La tutela giuridica del software

E’ di vivo interesse la tematica circa la tutela giuridica del software, giacché relativamente recente, ed è collegata all’esplosione di quelle che vengono generalmente e comunemente definite come le nuove tecnologie informatiche, e che hanno trovato applicazione in ogni settore della vita sociale.

Il progresso scientifico e tecnico chiama la dottrina giuridica a confrontarsi spesso e volentieri con istituti e categorie giuridiche del tutto nuove, con la necessità quindi, come nel caso di specie, di porre in essere una analisi sulla eventuale protezione e sulla natura giuridica del software per inquadrarlo nell’ambito di una categoria giuridica già conosciuta, ovvero attribuire ad esso una natura autonoma e quindi elaborare una disciplina ad hoc.

La necessità di approntare una tutela giuridica per il software è stata subito sentita come necessaria dai vari Legislatori, nazionali e comunitari, e dalla Dottrina. Tuttavia sono state prodotte, nel corso del tempo, legislazioni differenti (vedi Accordo Trips) con inquadramenti della tutela, a volte divergenti, e comunque non uniformi.

Già dagli anni 60 Dottrina e Giurisprudenza hanno cercato di trovare una tutela adeguata nell’ambito della proprietà intellettuale, riconoscendo al software l’appartenenza ai beni giuridici, e nello specifico alle creazioni intellettuali, hanno però oscillato tra la disciplina brevettuale e il diritto d’autore, riconoscendo peraltro la necessità di accordare una tutela erga omnes.

La Dottrina prevalente ha poi sostenuto la riconducibilità del software al concetto di bene intellettuale, la cui titolarità consente al soggetto di essere riconosciuto autore della creazione intellettuale e, insieme, titolare esclusivo dell’utilizzazione e dello sfruttamento economico della stessa.

Prima di continuare nel ragionamento sulla tutela giuridica da apprestare al software si deve chiarire che cosa si intenda comunemente per software. Il software è, insieme all’hardware, la parte costituente del computer. In termini se vogliamo estremamente sintetici, l’hardware è la parte fisica del computer, il software è l’insieme di programmi che permette all’elaboratore il corretto funzionamento. L’hardware è la parte meccanica, il bene materiale cui possono applicarsi le normali regole in tema di vendita e di locazione, in materia di concorrenza tra imprese, e tutela di intellectual property. Il software è quell’insieme di programmi che, una volta caricati nel computer, consente all’utente di operare. L’insieme di regole e di simboli che permettono alla macchina l’esecuzione di programmi è definito come linguaggio di programmazione; il metodo astratto implicato nella risoluzione del problema è l’algoritmo; la sua traduzione in linguaggio di programmazione costituisce il programma. La programmazione quindi è un’operazione di difficile esecuzione che richiede ricerche, sperimentazioni, applicazioni e studi. L’attività dei programmatori di software consiste nella ricerca e nella migliore configurazione del linguaggio comprensibile dalla macchina.

La dottrina ha voluto che il software fosse ricondotto al concetto di bene immateriale, tradizionalmente utilizzato per indicare quelle creazioni individuali (invenzioni, modelli industriali, opere d’ingegno) che si presentano come beni autonomi. I diritti così attribuiti sono di carattere assoluto, in quanto sono opponibili erga omnes.

Tutto ciò fornisce l’opportunità al giurista di prevedere una forma di tutela brevettale, o altro tipo di tutela, del software, e soprattutto se, relativamente ad un’attività finalizzata alla creazione di un nuovo software sia da qualificare come un’invenzione o, al contrario, come mera opera d’ingegno, assimilabile alle opere artistiche e/o letterarie.

Come dicevo poc’anzi, Dottrina e Giurisprudenza convengono entrambe nell’inquadrare il software nella categoria dei beni giuridici, più particolarmente lo iscrivono nei beni intellettuali, ma i dubbi interpretativi sorgono nell’individuazione de sistema normativo: proteggibilità come invenzione suscettibile di brevetto, ai sensi dell’art. 2585 c.c., ricorso alla legge che tutela il diritto d’autore, sotto forma di tutela di opera di ingegno creativo, applicazione delle norme in materia di concorrenza sleale ex art. 2598 e ss. c.c.,. ovvero, in ultimo, tutela contrattuale, uti singuli, residuale, attraverso clausole che regolino l’uso da parte degli utenti? (Si pensi, a tal proposito, alla tutela apprestata dai produttori delle software house che adottano specifiche clausole contrattuali apposte ai contratti stipulati tanto con gli utenti del software tanto con i loro stessi dipendenti).

Sul ricorso alle norme sulla concorrenza sleale sono state registrate opinioni discordanti: dall’esclusione tout court dell’applicabilità dell’art. 2598 c.c., alla sua applicazione limitata, ovvero alla mera imitazione servile, all’attività confusoria, o alla inibizione all’uso o al commercio del bene tutelato.

Esclusa quindi la possibilità di tutela del bene attraverso le norme sulla concorrenza sleale, nonché attraverso la tutela negoziale, rimangono altri due strumenti utilizzabili: disciplina brevettuale e diritto d’autore. Il dibattito sulla protezione giuridica da accordare al software ha oscillato tra queste due fattispecie.

Le principali distinzioni riguardanti la tutela della creazione intellettuale, tra istituto brevettuale e diritto d’autore sono di immediata percezione: il brevetto tutela un’invenzione industriale, mentre il diritto d’autore tutela un’opera di ingegno. Se il brevetto ha quindi la funzione di garantire l’esclusiva sullo sfruttamento del contenuto di una determinata e specifica creazione, il diritto d’autore tutelerà la forma creativa dell’espressione scaturisce da una attività umana.

