Mattarella, scuse patetiche per non andare al voto
Che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non avesse alcuna intenzione di dare la parola agli elettori è sempre stato chiaro. E nessuno si stupisce dunque dell’evoluzione attuale della crisi di governo. Ma di fronte al disastro del governo Conte - di cui lo stesso Mattarella porta una pesante responsabilità - e all’evidenza dell’assenza di una maggioranza reale in Parlamento, l’altra sera il presidente ha sentito il dovere di giustificarsi lungamente davanti agli italiani per la scelta di non ricorrere alle urne.
Un discorso paternalistico, insopportabile da parte di chi in questo ultimo anno ha permesso lo scempio rappresentato da un governo di incompetenti e pasticcioni che ha calpestato sistematicamente la Costituzione.
È tempo di crisi, ha detto in sintesi Mattarella, c’è bisogno di un governo forte per prendere decisioni importanti e non ci si può permettere quei quattro-cinque mesi di tempo tecnico necessario per indire le elezioni, fare la campagna elettorale e poi arrivare alla formazione di un nuovo governo. Scusa un po’ patetica e scontata, che da decenni viene usata da quanti si oppongono alle elezioni anticipate: in Italia infatti non è mai tempo di andare a votare, tra crisi economiche e politiche e impegni internazionali. Senza considerare, appunto, cosa è stato quest’ultimo anno, con le libertà costituzionali sospese a colpi di atti amministrativi, quali sono i famigerati Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm).
Ma la seconda scusa è ancora più stupefacente: non si può andare a votare perché il processo elettorale aumenta i contagi del Covid. Addirittura, ha detto Mattarella per dare più forza al suo argomento, «in altri Paesi in cui si è votato, (…) si è verificato un grave aumento dei contagi». Ed ecco ritirare in ballo la responsabilità dei cittadini: abbiamo tanti contagi perché siete voluti andare al mare d’estate, a fare spese a Natale e anche approfittare dei saldi a gennaio. Adesso siete così irresponsabili da voler andare anche a votare?
Lo spauracchio dei contagi da elezione è l’ennesima arma usata dagli espertoni dei salotti televisivi per infondere paura nella popolazione. Anche il solito professor Massimo Galli, dell’ospedale Sacco di Milano, ha usato questo argomento la scorsa settimana dicendo che le elezioni regionali svoltesi lo scorso settembre potrebbero aver determinato l’aumento dei contagi. Da notare il condizionale: è soltanto un’ipotesi, non c’è alcun dato evidente, ma intanto la si butta lì e fa opinione: le elezioni come occasione prossima di contagio e morti.
E poi magari la riprende il presidente della Repubblica e diventa una certezza. Mattarella ha parlato di altri paesi che hanno votato, ma la sua affermazione è gratuita e non è supportata da alcuna evidenza. C’è infatti chi è andato a verificare i dati (clicca qui), rilevando che dall’inizio della pandemia ci sono state elezioni a livello nazionale in 22 paesi ed elezioni locali in 83 paesi. Ebbene quello che emerge è un quadro in cui non si può fare alcun nesso causa-effetto tra elezioni e contagi: dopo le elezioni, in alcuni paesi i contagi aumentano, in altri diminuiscono. E anche laddove aumentano non c’è alcuno studio che possa legare tale aumento alla partecipazione al processo elettorale: bisognerebbe infatti dimostrare che le persone infettate sono quelle che hanno votato o partecipato ai comizi o che hanno lavorato nei team elettorali o che hanno svolto il lavoro nei seggi elettorali. Ma nulla di tutto questo è disponibile.
Che il presidente della Repubblica, in un discorso ufficiale, si sia fatto megafono di argomenti di propaganda senza alcun riscontro oggettivo, è di una gravità enorme e fa perdere ulteriore credibilità alle istituzioni. E palesa la strumentalità dell’argomento per poter giustificare una soluzione che ha in animo da molto tempo, visto che di Draghi presidente del Consiglio si parla ormai da molto tempo e il suo nome come successore di Conte viene fatto con insistenza da almeno un anno. Il 27 marzo del 2020 la Bussola mise in evidenza l’importanza di un editoriale di Draghi sul Financial Times che suonava come una discesa in campo «che finirà per far tremare i palazzi romani e per orientare il corso della politica italiana dei prossimi mesi». Un vero e proprio discorso programmatico post-pandemia che ora torna prepotentemente d’attualità.
Certo, possiamo anche ritenere che eventuali elezioni non necessariamente chiarirebbero il quadro politico, è successo già altre volte. E magari non eviterebbero un altro governo di “tecnici”. Ma questo non giustifica il fatto che stabilmente da ormai dieci anni si abbiano governi guidati da persone calate dall’alto, non votate dagli elettori. È un fenomeno tutto italiano, che sarebbe inconcepibile in qualsiasi altro paese occidentale e lo è stato anche in Italia nella prima Repubblica.
Dopo Tangentopoli è invece diventato un fenomeno accettato e ora è addirittura diventato la norma. Solo in questa legislatura, prima Conte, uscito da chissà dove, e ora Draghi, l’uomo dei circoli finanziari internazionali, osannato dai media italiani come il salvatore della patria. E gli italiani sembrano ormai rassegnati a questa perdita di sovranità, seppure garantita dalla Costituzione (la sovranità), indifferenti a questo esproprio della volontà popolare, anzi perfino partecipi. Per questo le patetiche giustificazioni di Mattarella non suscitano reazioni. Ormai digeriamo tutto.