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In odio del ma

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Terminata l’epoca del piuttosto che, siamo mestamente entrati in quella del ma. L’Accademia della crusca tutta insieme tira un sospiro di sollievo, perché se del “piuttosto che” si faceva un utilizzo errato, su quello del ma c’è poco da dire, almeno dal punto di vista grammaticale.

Il punto è che per i nostri giornaloni e telegiornaloni del giornalista collettivo politicamente corretto il ma è il subdolo grimaldello per aprire quel che resta della tranquillità personale. Quell’intimo spazio cerebrale/ormonale che equivale al quadrotto di cioccolato. Uno spiraglio di luce che deve essere subito chiuso nell’antro oscuro del panico.

Il ma è l’arnese perfetto per alimentare lo stato di perenne tensione nella quale dobbiamo vivere all’infinito e soprattutto costantemente. È come il jolly, l’asso pigliatutto. Per un attimo hai pensato di vincere almeno una partita e invece ti trovi ancora una volta perdente e senza prospettive.

La regola è molto semplice: la buona notizia anche se parziale va accompagnata immediatamente con la minaccia, la reprimenda, la ramanzina, la sculacciata, l’avvertimento. Si riapre, ma comportatevi bene. Siamo diventati gialli ma occhio agli assembramenti. Diminuiscono i ricoverati ma si temono le varianti. C’è il vaccino ma non raggiungeremo mai l’immunità. Vi concedo la caramella ma vi dovete prendere la supposta.

È tutto un ma. Carotina ma soprattutto bastone.

Quanto male può provocare una congiunzione.

Sia maledetto il giornalismo del ma.