Il brevetto è la tutela che la legge accorda alle invenzioni tecniche suscettibili di applicazioni industriali, e che consistono nella soluzione di un determinato problema tecnico. Quando l’invenzione, per cui si richiede il brevetto, presenta i requisiti richiesti dalla legge, allora sarà attribuito al titolare dell’invenzione il diritto al riconoscimento morale dell’invenzione ed il diritto allo sfruttamento patrimoniale dell’invenzione stessa in via esclusiva. Quindi, la scelta di apprestare o l’una o l’altra tutela non è nella discrezionalità dell’autore, ma si dovrà aver riguardo alla natura e qualificazione attribuita alla creazione stessa, nonché si avrà riguardo alla finalità cui sono volte le due forme di tutela: il diritto d’autore protegge la forma dell’espressione creativa, il brevetto esplica la funzione di garantire l’esclusiva sullo sfruttamento del contenuto dell’opera stessa.

Viceversa, le opere d’ingegno cui è riservato il diritto d’autore non devono essere identificate come inventive, né essere considerate come un mero strumento di applicazione industriale; l’unico elemento rilevante è infatti rappresentato dalla creatività, cioè l’originalità con cui l’opera stessa è stata realizzata. In altre parole il diritto d’autore è accordato a prescindere dal valore intrinseco dell’opera e dalla sua utilità pratica, non è necessario neanche che l’opera sia divulgata al pubblico.

Anche al titolare del diritto d’autore la legge accorda il diritto morale e il diritto patrimoniale: l’elemento che differisce tra le due fattispecie è l’intensità della tutela concessa.

Il diritto patrimoniale accordato al titolare di un diritto d’autore si caratterizza per minor intensità e minor certezza rispetto al corrispondente diritto all’utilizzazione economica dell’opera, totale o parziale che sia, rispetto al corrispondente diritto riconosciuto al titolare di un brevetto; esso si viene e a caratterizzare come il diritto all’utilizzazione economica, in tutto o in parte, in ogni forma, modo, originale e/o derivato. Il diritto patrimoniale conferito non risulta essere assimilabile ad un vero e proprio diritto di proprietà su un bene immateriale.

Il diritto d’autore è limitato e funzionale, controllato dalla legge al fine di garantire un equo indennizzo tra l’aspettativa dell’autore ad una sua remunerazione per la sua creazione e quella opposta di tutelare l’interesse generale della collettività. In buona sostanza il diritto attribuito al titolare non è assimilabile al diritto di proprietà disciplinato dal codice civile, cioè un diritto che attribuisca la facoltà di godere e di disporre del bene in modo pieno ed esclusivo. In ogni caso si tratta di un diritto trasferibile, anche per via contrattuale, che, ferma restando la titolarità in capo al all’autore, consente anche ad altri soggetti/operatori, lo sfruttamento dell’opera in questione.

Il diritto patrimoniale, che consiste nella utilizzazione economica intesa nelle sue varie forme, non è assimilabile ad un vero e proprio diritto di proprietà che abbia ad oggetto un bene immateriale ed implicante le facoltà di godere e di disporre in modo pieno ed esclusivo del bene.

Il primo ordinamento che ha riconosciuto al software dignità di opera intellettuale è stato quello statunitense con il "Computer Software Amendment Act" del 1980. Da lì poi la Comunità Europea ha deciso di fornire ai programmi la tutela giuridica che viene riconosciuta alle opere d’autore attraverso la direttiva 91/250/CEE che, recepita nel nostro ordinamento con il D. Lgs. 518/1992, ha novellato la legge sul Diritto d’Autore.

Si è, nel corso degli anni, affermato il principio che i programmi per computer fossero opere di ingegno per l’originalità che essi presentavano e che quindi fossero tutelabili attraverso la normativa del diritto d’autore. Ciò ha portato, di conseguenza, anche la Cassazione ad approntare per il software questo tipo di tutela, ed ammettere che fossero opere di ingegno tutelabili anche in sede giudiziale, ma solo nell’ipotesi in cui esse siano il risultato di uno sforzo creativo caratterizzato da un apporto nuovo nel campo informatico. Si deve peraltro ricordare che la tutela del software viene estesa anche ai lavori preparatori, includendosi in questi anche le cd. carte di flusso, che rappresentano le idee ed i principi che stanno alla base di ogni opera creativa di tal genere.

La tutela inoltre si estende anche alla forma espressiva che praticamente rappresenta l’interfaccia, considerata dal punto di vista della sua utilità e della tecnica informatica. Se, ad esempio, nell’interfaccia sono presenti delle figure in movimento, allora queste dovranno essere protette in maniera autonoma, in base alle norme generali della Legge sul Diritto d’Autore.

Questa forma di tutela, ritenuta più che sufficiente dagli sviluppatori indipendenti, è invece considerata troppo debole da parte delle imprese che vorrebbero fosse estesa la tutela anche sulle soluzioni tecniche che vengono trovate per la realizzazione dei singoli problemi di sviluppo.

Questo è uno dei motivi per cui, nel corso degli anni, si sono alzate più voci relativamente all’estensione della forma di tutela brevettuale per il software, se pur con alcune limitazioni.

Il travagliato percorso verso una protezione giuridica del software a livello comunitario sembrava aver raggiunto un assetto definitivo con la Direttiva CEE 251/90 che ha stabilito l’obbligo dei paesi aderenti di vietare la brevettabilità ed ha invitato ciascun governo a prevedere in ogni legislazione nazionale una tutela incentrata sui principi generali del diritto d’autore.

In base a questa importante direttiva i diritti esclusivi riconosciuti al creatore del software comprendono: la riproduzione, in qualsiasi forma, dell’opera, la distribuzione, il diritto di adattare il programma alle specifiche necessità. Sono invece considerate violazioni dei diritti esclusivi: il possesso ed il commercio di copie illecite, il commercio ed il possesso di prodotti che in qualsiasi modo facilitino la rimozione dei dispositivi tecnici di protezione del programma.

