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Le fiabe russe di Marc Chagall

Marc Chagall, Over the town, 1918
Marc Chagall, Over the town, 1918

… Con le scoperte, sollecitazioni che riceve, e le scelte che deve compiere, inizia per Chagall  quell’impegno di fedeltà etnica e razziale, quel sentirsi russo e ebreo che resterà la sua costante per la vita.

Chagall- Il Rabbino di Vitebsk

Il Rabbino di Vitebsk

Dell’ebreo ha la volontà di conservazione nel rinnovamento, la consapevolezza di che cosa rappresenti per gli ebrei il mantenere modi, usanze e credenze; del russo ha la dimensione del sogno, la poeticità, il gusto della fiaba, la malinconia unita sempre alla gaiezza, quel sorridere del bambino anche in una pausa del pianto.

La letteratura russa ci ha fatto conoscere la strana e spesso difficile convivenza tra russi e ebrei, rivelando però la particolare affinità, almeno fra gli umili, soprattutto nella sopportazione, tra due razze apparentemente assimilabili e in realtà inconfondibili: una stessa disposizione, nel passato, a sentirsi vittime senza speranza se pure entrambe portatrici di una fede messianica e salvifica. Son forse gli ebrei russi, più russi e più ebrei?

Certo è che il desiderio di restare russo, vivificare l’arte russa e mantenere lo spirito popolare di quel paese, come possiamo rilevarlo nell’ebreo Chagall, non è facile a ritrovarsi nei russi autoctoni, spesso ammaliati dalle novità della vecchia Europa e pronti a sposare senza ripensamenti esperienze, anche le più effimere, che giungano magari dalla Ville Lumière.

Chagall-il venditore di giornali

Il venditore di giornali

Chagall guarda alle novità europee, ne fa tesoro ma resta russo. Comprende bene di quali possibilità sia stato portatore l’impressionismo, ne ha sentore in Russia e la riprova a Parigi, sugli originali. Lo ricorderà nell’autobiografia: «Fu il Louvre a mettere fine a tutte le mie esitazioni. Dopo aver fatto il giro della sala tonda del Veronese e delle sale dove sono Manet, Delacroix, Courbet, non cercavo più nient’altro. Nella mia immaginazione la Russia appariva come un pezzo di carta sospesa a un paracadute. La pera oblunga del pallone, si librava, si raffreddava e discendeva lentamente nel corso degli anni [...], rimorchi dell’Occidente […]. L’Impressionismo russo più autentico lascia perplessi se lo si confronta a Monet o a Pissarro».

Dalla pittura impressionista, cubista, futurista, Fauve, o che altro, Chagall apprende la possibilità della trasgressione, la libertà tout-court, quella che fin da ragazzo ha sentito come fondamentale necessità della propria natura nell’agire, nell’arte, nella religione, nei rapporti con gli altri e con sé stesso. Proprio per questo, pur accettando qualcosa da tutte le scuole e correnti, non vorrà legarsi a nessuna di esse. Con la trasgressione pensa di vivificare la tradizione, quella della sua razza uscendo dai divieti e quella del popolo russo restando nella dimensione della fiaba.

Sfidando il Talmud e le raccomandazioni dell’Esodo: «né idolo né immagine», riproporrà uniti la legge mosaica e il messaggio cristiano, incurante dell’antico perentorio divieto alla rappresentazione della figura umana. Per lui ogni apporto può essere salutare purché gli permetta di restare sé stesso, quel sé stesso con alle spalle Mosé e attorno la grande anima russa, unite dalla sua fantasia d’artista in una visione cristiana.

Se Chagall non fosse stato a Parigi, se non avesse conosciuto la Berlino espressionista se si fosse abbandonato al folklore russo senza l’apporto salutare e dell’impressionismo e del cubo-futurismo, avremmo avuto una stanca riedizione di quell’esausta iconografia che va dai soggetti religiosi alle illustrazioni xilografiche delle fiabe, di gusto orientaleggiante e popolaresco.

Chagall, pur essendo profondamente impregnato dello spirito russo e della tradizione ebraica, comprende che solo con le armi che gli può offrire Parigi riuscirà a imporre anche il folklore del proprio paese, una volta reso appetibile ai palati moderni dalla salsa stuzzicante delle avanguardie.

Così armato potrà rappresentare ciò che vorrà, anche i temi sacri, una volta immersi nell’aura di fantasia e astrazione che nutrono il suo mondo. Troveremo così la festa e la mestizia assieme, nella duplice veste di farsa e di tragedia, di sacro e di profano confusi nelle rappresentazioni della Bibbia o del circo, della vita di paese o della propria, spesso in termine di riferimento e confronto.

Il mondo moderno ha liberato l’artista, si dice, ma lo ha costretto a ripiegare sul proprio io; non più la città-stato, il principe o la Chiesa da servire, ma con il solo impegno rimasto, che è quello di soddisfare la propria natura di poeta, di costruttore (anche nella dissoluzione) di cantore, anche nel pianto.

Ecco che, esempio tra gli esempi, Chagall propone sempre e solo Chagall: una scena di funamboli o una crocifissione, nella sua opera si equivalgono; Mosè è un pope, o magari lo Czar, che guida e istruisce un popolo di mugiki, di mercanti ebrei, di straccioni pronti a ballare nel giorno di festa, sorretti dal conforto dell’acquavite. È tutto profano? È tutto sacro? Forse nessuno dei due ed entrambi collegati da un alone di fiaba.

