche internazionale della vicenda.

Il GIP competente non li ha convalidati, constatando l’ovvio: che i primi due elementi, per costante giurisprudenza, sono da soli insufficienti a rendere concreto il pericolo di fuga degli indagati; che il clamore è inservibile come elemento valutativo; che il comportamento concretamente tenuto dagli accusati non faceva presagire la loro volontà di darsi alla fuga e anzi dimostrava il contrario.

Considerazioni ovvie, appunto, fissate con la massima chiarezza dall’articolo 384 Codice Procedura Penale il quale subordina il fermo all’esistenza di “specifici elementi” che consentano di “ritenere fondato il pericolo di fuga” e sulle quali non varrebbe la pena attardarsi.

Eppure i fermi sono stati eseguiti, tre persone sono state private indebitamente della libertà e c’è voluto l’intervento di un giudice per mettere riparo a una situazione illegale.

C’è da chiedersi perché sia avvenuto.

Non esistono certezze né risposte giuste per definizione.

Si possono solo azzardare tesi più o meno plausibili.

Quella che qui si preferisce ha a che fare col rapporto contemporaneo tra società umane e colpa, soprattutto nei casi – e quello di cui si parla ne fa parte a buon diritto – di tragedie che generano indignazione collettiva e dalle quali ognuno si sente colpito come se le avesse subite in proprio.

In casi del genere la colpa diventa una necessità e reclama uno o più colpevoli e ogni giorno perduto senza la loro identificazione è avvertito come una ferita.

Essa comincia quindi a vivere prima di qualsiasi sigillo formale e la riprovazione che le è compagna si manifesta prima e a prescindere dall’intervento degli apparati istituzionali cui spetta apporre quel sigillo.

La colpa, per così dire, comincia a essere tale in una fase pre-istituzionale come sentimento di derivazione popolare.

È comprensibile che accada: qualcosa ci addolora e tocca le nostre corde più esposte e vogliamo sapere perché, come è stato possibile, chi ne è stato responsabile, come si può fare perché non succeda ancora.

Ma se una Procura della Repubblica arriva a citare il clamore mediatico come giustificazione del fermo di indagati è come se dicesse che gli umori popolari e le campagne di stampa fanno parte del giudizio e possono orientarne l’esito. È come se il bisogno della colpa e del colpevole possa tracimare dalla sfera umorale e diventare linea guida per il giudice.

A Verbania questa pretesa non è passata. Per fortuna.