A distanza di anni dalla Direttiva il giudizio è estremamente positivo, in quanto ha innanzitutto realizzato una definitiva uniformazione delle varie legislazioni nazionali degli stati membri ed eliminato gli elementi ostativi alla libera circolazione ed al buon funzionamento del mercato comune. Ha attribuito al software una tutela che, secondo alcuni studiosi dell’argomento, è la più idonea a realizzare un equo ed equilibrato bilanciamento tra i diritti dei titolari del diritto e gli utenti, che, in caso di brevettabilità del software, risulterebbero schiacciate dal monopolio brevettuale delle aziende multinazionali.

Tuttavia, da un punto di vista meramente teorico, il software presenta molte più affinità con le invenzioni della tecniche suscettibili di applicazione industriale, che non con le opere letterarie, quindi, la conseguenza più logica sarebbe quella di applicare anche al software la tutela brevettuale, ovvero proporre una sorta di regime di complementarietà tra la normativa di tutela brevettuale e le norme da diritto d’autore.

Infatti, un brevetto tutela un’invenzione nei limiti delle relative rivendicazioni che determinano poi l’estensione della tutela da privativa. Il titolare di un brevetto per un’invenzione attuata per mezzo di elaborazioni elettroniche ha il diritto di impedire a terzi l’utilizzazione di un software che metta a frutto la sua invenzione.

D’altro canto, ai sensi della Direttiva 91/250/CEE relativa alla protezione giuridica dei programmi per elaboratore, la tutela del diritto d’autore si applica a qualsiasi forma di espressione di un programma per elaboratore. Tale programma infatti è tutelato se originale, cioè quando è il risultato di una creazione intellettuale dell’autore, vietando la riproduzione del c.d. codice sorgente (linguaggio in cui sono scritti i programmi) o del codice oggetto (traduzione del linguaggio del programma in bit, o linguaggio macchina). Tuttavia non preclude gli altri modi possibili di esprimere le stesse idee in diversi codici sorgente. Esso inoltre non offre alcun tipo di tutela in caso di sviluppo identico senza la conoscenza di un diritto d’autore esistente.

In questa situazione è immaginabile una tutela giuridica "complementare" nei confronti dello stesso programma, che verrebbe attuata attraverso: a) la forma brevettuale, in quanto le rivendicazioni coprono le idee e i principi di base; b) dal diritto d’autore, per quanto attiene alla tutela del codice sorgente e del codice oggetto.

Si deve comunque ricordare che le legislazioni nazionali sul brevetto in generale non si applicano agli atti compiuti in forma privata e ai fini non commerciali, o ad atti compiuti a fini sperimentali in relazione all’oggetto dell’invenzione. Non è probabile infatti che la realizzazione di una copia di riserva nell’ambito di una utilizzazione autorizzata di un brevetto che riguardi un elaboratore programmato, possa essere considerata come una violazione.

Quindi, date le opportune differenze tra l’oggetto della tutela conferita dal brevetto e quello tutelato dal diritto d’autore, nonché la natura delle eccezioni autorizzate, l’esercizio del brevetto riguardante una invenzione attuata attraverso elaboratori elettronici non contrasterebbe con le deroghe poste dal Legislatore in materia di diritto d’autore che riconosce ai creatori del software, in virtù della Direttiva 91/250/CEE.

Verso gli anni 70 si iniziò ad avvertire la necessità di sottoporre il software a maggior tutela. La giurisprudenza statunitense iniziò ad aprire un varco alla protezione del software attraverso la forma brevettuale, in considerazione del fatto che, questo strumento, avrebbe maggiormente garantito i consumatori, riconoscendo un’esclusiva solo a seguito di un esame in merito alla novità e/o all’attività inventiva. Allo stato attuale, in linea generale, mentre tutti i programmi sono tutelati dal copyright, non tutti i programmi sono brevettabili, ma lo sono solo quelli che producono un "effetto tecnico". La differenza tra la protezione offerta dal copyright e quella offerta dal brevetto è sostanziale, ma il vero problema è quello del cd. "reverse engineering".

Il copyright tutela un programma in quanto opera letteraria, per il modo in cui viene scritta, se applichiamo questo principio al software si avrà che ogni volta in cui "viene scritto" un programma che dovrà eseguire una certa funzione, seguendo le stesse fasi, ma attraverso una "scrittura" diversa, allora non si avrà violazione di copyright. Questa forma di tutela consente di operare il "reverse engineering". Con il brevetto invece esiste sempre tutela, sempre che sussista un effetto tecnico, dal punto di vista della sequenza logica delle fasi che esegue. Il programmatore, una volta redatto il diagramma di flusso scrive il codice sorgente che, abbiamo visto, è il testo scritto in un linguaggio di programmazione, e che può essere tradotto in un file eseguibile, il codice sorgente viene poi tradotto in codice oggetto, che è sostanzialmente la traduzione del programma vero e proprio in linguaggio macchina.

Quello che viene brevettato è il principio alla base del programma, non il suo codice sorgente o oggetto, che può anche non essere stato ancora creato, ed è del tutto indifferente peraltro il linguaggio in cui sarà creato. Il codice sorgente ed i listati, anche se esistenti, non dovranno comunque essere depositati con la domanda di brevetto poiché possono costituire oggetto di copyright.

La Direttiva CEE consente, tra l’altro, la possibilità di sottoporre a brevetto un software a carattere tecnico, ma consente anche la possibilità di effettuare il cd. "reverse engineering" per scopi di ricerca accademica o per uso strettamente personale.

