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Nihil novi sub sole (calante) di autostrade

Nihil novi sub sole (calante) di autostrade
Nihil novi sub sole (calante) di autostrade

E il copione si ripete. Immutabile.

All’indomani della tragedia di Genova, senza una minima elaborazione dell’accaduto, senza consentire al dolore e allo sgomento di vivere anche un solo attimo in silenzio, in doveroso e rispettoso silenzio delle vite stroncate o amputate, siamo stati travolti dai fiumi in piena della diverse “grida” da più parte lanciate, nelle sedi istituzionali, in quelle politiche, sui giornali, sui social, sulla rete, in ogni possibile luogo in cui il vociare, spesso sguaiato, potesse essere udito.  

Il copione, beninteso, non sta tanto nel “gridare”, ma nel farlo scompostamente, nel prender immediatamente partito a seconda del proprio interesse, particolare, individuale, di appartenenza politica, partitica, professionale, di categoria e cosi via, a prescindere dalle realtà e da una loro analisi scevra da pregiudizi.

È del tutto naturale, e doveroso, che le Istituzioni parlino, indichino le vie, che l’Amministrazione non attenda i tempi della giustizia ed agisca tempestivamente, purché lo faccia meditata re, e che i giornali commentino; mi spingerò a sostenere che è anche comprensibile che si discuta dell’accaduto nelle moderne agorà della rete, ma quel che è intollerabile, per me ben si intende, è che la sensazione rimane sempre la stessa: di grida lanciate tanto per urlare e/o per coprire sé o altri, amici e sodali; di grida puntuali e prevedibili, anche nei dettagli, prima ancora che vengano lanciate.

Non penso di avere il dono della preveggenza, novello Tiresia, né di esser dotato di particolare intelligenza se, anche questa volta, dichiarazioni pubbliche, titoli e commenti dei diversi giornali ed anche di giuristi, più o meno “organici” (o solo simpatizzanti), per fatto notorio, ad (di) una o ad (di) altra parte del sistema, ho udite e letti prima ancora che venissero pronunciate e scritti.

È un bene? In qualche modo potrebbe significare che vi sono certezze, approdi sicuri, àncore fisse che assicurano stabilità alla nave?

No, non è un bene; in questi casi ed in queste condizioni la sola certezza è che ad esser seguito, perseguito, è l’interesse di parte che, beninteso, può anche essere nobile, ma la verità, la giustizia, è altra cosa.

Che non vi sia spazio per conclusioni affrettate è una ovvietà che non avrebbe bisogno di essere sottolineata. E dunque, pur ammettendo, come ho ammesso, che se ne possa discutere anche sui social (in ciò indotti dal dato che viviamo in un mondo in cui pure il governo della cosa pubblica appare aver sede sui social, inondati da twitt e post di governanti e opposizioni che rendono poi difficile separare la realtà dal virtuale), per quanto mi riguarda ritengo che ogni intervento non possa esser dispiegato senza un sia pur minimo approfondimento dei fatti e/o dei punti sui quali si desidera intervenire.

È quanto io ho fatto nel leggere sui media di quella che a me sembrava una clausola incredibile e che ha stuzzicato la mia curiosità, per fortuna ancora integra.

Sono andato quindi a cercarmi sul web i principali atti concessori/convenzionali che hanno regolato nel tempo il rapporto con Autostrade ed ho trovato conferma del dato che è stato previsto un (maxi) indennizzo/risarcimento in favore del concessionario Autostrade “decaduto” (articolo 9, punto 3, della Convenzione unica del 2007) “in ogni caso di recesso, revoca, risoluzione, anche per inadempimento del concedente, e/o comunque cessazione anticipata del rapporto di convenzione pur indotto da atti e/o fatti estranei alla volontà del concedente, anche di natura straordinaria e imprevedibile,  ivi inclusi mutamenti sostanziali del quadro legislativo o regolatorio.” (articolo 9 bis, punto 1); previsione questa a leggersi in una alla condizione sospensiva dell’efficacia della cessazione anticipata della concessione, quale apposta,  ove mai non bastassero le precedenti previsioni, in chiusura dell’articolo 9 bis in commento (al suo punto 5, a mente del quale): “Resta in ogni caso convenuto che l’efficacia del recesso, revoca, risoluzione e comunque di cessazione anticipata della Convenzione è sottoposta alla condizione del pagamento da parte del concedente al concessionario di tutte le somme previste nel presente articolo”.

