Parole, parole parole... la Corte di Appello scivola su “una parola” della direttiva comunitaria in tema di responsabilità del provider
Nella recente sentenza, a suo modo “rivoluzionaria, in tema di responsabilità di Yahoo per responsabilità in tema di violazione del diritto d’autore, la Corte d’Appello parte da un presupposto non proprio ben esplicitato: la menzione della sussistenza di un diverso regime di responsabilità civile dell’hosting provider che svolge attività di memorizzazione e catalogazione dei dati ricevuti, fatta dal giudice di prime cure tramite il mero richiamo a un Considerando non riguardante il suo status, oltretutto con riferimento a un preambolo della legge esplicativo della ratio della disciplina adottata in sede europea, non è certamente congruente con quanto disposto più specificamente dalla direttiva sul commercio elettronico in merito al servizio di hosting provider.
La Corte d’Appello quindi afferma che nel considerando n. 42 si sancisce che le deroghe alla responsabilità stabilita nella Direttiva 2000/31/CE riguardano esclusivamente il caso in cui l’attività di prestatore di servizi della società dell’informazione si limiti al processo tecnico di attivare e fornire accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione.
Siffatta attività sarebbe quindi di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, il che implica che il prestatore di servizi della società dell’informazione non conosce né controlla le informazioni trasmesse o memorizzate. Tale limitazione di responsabilità, pertanto non risulta riferibile al fornitore di accesso a internet che offra un servizio di hosting.
A monte della riflessione sembra però esserci una svista collegata al dato letterale della norma.
La Corte d’Appello infatti dopo avere qualificato il servizio “Yahoo Video” come “servizio di “ospitalità” di dati” e Yahoo! Italia come mero “hosting provider”, ha escluso una qualsiasi forma di responsabilità della resistente sulla base delle disposizioni dettate - sia a livello europeo che nazionale - con unico riferimento ai “prestatori intermediari” che forniscono i servizi di “mere conduit” e di “caching”.
La violazione è resa evidente dal dato letterale utilizzato dalla Corte d’Appello: esso infatti sembra ricalcare fedelmente il dato testuale utilizzato dal legislatore europeo (e nazionale) per indicare le condizioni a cui è subordinata l’applicazione dello speciale regime di responsabilità per i prestatori dei servizi di “mere conduit” e di “caching”.
Le espressioni in sentenza si sovrappongono con le norme che disciplinano la responsabilità dei fornitori di servizi di “mere conduit” e di “caching”.
Al punto ventotto la Corte d’Appello afferma: l’eccezione al principio di non responsabilità dell’hosting provider prevede, dunque […] che sia nei fatti profilabile solo e propriamente un’attività deliberatamente finalizzata a collaborare con il terzo fruitore del servizio al fine di commettere atti illeciti.
In verità, il considerando 44 della Direttiva 2000/31/CE espressamente prevede che sono i prestatori dei servizi di semplice trasporto (“mere conduit”) e di “caching” a non poter “beneficiare delle deroghe in materia di responsabilità previste per tali attività” se “deliberatamente collaborano con un destinatario del suo servizio al fine di commettere atti illeciti”.
Il Giudice di secondo grado ha quindi applicato a Yahoo! Italia - dallo stesso espressamente qualificato come “hosting”- disposizioni normative espressamente destinate a soggetti che hanno uno status ai fatti differente (di “mere conduit” e di “caching”) da quello attribuito dalla stessa
Dal tenore letterale delle norme propriamente riferibili al servizio di “hosting” non emerge affatto che tale prestatore non possa beneficiare del regime attenuato di responsabilità “solo ed esclusivamente” se “deliberatamente collabora” col destinatario del servizio “al fine di commettere atti illeciti”.
Sostanzialmente affinchè il prestatore di hosting soggiaccia al regime ordinario di responsabilità civile previsto dal diritto interno - e sia quindi escluso dal regime di favore previsto dall’articolo 14 della Direttiva cit. (e dall’articolo 16 del Decreto Legislativo n. 70/2003) - occorre molto meno:
è sufficiente cioè che egli non sia “neutro” rispetto alla memorizzazione di informazioni e che in qualunque modo “conosca” o “controlli” le medesime informazioni.
Per la Corte invece ad oggi “la nozione di hosting provider attivo risulta oggi sicuramente fuorviante e sicuramente da evitare concettualmente in quanto mal si addice ai servizi di ospitalità in rete in cui il prestatore non interviene in alcun modo sul contenuto caricato dagli utenti”; non opera “alcuna ulteriore elaborazione” delle informazioni stesse; non “altera l’integrità dell’informazione”.