Per quanto concerne la Direttiva, in estrema sintesi, si può affermare che la stessa vuole evitare che possano esistere divergenti interpretazioni sullo stesso testo; che la semplice attuazione di un metodo altrimenti non brevettabile su un apparecchio, come un elaboratore, non può essere di per sé sufficiente per giustificare la conclusione che un contributo tecnico sia presente, di conseguenza, un metodo per attività commerciali, o altro, che venga attuato attraverso elaboratore elettronico, che non vi sia quindi un contributo tecnico, non può essere brevettabile; per poter essere brevettabili , le invenzioni in generale, e le invenzioni caratterizzate attraverso computer, devono palesare un carattere di novità ed implicare una attività inventiva congrua. Inoltre, se il contributo, allo stato dell’arte, è relativo unicamente all’adozione di materiali non brevettabili, non può sussistere una invenzione brevettabile, indipendentemente dal modo in cui vengono presentate le rivendicazioni.

La portata dei diritti esclusivi conferiti da un qualsiasi brevetto è conferita dalle relative rivendiche. Le invenzioni attuate per mezzo di computer vanno rivendicate con specifico riferimento ad un prodotto, di conseguenza, l’utilizzo di strumenti singoli di un software in un contesto in cui non si verifica la realizzazione di un prodotto inerente ad esso, o di un processo regolarmente rivendicato, non determina la violazione di un brevetto.

La prima proposta di Direttiva della Commissione Europea, presentata ad ottobre 2000, volta alla creazione di un brevetto europeo del software, ha riscosso numerosissime critiche, soprattutto dai rappresentanti delle piccole e medie imprese che ritenevano la brevettabilità del software uno strumento a favore delle grandi imprese multinazionali del software, a totale discapito delle piccole e medie imprese che operano nel settore e, soprattutto, a discapito della libera circolazione e regolare concorrenza del mercato. Alcuni osservarono infatti che le imprese più dinamiche lavorano con un ritmo tale che esercitare i loro diritti per vie legali sarebbe comunque un elemento di disturbo, visto il "differente fuso orario tra i due mondi!".

Oltretutto si è rilevato che il sistema brevettuale così come impostato negli Stati Uniti oltre 20 anni fa, ha rallentato l’innovazione tecnico-scientifica piuttosto che incoraggiarla, e che i fondi, un tempo destinati allo studio ed alla ricerca in questo settore, vengono ora spesso destinati a spesare costose cause in materia brevettuale. Inoltre, vengono concessi brevetti con estrema "generosità" e molti brevetti assumono uno scopo essenzialmente di tipo protezionistico e difensivo, risultando questo un sistema estremamente pericoloso per la competitività.

Questa situazione certamente non favorisce lo sviluppo delle piccole e medie imprese, tradizionalmente volano per questo segmento produttivo, che si trovano tagliate fuori dal sistema, in quanto non competitive per una mancanza di un ingente portaolio brevetti, che naturalmente può essere appannaggio solo di alcune grosse major mondiali.

Dopo questo levar di scudi, l’Europarlamento ha proposto alcune modifiche, ad onor del vero anche sostenute dalla stessa relatrice della prima proposta, che, in estrema sintesi, raccolgono i seguenti principi: a) limitazione della brevettabilità alle sole invenzioni che rappresentino un effettivo contributo tecnico; b) mancata accettabilità della rivendica del brevetto per un programma di elaboratore, relativa al solo programma; c) rigorosa limitazione della brevettabilità rispetto all’applicazione industriale del prodotto inventato. Da ciò deriva che si potrà realizzare il prodotto inventato con il software, ma non il programma che "gira" dentro; d) garanzia della inoperabilità ad evitare abusi di posizione dominante, cioè il titolare di un brevetto non può far valere la protezione del suo diritto di privativa nei confronti di una invenzione utilizzata a fini di interoperabilità.

Dati questi come punti da cui partire per tentare di elaborare una visione europea comune e condivisa, si evidenzia che le ulteriori campagne di sensibilizzazione a favore del "libero software" pongono come termine chiaro ed univoco il principio in base al quale risulti vietata la brevettabilità di programmi per elaboratori in quanto tali.

Si ritiene inoltre che sia necessario prevedere implicite limitazioni alla discrezionalità attuale dell’Ufficio Brevetti Europeo nella concessione di brevetti sul software, prevedendo, ad esempio, in ogni procedimento di brevettazione la presenza di una Authority che verifichi la regolarità del procedimento di concessione.

Il nodo cruciale, su cui si dibatte in Europarlamento, non è stabilire se il software presenti o meno i requisiti per poter essere considerato brevettabile, sicuramente lo è, il problema è individuare i parametri che devono esser tenuti in debito conto dai legislatori, e le specifiche esigenze del settore e dei suoi operatori, ma, contemporaneamente devono essere in grado di fissare, in modo non equivoco ovvero inequivocabile, le modalità e le ipotesi di lecita brevettazione di un’invenzione sul software.

Al momento quindi, ancora troppe sono le variabili che impediscono agli operatori di capire e prevedere quali saranno le future decisioni, non solo dell’Europarlamento, ma anche dei singoli stati nazionali. A tal proposito l’Italia, nel corso della sua Presidenza al Parlamento Europeo (luglio - dicembre 2003), secondo alcuni ha perso l’occasione per dare maggiore impulso alla risoluzione del problema, attirando sul suo operato critiche di eccessivo appiattimento alle posizioni sostenute dalle multinazionali americane. Da ciò si evidenzia allora che il problema non è più solo giuridico, ma la questione è influenzata da altri elementi: economici e giuridici senz’altro, ma anche politici, e che i tempi non per la risoluzione della vicenda, ma almeno per stabilire i principi di partenza per il confronto, saranno certamente lunghi, forse eccessivi, per il mercato, per gli operatori e per i fruitori tutti.

