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Licenziamento - Cassazione Lavoro: criteri di scelta per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di personale in posizione fungibile

Licenziamento - Cassazione Lavoro:  criteri di scelta per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di personale in posizione fungibile
Licenziamento - Cassazione Lavoro: criteri di scelta per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di personale in posizione fungibile

Con la sentenza in commento la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha stabilito che quando il giustificato motivo oggettivo si identifica nella soppressione di un posto di lavoro in presenza di più posizioni fungibili, in quanto occupate da lavoratori con professionalità sostanzialmente omogenee, il datore di lavoro deve improntare l’individuazione del soggetto da licenziare ai principi di correttezza e buona fede. In tale contesto, l’art. 5 L. n. 223/9, riguardante i licenziamenti collettivi, offre uno standard idoneo, nella materia in esame, ad assicurare che la scelta sia conforme a tale canone; tuttavia, non può escludersi l’utilizzabilità di altri criteri, purché non arbitrari, ma improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati.

I motivi a fondamento del ricorso

La pronuncia in esame ha preso le mosse dal ricorso presentato da un lavoratore licenziato a motivo della riorganizzazione della struttura aziendale. Il ricorrente fonda la sua posizione su due motivi: da un lato, la violazione e falsa applicazione dei principi di correttezza e buona fede, dall’altro, viene censurata la sentenza della Corte d’appello di Genova per non aver posto a fondamento della decisione circostanze di fatto, ma soltanto mere affermazioni dell’azienda.

Le questioni poste alla Corte di Cassazione

Il ricorso pone un duplice interrogativo.

In primo luogo, risulta necessario stabilire se, in caso di soppressione di un posto di lavoro in presenza di più posizioni fungibili, in quanto occupate da lavoratori con professionalità sostanzialmente omogenee, ai fini del rispetto del principio di buona fede e correttezza, i criteri della selezione del lavoratore da licenziare possano essere individuati dal datore di lavoro ovvero se i criteri posti a base della selezione debbano essere connotati da una oggettività determinabile ex ante, esclusivamente mediante il ricorso ai criteri di scelta in materia di licenziamenti collettivi, di cui all’articolo 5 della legge n. 223/91. In secondo luogo, occorre indagare riguardo alle fonti di convincimento della Corte di appello.

La decisione

Per quanto riguarda il primo motivo, la Sezione lavoro premette che in tutti i casi di riduzione del personale omogeneo e fungibile il datore di lavoro deve sempre individuare i soggetti da licenziare in base ai principi di buona fede e correttezza.

Il problema che si pone è quindi quello di stabilire i criteri oggettivi grazie ai quali la decisione del datore di lavoro possa essere ritenuta conforme ai due principi sopracitati.

Gli ermellini hanno ritenuto che si possa fare riferimento all’articolo 5 della Legge 223/91 in materia di licenziamenti collettivi, pur nella diversità dei regimi, e che ciò non esclude la possibile applicazione di altri criteri.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto dunque che i criteri di scelta utilizzati dall’azienda fossero compatibili col regime appena delineato.

Per quanto concerne il secondo motivo, la Sezione lavoro afferma che il motivo di ricorso è infondato, in quanto la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorché motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge e ritiene quindi che, nel caso di specie, la Corte d’appello abbia dato atto delle fonti del proprio convincimento.

La Sezione lavoro della Corte di Cassazione respinge dunque il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 7 dicembre 2016, n. 25192)

Con la sentenza in commento la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha stabilito che quando il giustificato motivo oggettivo si identifica nella soppressione di un posto di lavoro in presenza di più posizioni fungibili, in quanto occupate da lavoratori con professionalità sostanzialmente omogenee, il datore di lavoro deve improntare l’individuazione del soggetto da licenziare ai principi di correttezza e buona fede. In tale contesto, l’art. 5 L. n. 223/9, riguardante i licenziamenti collettivi, offre uno standard idoneo, nella materia in esame, ad assicurare che la scelta sia conforme a tale canone; tuttavia, non può escludersi l’utilizzabilità di altri criteri, purché non arbitrari, ma improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati.

I motivi a fondamento del ricorso

La pronuncia in esame ha preso le mosse dal ricorso presentato da un lavoratore licenziato a motivo della riorganizzazione della struttura aziendale. Il ricorrente fonda la sua posizione su due motivi: da un lato, la violazione e falsa applicazione dei principi di correttezza e buona fede, dall’altro, viene censurata la sentenza della Corte d’appello di Genova per non aver posto a fondamento della decisione circostanze di fatto, ma soltanto mere affermazioni dell’azienda.

Le questioni poste alla Corte di Cassazione

Il ricorso pone un duplice interrogativo.

In primo luogo, risulta necessario stabilire se, in caso di soppressione di un posto di lavoro in presenza di più posizioni fungibili, in quanto occupate da lavoratori con professionalità sostanzialmente omogenee, ai fini del rispetto del principio di buona fede e correttezza, i criteri della selezione del lavoratore da licenziare possano essere individuati dal datore di lavoro ovvero se i criteri posti a base della selezione debbano essere connotati da una oggettività determinabile ex ante, esclusivamente mediante il ricorso ai criteri di scelta in materia di licenziamenti collettivi, di cui all’articolo 5 della legge n. 223/91. In secondo luogo, occorre indagare riguardo alle fonti di convincimento della Corte di appello.

La decisione

Per quanto riguarda il primo motivo, la Sezione lavoro premette che in tutti i casi di riduzione del personale omogeneo e fungibile il datore di lavoro deve sempre individuare i soggetti da licenziare in base ai principi di buona fede e correttezza.

Il problema che si pone è quindi quello di stabilire i criteri oggettivi grazie ai quali la decisione del datore di lavoro possa essere ritenuta conforme ai due principi sopracitati.

Gli ermellini hanno ritenuto che si possa fare riferimento all’articolo 5 della Legge 223/91 in materia di licenziamenti collettivi, pur nella diversità dei regimi, e che ciò non esclude la possibile applicazione di altri criteri.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto dunque che i criteri di scelta utilizzati dall’azienda fossero compatibili col regime appena delineato.

Per quanto concerne il secondo motivo, la Sezione lavoro afferma che il motivo di ricorso è infondato, in quanto la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorché motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge e ritiene quindi che, nel caso di specie, la Corte d’appello abbia dato atto delle fonti del proprio convincimento.

La Sezione lavoro della Corte di Cassazione respinge dunque il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 7 dicembre 2016, n. 25192)