Lezione via Zoom dell’insegnante? No al grande fratello del datore di lavoro

Il Garante greco ha sanzionato un datore di lavoro per non aver osservato il diritto di opposizione esercitato da un proprio dipendente.
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Lezione via Zoom dell’insegnante? No al grande fratello del datore di lavoro


Il 28 marzo 2022 il Comitato Europeo per la protezione dei dati ha pubblicato la notizia di un provvedimento sanzionatorio adottato dal Garante greco verso un datore di lavoro che aveva mancato di osservare il diritto di opposizione esercitato da un proprio dipendente.  

I fatti che hanno dato origine alla sanzione sono molto semplici, per certi versi “quotidiani”.

Un insegnante di una scuola di lingue, che teneva le proprie lezioni agli alunni via Zoom, lamentava al proprio datore di lavoro il controllo “live” delle lezioni impartite agli alunni e, pertanto, chiedeva che questa condotta cessasse. Il datore di lavoro non dava seguito alla richiesta del proprio dipendente che, conseguentemente, si rivolgeva al Garante greco.

Il Garante ha ritenuto che, in questo caso, il trattamento compiuto dal datore di lavoro dovesse ritenersi basabile sul legittimo interesse di quest’ultimo e che, quindi, la richiesta del dipendente affinché il controllo della propria attività lavorativa cessasse dovesse qualificarsi come esercizio del diritto di opposizione di cui all’articolo 21 del Regolamento Europeo sulla protezione dei dati personali (GDPR).

L’articolo 21 del GDPR prevede che, a seguito dell’esercizio del diritto di opposizione da parte dell’interessato, il titolare del trattamento (in questo caso, il datore di lavoro) debba astenersi dal continuare il trattamento salvo che dimostri l’esistenza di motivi legittimi cogenti che comportino una prevalenza del proprio interesse legittimo rispetto ai diritti e alle libertà dell’interessato.

Nel caso di specie, il datore di lavoro non aveva fornito questa prova né all’interessato né al Garante. Anzi, il titolare del trattamento aveva addirittura mancato di dare una informativa su questo trattamento dei dati al proprio dipendente e, come rilevato da altri Garanti europei, questa inosservanza è sufficiente, da sola, a comportare l’illegittimità dell’intero trattamento. In altre parole, se manca l’informativa l’interesse del titolare al trattamento non è mai legittimo e, di conseguenza, il trattamento è sempre illegittimo (e sanzionabile).

In definitiva, il Garante ha irrogato una sanzione di 2.000 euro al datore di lavoro.

Questo caso, relativo a quella che può sicuramente essere considerata una vicenda molto comune, dimostra, ancora una volta, come il legittimo interesse non possa essere utilizzato come la base giuridica in cui trovare “riparo sicuro” qualora siano realizzati trattamenti in violazione dei principi e degli obblighi fondamentali in materia di trattamento dei dati personali.

Sebbene questa base giuridica sia sicuramente spendibile, ove ne ricorrano i presupposti, va quindi utilizzata con cautela poiché il rischio sanzione, anche per casi “banali”, è dietro l’angolo.