E’ di vivo interesse la tematica circa la tutela giuridica del software, giacché relativamente recente, ed è collegata all’esplosione di quelle che vengono generalmente e comunemente definite come le nuove tecnologie informatiche, e che hanno trovato applicazione in ogni settore della vita sociale.

Il progresso scientifico e tecnico chiama la dottrina giuridica a confrontarsi spesso e volentieri con istituti e categorie giuridiche del tutto nuove, con la necessità quindi, come nel caso di specie, di porre in essere una analisi sulla eventuale protezione e sulla natura giuridica del software per inquadrarlo nell’ambito di una categoria giuridica già conosciuta, ovvero attribuire ad esso una natura autonoma e quindi elaborare una disciplina ad hoc.

La necessità di approntare una tutela giuridica per il software è stata subito sentita come necessaria dai vari Legislatori, nazionali e comunitari, e dalla Dottrina. Tuttavia sono state prodotte, nel corso del tempo, legislazioni differenti (vedi Accordo Trips) con inquadramenti della tutela, a volte divergenti, e comunque non uniformi.

Già dagli anni 60 Dottrina e Giurisprudenza hanno cercato di trovare una tutela adeguata nell’ambito della proprietà intellettuale, riconoscendo al software l’appartenenza ai beni giuridici, e nello specifico alle creazioni intellettuali, hanno però oscillato tra la disciplina brevettuale e il diritto d’autore, riconoscendo peraltro la necessità di accordare una tutela erga omnes.

La Dottrina prevalente ha poi sostenuto la riconducibilità del software al concetto di bene intellettuale, la cui titolarità consente al soggetto di essere riconosciuto autore della creazione intellettuale e, insieme, titolare esclusivo dell’utilizzazione e dello sfruttamento economico della stessa.

Prima di continuare nel ragionamento sulla tutela giuridica da apprestare al software si deve chiarire che cosa si intenda comunemente per software. Il software è, insieme all’hardware, la parte costituente del computer. In termini se vogliamo estremamente sintetici, l’hardware è la parte fisica del computer, il software è l’insieme di programmi che permette all’elaboratore il corretto funzionamento. L’hardware è la parte meccanica, il bene materiale cui possono applicarsi le normali regole in tema di vendita e di locazione, in materia di concorrenza tra imprese, e tutela di intellectual property. Il software è quell’insieme di programmi che, una volta caricati nel computer, consente all’utente di operare. L’insieme di regole e di simboli che permettono alla macchina l’esecuzione di programmi è definito come linguaggio di programmazione; il metodo astratto implicato nella risoluzione del problema è l’algoritmo; la sua traduzione in linguaggio di programmazione costituisce il programma. La programmazione quindi è un’operazione di difficile esecuzione che richiede ricerche, sperimentazioni, applicazioni e studi. L’attività dei programmatori di software consiste nella ricerca e nella migliore configurazione del linguaggio comprensibile dalla macchina.

La dottrina ha voluto che il software fosse ricondotto al concetto di bene immateriale, tradizionalmente utilizzato per indicare quelle creazioni individuali (invenzioni, modelli industriali, opere d’ingegno) che si presentano come beni autonomi. I diritti così attribuiti sono di carattere assoluto, in quanto sono opponibili erga omnes.

Tutto ciò fornisce l’opportunità al giurista di prevedere una forma di tutela brevettale, o altro tipo di tutela, del software, e soprattutto se, relativamente ad un’attività finalizzata alla creazione di un nuovo software sia da qualificare come un’invenzione o, al contrario, come mera opera d’ingegno, assimilabile alle opere artistiche e/o letterarie.

Come dicevo poc’anzi, Dottrina e Giurisprudenza convengono entrambe nell’inquadrare il software nella categoria dei beni giuridici, più particolarmente lo iscrivono nei beni intellettuali, ma i dubbi interpretativi sorgono nell’individuazione de sistema normativo: proteggibilità come invenzione suscettibile di brevetto, ai sensi dell’art. 2585 c.c., ricorso alla legge che tutela il diritto d’autore, sotto forma di tutela di opera di ingegno creativo, applicazione delle norme in materia di concorrenza sleale ex art. 2598 e ss. c.c.,. ovvero, in ultimo, tutela contrattuale, uti singuli, residuale, attraverso clausole che regolino l’uso da parte degli utenti? (Si pensi, a tal proposito, alla tutela apprestata dai produttori delle software house che adottano specifiche clausole contrattuali apposte ai contratti stipulati tanto con gli utenti del software tanto con i loro stessi dipendenti).

Sul ricorso alle norme sulla concorrenza sleale sono state registrate opinioni discordanti: dall’esclusione tout court dell’applicabilità dell’art. 2598 c.c., alla sua applicazione limitata, ovvero alla mera imitazione servile, all’attività confusoria, o alla inibizione all’uso o al commercio del bene tutelato.

Esclusa quindi la possibilità di tutela del bene attraverso le norme sulla concorrenza sleale, nonché attraverso la tutela negoziale, rimangono altri due strumenti utilizzabili: disciplina brevettuale e diritto d’autore. Il dibattito sulla protezione giuridica da accordare al software ha oscillato tra queste due fattispecie.

Le principali distinzioni riguardanti la tutela della creazione intellettuale, tra istituto brevettuale e diritto d’autore sono di immediata percezione: il brevetto tutela un’invenzione industriale, mentre il diritto d’autore tutela un’opera di ingegno. Se il brevetto ha quindi la funzione di garantire l’esclusiva sullo sfruttamento del contenuto di una determinata e specifica creazione, il diritto d’autore tutelerà la forma creativa dell’espressione scaturisce da una attività umana.

Il brevetto è la tutela che la legge accorda alle invenzioni tecniche suscettibili di applicazioni industriali, e che consistono nella soluzione di un determinato problema tecnico. Quando l’invenzione, per cui si richiede il brevetto, presenta i requisiti richiesti dalla legge, allora sarà attribuito al titolare dell’invenzione il diritto al riconoscimento morale dell’invenzione ed il diritto allo sfruttamento patrimoniale dell’invenzione stessa in via esclusiva. Quindi, la scelta di apprestare o l’una o l’altra tutela non è nella discrezionalità dell’autore, ma si dovrà aver riguardo alla natura e qualificazione attribuita alla creazione stessa, nonché si avrà riguardo alla finalità cui sono volte le due forme di tutela: il diritto d’autore protegge la forma dell’espressione creativa, il brevetto esplica la funzione di garantire l’esclusiva sullo sfruttamento del contenuto dell’opera stessa.

Viceversa, le opere d’ingegno cui è riservato il diritto d’autore non devono essere identificate come inventive, né essere considerate come un mero strumento di applicazione industriale; l’unico elemento rilevante è infatti rappresentato dalla creatività, cioè l’originalità con cui l’opera stessa è stata realizzata. In altre parole il diritto d’autore è accordato a prescindere dal valore intrinseco dell’opera e dalla sua utilità pratica, non è necessario neanche che l’opera sia divulgata al pubblico.

Anche al titolare del diritto d’autore la legge accorda il diritto morale e il diritto patrimoniale: l’elemento che differisce tra le due fattispecie è l’intensità della tutela concessa.

Il diritto patrimoniale accordato al titolare di un diritto d’autore si caratterizza per minor intensità e minor certezza rispetto al corrispondente diritto all’utilizzazione economica dell’opera, totale o parziale che sia, rispetto al corrispondente diritto riconosciuto al titolare di un brevetto; esso si viene e a caratterizzare come il diritto all’utilizzazione economica, in tutto o in parte, in ogni forma, modo, originale e/o derivato. Il diritto patrimoniale conferito non risulta essere assimilabile ad un vero e proprio diritto di proprietà su un bene immateriale.

Il diritto d’autore è limitato e funzionale, controllato dalla legge al fine di garantire un equo indennizzo tra l’aspettativa dell’autore ad una sua remunerazione per la sua creazione e quella opposta di tutelare l’interesse generale della collettività. In buona sostanza il diritto attribuito al titolare non è assimilabile al diritto di proprietà disciplinato dal codice civile, cioè un diritto che attribuisca la facoltà di godere e di disporre del bene in modo pieno ed esclusivo. In ogni caso si tratta di un diritto trasferibile, anche per via contrattuale, che, ferma restando la titolarità in capo al all’autore, consente anche ad altri soggetti/operatori, lo sfruttamento dell’opera in questione.

Il diritto patrimoniale, che consiste nella utilizzazione economica intesa nelle sue varie forme, non è assimilabile ad un vero e proprio diritto di proprietà che abbia ad oggetto un bene immateriale ed implicante le facoltà di godere e di disporre in modo pieno ed esclusivo del bene.

Il primo ordinamento che ha riconosciuto al software dignità di opera intellettuale è stato quello statunitense con il "Computer Software Amendment Act" del 1980. Da lì poi la Comunità Europea ha deciso di fornire ai programmi la tutela giuridica che viene riconosciuta alle opere d’autore attraverso la direttiva 91/250/CEE che, recepita nel nostro ordinamento con il D. Lgs. 518/1992, ha novellato la legge sul Diritto d’Autore.

Si è, nel corso degli anni, affermato il principio che i programmi per computer fossero opere di ingegno per l’originalità che essi presentavano e che quindi fossero tutelabili attraverso la normativa del diritto d’autore. Ciò ha portato, di conseguenza, anche la Cassazione ad approntare per il software questo tipo di tutela, ed ammettere che fossero opere di ingegno tutelabili anche in sede giudiziale, ma solo nell’ipotesi in cui esse siano il risultato di uno sforzo creativo caratterizzato da un apporto nuovo nel campo informatico. Si deve peraltro ricordare che la tutela del software viene estesa anche ai lavori preparatori, includendosi in questi anche le cd. carte di flusso, che rappresentano le idee ed i principi che stanno alla base di ogni opera creativa di tal genere.

La tutela inoltre si estende anche alla forma espressiva che praticamente rappresenta l’interfaccia, considerata dal punto di vista della sua utilità e della tecnica informatica. Se, ad esempio, nell’interfaccia sono presenti delle figure in movimento, allora queste dovranno essere protette in maniera autonoma, in base alle norme generali della Legge sul Diritto d’Autore.

Questa forma di tutela, ritenuta più che sufficiente dagli sviluppatori indipendenti, è invece considerata troppo debole da parte delle imprese che vorrebbero fosse estesa la tutela anche sulle soluzioni tecniche che vengono trovate per la realizzazione dei singoli problemi di sviluppo.

Questo è uno dei motivi per cui, nel corso degli anni, si sono alzate più voci relativamente all’estensione della forma di tutela brevettuale per il software, se pur con alcune limitazioni.

Il travagliato percorso verso una protezione giuridica del software a livello comunitario sembrava aver raggiunto un assetto definitivo con la Direttiva CEE 251/90 che ha stabilito l’obbligo dei paesi aderenti di vietare la brevettabilità ed ha invitato ciascun governo a prevedere in ogni legislazione nazionale una tutela incentrata sui principi generali del diritto d’autore.

In base a questa importante direttiva i diritti esclusivi riconosciuti al creatore del software comprendono: la riproduzione, in qualsiasi forma, dell’opera, la distribuzione, il diritto di adattare il programma alle specifiche necessità. Sono invece considerate violazioni dei diritti esclusivi: il possesso ed il commercio di copie illecite, il commercio ed il possesso di prodotti che in qualsiasi modo facilitino la rimozione dei dispositivi tecnici di protezione del programma.

