x

x

No al matrimonio fra omosessuali (sì ad altre forme regolamentate di convivenza omosessuale)

Nota a Corte Costituzionale, Sentenza 15 aprile 2010, n.138
Con la recentissima sentenza di seguito riportata, la Corte costituzionale affronta la querelle dell’ammissibilità costituzionale del matrimonio omosessuale che ormai da tempo è al centro di un acceso dibattito politico, culturale ed ideologico.

Il responso dato dalla Corte è stato negativo su tutti i fronti aperti dai rimettenti.

Negativo per la giudicata ammissibilità delle prospettate censure di incostituzionalità, per contrasto con l’art. 2 Cost. delle norme di legge ordinaria che consentono il matrimonio fra soli individui di diverso sesso, laddove i remittenti avevano rilevato che tali norme negano agli omofili il diritto umano universalmente riconosciuto e tutelato di realizzare la loro personalità attraverso il matrimonio e nel matrimonio con persone dello stesso sesso.

Negativo anche sul fronte della fondatezza nel merito delle ulteriori censure portate contro quelle norme di legge sotto il profilo del contrasto con gli artt.3 e 29 Cost., avendo i remittenti individuato i termini di tale conflitto, per un verso, nel fatto che dette norme non riconoscono all’omosessuale una dignità pari all’eterosessuale per quanto riguarda la possibilità di realizzarsi attraverso il matrimonio (art. 3 Cost.) e, per altro verso, nel fatto che le stesse norme poggiano su una concezione precisa e determinata della famiglia e della relativa funzione sociale che, in realtà, l’art. 29 Cost. non cristallizza e non impone quale unico modello possibile di unione familiare.

Con riguardo alle ragioni della ravvisata inammissibilità delle eccezioni di costituzionalità incentrate sulla violazione dell’art. 2 Cost., esse vengono individuate nel fatto che un accoglimento di quelle eccezioni comporterebbe l’adozione, da parte del Giudice delle leggi, di una pronuncia a contenuto inammissibilmente innovativo del panorama legislativo, con conseguente usurpazione della funzione legiferante del Parlamento.

Difatti, spiega la Corte a questo proposito che, quando l’art.2 Cost. si riferisce a diritti fondamentali dell’uomo nelle formazioni sociali, << per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico>> nozione in cui << è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.>> ma dovendosi nel contempo << escludere che l’aspirazione a tale riconoscimento (...) possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio>>; sicché, << nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni. Può accadere, infatti, che, in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza.>>.

Il ragionamento della Corte, tuttavia, appare poco convincente.

Invero, se attualmente l’unico modello di unione affettiva che l’Ordinamento riconosce e disciplina è quello familiare e se - come riconosce la stessa Corte - l’art. 2 Cost. porta ad individuare un diritto inviolabile delle coppie omosessuali a realizzarsi all’interno di unioni regolamentate dall’Ordinamento, l’attuale mancanza di previsione di un modello alternativo a quello familiare per le unioni fra omossessuali costituisce ex se un inammissibile vulnus all’art. 2 Cost. che impone di essere immediatamente riparato attraverso l’estensione alle coppie omosessuali, per quanto ad esse applicabile, del previsto istituto matrimoniale, fatta salva la facoltà del Legislatore di intervenire successivamente nel caso ravvisi l’esistenza di profili che rendono opportuno differenziare la famiglia omosessuale da quella eterosessuale.

Invece, la Corte inverte a pie’ pari i termini del problema, sostenendo che, fin quando il Legislatore non deciderà (semmai deciderà) di colmare detta lacuna, le coppie omosessuali non potranno realizzare quel diritto fondamentale, adducendo il Giudice delle leggi un ragionamento che potrebbe, tutt’al più, essere condiviso nei soli casi - diversi da quello esaminato nella specie - in cui un diritto fondamentale ex art. 2 Cost. risulti privo di ogni regolamentazione giuridica e non possa essere fruito dai soggetti interessati senza la necessaria intermediazione di una qualche disciplina legislativa.

Venendo, poi, alla giudicata infondatezza della questione relativa al contrasto con l’art. 3 e 29 Cost. della vigente legislazione matrimoniale, la Corte muove dalla considerazione che, volendo l’art. 29 riferirsi esclusivamente alla famiglia costituita fra persone di sesso diverso, << con riferimento all’art. 3 Cost., la censurata normativa del codice civile che contempla esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna non può considerarsi illegittima sul piano costituzionale. Ciò, sia perché essa trova fondamento nel citato art. 29 Cost., sia perché la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio.>>.

