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Market abuse e riciclaggio.

Market abuse e riciclaggio.

Nella enumerazione che ciascuno di noi, studiosi o operatori, legislatori o regulators, può esercitarsi a redigere in materia di reati finanziari, categoria nella quale per brevità si devono necessariamente sussumere le innumerevoli fattispecie di “virus”che stanno infettando i sistemi economici internazionali soprattutto in questi ultimi anni, nonostante i richiami dell’attualità normativa, non si pone ancora l’attenzione dovuta al reato di riciclaggio.

Un reato che diventa “fenomeno”, che è il sottostante di più o meno tutte le operazioni finanziarie (e non solo) compiute quotidianamente sui mercati.

Ne esaminiamo di seguito le principali caratteristiche e, soprattutto, le implicazioni economiche, non senza aver tentato una sistematizzazione giuridica del quadro normativo esistente.

1. La fattispecie “riciclaggio ”

La presa d’atto dell’esistenza del fenomeno è risalente, e si fa grazia a chi ci legge degli innumerevoli passaggi normativi, sia primari che secondari, nazionali e sovranazionali, che ancora oggi fanno di questo reato una fattispecie assai complessa, della quale in verità è più immediato comprendere le implicazioni economico-finanziarie che quelle legali .

Solo tre direttive europee devono essere citate, perché ognuna di esse segna la cadenza degli interventi del legislatore nazionale e ci agevola nella comprensione delle sue scelte:

- direttiva 91/308/CEE del 10 giugno 1991, la quale ha avviato in sede europea l’imposizione di presìdi contro il riciclaggio attraverso l’apposizione di paletti all’attività degli intermediari finanziari. La logica è stata quella che ci piace chiamare “dei posti di blocco”, ossia di una serie di sbarramenti che potessero consentire di prevenire, più che di reprimere, l’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio ;

- direttiva 2001/97/CE del 4 dicembre 2001, con la quale si sono ampliati gli elenchi dei soggetti obbligati all’adozione delle misure sopra descritte. Ciò stante la recrudescenza del fenomeno, soprattutto realizzata attraverso la ricerca, da parte della criminalità organizzata, di nuovi canali e modalità mediante le quali reimpiegare il denaro di provenienza illecita o semplicemente attuare il suo inserimento nel circuito economico. Con questo provvedimento comunitario, appena recepito in Italia con i decreti del Ministero dell’Economia del 3 febbraio 2006, la lotta al riciclaggio (rectius, la prevenzione del reato e soprattutto dei suoi effetti destabilizzanti per le strutture colpite e per i mercati di riferimento) diventa non più solo appannaggio degli intermediari finanziari (che erano i primi ovviamente da testare sulla materia), ma, ad esempio, dei liberi professionisti (legali, revisori, commercialisti, notai) e di altri soggetti non finanziari (come i grossisti di metalli preziosi, i galleristi, le case d’asta e da gioco, etc) ;

- direttiva 2005/60/CE del 26/10/2005, da attuarsi entro la fine del 2007, che enfatizza – laddove ve ne fosse ancora la necessità – la “criminalizzazione” del riciclaggio come reato destabilizzante per l’economia, ma, soprattutto, essa arriva ad ipotizzare, per i soggetti obbligati (il cui novero viene tra l’altro esteso ad altre imprese non finanziarie) una vera e propria “profilatura antiriciclaggio” della clientela. La regola base del business, la nota “know your customer rule”, utilizzata (ed utile) come non mai per la prevenzione di impieghi fraudolenti delle strutture dell’intermediario finanziario o della impresa sana, si trasforma da metodologia ermeneutica (che, nella prassi operativa è il maggior coadiuvante nella discoperta di anomalie censurate dalla norma), affidata alla soggettività dell’operatore, in “sistema di rating”.

2. Rating e riciclaggio: la tesi e l’antitesi

Proprio riagganciandoci a quest’ultima proposizione cerchiamo di giungere (non senza qualche ambizione!) alla definizione di un iter comune per la prevenzione delle anomalie del mercato che rivengono da manipolazioni dello stesso e nello stesso operate.

