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Ludĕre

illusione
illusione

Ludĕre
 

Esiste qualcosa di più dolce dell’illusione? Sirena che canta e ci incanta. Ci bacia sugli occhi che si chiudono, si serrano, non vedono e, ammansiti dal miele, immaginano quello che sognano da una vita.

Non serve nemmeno tanto, basta prendere la propria sincera povertà, metterla a disposizione del mondo e attendere che qualcuno ci ammali. D’altronde non aspettavamo altro, non desideravamo altro che una corda dorata calata nel pozzo profondo dei nostri desideri. E poco importa se sia oro vero o oro di Bologna, a quel punto il tintinnio è tale che ci appendiamo con tutte le nostre forze perché, è certo, ci porterà fuori da quel buio e saremo finalmente felici.

Ci sono dei segnali qua e là, delle avvisaglie che qualcosa non va, i palmi delle mani brillano, il colore si screpola e si stacca da quell’appiglio, ma, d’altronde, si sa, che la perfezione non è di questo mondo e poi quanto siamo esigenti! Percepiamo, dunque, e ci narriamo una storia meravigliosa in cui ogni anomalia ha il suo sacrosanto perché, è una ninna nanna magica, al punto che, obnubilati da quella illusione ci dimentichiamo del ludus imperante, del gioco, dell’inganno che quella sensazione piacevole porta con sé.

Una pioggia battente ci respinge indietro e pulisce i nostri occhi, basta un po’di lucidità per accorgersi che giocare non basta, che non ci basta, non ci corrisponde, che una spolverata di zucchero a velo non addolcisce la vita, che nessuno può prendersi la responsabilità della nostra felicità se non noi stessi.

La corda si spezza e uno stacco netto ci getta a terra, sul fondo del pozzo. Delusi, ci troviamo, infine, estremamente de-lusi, ma finalmente lontano dai giochi, lontano dalle finzioni.

Comincia allora un percorso diverso, dentro di noi, nel nostro pozzo. Con un cerino illuminiamo quelle tenebre, osserviamo ogni millimetro e gli spazi si rivelano più ampi del previsto, addirittura immensi e poi infiniti; timore e pregiudizio sono spariti. C’è solo uno specchio, siamo noi. Certo, c’è molto da sistemare, da illuminare, ma siamo noi.

Una benedetta delusione, una benedetta disillusione che ci fa toccare la carne del nostro spirito. Quanta speranza in quel fondale infinito, quanta gratitudine per quell’universo, quanto amore in quel nucleo caldo.  Diamine! Perché non l’abbiamo capito prima? Perché non era il momento. C’è un momento per ogni cosa e prima non avremmo capito.