I suoi quadri hanno motivi ricorrenti, motivi antichi carichi di memorie: «una capra dal viso semita» – come ha cantato Saba – un gallo, un asino, una colomba; animali che popolano la Bibbia, il Vangelo e le giornate giovanili del pittore nella modesta esistenza a Vitebsk e che continueranno a seguirlo con la folla, gli abitanti di un intero paese che partecipano all’evento del quadro. Sembra di ritrovare le antiche scene sacre dipinte da Hieronymus Bosch, nelle quali lo stesso Cristo si perde nella confusione generale. Chagall rimedia, almeno per i protagonisti, ingigantendo la figura al modo dei pittori primitivi, e come loro divide la composizione in scene diverse, con colorazioni complementari e compenetrazioni, secondo la lezione futurista.

Delle origini della propria fantasia ha scritto lui stesso, abituato fin da bambino alle stranezze della sua gente: il nonno che sparisce e viene ritrovato sul tetto, tranquillo e intento a mangiar carote, sul tetto della piccola casa che lo farà sembrare enorme, stagliato contro il cielo chiaro.

«Ecco quanto mi ha raccontato ancora mia madre di suo padre, mio nonno di Lyozno. O forse l’ho sognato - Le feste di Sukkoth o di Simchat-Torah! - Lo si cerca dappertutto. - Dov’è, dov’è? Era accaduto che, dato il bel tempo, il nonno s’era arrampicato sul tetto e, seduto sulle tegole, sgranocchiava delle carote, Mica male per un quadro»

Un’immagine destinata a tornare nella mente, nei quadri e negli scritti del pittore acquistando il sapore e il valore di una licenza poetica scritta nel cielo bianco come le distese innevate del suolo russo e che farà gridare la gioia di Chagall: «Sia benvenuta la nostra follia».

Chagall-L'ebreo in rosa

L'ebreo in rosa

Una felice follia che si presterà alle esercitazioni preferite dalla critica, più disposta a inseguire stravaganze, ghiribizzi e libertà dell’artista, che non a cercare e riconoscere i valori irrinunciabili dell’opera d’arte al di fuori e al di sopra di ogni fantasia. Chi non ha visto e rivisto, citata e riprodotta La passeggiata presa a prototipo e riferimento per l’arte di Chagall? In realtà una composizione piuttosto squilibrata, dove si vede l’artista tiene per mano la fidanzata volteggiante sullo sfondo del cielo, in un paesaggio ridotto a un assemblaggio di forme meccaniche colorate di un verde crudo e monotono.

La serena follia del pittore è comunque da lui stesso esorcizzata in un alone di poesia e di forte istinto pittorico, le stesse doti che lo sostengono quando sguazza liberamente nell’eclettismo, inseguendo un proprio filone narrativo rinnovato strada facendo dall’estro dell’improvvisazione e della volubilità.

Un esempio: sono dello stesso anno, 1914, Il rabbino di Vitebsk, ritratto di composizione austera e controllatissima nella forma e nel colore, modernissimo e pur degno di un antico, e Il venditore di giornali o L’ebreo in rosa, ritratti dalla composizione tanto più libera, frammentaria e stilisticamente non assimilabile alla prima. Il rabbino di Vitebsk, assurge a simbolo di valore universale, gli altri due ritratti restano la rappresentazione legata a un luogo e a un tempo preciso, seppure di buona qualità pittorica. Diversi aspetti, festosi e disordinati appartenenti al mondo compiuto di Chagall, un mondo capace di assorbire diversità e ambivalenze nel segno costante della poesia.

Pian piano, con il passar degli anni, la fiaba russa finirà per ambientarsi fino a confondersi nel paesaggio parigino che somiglierà sempre più a quello russo: un paesaggio magari lontanante dietro la Torre Eiffel, reinventato e plasmato in miniatura secondo Ensor-Chagall, una volta eletto a proprio dispotico regno.

Nei dipinti della maturità un groviglio di fili colorati e contorti invadono la scena, è il disegno che torna a riappropriarsi delle figure e sottrarle all’invadenza del colore tendente a straripare da una forma all’altra. Scorrono ora sotto il pennello dell’esperto dipintore le composizioni bianche che rievocano i candori dell’inverno russo, i bleu notturni che i tremori del fanciullo popolavano di paura e di poesia, il rosso del fuoco, il giallo del sole e il verde della primavera sempre attesa. Colori che lo accompagnano nella lunga vecchiaia mantenendogli intatta la gioia di vivere.

Nato a Vitebsk una cittadina della Russia Bianca, sulle rive della Dvina, venuto a Parigi per vedere, capire e riportare linfa vitale da immettere nell’arte del proprio paese, poté salutare l’illusione della Rivoluzione d’Ottobre, e sfuggirne presto gli orrori. Incapace di sopportare le regole comuni, non poteva certo accettare imposizioni che negavano il senso più vero e umano della vita.

Tornando in Europa per stabilirsi in Francia, Chagall si rendeva conto che ormai non era necessaria la sua presenza in Russia né il contatto con la sua gente per esserne il cantore. Ovunque si trovasse sarebbe stato il proprio mondo interiore, fissato una volta per tutte, a emergere e imporsi come il simbolo indelebile di una razza e di un paese.        

Uscito su “L’Indipendente” - Milano 1993