Non è contraddittorio rispetto alle opinioni di cui al precedente paragrafo affermare che solo chi conosce il cliente, solo chi è più prossimo (poiché in qualche modo partecipe) all’operazione di mercato che si vuole attenzionare è compiutamente in grado di disporre degli elementi per poterla censurare in via preventiva e, di conseguenza, sottoporla al vaglio delle autorità preposte all’approfondimento finanziario ed investigativo.

La “oggettivizzazione” che ci si propone di raggiungere in subjecta materia non può che essere letta come deterrente “di primo livello” nei confronti delle devianze cui stiamo facendo riferimento.

In altre parole, così come nel settore del credito il rating è indubbiamente utile a catalogare e segmentare la clientela per macro aree, per poi affidare a chi dovrà materialmente erogare il credito stesso la valutazione finale circa la sua meritevolezza, nel settore della prevenzione dei reati finanziari sistemi automatizzati di monitoraggio della clientela, delle movimentazioni e dei rapporti, non possono che rivelarsi di positivo supporto al giudizio conclusivo che i responsabili delle strutture di controllo dovranno formarsi, onde segnalare eventuali anomalie a chi dovrà perseguire i crimini che ne dovessero derivare.

E’ assai vivo il dibattito, e veniamo al punto, sull’obbligo di segnalazione di operazioni sospette di riciclaggio che è stato posto a carico anche di soggetti, come i liberi professionisti e taluni commercianti, di sicuro meno dotati – rispetto alle più sperimentate realtà imprenditoriali del settore della finanza – di expertise e di strumenti per una efficace ottemperanza alle prescrizioni sopra citate.

La norma italiana di riferimento, l’art. 3 della legge 197 del 1991, è in verità alquanto vaga, poiché lega la valutazione del “sospetto” a caratteristiche qualitative della/e operazione/i posta/e in essere dal soggetto da segnalare a parametri soggettivi del medesimo (quali l’attività svolta e la capacità economica) ben più difficili da approfondire date le informazioni obiettivamente in possesso dell’operatore.

Qui un rating del soggetto sarebbe una bella bombola di ossigeno per l’asmatico sistema delle segnalazioni, che continua a produrre dati sconfortanti nonostante un significativo incremento negli ultimi anni : basta non fare l’errore di ritenere, lo si ripete, che esso sia esaustivo dell’obbligo!

3. L’obbligo di segnalazione nella normativa antiriciclaggio

Quanto appena ricordato è temperato, nelle sue conseguenze vuoi psicologiche (relazionali), vuoi metodologiche, da due opportune precisazioni che la legge stessa opera, ma che le Autorità di vigilanza non si stancano di ribadire:

- la segnalazione de qua non costituisce notizia di reato, bensì un adempimento di carattere amministrativo, di vigilanza, che non porta ad alcuna conseguenza di carattere processuale per il soggetto segnalante, sia che quest’ultimo abbia colto la negatività del comportamento del cliente, sia nel caso in cui abbia avuto un eccesso di zelo;

- in un documento del 12 gennaio 2001, noto al settore finanziario come “Decalogo-ter” della Banca d’Italia, è stato efficacemente spiegato agli intermediari finanziari (così come oggi agli altri soggetti coinvolti viene ribadito nei citati decreti ministeriali) che la segnalazione di operazione sospetta non può avere alla base alcun elemento di reato, poiché all’operatore non possono essere richieste valutazioni di tipo “parainvestigativo”, ma unicamente delle sue considerazioni circa il merito delle operazioni oggetto delle anomalie. Nel documento dell’Autorità di vigilanza, scritto di intesa con l’UIC, la CONSOB e l’ISVAP, si forniscono poi tutta una serie di suggerimenti e di indicazioni operative per l’implementazioni di misure idonee, anche di controllo interno, a salvaguardare l’integrità aziendale da comportamenti (sia della clientela che degli operatori stessi) non conformi alle regole di sana e prudente gestione e di stabilità che, in buona sostanza, le prescrizioni in discorso mirano a tutelare .

