Non si passi dallo stato di emergenza a quello di guerra
In queste ore il mondo della comunicazione ha visto quasi tutti trasformarsi da virologi a colonnelli, ed io di certo non voglio allungare la schiera. Ma dopo aver sentito parlare chiunque del conflitto che al momento lega la Russia e l’Ucraina, la mia analisi politica si limiterà all’auspicio che il conflitto resti arginato entro quei confini, che la diplomazia internazionale sappia recuperare il proprio posto. Perché è davvero troppo tempo che in molti sono andati a “soffiare sotto il naso” di Putin prima con le sanzioni, poi con il mancato riconoscimento dello sputnik e così via, e credere che sarebbe rimasto inerme è stata davvero un’imperdonabile ingenuità.
Al Presidente Mattarella che ha convocato il Consiglio supremo di difesa, mi permetto, da giurista, di ricordare che l’art.11 della nostra Costituzione recita che l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, e l’auspicio è che non si passi, in un paese già tanto provato come il nostro, dallo stato di emergenza allo stato di guerra. Meritiamo una politica degna di queste considerazioni e che guardi lo stato del paese anche fuori dai palazzi.
Da ultimo, rilevo che in ogni dibattito manca sempre un’analisi della guerra anche dal punto di vista dell’impatto sull’economia reale e sulle imprese (oltre che sui mercati finanziari).
Un esempio: vediamo i bombardamenti e pensiamo giustamente ai bambini che restano senza casa, ma il fornaio a cui hanno bombardato il forno, e che ha fatto il fornaio tutta la vita ed è l’unico fornaio del paese, se sopravvive cosa farà dopo la guerra? E intanto il pane chi lo farà? E a che prezzo?
Perché le conseguenze economiche dei conflitti, purtroppo, si protraggono sempre molto oltre le guerre stesse.
Lo stesso dicasi se e laddove verranno eliminate le restrizioni pandemiche: potranno anche toglierle tutte di botto, ma il mondo non è un elastico che se si smette di tirare torna nella posizione e dimensione iniziale. Certi procedimenti di “ritorno alla normalità” laddove il procedimento sia possibile, necessitano un tempo lungo per gestire il quale servono riserve emotive, economiche ed intellettuali che ciascuno singolarmente deve già immaginare, oggi, di mettere in campo.