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Mario Sironi: il ritorno

Mario Sironi- Monotipo-(Casa Museo Sigfrido Bartolini)
Mario Sironi- Monotipo-(Casa Museo Sigfrido Bartolini)

[In occasione dell’inaugurazione della mostra antologica su Mario Sironi a sessant’anni dalla morta, organizzata al “Museo del Novecento”, curata da Elena Pontiggia e Anna Maria Pontaldo (aperta fino al 22 marzo 2022) pubblichiamo l’articolo scritto da Sigfrido Bartolini come recensione alla Prima Mostra Antologica a Roma su Mario Sironi, tenutasi alla Galleria d’Arte Moderna nel 1993, a cura dell’allora direttrice Augusta Monferini]. 

 

Sigfrido Bartolini- Sironi-L'opera Incisa
Sigfrido Bartolini, Sironi, L'opera Incisa
Mario Sironi, foto giovanile
Mario Sironi, foto giovanile

Mario Sironi possiede una natura antica; la pittura di cavalletto, il quadro per il salotto borghese e tutto quanto sappia d’intimismo struggente gli vanno stretti, fin dai suoi primi lavori si poteva notare un respiro ampio e drammatico quale neppure si sognava il suo amico Boccioni, legato inizialmente ad un modesto verismo.                                                                                                        

Il Nostro era nato per istoriare grandi pareti, per celebrare in ampi cicli pittorici qualche nuovo evento; la natura lo aveva dotato in questo senso e qualcosa doveva pur capitare perché potesse dar libero sfogo all’urgenza che sentiva irrefrenabile ogni volta che prendeva il lapis in mano. Neppure l’esperienza futurista riuscì a sedurlo con la ricerca del dinamismo e la possibilità di aprire e reinventare la forma; egli ci vide unicamente una forza di rottura per poter ricomporre il quadro a modo proprio, liberato dalla sequenza narrativa, strutturato come una scultura e risolto con pochi tocchi di colore che accendono appena il bruno dominante.

Pittura di sintesi e, specie negli ultimi anni, di non facile lettura ma mai astratta; neppure quando le sue forme si concedono a quello che può apparire un esercizio intellettuale, basta individuare una roccia, sentirne il peso e la vitalità impressa dalla pennellata, la luce che irrompe come un lampo di magnesio o le scarne indicazioni racchiuse in pochi graffiti, testimoni di una realtà e di un’ansia umanissimi, esempi di storia e di vita vissuta.       

Mario Sironi- periferia urbana 2
Mario Sironi, Periferia urbana

Certi suoi paesaggi dipinti nello studio sembrano bozzetti per una parte da affrescare e nelle pur contenute dimensioni tendono ad una essenzialità che sa di assoluto: una grande imponente casa dalle finestre murate e ripetute ossessivamente, bilanciata dalla forma elementare di un albero, totem emergente da un terreno brullo, assume la valenza di una rovina classica. Un autoritratto dalla stessa dolorosa fissità, profonda e assente, ci riporta alla nota maschera di Beethoven.

La sua natura di grande solitario la capì Mussolini tratteggiandone il profilo nei colloqui con De Begnac: «Distante dal tradizionalismo del dio, prossimo alla terribile realtà dell’uomo. Sironi attende all’addiaccio che la grande casa proietti la propria ombra sui viandanti che busseranno alla porta».

Da parte sua, il pittore della dignità e del rispetto, quando bussò alla porta del Capo lo fece disinteressatamente e unicamente per denunciare la situazione dell’arte, è ancora Mussolini a ricordarlo: «Venne da me, un giorno Mario Sironi […] E mi disse, egli uomo castigatissimo […] che la pittura e la scultura, volute dai politici “in posa”, stava riempiendo di merda l’Italia, di fantocci le piazze, di maschere le grandi strade consolari. Parlò fuori dei denti»

Negli artisti italiani, eredi dei grandi affrescatori del passato, resta latente il desiderio, quasi un sogno, di potersi cimentare con la grande decorazione murale. Cessata la committenza della Chiesa e finita l’aristocrazia, sembrò di poter trovare nel fascismo un nuovo committente per opere di vasto impegno e così, agli inizi degli anni trenta, un gruppo di animosi tra i quali Funi, De Chirico, Soffici e Sironi in testa, ripensarono e si disposero per la pittura murale.

Sironi era il più adatto, l’unico artista italiano che possedesse tutte le qualità per tradurre in immagini anche la “retorica” mussoliniana, e dicendo retorica intendiamo riferirci al senso più vero e antico del termine, quello della “celebrazione”. Il Nostro, d’altra parte era uno di quegli uomini che non chiedono e non pretendono, il risultato fu che ebbe pochi incarichi di lavoro che non riuscirono neppure a toglierlo una volta per tutte dall’indigenza, come apprendiamo da una lettera alla moglie del 1936.

Mario Sironi-Affresco Aulamagna università di Roma
Mario Sironi, Affresco Aulamagna università di Roma

Sironi alterna le sue fatiche tra il quadro nello studio, l’affresco e il mosaico in edifici pubblici, ma qualsiasi cosa dipinga un empito di grandezza lo accompagna al punto che perfino una natura morta di poveri oggetti assume nei suoi dipinti la forza e il piglio di un monumento, senza enfasi e orpelli ma solo una vitalità che sembra sempre in procinto di forzare le forme, tese fino all’inimmaginabile. Tutta l’arte di questo solitario è una dimostrazione di forza vitale, un impeto arcaico e barbarico, un primitivismo che conosce Michelangiolo.

La stessa rappresentazione della romanità passa in lui attraverso il varco abissale aperto dal Romanticismo, e i suoi eroi, operai, contadini e pescatori, partecipano dell’angoscia moderna che rende ormai incapaci di attingere alla sublime indifferenza del mondo classico. Anche le rocce, che fanno spesso da fondale ai suoi scabri paesaggi, di quelle giottesche conservano appena l’impianto serrato mentre una inquietudine nuova le pervade, quella di un tempo in cerca di sé stesso ma che non può non indulgere alle nostalgie anche quando pensa di dover costruire una nuova storia.

Per aver prestato il proprio ingegno e la propria opera a un sogno di rigenerazione, che si concretizzò con il nome di fascismo e la guida di un socialista ribelle, Sironi si vide messo all’indice quando il regime crollò e ne prese il posto una pseudo democrazia carica di livori e rivendicazioni.

Solo ora la cultura veniva a subire una egemonia ottusa e restrittiva, come dovettero ammettere costernati i migliori antifascisti, si pensi a Leonardo Sciascia, proprio ora che tutto veniva ammantato sotto l’onnicomprensiva parola di libertà.

La colpa di questo uomo probo resta quella di aver prodotto un’arte celebrativa del regime, non importa se la qualità di quest’opera è tale da porre oggi l’arte italiana in prima fila nel Novecento europeo, questo lo lasciamo dire agli stranieri, da noi non si ebbe rispetto per la nobiltà del suo carattere, né si riuscì a comprendere che le sue “periferie urbane” urlavano in anticipo la tragedia delle città come lo costatiamo ai nostri giorni.

Mario Sironi -Periferia urbana
Mario Sironi, Periferia urbana

Nel dopoguerra, quando le sue allegorie senza festa ma partecipi di un rito, venivano interdette alla vista del pubblico o se ne cancellavano meschinamente i simboli del regime caduto, Sironi dipinge le rovine, non solo di quella perduta speranza ma di tutta una civiltà, quella dell’Europa caduta in un letargo senza scadenze. Del suo impeto di forte pittore restano gli sprazzi di luce sfuggenti dagli interstizi delle rovine in un contesto dove cielo e terra hanno la stessa pesantezza o la stessa inconsistenza.

La critica ufficiale pronta a sdilinquirsi davanti al funambolo dell’ultima ora, pensava di poter liquidare Sironi e la sua opera con poche battute di benservito. Ma gli artisti veri hanno radici profonde in grado di accestire ancor più nell’oscurità e nelle intemperie, pronte a mostrare sempre nuovi germogli al rinnovarsi delle stagioni e delle generazioni.

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Mario Sironi - Fata Morgana
Mario Sironi, autoritratto
Mario Sironi, autoritratto

“L’Indipendente”, Milano 10 dicembre 1993