Malgrado queste cautele, la segnalazione continua ad essere vista come fenomeno “anticommerciale”, ai limiti della delazione, per cui l’effettività e l’efficacia di questo “posto di blocco” si stanno progressivamente vanificando. Con ciò non si vuole assolutamente affermare che lo strumento segnalatorio può portare più rapidamente a soluzione le problematiche relative all’inquinamento del mercato finanziario da parte di soggetti che, non va dimenticato, sono “colletti bianchi”, spesso insospettabili prestanome di articolazioni malavitose più complesse e, per ciò stesso, permeabili solo – quando vi si riesce – ad indagini condotte con sofisticati strumenti in possesso unicamente delle forze di polizia .

4. La segnalazione di “abusi di mercato”

Come è noto, la direttiva europea 2003/6/CE sul cosiddetto market abuse ha apportato anche nel nostro ordinamento il concetto di “manipolazione del mercato” quale comportamento censurabile ai fini di una tutela del bene supremo del regolare andamento delle contrattazioni e di tutte le operazioni che siano fondate sulla fairness connaturata al luogo primario di incontro tra la domanda e l’offerta di risparmio e di investimenti .

In questa sede non appare irrilevante il parallelismo tra lo strumento scelto dal legislatore delegato e quello del già citato legislatore delle normativa contro il riciclaggio.

L’implementazione, nel Testo Unico della Finanza, delle misure previste dalla Legge n. 62/2005 (di recepimento della suddetta direttiva) ha previsto anch’essa il meccanismo della “segnalazione” quale deterrente contro comportamenti non in linea con le best practice di mercato.

In particolare, una segnalazione che possiamo definire “preventiva”, statuita dall’art. 114 del TUF, il quale – al comma 7 – obbliga i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, controllo o direzione in un emittente quotato e tutti i dirigenti che abbiamo regolare accesso a informazioni privilegiate, nonché i soci che posseggano più del 10% del capitale sociale o il controllo dell’emittente quotato, a comunicare alla Consob e al pubblico le operazioni che essi effettuino (anche per interposta persona) sulle azioni o altri strumenti finanziari emessi dall’emittente stesso.

Quest’obbligo, pur avendo carattere preventivo e quindi comune a quello antiriciclaggio, mal si presta ad una effettiva comparazione, poiché si sostanzia in una “comunicazione al mercato” di operazioni senza alcun fumus di irregolarità.

Non appare ultroneo aggiungere che sia la citata legge 62/2005 sia la riforma del risparmio, attuata con legge n. 262/2005, hanno ampliato il novero dei momenti di confronto il tra mercato e i suoi attori, nell’ottica di una sempre più trasparente gestione sia degli emittenti che degli intermediari, nonché delle strutture organizzative coinvolte.

E’ invece singolare la novità introdotta dalla Consob nel regolamento n. 11768 del 1998, peraltro a seguito dell’introduzione dell’art. 187 – nonies del TUF da parte della nominata legge 62/2005.

La norma primaria introduce un vero e proprio, questo si, obbligo di segnalazione di operazioni sospette di market abuse.

In particolare, tutti i soggetti abilitati e le società di gestione del mercato devono segnalare “senza indugio” alla Consob le operazioni che, “in base a ragionevoli motivi”, possono ritenersi configurare una violazione delle disposizioni di cui al titolo I-bis del TUF stesso (titolo per l’appunto dedicato all’abuso di informazioni privilegiate e manipolazioni del mercato) delle quali siano a conoscenza.

La Commissione ha fatto seguire a questa disposizione gli articoli dal 63 al 69 del citato regolamento mercati, e varie note esplicative, tra le quali la comunicazione n. DME/6027054 del 28 marzo 2006, che è seguita a quella (in questa sede più utile) del 29 novembre 2005.

Il complesso di regole e comportamenti emergente dal corpus normativo appena evidenziato appare di primario rilievo a chi scrive come il legislatore ancora una volta eserciti una opzione nei confronti della “soggettività” e “personalizzazione” del rapporto tra evento da segnalare e complesso di circostanze che inducono segnalare il determinato evento.

In altri termini, sulla scorta dell’esperienza antiriciclaggio (che sembrerebbe qui essere quasi pedissequamente replicata), si fa ricorso all’affidamento di poteri “paraispettivi” ai soggetti obbligati, poteri che però, a ben guardare, non sono altro che una esplicitazione funzionale e finalizzata dell’ampio genus di regole e procedure ascrivibili ai controlli interni.

