Ottomània
Oggi in Pezzi unici lanciamo un’altra rubrica per Filodiritto: Ottomània, che ci terrà compagnia per otto puntate, fino ad aprile 2021. Ci rivedremo a settembre 2020 con la puntata n. 8 di Pezzi unici con una sorpresa risorgimentale.
Il raffinato motivo floreale che emerge dal fondo di seta rossa ricamata a fili d’argento, la cui foto fa da sfondo alla presentazione di questa rubrica, appartiene a un drappo che giunse a Venezia nel 1625, custodendo la lettera del sultano Murad IV al doge. Questo prezioso reperto tessile consta di due parti originariamente cucite assieme a formare una sorta di tasca, che in ottomano si chiamava “kîse”, un termine che ancora oggi, in turco moderno, indica qualsiasi contenitore di stoffa aperto da un lato.
Un rivestimento tanto elegante custodiva le parole che il sultano, appena insediato sul trono imperiale, rivolgeva alla Signoria. Dal 1573, anno in cui la Repubblica di Venezia si sottrasse alla Santa Lega stipulando una pace separata con l’Impero ottomano, cominciò infatti un lungo periodo di pace e alleanza strategica tra i due Stati, che si protrasse fino alla metà del secolo successivo. L’operosità imprenditoriale e commerciale dei comuni sudditi ottomani e veneziani si concentrò soprattutto nei Balcani e in particolare in Bosnia, le cui frontiere occidentali sorgevano nell’immediato entroterra della dalmata Spalato, teatro di un ambizioso progetto di porto franco sin dagli ultimi due decenni del Cinquecento.
Proprio delle relazioni secentesche tra la Bosnia e Venezia parlano i due documenti che ho voluto presentare in questa prima puntata della rubrica. Prima di analizzarli, vorrei tuttavia specificare cosa si intenda per “documento ottomano”.
Si tratta di un manoscritto redatto in lingua ottomana, o emesso dalla cancelleria imperiale di Istanbul (o dalle cancellerie provinciali a essa sottoposte)? La sovrapposizione dei due concetti è lecita, dal momento che la lingua dell’Eccelso Stato non fu esclusivamente l’ottomano, ma anche, per esempio, il greco bizantino nel Quattrocento e il francese nell’Ottocento. D’altro canto, non furono soltanto i “kâtib” (scrivani) del sultano a redigere documenti in ottomano, giacché in questa lingua si scriveva anche altrove, per esempio a Venezia, come dimostra la minuta che compare nel video.
L’aggettivo stesso “ottomano”, derivante dal nome del capostipite della dinastia regnante, confonde la mentalità che assocerebbe “una lingua ad un popolo”. In realtà, sarebbe più corretto parlare di un’élite cosmopolita, che faceva dello spettro di codici linguistici detto “ottomano” l’eclettica lingua di governo di una realtà istituzionale strutturalmente eterogenea.
La minuta (Documenti Turchi, busta 12, d. 1316), redatta probabilmente da un dragomanno residente a Venezia, è la traduzione di una lettera del 3 febbraio 1625, pure conservata nella stessa serie, con cui il doge Giovanni Corner chiedeva al governatore (“beýlerbeýi”) di Bosnia, Murteza Pascià di ben accogliere a Sarajevo il suo inviato, Marcantonio Vellutello, priore del lazzaretto di Spalato e latore di alcune richieste relative alla protezione dei mercanti veneziani attivi in quella provincia.
Fedelmente, la minuta riporta il nome dell’inviato e la sua funzione (“[…] İsplit iskelesinde priyôr olan […]” – corsivo mio). Il traduttore doveva conoscere bene le regole della prosa ottomana, poiché non esita a mutuarne formule specifiche, come per esempio quella che introduceva richieste particolari dell’una all’altra parte: “[…] mabeyinde qadîmî dostluğa binâyen […]” (“nel nome della vicendevole antica amicizia”). Il riferimento andava alla cultura aristotelica, che accomunava Ottomani e Veneziani, per la quale l’amicitia era sentimento politico, finalizzato al benessere pubblico, e non affinità personale.
Benché in Archivio di Stato di Venezia non sia rimasta che la minuta di questa lettera, dobbiamo legittimamente supporre che da qualche parte nei Balcani ve ne sia o ve ne fosse, visti i danni che hanno subito i fondi archivistici di Sarajevo nell’ultima guerra, la bella copia, che certo Murteza Pascià ricevette, dal momento che la cita esplicitamente nella sua risposta al doge (Documenti Turchi, busta 12, d. 1317). Splendida la sua lettera e in tutto analoga alle missive del sultano, come testimoniano il linguaggio aulico, la scrittura “divânî” e l’inchiostro mescolato a polvere d’oro.
Ecco dunque che per il lancio di questa nostra rubrica sono stati ospitati documenti ottomani che, forse per qualcuno sorprendentemente, non vengono “da Istanbul”, ma da una tappa della lunga strada terrestre e infine marittima che giungeva a Venezia: nel 1625, l’ottomano di Istanbul era considerato e usato come lingua di comunicazione ufficiale anche tra Venezia e Sarajevo.
Per vedere il video YouTube dell’Archivio di Stato di Venezia: