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L’eterno conflitto tra Modena e Bologna nelle Historiae di Prisciani

La presa di Imola e la ricostruzione di Bazzano da parte degli Estensi (1296)  ASMo, Manoscritti della Biblioteca, 132, c. 5r
La presa di Imola e la ricostruzione di Bazzano da parte degli Estensi (1296) ASMo, Manoscritti della Biblioteca, 132, c. 5r

L’eterno conflitto tra Modena e Bologna nelle Historiae di Prisciani

L’Archivio di Stato di Modena conserva, tra i tanti documenti di inestimabile valore, cinque volumi manoscritti dell'opera di Pellegrino Prisciani Historiae Ferrarienses (precisamente i libri I, IV, VII, VIII, IX). Il Prisciani fu una figura poliedrica dell'Umanesimo (nato attorno al 1430 e morto nel 1518), autore di numerose opere, tra cui questa importante storia di Ferrara e della sua dinastia, gli Este. I volumi si presentano ricchi di illustrazioni monocrome, probabili bozzetti per successive miniature. Al di là dell'aspetto formale e del suo impianto, tale lavoro è anche una miniera di informazioni su accadimenti del Medioevo, fatti che se all'epoca della stesura non erano più recenti, non erano comunque ancora divenuti remoti. Ne abbiamo quindi estrapolati tre, a testimonianza del conflitto tra Modena e Bologna, una delle tante lotte di campanile della penisola italiana. Ad ognuno di esso abbiamo affiancato le corrispondenti illustrazioni, molto vivide e in grado di far rivivere quei momenti.
 

La presa di Imola e la ricostruzione di Bazzano da parte degli Estensi (1296)


Il disegno in alto raffigura la presa di Imola da parte delle truppe estensi e delle milizie ghibelline di Maghinardo Pagani da Susinana, Scarpetta degli Ordelaffi, Uguccione Della Faggiuola, signori di Romagna di dantesca memoria. La conquista della città romagnola, controllata dai bolognesi, avvenne nell'ambito della guerra che, sul finire del Duecento, vide gli Estensi, da alcuni anni signori anche di Modena e Reggio (rispettivamente dal 1289 e 1290), alleati ai ghibellini romagnoli contro la guelfa Bologna, sostenuta da Parma.
Azzo VIII d'Este era riuscito ad inserirsi nella vita politica interna di Bologna, ove si era venuta formando una potente pars marchesana legata alla sua casata. Obiettivo di Azzo era contrastare la supremazia politica di Bologna, di cui ambiva a diventare signore. Contro la fazione filo-estense intervenne duramente il podestà bolognese Jacopo del Cassero da Fano, che divenne un acerrimo nemico di Azzo. Questa forte ostilità portò all'uccisione di Jacopo del Cassero per mano di sicari estensi (1298). La sua tragica fine colpì lo stesso Dante, che, come è noto, immortalò il fanese nella Commedia (Purgatorio, V, 64-84) quale vittima dell'odio personale e della vendetta (assieme a Buonconte da Montefeltro e a Pia dei Tolomei). Il richiamo di Jacopo del Cassero nel V Canto del Purgatorio dantesco era ben noto allo stesso Prisciani, che lo ricorda in una nota a margine del testo (Historiae Ferrariae, Liber VIII, c. 6r).
La guerra tra gli Este e Bologna iniziò quando anche il Comune di Parma espulse la fazione filo-estense (1295). Azzo VIII, quindi, mosse guerra a Parma, in soccorso della quale intervennero i bolognesi. In risposta Azzo occupò il castello di Argenta, appartenente alla Chiesa ravennate; qui furono convocati a fine 1295 i signori ghibellini di Romagna, tra cui Maghinardo Pagani da Susinana, dominus dell'Appennino tosco-romagnolo. Essi decisero una campagna comune contro Bologna, da condursi sui due confini del territorio bolognese, quello orientale, nell'Imolese, e quello occidentale, difeso dai castelli di Bazzano e Savignano. La guerra nell'Imolese fu condotta dai ghibellini romagnoli e da truppe capeggiate da Pietro d'Este; tali forze nei primi mesi del 1296 sconfissero i bolognesi al Santerno e posero l'assedio alla città di Imola, che cadde nel mese di aprile.
Parallelamente Azzo VIII d'Este attaccò Bologna dal Modenese. In tale azione fu sostenuto anche dal fratello Francesco. Gli Este strapparono ai bolognesi i castelli di Savignano e Bazzano (novembre 1296), che vennero risistemati. Il secondo disegno presente in questa pagina delle Historiae raffigura proprio la ricostruzione della rocca di Bazzano. L'Estense volle munire e fortificare il castello, ampliandone e potenziandone le strutture ossidionali; i lavori portarono ad una vera e propria riedificazione del maniero, che doveva rappresentare un baluardo estense e modenese contro Bologna. Nel 1297 il marchese d'Este si accordò con Parma, ma non riuscì comunque ad impedire la riconquista bolognese dei due castelli. Solo nel 1299 le parti stipularono una tregua e il conflitto fu rimesso all'arbitrato di Firenze e di papa Bonifacio VIII. Il lodo papale del 1300 assegnò i castelli di Bazzano e Savignano al Comune di Bologna, a condizione che quest'ultimo versasse un indennizzo in terre e denaro.

 

Historiae Ferrariae, Liber VIII  I cani di Modena e la guerra con Bologna (1298)  ASMo, Manoscritti della Biblioteca, 132, c. 5v
Historiae Ferrariae, Liber VIII I cani di Modena e la guerra con Bologna (1298) ASMo, Manoscritti della Biblioteca, 132, c. 5v


I cani di Modena e la guerra con Bologna (1298)

Nell'ambito della guerra che contrappose Azzo VIII d'Este, e quindi Modena, a Bologna avvenne un episodio curioso, che il Prisciani riprende da una fonte narrativa trecentesca, la cronaca del modenese Bonifacio Morano. Una notte le truppe bolognesi compirono un'incursione nel territorio modenese, arrivando fino al borgo di Sant'Agnese, nei pressi delle mura cittadine. Le sentinelle modenesi non udirono nulla, non potendo, di conseguenza, dare l'allarme, a causa dei latrati dei cani. All'arrivo degli invasori, infatti, i cani dei sobborghi e del contado iniziarono ad abbaiare molto forte e ad essi si aggiunsero i cani della città. I latrati fecero sì che i modenesi non potessero udire le grida d'allarme provenienti da fuori le mura, cosicché i bolognesi poterono devastare alcuni borghi. A seguito di tale episodio, gli Anziani del Comune di Modena decretarono l’espulsione di tutti cani dalla città.

Historiae Ferrariae, Liber VIII  La battaglia di Zappolino (15 novembre 1325)  ASMo, Manoscritti della Biblioteca, 133, c. 18r
Historiae Ferrariae, Liber VIII La battaglia di Zappolino (15 novembre 1325) ASMo, Manoscritti della Biblioteca, 133, c. 18r

La battaglia di Zappolino (15 novembre 1325) e la Secchia rapita

I tre disegni presenti in questa pagina delle Historiae descrivono la battaglia di Zappolino e le vicende di una campagna militare che rappresentò l'apice dello scontro tra Modena e Bologna. Si trattò di uno dei principali fatti d'armi del Trecento italiano, con uno spiegamento di forze di oltre quarantamila uomini, di cui almeno tremila persero la vita sul campo.

Nella prima scena è ben riconoscibile lo scontro tra i due eserciti. Le truppe ghibelline, composte dalle milizie modenesi, mantovane, milanesi, cremonesi e da soldati tedeschi, erano al comando di Passerino Bonacolsi, signore di Mantova, del marchese Rinaldo II d'Este e di Azzone Visconti. Le truppe guelfe invece, formate principalmente dalle truppe bolognesi e da reparti romagnoli, erano guidate dal riminese Malatestino Novello Malatesta, da Albertino Boschetti, capo dei modenesi fuoriusciti, e da Fulcieri de Calboli, signorotto romagnolo dipinto a tinte fosche nel Purgatorio dantesco (XIV, 54-68). Lo scontro avvenne sui colli di Zappolino, nei pressi di Monteveglio, sul confine tra i territori di Bologna e Modena. Grazie soprattutto alla rapida azione di Gangalando Bertucci di Guiglia e Muzzarello da Cuzzano, signori locali avversi a Bologna, le forze ghibelline riuscirono ad assalire di sorpresa i militi felsinei, che, impreparati, furono travolti e messi in fuga. Per i bolognesi fu un'autentica disfatta, con oltre duemila perdite (lo stesso Albertino Boschetti morì sul campo).

La fuga disordinata dei bolognesi consentì ai modenesi di dilagare nel territorio di Bologna, e di distruggere vari castelli. Le truppe ghibelline attraversarono il fiume Reno, di cui devastarono la chiusa presso Casalecchio, e giunsero fin sotto le mura della città, mettendo a ferro e fuoco i borghi fuori porta S. Felice. Il secondo disegno della sequenza rappresenta proprio tali fatti, ben riconoscibili. Per alcuni giorni i vincitori schernirono gli sconfitti correndo quattro palii sotto le mura cittadine e rientrarono a Modena con la nota “secchia rapita”, poi celebrata dal Tassoni, che divenne il simbolo del trionfo su Bologna (si trattava di un secchio rubato da un pozzo, tuttora esistente, poco fuori porta S. Felice).

La terza scena raffigura, infine, i prigionieri guelfi condotti a Modena, che sfilano a piedi verso le porte cittadine, scortati dai cavalieri ghibellini. Fra quanti caddero prigionieri di Passerino Bonacolsi vi fu lo stesso Malatestino da Rimini.