La prevenzione delle manipolazioni del mercato e del riciclaggio è cioè affidata alla segnalazione alle Autorità competenti, giammai a denunce all’Autorità di polizia, di comportamenti anomali dei soggetti esposti, in ossequio, peraltro, a meccanismi già sperimentati sui mercati più evoluti.

Altro elemento comune è la predisposizione, sempre da parte del regulator di settore, di una casistica esemplificativa e volutamente non esaustiva che aiuti l’operatore nella prefigurazione della tipologia di comportamento che possa essere oggetto di approfondimento.

Ci stiamo riferendo agli “indici di anomalia” contenuti nel più volte citato decalogo-ter contro il riciclaggio (cfr. parte II del documento) ed a quelli ripresi dalla Consob, e indicati dal CESR, nella comunicazione n. DME/5078692 del 29 novembre 2005.

Ci viene da fare qualche obiezione a quest’ultimo contesto segnalatorio solamente riguardo alle modalità della segnalazione, laddove al meccanismo più “blindato” previsto dall’UIC per le operazioni di riciclaggio, la Consob ne preferisce uno più “aperto”, in quanto l’art. 67 del regolamento mercati consenti la segnalazione anche per posta elettronica, per fax o telefono.

Positiva risulta invece, a conferma di quanto abbiamo tentato di dimostrare in questo scritto, la considerazione del grado di invasività che le due tipologie di reato hanno sul mercato e sui suoi protagonisti, operata dal legislatore del D. Lgs. 231 del 2001 , riguardante la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per i reati commessi da soggetti apicali o dipendenti e collaboratori.

Come noto, sono stati ritenuti sensibili ai fini della predisposizione dei cosiddetti “modelli di prevenzione” di cui al citato decreto anche i reati del TUF, come aggiornati dai recenti interventi legislativi e, più recentemente (con la legge comunitaria per il 2005), quello di riciclaggio, operandosi in tal modo un trait d’union tra i più efficaci ai fini della considerazione delle figure comportamentali di cui abbiamo disquisito e, soprattutto, della rilevanza sociale che il loro disvalore assume per il buon funzionamento del mercato nel suo complesso .

Market abuse e riciclaggio.

Nella enumerazione che ciascuno di noi, studiosi o operatori, legislatori o regulators, può esercitarsi a redigere in materia di reati finanziari, categoria nella quale per brevità si devono necessariamente sussumere le innumerevoli fattispecie di “virus”che stanno infettando i sistemi economici internazionali soprattutto in questi ultimi anni, nonostante i richiami dell’attualità normativa, non si pone ancora l’attenzione dovuta al reato di riciclaggio.

Un reato che diventa “fenomeno”, che è il sottostante di più o meno tutte le operazioni finanziarie (e non solo) compiute quotidianamente sui mercati.

Ne esaminiamo di seguito le principali caratteristiche e, soprattutto, le implicazioni economiche, non senza aver tentato una sistematizzazione giuridica del quadro normativo esistente.

1. La fattispecie “riciclaggio ”

La presa d’atto dell’esistenza del fenomeno è risalente, e si fa grazia a chi ci legge degli innumerevoli passaggi normativi, sia primari che secondari, nazionali e sovranazionali, che ancora oggi fanno di questo reato una fattispecie assai complessa, della quale in verità è più immediato comprendere le implicazioni economico-finanziarie che quelle legali .

Solo tre direttive europee devono essere citate, perché ognuna di esse segna la cadenza degli interventi del legislatore nazionale e ci agevola nella comprensione delle sue scelte:

- direttiva 91/308/CEE del 10 giugno 1991, la quale ha avviato in sede europea l’imposizione di presìdi contro il riciclaggio attraverso l’apposizione di paletti all’attività degli intermediari finanziari. La logica è stata quella che ci piace chiamare “dei posti di blocco”, ossia di una serie di sbarramenti che potessero consentire di prevenire, più che di reprimere, l’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio ;

- direttiva 2001/97/CE del 4 dicembre 2001, con la quale si sono ampliati gli elenchi dei soggetti obbligati all’adozione delle misure sopra descritte. Ciò stante la recrudescenza del fenomeno, soprattutto realizzata attraverso la ricerca, da parte della criminalità organizzata, di nuovi canali e modalità mediante le quali reimpiegare il denaro di provenienza illecita o semplicemente attuare il suo inserimento nel circuito economico. Con questo provvedimento comunitario, appena recepito in Italia con i decreti del Ministero dell’Economia del 3 febbraio 2006, la lotta al riciclaggio (rectius, la prevenzione del reato e soprattutto dei suoi effetti destabilizzanti per le strutture colpite e per i mercati di riferimento) diventa non più solo appannaggio degli intermediari finanziari (che erano i primi ovviamente da testare sulla materia), ma, ad esempio, dei liberi professionisti (legali, revisori, commercialisti, notai) e di altri soggetti non finanziari (come i grossisti di metalli preziosi, i galleristi, le case d’asta e da gioco, etc) ;

- direttiva 2005/60/CE del 26/10/2005, da attuarsi entro la fine del 2007, che enfatizza – laddove ve ne fosse ancora la necessità – la “criminalizzazione” del riciclaggio come reato destabilizzante per l’economia, ma, soprattutto, essa arriva ad ipotizzare, per i soggetti obbligati (il cui novero viene tra l’altro esteso ad altre imprese non finanziarie) una vera e propria “profilatura antiriciclaggio” della clientela. La regola base del business, la nota “know your customer rule”, utilizzata (ed utile) come non mai per la prevenzione di impieghi fraudolenti delle strutture dell’intermediario finanziario o della impresa sana, si trasforma da metodologia ermeneutica (che, nella prassi operativa è il maggior coadiuvante nella discoperta di anomalie censurate dalla norma), affidata alla soggettività dell’operatore, in “sistema di rating”.

2. Rating e riciclaggio: la tesi e l’antitesi

Proprio riagganciandoci a quest’ultima proposizione cerchiamo di giungere (non senza qualche ambizione!) alla definizione di un iter comune per la prevenzione delle anomalie del mercato che rivengono da manipolazioni dello stesso e nello stesso operate.

Non è contraddittorio rispetto alle opinioni di cui al precedente paragrafo affermare che solo chi conosce il cliente, solo chi è più prossimo (poiché in qualche modo partecipe) all’operazione di mercato che si vuole attenzionare è compiutamente in grado di disporre degli elementi per poterla censurare in via preventiva e, di conseguenza, sottoporla al vaglio delle autorità preposte all’approfondimento finanziario ed investigativo.

La “oggettivizzazione” che ci si propone di raggiungere in subjecta materia non può che essere letta come deterrente “di primo livello” nei confronti delle devianze cui stiamo facendo riferimento.

In altre parole, così come nel settore del credito il rating è indubbiamente utile a catalogare e segmentare la clientela per macro aree, per poi affidare a chi dovrà materialmente erogare il credito stesso la valutazione finale circa la sua meritevolezza, nel settore della prevenzione dei reati finanziari sistemi automatizzati di monitoraggio della clientela, delle movimentazioni e dei rapporti, non possono che rivelarsi di positivo supporto al giudizio conclusivo che i responsabili delle strutture di controllo dovranno formarsi, onde segnalare eventuali anomalie a chi dovrà perseguire i crimini che ne dovessero derivare.

E’ assai vivo il dibattito, e veniamo al punto, sull’obbligo di segnalazione di operazioni sospette di riciclaggio che è stato posto a carico anche di soggetti, come i liberi professionisti e taluni commercianti, di sicuro meno dotati – rispetto alle più sperimentate realtà imprenditoriali del settore della finanza – di expertise e di strumenti per una efficace ottemperanza alle prescrizioni sopra citate.

La norma italiana di riferimento, l’art. 3 della legge 197 del 1991, è in verità alquanto vaga, poiché lega la valutazione del “sospetto” a caratteristiche qualitative della/e operazione/i posta/e in essere dal soggetto da segnalare a parametri soggettivi del medesimo (quali l’attività svolta e la capacità economica) ben più difficili da approfondire date le informazioni obiettivamente in possesso dell’operatore.

Qui un rating del soggetto sarebbe una bella bombola di ossigeno per l’asmatico sistema delle segnalazioni, che continua a produrre dati sconfortanti nonostante un significativo incremento negli ultimi anni : basta non fare l’errore di ritenere, lo si ripete, che esso sia esaustivo dell’obbligo!

