Nord Stream 2: a tutto gas. Il valzer euro-atlantico

Poco meno di 500 miliardi di metri cubi[1]: è l’impressionante quantità di energia che i ventisette Stati membri dell’Unione europea importano complessivamente ogni anno dalla Russia – di gran lunga il primo partner nel settore.
Per intenderci: buona parte dell’energia che alimenta l’efficiente trasporto pubblico di Berlino, i romantici lampioni di Roma nonché i forni statici che riscaldano i deliziosi pains au chocolat di Parigi, proviene dai colossi dell’Oil&Gas della Federazione guidata da Vladimir Putin, in particolare da Gazprom (gas naturale) e Lukoil (petrolio).
Un rapporto che sostanzia la definizione scolastica dell’interdipendenza mercatistica tra domanda e offerta: la Russia non potrebbe fare a meno dell’assai vasto mercato di consumatori europei, così come questi ultimi non hanno grandi alternative quantitative all’approvvigionamento russo – nonostante la presenza di altri gasdotti (come il TANAP[2]) e coraggiosi investimenti su fonti verdi e transizione ecologica. Per sgombrare il campo da equivoci: né Mosca né Bruxelles possono permettersi di fare a meno l’una dell’altra quando si tratta di energia. Che poi tra Est e Ovest ci siano acrimonie e divergenze di fondo sulla quasi totalità dei dossier globali, dall’Ucraina al Myanmar, è un altro conto. Business is business – specialmente quando una parte deriva circa il 30% del proprio PIL dall’export di prodotti energetici (dei quali l’UE è il principale acquirente), e l’altra ha bisogno di energia a basso impatto ambientale (o quantomeno più pulita del carbone) per sostenere una crescita bruscamente interrotta dal Covid-19 e rendere sostenibile nel medio periodo la rivoluzione green.
Se può sembrare un paradosso la coesistenza del gelo diplomatico con un commercio bilaterale intenso, ancora più particolare è la circostanza per cui tra i maggiori partners commerciali della Russia all’interno dell’UE (in termini percentuali) ci siano proprio quegli Stati baltici ex-sovietici (Estonia, Lettonia e Lituania) che compongono, assieme alla Polonia, lo zoccolo duro dei “falchi” indefessamente ostili al Cremlino – per ovvie ragioni di eredità storica oltreché prossimità geografica. Nell’analisi complessiva delle relazioni euro-russe, non è quindi possibile prescindere dal suddetto criterio del doppio standard, tale per cui non ci si fida politicamente l’uno dell’altro, ma ciononostante si fanno affari mutuamente convenienti.
È questo il contesto culturale sullo fondo della querelle relativa al gasdotto Nord Stream 2. Si tratta del progetto infrastrutturale, ormai prossimo alla conclusione, che consentirebbe a Gazprom di raddoppiare l’attuale capacità del gasdotto baltico Nord Stream che collega la città russa di Vyborg, nella Carelia, con il terminale ubicato nella città tedesca settentrionale di Greifswald[3]. Ciò consentirebbe alla società pietroburghese di consolidare il proprio ruolo-guida nel mercato europeo di gas naturale. La normale dinamica del business as usual, però, è dovuta stavolta soccombere davanti all’immanenza della politica internazionale. Sin dalla sua progettazione, e sempre più intensamente negli ultimi mesi, si è difatti levato un rumoroso coro di voci contrarie all’entrata in funzione del gasdotto. Tra i primi e più vigorosi oppositori del progetto sono stati i presidenti statunitensi Barack Obama e Donald Trump (curiosamente il tema è stato uno dei pochi punti in comune tra i due), ed è assai verosimile che anche Joe Biden, già vicepresidente di Obama durante la crisi in Crimea del 2014, sposi la medesima linea di contrasto. L’argomentazione è nota: se è vero che, attraversando il Mar Baltico, Nord Stream 2 consentirebbe l’afflusso di più energia e a costi relativamente più contenuti per i consumatori europei (tedeschi in primis), è pure innegabile che esso finirebbe per sostituire quasi del tutto l’altra grande rotta del gas russo, ossia quella europea orientale attraversante l’Ucraina. Dettaglio non esattamente di poco conto è che, proprio in ragione del transito di gas russo in territorio sovrano ucraino, Gazprom è stata finora obbligata a pagare sostanziose royalties al Governo di Kiev[4] – lo stesso esecutivo che da ormai 7 anni è impegnato in una dispendiosa campagna militare contro i separatisti filo-russi nel Donbass (Ucraina orientale), questi ultimi sotto il vessillo delle autoproclamate repubbliche popolari di Doneck e Lugansk.
Si diceva che il progetto è prossimo alla conclusione, dato che mancano appena 150 km di tubature da posare per collegare i due terminali. Il processo ha però subito un significativo arresto nel dicembre 2019[5], quando l’amministrazione Trump ha dato seguito alle parole e promesso sanzioni per qualsiasi impresa avesse partecipato alla conclusione del progetto – scatenando l’uscita di scena della società di costruzioni Allseas. I lavori sono ricominciati alla fine del 2020, seppure con ritmi meno sostenuti, grazie alla società Fortuna (posseduta da un cittadino russo), che è stata ineludibilmente presa di mira dalle sanzioni a stelle e strisce.
A Berlino, intanto, il dibattito politico su Nord Stream 2 è da mesi tra i più spinosi: sia la cancelliera Angela Merkel (e il suo probabile successore alla guida della CDU, Armin Laschet) che il ministro degli Esteri Heiko Maas hanno più o meno velatamente difeso il progetto[6] – dicendo di non voler “mischiare” la politica con gli affari. Così, lo stesso Paese che non meno di un mese fa ha ospitato l’attivista Aleksej Naval'nyj e accusato il Cremlino di essere dietro il suo avvelenamento mediante agente nervino novičok, non sembra peraltro intenzionato a indietreggiare sul Nord Stream. Scegliendo così di seguire quello che si è ormai affermato come principale approccio europeo con la Russia: amici mai, piuttosto buoni soci in affari.
[1] “Russia-EU – International Trade in Goods Statistics,” Statistics Explained (Eurostat), marzo 2020, Link.
[2] Maggiori informazioni sul sito ufficiale: “Why Tanap?” Trans Anatolian Natural Gas Pipeline Project, Link. Sul c.d. corridoio meridionale del gas leggasi: “Il Corridoio Meridionale del Gas,” Trans Adriatic Pipeline, Link.
[3] “Nord Stream 2,” Gazprom, Link.
[4] “Russia's Gazprom to Pay $2.9 Billion in New Ukraine Gas Deal,” Deutsche Welle, 21 dicembre 2019, Link.
[5] Sissi Bellomo, “NordStream 2 Fermo per Sanzioni Usa. La Germania: Grave Interferenza,” Il Sole 24 Ore, 22 dicembre 2019, Link.
[6] Frank Jordans e Geir Moulson, “Germany Defends Russia Pipeline, Mum on Reported Offer to US,” ABC News, 10 febbraio 2021, Link.