A distanza di anni dalla Direttiva il giudizio è estremamente positivo, in quanto ha innanzitutto realizzato una definitiva uniformazione delle varie legislazioni nazionali degli stati membri ed eliminato gli elementi ostativi alla libera circolazione ed al buon funzionamento del mercato comune. Ha attribuito al software una tutela che, secondo alcuni studiosi dell’argomento, è la più idonea a realizzare un equo ed equilibrato bilanciamento tra i diritti dei titolari del diritto e gli utenti, che, in caso di brevettabilità del software, risulterebbero schiacciate dal monopolio brevettuale delle aziende multinazionali.

Tuttavia, da un punto di vista meramente teorico, il software presenta molte più affinità con le invenzioni della tecniche suscettibili di applicazione industriale, che non con le opere letterarie, quindi, la conseguenza più logica sarebbe quella di applicare anche al software la tutela brevettuale, ovvero proporre una sorta di regime di complementarietà tra la normativa di tutela brevettuale e le norme da diritto d’autore.

Infatti, un brevetto tutela un’invenzione nei limiti delle relative rivendicazioni che determinano poi l’estensione della tutela da privativa. Il titolare di un brevetto per un’invenzione attuata per mezzo di elaborazioni elettroniche ha il diritto di impedire a terzi l’utilizzazione di un software che metta a frutto la sua invenzione.

D’altro canto, ai sensi della Direttiva 91/250/CEE relativa alla protezione giuridica dei programmi per elaboratore, la tutela del diritto d’autore si applica a qualsiasi forma di espressione di un programma per elaboratore. Tale programma infatti è tutelato se originale, cioè quando è il risultato di una creazione intellettuale dell’autore, vietando la riproduzione del c.d. codice sorgente (linguaggio in cui sono scritti i programmi) o del codice oggetto (traduzione del linguaggio del programma in bit, o linguaggio macchina). Tuttavia non preclude gli altri modi possibili di esprimere le stesse idee in diversi codici sorgente. Esso inoltre non offre alcun tipo di tutela in caso di sviluppo identico senza la conoscenza di un diritto d’autore esistente.

In questa situazione è immaginabile una tutela giuridica "complementare" nei confronti dello stesso programma, che verrebbe attuata attraverso: a) la forma brevettuale, in quanto le rivendicazioni coprono le idee e i principi di base; b) dal diritto d’autore, per quanto attiene alla tutela del codice sorgente e del codice oggetto.

Si deve comunque ricordare che le legislazioni nazionali sul brevetto in generale non si applicano agli atti compiuti in forma privata e ai fini non commerciali, o ad atti compiuti a fini sperimentali in relazione all’oggetto dell’invenzione. Non è probabile infatti che la realizzazione di una copia di riserva nell’ambito di una utilizzazione autorizzata di un brevetto che riguardi un elaboratore programmato, possa essere considerata come una violazione.

Quindi, date le opportune differenze tra l’oggetto della tutela conferita dal brevetto e quello tutelato dal diritto d’autore, nonché la natura delle eccezioni autorizzate, l’esercizio del brevetto riguardante una invenzione attuata attraverso elaboratori elettronici non contrasterebbe con le deroghe poste dal Legislatore in materia di diritto d’autore che riconosce ai creatori del software, in virtù della Direttiva 91/250/CEE.

Verso gli anni 70 si iniziò ad avvertire la necessità di sottoporre il software a maggior tutela. La giurisprudenza statunitense iniziò ad aprire un varco alla protezione del software attraverso la forma brevettuale, in considerazione del fatto che, questo strumento, avrebbe maggiormente garantito i consumatori, riconoscendo un’esclusiva solo a seguito di un esame in merito alla novità e/o all’attività inventiva. Allo stato attuale, in linea generale, mentre tutti i programmi sono tutelati dal copyright, non tutti i programmi sono brevettabili, ma lo sono solo quelli che producono un "effetto tecnico". La differenza tra la protezione offerta dal copyright e quella offerta dal brevetto è sostanziale, ma il vero problema è quello del cd. "reverse engineering".

Il copyright tutela un programma in quanto opera letteraria, per il modo in cui viene scritta, se applichiamo questo principio al software si avrà che ogni volta in cui "viene scritto" un programma che dovrà eseguire una certa funzione, seguendo le stesse fasi, ma attraverso una "scrittura" diversa, allora non si avrà violazione di copyright. Questa forma di tutela consente di operare il "reverse engineering". Con il brevetto invece esiste sempre tutela, sempre che sussista un effetto tecnico, dal punto di vista della sequenza logica delle fasi che esegue. Il programmatore, una volta redatto il diagramma di flusso scrive il codice sorgente che, abbiamo visto, è il testo scritto in un linguaggio di programmazione, e che può essere tradotto in un file eseguibile, il codice sorgente viene poi tradotto in codice oggetto, che è sostanzialmente la traduzione del programma vero e proprio in linguaggio macchina.

Quello che viene brevettato è il principio alla base del programma, non il suo codice sorgente o oggetto, che può anche non essere stato ancora creato, ed è del tutto indifferente peraltro il linguaggio in cui sarà creato. Il codice sorgente ed i listati, anche se esistenti, non dovranno comunque essere depositati con la domanda di brevetto poiché possono costituire oggetto di copyright.

La Direttiva CEE consente, tra l’altro, la possibilità di sottoporre a brevetto un software a carattere tecnico, ma consente anche la possibilità di effettuare il cd. "reverse engineering" per scopi di ricerca accademica o per uso strettamente personale.

Per quanto concerne la Direttiva, in estrema sintesi, si può affermare che la stessa vuole evitare che possano esistere divergenti interpretazioni sullo stesso testo; che la semplice attuazione di un metodo altrimenti non brevettabile su un apparecchio, come un elaboratore, non può essere di per sé sufficiente per giustificare la conclusione che un contributo tecnico sia presente, di conseguenza, un metodo per attività commerciali, o altro, che venga attuato attraverso elaboratore elettronico, che non vi sia quindi un contributo tecnico, non può essere brevettabile; per poter essere brevettabili , le invenzioni in generale, e le invenzioni caratterizzate attraverso computer, devono palesare un carattere di novità ed implicare una attività inventiva congrua. Inoltre, se il contributo, allo stato dell’arte, è relativo unicamente all’adozione di materiali non brevettabili, non può sussistere una invenzione brevettabile, indipendentemente dal modo in cui vengono presentate le rivendicazioni.

La portata dei diritti esclusivi conferiti da un qualsiasi brevetto è conferita dalle relative rivendiche. Le invenzioni attuate per mezzo di computer vanno rivendicate con specifico riferimento ad un prodotto, di conseguenza, l’utilizzo di strumenti singoli di un software in un contesto in cui non si verifica la realizzazione di un prodotto inerente ad esso, o di un processo regolarmente rivendicato, non determina la violazione di un brevetto.

La prima proposta di Direttiva della Commissione Europea, presentata ad ottobre 2000, volta alla creazione di un brevetto europeo del software, ha riscosso numerosissime critiche, soprattutto dai rappresentanti delle piccole e medie imprese che ritenevano la brevettabilità del software uno strumento a favore delle grandi imprese multinazionali del software, a totale discapito delle piccole e medie imprese che operano nel settore e, soprattutto, a discapito della libera circolazione e regolare concorrenza del mercato. Alcuni osservarono infatti che le imprese più dinamiche lavorano con un ritmo tale che esercitare i loro diritti per vie legali sarebbe comunque un elemento di disturbo, visto il "differente fuso orario tra i due mondi!".

Oltretutto si è rilevato che il sistema brevettuale così come impostato negli Stati Uniti oltre 20 anni fa, ha rallentato l’innovazione tecnico-scientifica piuttosto che incoraggiarla, e che i fondi, un tempo destinati allo studio ed alla ricerca in questo settore, vengono ora spesso destinati a spesare costose cause in materia brevettuale. Inoltre, vengono concessi brevetti con estrema "generosità" e molti brevetti assumono uno scopo essenzialmente di tipo protezionistico e difensivo, risultando questo un sistema estremamente pericoloso per la competitività.

Questa situazione certamente non favorisce lo sviluppo delle piccole e medie imprese, tradizionalmente volano per questo segmento produttivo, che si trovano tagliate fuori dal sistema, in quanto non competitive per una mancanza di un ingente portaolio brevetti, che naturalmente può essere appannaggio solo di alcune grosse major mondiali.

Dopo questo levar di scudi, l’Europarlamento ha proposto alcune modifiche, ad onor del vero anche sostenute dalla stessa relatrice della prima proposta, che, in estrema sintesi, raccolgono i seguenti principi: a) limitazione della brevettabilità alle sole invenzioni che rappresentino un effettivo contributo tecnico; b) mancata accettabilità della rivendica del brevetto per un programma di elaboratore, relativa al solo programma; c) rigorosa limitazione della brevettabilità rispetto all’applicazione industriale del prodotto inventato. Da ciò deriva che si potrà realizzare il prodotto inventato con il software, ma non il programma che "gira" dentro; d) garanzia della inoperabilità ad evitare abusi di posizione dominante, cioè il titolare di un brevetto non può far valere la protezione del suo diritto di privativa nei confronti di una invenzione utilizzata a fini di interoperabilità.

Dati questi come punti da cui partire per tentare di elaborare una visione europea comune e condivisa, si evidenzia che le ulteriori campagne di sensibilizzazione a favore del "libero software" pongono come termine chiaro ed univoco il principio in base al quale risulti vietata la brevettabilità di programmi per elaboratori in quanto tali.

Si ritiene inoltre che sia necessario prevedere implicite limitazioni alla discrezionalità attuale dell’Ufficio Brevetti Europeo nella concessione di brevetti sul software, prevedendo, ad esempio, in ogni procedimento di brevettazione la presenza di una Authority che verifichi la regolarità del procedimento di concessione.

Il nodo cruciale, su cui si dibatte in Europarlamento, non è stabilire se il software presenti o meno i requisiti per poter essere considerato brevettabile, sicuramente lo è, il problema è individuare i parametri che devono esser tenuti in debito conto dai legislatori, e le specifiche esigenze del settore e dei suoi operatori, ma, contemporaneamente devono essere in grado di fissare, in modo non equivoco ovvero inequivocabile, le modalità e le ipotesi di lecita brevettazione di un’invenzione sul software.

Al momento quindi, ancora troppe sono le variabili che impediscono agli operatori di capire e prevedere quali saranno le future decisioni, non solo dell’Europarlamento, ma anche dei singoli stati nazionali. A tal proposito l’Italia, nel corso della sua Presidenza al Parlamento Europeo (luglio - dicembre 2003), secondo alcuni ha perso l’occasione per dare maggiore impulso alla risoluzione del problema, attirando sul suo operato critiche di eccessivo appiattimento alle posizioni sostenute dalle multinazionali americane. Da ciò si evidenzia allora che il problema non è più solo giuridico, ma la questione è influenzata da altri elementi: economici e giuridici senz’altro, ma anche politici, e che i tempi non per la risoluzione della vicenda, ma almeno per stabilire i principi di partenza per il confronto, saranno certamente lunghi, forse eccessivi, per il mercato, per gli operatori e per i fruitori tutti.