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Avanguardia e tradizione nelle opere di Natalija Goncarova e Michail Larionov. I due maggiori futuristi russi

Red and blue rayonismo (beach), M. F. Larinov, 1911
Red and blue rayonismo (beach), M. F. Larinov, 1911

Per comprendere il tipo di unione che legò per l’intera vita Michail Larionov e Natalija Concarova occorre tener presente la sostanziale differenza tra lo spirito che informa il rapporto uomo-donna nella cultura europea e mediterranea in particolare e quello che permea invece la cultura russa eternamente oscillante tra il realismo occidentale e l’immaginario orientale.

La loro letteratura è spesso rivelatrice in tal senso delineando un tipo ricorrente di donna amica-amante, un eterno femminino spesso protagonista di legami come di parentela, per un verso volontariamente indissolubili e per l’altro aperti e disponibili secondo l’incalzare degli eventi: si pensi a certe eroine del teatro di Cechov e alla figura di Lara e del suo travagliato rapporto con Zivago, nel romanzo di Pasternak, tanto per fare due riferimenti.

Larionov e la Goncarova avevano inoltre in comune il mondo dell’arte: tutti e due pittori, eppoi scenografi e costumisti, tutti e due disponibili a un tipo di dialogo anche nel campo della creatività, insolitamente capace di rafforzare il vincolo della loro unione. Si stimavano e si sostenevano a vicenda senza mai pensare a dipendenze o a quanto l’uno potesse influenzare l’altra, avendo addirittura teorizzato che una coppia ha gli stessi meriti e diritti dell’originale.

Si erano conosciuti ventenni frequentando a Mosca gli stessi luoghi dove si davano lezioni di disegno e pittura; la Goncarova aveva iniziato la propria ricerca pittorica con Larionov accanto e il rapporto con quest’uomo per più versi affascinante e stimolante arrivò alla simbiosi naturale e necessaria. L’ansia di conoscenza e di rinnovamento, già propiziata in Russia dalla riforma di Pietro I° e ora incalzata dai contatti con le avanguardie europee, li trovava uniti nell’adesione, entusiasta ma non priva di quell’autonomia critica connaturata al loro spirito profondamente russo.

Conquistati dal gusto iconoclasta del Futurismo italiano, anche gli artisti russi avevano stilato un manifesto, Schiaffo al gusto del pubblico, e gridato che occorreva mettere al bando Puskin e Tolstoi, ma il legame con la tradizione era in loro ben più prepotente che non in Europa.

La stessa Goncarova non darà adito a dubbi scrivendo, nel 1911, che “la grande arte, quella seria, non può che essere nazionale. Privandoci dei risultati della Russia del passato l’arte taglia le proprie radici. Non voglio dire che le influenze straniere siano pericolose o inutili. Ma ciò che è straniero deve fondersi con ciò che ci appartiene. Solo così nascerà una grande forza che farà avanzare l’arte”. Un nazionalismo che pure faceva le sue scelte interne tra intelligencija e popolo, cultura contadina e cultura urbana, con i loro assi referenti nella gerarchia o nella democrazia, ma russi restavano.

Apollinaire definirà la Gocarova “Capo dei futuristi russi”, in effetti Cubismo e Futurismo saranno visti da lei e da Larionov come un prezioso contributo che cercheranno di far proprio chiamandolo Raggismo, eppoi inventando il Tuttismo, sfruttando l’infantilismo popolare e muovendosi in un eclettismo senza complessi.

Nel 1913, per una personale della Concarova a Mosca, Larionov scriverà la presentazione lasciandola firmare a lei: “Sono passata attraverso tutto quel che partendo dall’occidente, la mia patria ha creato. Ora scuoto la polvere dei miei calzari e mi allontano.(...) La mia strada va verso la fonte originaria di tutte le arti, verso l’Oriente”. La Goncarova aveva un estro inventivo prepotente e una fantasia sbrigliata portata alla decorazione di gusto tipicamente femminile; la pittura occidentale da cavalletto cedeva il posto alle arti decorative russe e, curiosamente, proprio dallo studio della tradizione trovava un proprio spazio nella modernità.

Larionov era maggiormente immerso nelle esperienze di provenienza europea, ma era anche un lettore instancabile di tutto ciò che trattasse della tradizione russa. Colto e dotato di carisma personale divenne il riferimento per le varie esperienze in atto nel Paese, lo stesso Majakovshij, poeta che aveva studiato pittura, ammetterà di essere passato attraverso l’insegnamento di Larionov.

Sognatori impenitenti, in quel momento di utopie fantasiose, immaginarono l’arte come il tramite per una nuova alleanza all’interno della società, e per portare l’arte tra la gente Larionov si dipingeva il viso come un pellerossa, questa volta sul sentiero di pace. Con la faccia dipinta ogni giorno in maniera diversa, passava tra la folla; la gente lo guardava stupita, i giornali ne fecero un caso, l’arte conquistava la strada.

Larionov e la Goncarova non sono due grandi pittori, almeno secondo il metro europeo di giudizio, ma rappresentano un tempo e un luogo: il tempo delle ricerche e delle speranze e il luogo dei loro sogni che era la cultura russa, imbevuta d’Oriente, ridestata dalle avanguardie. Ma proprio la Russia, l’oggetto del loro interesse amoroso, non era in grado di comprenderli e iniziarono quella diaspora verso la capitale francese per un momento comune agli artisti del mondo intero. A Parigi il polo d’attrazione e la fonte di lavoro e di successo sarà il teatro con quelli che divennero i mitici Balletti Russi per i quali il loro inventore regista, Sergej Dijagilev, invitava i pittori a collaborare.

Collaborare alle scene e ai costumi dei Balletti voleva dire il successo, e in molti aderirono all’invito di Dijagilev, anche se spesso finirono per perdersi nelle grandi dimensioni o smarrirsi una volta tornati al cavalletto. Ora lo sguardo del pubblico non poteva limitarsi alle sole evoluzioni dei ballerini, il circo era ormai a tre piste compenetrate tra loro, la novità piacque, incuriosì, entusiasmò.

In Larionov e nella Goncarova, Dijagilev trovò due preziosi collaboratori che potevano completare i suoi progetti; se Picasso e gli altri artisti dell’avanguardia francese, messi alla prova avevano prodotto il necessario shock, i due russi erano in grado di ritrovare le fonti genuine del Balletto essendo partecipi dello stesso spirito che muoveva l’inventore-regista.

La Russia delle incisioni popolari, delle insegne dei negozi e della decorazione ingenua dai colori vivi e insistiti riconquistò per intero la scena, l’idea di un’arte nazionale, dalle radici da ritrovare e valorizzare aveva vinto. Dal 1914 al 1925, l’intera durata dei balletti divenuti celebri in Europa e in America, i due artisti russi lavorarono alacremente per Dijagilev finendo per immedesimarsi, loro malgrado, in questa attività teatrale che diverrà parte integrante della loro opera pittorica.

Se Larionov poteva affiancare Dijagilev nell’intera organizzazione, la Goncarova proprio nelle scene e nei costumi ritrovava le raffinatezze da fiaba orientale rielaborate su istanze moderne. Così la coppia insolita dei due artisti-amanti conobbe il nomadismo della gente di teatro, ne restò segnata e di quel mondo continua a vivere la loro opera mantenendo inalterata la curiosità fino ai nostri giorni.                     

Milano, 4 maggio 1996