Anche qui la sentenza fa emergere una vis persuasiva debole.

La rilevata "non omogeneità al matrimonio delle coppie omosessuali" e la conseguente assenza di contrasto con l’art. 3 Cost. dell’odierno assetto legislativo della materia sono il precipitato di una discutibile premessa da cui la Corte muove nell’interpretare l’art. 29 Cost..

Il Giudice delle leggi, infatti, pur riconoscendo che << ....i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi >> , inspiegabilmente aggiunge che << detta interpretazione, però, non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata. Infatti, come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea. I costituenti, elaborando l’art. 29 Cost., discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un’articolata disciplina nell’ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti, è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che, come sopra si è visto, stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso. In tal senso orienta anche il secondo comma della disposizione che, affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale.>>.

La Corte, dunque, da un canto, ammette pienamente la possibilità di interpretare in senso evolutivo l’art. 29 Cost., tanto che riconosce expressis verbis che al modello di famiglia e di matrimonio avuto in mente dal Costituente del ’49 è possibile, oggi, affiancare altri modelli di tali realtà sulla base dell’evoluzione del sentire sociale; per altro verso, poi, la stessa Corte esclude, senza addurre congrue spiegazioni al riguardo, che l’evoluzione dei costumi possa condurre anche a superare l’idea, storicamente caratterizzata, dei Padri costituenti secondo cui la famiglia ed il matrimonio presuppongono la diversità sessuale dei coniugi.

E’ proprio da questa curiosa e misteriosa eccezione ermeneutica che la sentenza addiviene a stabilire che, non essendovi omogeità fra l’istituto matrimoniale (pensato dal Costituente solo per le coppie eterosessuali) e le unioni omosessuali giuridicamente sancibili, la vigente normativa civilistica che esclude il matrimonio fra persone dello stesso sesso non è in contrasto nè con gli artt. 29 e 3 Cost.

Con la recentissima sentenza di seguito riportata, la Corte costituzionale affronta la querelle dell’ammissibilità costituzionale del matrimonio omosessuale che ormai da tempo è al centro di un acceso dibattito politico, culturale ed ideologico.

Il responso dato dalla Corte è stato negativo su tutti i fronti aperti dai rimettenti.

Negativo per la giudicata ammissibilità delle prospettate censure di incostituzionalità, per contrasto con l’art. 2 Cost. delle norme di legge ordinaria che consentono il matrimonio fra soli individui di diverso sesso, laddove i remittenti avevano rilevato che tali norme negano agli omofili il diritto umano universalmente riconosciuto e tutelato di realizzare la loro personalità attraverso il matrimonio e nel matrimonio con persone dello stesso sesso.

Negativo anche sul fronte della fondatezza nel merito delle ulteriori censure portate contro quelle norme di legge sotto il profilo del contrasto con gli artt.3 e 29 Cost., avendo i remittenti individuato i termini di tale conflitto, per un verso, nel fatto che dette norme non riconoscono all’omosessuale una dignità pari all’eterosessuale per quanto riguarda la possibilità di realizzarsi attraverso il matrimonio (art. 3 Cost.) e, per altro verso, nel fatto che le stesse norme poggiano su una concezione precisa e determinata della famiglia e della relativa funzione sociale che, in realtà, l’art. 29 Cost. non cristallizza e non impone quale unico modello possibile di unione familiare.

Con riguardo alle ragioni della ravvisata inammissibilità delle eccezioni di costituzionalità incentrate sulla violazione dell’art. 2 Cost., esse vengono individuate nel fatto che un accoglimento di quelle eccezioni comporterebbe l’adozione, da parte del Giudice delle leggi, di una pronuncia a contenuto inammissibilmente innovativo del panorama legislativo, con conseguente usurpazione della funzione legiferante del Parlamento.

Difatti, spiega la Corte a questo proposito che, quando l’art.2 Cost. si riferisce a diritti fondamentali dell’uomo nelle formazioni sociali, << per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico>> nozione in cui << è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.>> ma dovendosi nel contempo << escludere che l’aspirazione a tale riconoscimento (...) possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio>>; sicché, << nell’ambito applicativo dell’art. 2 Cost., spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette, restando riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni. Può accadere, infatti, che, in relazione ad ipotesi particolari, sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza.>>.