Orbene, ben so, anche per esperienza di vita e di “mestiere”, che prima di trinciare giudizi occorre conoscere, approfondire, studiare e, dopo, solo dopo, sentenziare; so bene che molto spesso l’apparenza inganna, che quel che sembra chiaro e scontato ad una prima e parziale lettura e/o prospettazione di parte spesso non lo è ed è destinato a cadere sotto la mannaia degli approfondimenti e delle diverse prospettazioni.

E quindi non trincerò giudizi sommari; ma non posso non manifestare stupore per l’inserimento in convenzione delle clausole sopra riportate che, lette in una e nel contesto dell’intero atto convenzionale, ivi compresi i presupposti che hanno a doversi esser verificati per potersi dichiarare la decadenza, appaiono configurare un notevole sbilanciamento a favore del privato, che, salvo smentite, appare sostanzialmente (esser stato) mandato immune da ogni conseguenza pregiudizievole per le sue capaci tasche, a chiunque imputabile il fatto generatore.

Cercherò di leggere, se mi sarà possibile, gli atti istruttori - ivi compresi, se intervenuti, i pareri del Consiglio di Stato e/o dell’Avvocatura dello Stato - e gli altri atti rilevanti del rapporto, alla ricerca, ove mai vi fossero, dei contrappesi, di eventuali investimenti iniziali di portata tale da consentire di “ragionare” sulla liceità dell’indennizzo; son curioso, lo ho detto, e peraltro mi intrigherebbe mettermi alla prova per rinvenire gli strumenti giuridici più  idonei, e meno   “dolorosi” per la mano pubblica, per intervenire e/o sterilizzare, per quanto e per come possibile, clausole inique e/o contrarie a norme imperative, in quanto prefiguranti indennizzi in caso di decadenza anche per colpa grave del concessionario, quali, ad una prima e sommaria lettura (che non asserisce e pretende di essere quella giusta), prima facie si appalesano quelle che ho letto.

Nel frattempo, seguirò con attenzione le mosse del Ministero, ovvero del legislatore, come da qualche parte si sta ipotizzando; mosse non agevoli ed in grado di aprire un gran vaso di Pandora, ove mai si avesse a dover invocare la nullità delle clausole (1229 c.c.? qui applicabile ???), ovvero ove il legislatore stesso fosse indotto ad intervenire su tali presupposti e (pur) in presenza delle puntualizzazioni della convenzione.

Ipotizzo, per vero, che alla fine, anche a giudizi nel caso attivati, si rinverrà un compromesso e si redigerà un  nuovo atto convenzionale che vedrà le parti rinunciare a tutti i giudizi pendenti e ad ogni diritto ad essi connessi, come, anche qui da copione consolidato (cfr. articolo 38 dell’atto convenzionale in commento e cfr. l’articolo finale di ogni atto aggiuntivo a concessioni intervenuto nell’universo giuridico a definire in via stragiudiziale vertenze in corso).

L’augurio è che questo atto non sia a sua volta sbilanciato.

Troppe volte nella mia vita, nelle mie diverse vite professionali, ho dovuto amaramente constatare che molti di questi atti stragiudiziali si risolvevano in ulteriori elargizioni a favore del privato, che peraltro, con un occhio rivolto all’avvenire, aveva rivendicato dal concessionario, dallo Stato, in generale, la debenza di somme pacificamente (sempre a mio avviso, ben si intende) non dovute e che difficilmente sarebbero state riconosciute in giudizio nella loro rivendicata entità, per poi, in sede transattiva, rinunciarne ad una parte ... non spettante … in cambio di altre concessioni (prolungamento delle concessioni, a dispetto della normativa comunitaria et similia).

Ma è chiaro che ognuno persegue il suo interesse ed agisce in vista di esso e, purché si tenga nei confini del lecito, ben può farlo.

E questo mi conduce ad una più generale considerazione.

Fiumi di inchiostro sono stati versati nel tempo sulle concessioni, a favore o contro di esse.

A mio avviso lo strumento in sé non è “disdicevole”; lo Stato non può fare tutto e bene.

Quindi nessun niet da parte mia allo strumento, ma un niet netto e forte alla retorica (soprattutto italica) secondo la quale concedente, lo Stato lato sensu, e concessionario perseguono interessi comuni, in vista della tutela del bene pubblico.