3. L’obbligo di segnalazione nella normativa antiriciclaggio

Quanto appena ricordato è temperato, nelle sue conseguenze vuoi psicologiche (relazionali), vuoi metodologiche, da due opportune precisazioni che la legge stessa opera, ma che le Autorità di vigilanza non si stancano di ribadire:

- la segnalazione de qua non costituisce notizia di reato, bensì un adempimento di carattere amministrativo, di vigilanza, che non porta ad alcuna conseguenza di carattere processuale per il soggetto segnalante, sia che quest’ultimo abbia colto la negatività del comportamento del cliente, sia nel caso in cui abbia avuto un eccesso di zelo;

- in un documento del 12 gennaio 2001, noto al settore finanziario come “Decalogo-ter” della Banca d’Italia, è stato efficacemente spiegato agli intermediari finanziari (così come oggi agli altri soggetti coinvolti viene ribadito nei citati decreti ministeriali) che la segnalazione di operazione sospetta non può avere alla base alcun elemento di reato, poiché all’operatore non possono essere richieste valutazioni di tipo “parainvestigativo”, ma unicamente delle sue considerazioni circa il merito delle operazioni oggetto delle anomalie. Nel documento dell’Autorità di vigilanza, scritto di intesa con l’UIC, la CONSOB e l’ISVAP, si forniscono poi tutta una serie di suggerimenti e di indicazioni operative per l’implementazioni di misure idonee, anche di controllo interno, a salvaguardare l’integrità aziendale da comportamenti (sia della clientela che degli operatori stessi) non conformi alle regole di sana e prudente gestione e di stabilità che, in buona sostanza, le prescrizioni in discorso mirano a tutelare .

Malgrado queste cautele, la segnalazione continua ad essere vista come fenomeno “anticommerciale”, ai limiti della delazione, per cui l’effettività e l’efficacia di questo “posto di blocco” si stanno progressivamente vanificando. Con ciò non si vuole assolutamente affermare che lo strumento segnalatorio può portare più rapidamente a soluzione le problematiche relative all’inquinamento del mercato finanziario da parte di soggetti che, non va dimenticato, sono “colletti bianchi”, spesso insospettabili prestanome di articolazioni malavitose più complesse e, per ciò stesso, permeabili solo – quando vi si riesce – ad indagini condotte con sofisticati strumenti in possesso unicamente delle forze di polizia .

4. La segnalazione di “abusi di mercato”

Come è noto, la direttiva europea 2003/6/CE sul cosiddetto market abuse ha apportato anche nel nostro ordinamento il concetto di “manipolazione del mercato” quale comportamento censurabile ai fini di una tutela del bene supremo del regolare andamento delle contrattazioni e di tutte le operazioni che siano fondate sulla fairness connaturata al luogo primario di incontro tra la domanda e l’offerta di risparmio e di investimenti .

In questa sede non appare irrilevante il parallelismo tra lo strumento scelto dal legislatore delegato e quello del già citato legislatore delle normativa contro il riciclaggio.

L’implementazione, nel Testo Unico della Finanza, delle misure previste dalla Legge n. 62/2005 (di recepimento della suddetta direttiva) ha previsto anch’essa il meccanismo della “segnalazione” quale deterrente contro comportamenti non in linea con le best practice di mercato.

In particolare, una segnalazione che possiamo definire “preventiva”, statuita dall’art. 114 del TUF, il quale – al comma 7 – obbliga i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, controllo o direzione in un emittente quotato e tutti i dirigenti che abbiamo regolare accesso a informazioni privilegiate, nonché i soci che posseggano più del 10% del capitale sociale o il controllo dell’emittente quotato, a comunicare alla Consob e al pubblico le operazioni che essi effettuino (anche per interposta persona) sulle azioni o altri strumenti finanziari emessi dall’emittente stesso.

Quest’obbligo, pur avendo carattere preventivo e quindi comune a quello antiriciclaggio, mal si presta ad una effettiva comparazione, poiché si sostanzia in una “comunicazione al mercato” di operazioni senza alcun fumus di irregolarità.