Il ragionamento della Corte, tuttavia, appare poco convincente.

Invero, se attualmente l’unico modello di unione affettiva che l’Ordinamento riconosce e disciplina è quello familiare e se - come riconosce la stessa Corte - l’art. 2 Cost. porta ad individuare un diritto inviolabile delle coppie omosessuali a realizzarsi all’interno di unioni regolamentate dall’Ordinamento, l’attuale mancanza di previsione di un modello alternativo a quello familiare per le unioni fra omossessuali costituisce ex se un inammissibile vulnus all’art. 2 Cost. che impone di essere immediatamente riparato attraverso l’estensione alle coppie omosessuali, per quanto ad esse applicabile, del previsto istituto matrimoniale, fatta salva la facoltà del Legislatore di intervenire successivamente nel caso ravvisi l’esistenza di profili che rendono opportuno differenziare la famiglia omosessuale da quella eterosessuale.

Invece, la Corte inverte a pie’ pari i termini del problema, sostenendo che, fin quando il Legislatore non deciderà (semmai deciderà) di colmare detta lacuna, le coppie omosessuali non potranno realizzare quel diritto fondamentale, adducendo il Giudice delle leggi un ragionamento che potrebbe, tutt’al più, essere condiviso nei soli casi - diversi da quello esaminato nella specie - in cui un diritto fondamentale ex art. 2 Cost. risulti privo di ogni regolamentazione giuridica e non possa essere fruito dai soggetti interessati senza la necessaria intermediazione di una qualche disciplina legislativa.

Venendo, poi, alla giudicata infondatezza della questione relativa al contrasto con l’art. 3 e 29 Cost. della vigente legislazione matrimoniale, la Corte muove dalla considerazione che, volendo l’art. 29 riferirsi esclusivamente alla famiglia costituita fra persone di sesso diverso, << con riferimento all’art. 3 Cost., la censurata normativa del codice civile che contempla esclusivamente il matrimonio tra uomo e donna non può considerarsi illegittima sul piano costituzionale. Ciò, sia perché essa trova fondamento nel citato art. 29 Cost., sia perché la normativa medesima non dà luogo ad una irragionevole discriminazione, in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio.>>.

Anche qui la sentenza fa emergere una vis persuasiva debole.

La rilevata "non omogeneità al matrimonio delle coppie omosessuali" e la conseguente assenza di contrasto con l’art. 3 Cost. dell’odierno assetto legislativo della materia sono il precipitato di una discutibile premessa da cui la Corte muove nell’interpretare l’art. 29 Cost..

Il Giudice delle leggi, infatti, pur riconoscendo che << ....i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi >> , inspiegabilmente aggiunge che << detta interpretazione, però, non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata. Infatti, come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea. I costituenti, elaborando l’art. 29 Cost., discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un’articolata disciplina nell’ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti, è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che, come sopra si è visto, stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso. In tal senso orienta anche il secondo comma della disposizione che, affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale.>>.

La Corte, dunque, da un canto, ammette pienamente la possibilità di interpretare in senso evolutivo l’art. 29 Cost., tanto che riconosce expressis verbis che al modello di famiglia e di matrimonio avuto in mente dal Costituente del ’49 è possibile, oggi, affiancare altri modelli di tali realtà sulla base dell’evoluzione del sentire sociale; per altro verso, poi, la stessa Corte esclude, senza addurre congrue spiegazioni al riguardo, che l’evoluzione dei costumi possa condurre anche a superare l’idea, storicamente caratterizzata, dei Padri costituenti secondo cui la famiglia ed il matrimonio presuppongono la diversità sessuale dei coniugi.

E’ proprio da questa curiosa e misteriosa eccezione ermeneutica che la sentenza addiviene a stabilire che, non essendovi omogeità fra l’istituto matrimoniale (pensato dal Costituente solo per le coppie eterosessuali) e le unioni omosessuali giuridicamente sancibili, la vigente normativa civilistica che esclude il matrimonio fra persone dello stesso sesso non è in contrasto nè con gli artt. 29 e 3 Cost.