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L’ingiusta revoca dell’amministratore condominiale

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Ph. Ermes Galli / sfumature

Con una recente pronuncia (Cass. civ. sez. 2, n. 7874 del 19.3.2021) la Suprema Corte di Cassazione si è espressa, su ricorso di un amministratore condominiale revocato ante tempus per definire i contorni del potere di revoca dell’assemblea ed, in particolare, delle conseguenze della stessa.

In primo luogo, la Corte inquadra, riformando parzialmente la sentenza del Tribunale di Palermo impugnata dal ricorrente, il perimetro normativo nel quale si inscrive la natura del contratto di amministrazione condominiale.

Il Giudice del merito, invero, riteneva applicabile a tale rapporto l’articolo 2237 codice civile, il quale disciplina il recesso del cliente in materia di professioni intellettuali, facendo discendere in capo al condominio il solo obbligo di pagare all’amministratore revocato il compenso maturato sino all’esaurimento del rapporto e non anche, come invece richiesto dall’amministratore revocato, il risarcimento del danno patito.

Intervenendo in riforma dell’impugnata pronuncia, il Supremo Collegio, invece, ritiene – come peraltro pacificamente insegnato (cfr. Cass. SS.UU. n. 20957 del 29.10.2014) – che all’incarico conferito all’amministratore di condominio non siano applicabili le norme che disciplinano la prestazione d’opera intellettuale poiché quella di amministratore condominiale non può ritenersi una professione organizzata in albi, ordini o collegi ma piuttosto in una professione c.d. non regolamentata ai sensi della l. 4 del 14.1.2013 la quale, in combinato disposto con gli articolo 71 bis disp. att. codice civile, prevede, per il suo esercizio, il semplice possesso di requisiti di professionalità ed onorabilità, come ivi chiaramente dettagliati.

Ne consegue che la tipologia del contratto di amministrazione condominiale deve correttamente ascriversi a quella del mandato, connotato, tra l’altro, non solo da una presunzione di onerosità, ma altresì da una caratteristica di fiduciarietà, il cui venir meno dovrà essere giustificabile, per non dare adito a conseguenze risarcitorie.

In particolare,  con riferimento al momento della revoca dell’incarico, osserva la Suprema Corte che, come noto, l’insieme delle obbligazioni che descrivono il contenuto del contratto è disciplinato dagli articoli 1129, 1130 e 1131 c.c, ed in particolare l’articolo 1129 prevede il potere di revoca dell’assemblea, ad nutum, e dunque “in ogni tempo”, pur essendo annuale la durata del contratto, come espressamente prevista dalla medesima norma.

Pertanto, distingue il Supremo Collegio tra la revoca motivata da una giusta causa e una revoca che ne sia priva, così interrompendo senza giustificato motivo il naturale decorso dell’incarico conferito al professionista.

Nel primo caso, la giusta causa sarà “ravvisabile tra quelle che giustificano la revoca giudiziale dello stesso incarico”, quali le c.d. “gravi irregolarità” previste dalla normativa codicistica, come dettagliate, in un elenco non esaustivo, dall’articolo 1129 co. 12 codice civile, ed inviduate, tra le altre: nella omissione di convocazione dell’assemblea ordinaria annuale o per come richiesta dai condòmini; nella mancata esecuzione di provvedimenti giudiziali, amministrativi o assembleari; nella mancata apertura di un conto corrente condominiale; nella gestione del denaro con modalità che possano ingenerare confusione tra il proprio patrimonio personale e quello del condominio o di altri condòmini; nell’acconsentire alla cancellazione di ipoteche pur senza aver ottenuto il pieno recupero del credito condominiale; nell’aver omesso di informare il condominio in relazione ad una azione giudiziale promossa nei confronti dello stesso; nel non avere curato la tenuta dei registri condominiali e non aver rilasciato l’attestazione relative allo stato dei pagamenti ed alle liti correnti; nel non aver comunicato, anche parzialmente, i dati e gli orari del proprio studio, per l’accesso alla documentazione condominiale.

Nel secondo caso, ove la revoca fosse priva di giustificazioni, se nulla consente di porne in discussione la validità e l’efficacia, in forza della facoltà, riconosciuta dalla legge all’assemblea, di disporre la revoca “in ogni tempo” dell’amministratore, certamente invece, secondo il Collegio degli Ermellini, in assenza di giusta causa di recesso, potranno esserne valutate le conseguenze anche in forma risarcitoria a favore del professionista revocato, interpretando così analogicamente, le norme che disciplinano la revoca ante tempus del mandatario (ai sensi dell’articolo 1725 codice civile) o dell’amministratore di società di capitali (ai sensi dell’articolo 2383 codice civile).

In esito al percorso logico giuridico intrapreso con la propria motivazione, la Suprema Corte statuisce, quindi, il seguente principio di diritto: “L'amministratore di condominio, in ipotesi di revoca deliberata dall'assemblea prima della scadenza del termine previsto nell'atto di nomina, ha diritto, oltre che al soddisfacimento dei propri eventuali crediti, altresì al risarcimento dei danni, in applicazione dell'articolo 1725, primo comma, codice civile, salvo che sussista una giusta causa, indicativamente ravvisabile tra quelle che giustificano la revoca giudiziale dello stesso incarico.”

L’amministratore impugnante, nella sentenza in commento, ha visto accogliere il proprio ricorso e cassare la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Palermo perché riesaminasse la causa uniformandosi al suindicato principio, e dunque statuendo un congruo risarcimento per l’amministratore revocato in assenza di giusta causa.