Non appare ultroneo aggiungere che sia la citata legge 62/2005 sia la riforma del risparmio, attuata con legge n. 262/2005, hanno ampliato il novero dei momenti di confronto il tra mercato e i suoi attori, nell’ottica di una sempre più trasparente gestione sia degli emittenti che degli intermediari, nonché delle strutture organizzative coinvolte.

E’ invece singolare la novità introdotta dalla Consob nel regolamento n. 11768 del 1998, peraltro a seguito dell’introduzione dell’art. 187 – nonies del TUF da parte della nominata legge 62/2005.

La norma primaria introduce un vero e proprio, questo si, obbligo di segnalazione di operazioni sospette di market abuse.

In particolare, tutti i soggetti abilitati e le società di gestione del mercato devono segnalare “senza indugio” alla Consob le operazioni che, “in base a ragionevoli motivi”, possono ritenersi configurare una violazione delle disposizioni di cui al titolo I-bis del TUF stesso (titolo per l’appunto dedicato all’abuso di informazioni privilegiate e manipolazioni del mercato) delle quali siano a conoscenza.

La Commissione ha fatto seguire a questa disposizione gli articoli dal 63 al 69 del citato regolamento mercati, e varie note esplicative, tra le quali la comunicazione n. DME/6027054 del 28 marzo 2006, che è seguita a quella (in questa sede più utile) del 29 novembre 2005.

Il complesso di regole e comportamenti emergente dal corpus normativo appena evidenziato appare di primario rilievo a chi scrive come il legislatore ancora una volta eserciti una opzione nei confronti della “soggettività” e “personalizzazione” del rapporto tra evento da segnalare e complesso di circostanze che inducono segnalare il determinato evento.

In altri termini, sulla scorta dell’esperienza antiriciclaggio (che sembrerebbe qui essere quasi pedissequamente replicata), si fa ricorso all’affidamento di poteri “paraispettivi” ai soggetti obbligati, poteri che però, a ben guardare, non sono altro che una esplicitazione funzionale e finalizzata dell’ampio genus di regole e procedure ascrivibili ai controlli interni.

La prevenzione delle manipolazioni del mercato e del riciclaggio è cioè affidata alla segnalazione alle Autorità competenti, giammai a denunce all’Autorità di polizia, di comportamenti anomali dei soggetti esposti, in ossequio, peraltro, a meccanismi già sperimentati sui mercati più evoluti.

Altro elemento comune è la predisposizione, sempre da parte del regulator di settore, di una casistica esemplificativa e volutamente non esaustiva che aiuti l’operatore nella prefigurazione della tipologia di comportamento che possa essere oggetto di approfondimento.

Ci stiamo riferendo agli “indici di anomalia” contenuti nel più volte citato decalogo-ter contro il riciclaggio (cfr. parte II del documento) ed a quelli ripresi dalla Consob, e indicati dal CESR, nella comunicazione n. DME/5078692 del 29 novembre 2005.

Ci viene da fare qualche obiezione a quest’ultimo contesto segnalatorio solamente riguardo alle modalità della segnalazione, laddove al meccanismo più “blindato” previsto dall’UIC per le operazioni di riciclaggio, la Consob ne preferisce uno più “aperto”, in quanto l’art. 67 del regolamento mercati consenti la segnalazione anche per posta elettronica, per fax o telefono.

Positiva risulta invece, a conferma di quanto abbiamo tentato di dimostrare in questo scritto, la considerazione del grado di invasività che le due tipologie di reato hanno sul mercato e sui suoi protagonisti, operata dal legislatore del D. Lgs. 231 del 2001 , riguardante la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per i reati commessi da soggetti apicali o dipendenti e collaboratori.

Come noto, sono stati ritenuti sensibili ai fini della predisposizione dei cosiddetti “modelli di prevenzione” di cui al citato decreto anche i reati del TUF, come aggiornati dai recenti interventi legislativi e, più recentemente (con la legge comunitaria per il 2005), quello di riciclaggio, operandosi in tal modo un trait d’union tra i più efficaci ai fini della considerazione delle figure comportamentali di cui abbiamo disquisito e, soprattutto, della rilevanza sociale che il loro disvalore assume per il buon funzionamento del mercato nel suo complesso .