Non è così, né potrebbe esserlo; il privato persegue il suo di interesse, quanto meno in via prioritaria. E così avviene anche in altri settori, quali ad esempio la sanità, ove il privato accreditato non è un buon samaritano, da ringraziare con lauti doni per adiuvare Stato, Regioni, Comuni nei loro compiti, ma appunto un privato che esplica attività di impresa e che ha diritto ai giusti corrispettivi, nè più né meno.

Né e a dire che una forte compartecipazione nella gestione della concessione (o delle convenzioni di accreditamento in sanità), sub specie di vigilanza puntuale e rigorosa da parte dello Stato, sia cosa buona e degna.

La mia personale esperienza dice che non è cosi.

In una delle mie precedenti vite professionali ho lavorato presso il Commissariato straordinario alla ricostruzione post terremoto di Napoli ex lege 219 del 1980.

Spinto dalle migliori intenzioni, snellimento, uniformità ed acceleramento delle procedure, il coacervo provvedimentale/convenzionale aveva previsto che i singoli concessionari potessero chiedere ed ottenere direttive dall’amministrazione straordinaria su questioni a  natura generale e/o di interesse comune alla generalità dei concessionari.

Sol che, in dichiarata via attuativa della previsione, all’amministrazione concedente venivano richiesti i pareri più svariati e puntuali, in materia progettuale ed espropriativa soprattutto, con la conseguenza di sterilizzare in favore del concessionari, su cui cedevano tutti i relativi obblighi e responsabilità, i tempi delle risposte e/o di rendere compartecipe l’amministrazione delle responsabilità connesse alle scelte fatte: espropri sbagliati, e cosi via.

E questo, val la pena di precisare, non dico oggi, ma dissi all’epoca (e scrissi in una pubblicazione che mi sono andato a rileggere), così come non dico solo oggi che, quanto più puntuale e dettagliato è il quadro della ingerenza, sub specie di vigilanza, del concedente, tanto più ampi sono i varchi che si aprono al concessionario, o al privato accreditato ai Servizi sanitari, per sfuggire ai propri obblighi e connesse responsabilità.

E del resto, un'altra delle mie convinzioni profonde, e non si sobbalzi troppo rapidamente, è che i codici del 1865, nella loro linearità ed onnicomprensività, avrebbero meglio regolata la vita della comunità nazionale, in luogo del caotico accavallarsi di sempre nuove norme che ha solo consentito ai furbi ed ai forti di svincolare, così come il proliferare di Agenzie (sanitarie, ambientali, etc.) ha solo creato duplicati di burocrazie, deleteri sotto svariati profili.

Ma questa è un’altra storia, o forse sempre la stessa ahimè.

Una notazione finale si impone comunque.

La prova provata della validità dei miei convincimenti sugli effetti perversi di un modello concessorio ad alta dose di “vigilanza” che trasudi cogestione, con la sua carica di negatività di cui ho già scritto, potrebbe agevolmente esser rinvenuta all’esito di uno screening degli arbitrati intervenuti negli anni a ritroso per dirimere il contenzioso fra concedente (Stato, e scendendo pe li rami) e concessionario.

Per quella che è stata la mia esperienza, non mi sorprenderei affatto se si “scoprisse” non solo che il 99%, o poco giù di lì, degli arbitrati si conclude con esiti positivi per il concessionario, ma che gli stessi (esiti) trovan ragione e causa nell’esercizio, quale effettuato, omesso o solo ritardato, della “vigilanza” da parte del concedente.

E non si tratta solo di danaro, anche se parliamo di cifre impressionanti, ma di responsabilità che diventano sfuggenti in un sistema di vigilanza che, se pur pacificamente non può mancare, così come oggi è congegnato non assolve alla sua funzione e, direi soprattutto, non responsabilizza, a monte, compiutamente il concessionario.

Beh, il mio lo ho fatto e scritto.

Se la Commissione ministeriale che mi sembra esser stata insediata per verificare lo strumento concessorio conducesse questa indagine utilizzerebbe, io credo, il suo tempo proficuamente per il bene dello Stato e potrebbe dar vita ad un rinnovato modello concessorio che assomigli di più ad un GRIFONE (corpo di leone e testa d’aquila simboleggianti vigilanza e perfezione) che ad un IRCOCERVO (ibrido fra capro e cervo, la cui vera essenza già secondo Aristotele non è nota).