Quindi, muovendo dal presupposto che Yahoo! Italia “non interviene in alcun modo sul contenuto caricato dagli utenti”, non opera “alcuna ulteriore elaborazione” delle informazioni stesse e non “altera l’integrità dell’informazione”, la Corte ritiene che vada applicato al caso de quo il regime normativo previsto dall’articolo 16 del Decreto Legislativo n. 70/2003 e che quindi “erroneamente” il primo giudice abbia ritenuto di dovere “valutare la condotta di Yahoo! Italia secondo le comuni regole di responsabilità civile”.
In verità la svista sembra averla commessa proprio la Corte d’Appello per avere nuovamente ritenuto applicabili al servizio Yahoo Video - costantemente definito hosting- previsioni normative riferibili esclusivamente al “mere conduit” ed al “caching”.
Il considerando 43 della direttiva infatti stabilisce che solo il mere conduit ed il caching possono beneficiare delle deroghe alla responsabilità ad essi destinate a condizione che:
(a) non siano “in alcun modo coinvolti nell’informazione trasmessa”;
(b) “non modifichino l’informazione” trasmessa e
(c) “non alterino l’integrità dell’informazione contenuta nella trasmissione”.
La stessa formulazione letterale la si ritrova infatti nuovamente agli articoli 12 della Direttiva cit. e 14 del Decreto Legislativo n. 70/2003 in riferimento al mere conduit e agli articoli 13 della Direttiva cit. e 15 del Decreto Legislativo n. 70/2003 in riferimento al caching:
(a) il mere conduit “non è responsabile delle informazioni trasmesse a condizione che egli […] non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse”;
(b) il caching “non è responsabile della memorizzazione automatica, intermedia e temporanea di tali informazioni effettuata al solo scopo di rendere più efficace il successivo inoltro ad altri destinatari a loro richiesta, a condizione che egli […] non modifichi le informazioni”.
Sul punto quindi la Corte d’Appello sembra aver erroneamente applicato i “considerando” 43 e 44 della Direttiva 2000/31/CE, gli articoli 12 e 13 della medesima direttiva e gli articoli 14 e 15 del Decreto Legislativo n. 70/2003 per avere applicato tale quadro normativo - espressamente destinato ai servizi di mere conduit e di caching - al servizio oggetto di sentenza, costantemente qualificato dalla stessa Autorità giudicante come hosting.
Ed infatti dal complesso delle norme su citate, lette unitamente al considerando 42 ed agli articoli 14 della Direttiva cit. e 16 del Decreto Legislativo n. 70/2003, emergono due regimi di responsabilità totalmente diversi: 1) il mere conduit ed il caching non possono beneficiare delle “deroghe” all’ordinario regime di responsabilità solo se “deliberatamente collaborano” alla realizzazione dell’illecito o se “modificano” o “alterano” le informazioni trasmesse o temporaneamente memorizzate (cfr. considerando 43 e 44).; 2) l’hosting non può beneficiare delle “deroghe” all’ordinario regime di responsabilità se molto più semplicemente la sua attività non è “di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, il che implica che il prestatore di servizi della società dell’informazione non conosce né controlla” le informazioni memorizzate (cfr. considerando 42).
Ne segue che la Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare se applicare a Yahoo! Italia il regime di responsabilità ordinario, previsto indistintamente per tutti i servizi della società dell’informazione, o il regime “speciale”, previsto esclusivamente a vantaggio dei fornitori di servizi di hosting la cui attività è “neutra” e “passiva”, e - analizzando il servizio “Yahoo Video” alla luce del considerando 42, il solo applicabile ai fornitori di hosting e non come invece è stato fatto - alla luce dei considerando 43 e 44, rivolti esclusivamente ai servizi di mere conduit e di caching - arrivare probabilmente ad una conclusione diversa.
Nella recente sentenza, a suo modo “rivoluzionaria, in tema di responsabilità di Yahoo per responsabilità in tema di violazione del diritto d’autore, la Corte d’Appello parte da un presupposto non proprio ben esplicitato: la menzione della sussistenza di un diverso regime di responsabilità civile dell’hosting provider che svolge attività di memorizzazione e catalogazione dei dati ricevuti, fatta dal giudice di prime cure tramite il mero richiamo a un Considerando non riguardante il suo status, oltretutto con riferimento a un preambolo della legge esplicativo della ratio della disciplina adottata in sede europea, non è certamente congruente con quanto disposto più specificamente dalla direttiva sul commercio elettronico in merito al servizio di hosting provider.
La Corte d’Appello quindi afferma che nel considerando n. 42 si sancisce che le deroghe alla responsabilità stabilita nella Direttiva 2000/31/CE riguardano esclusivamente il caso in cui l’attività di prestatore di servizi della società dell’informazione si limiti al processo tecnico di attivare e fornire accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione.
Siffatta attività sarebbe quindi di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, il che implica che il prestatore di servizi della società dell’informazione non conosce né controlla le informazioni trasmesse o memorizzate. Tale limitazione di responsabilità, pertanto non risulta riferibile al fornitore di accesso a internet che offra un servizio di hosting.
A monte della riflessione sembra però esserci una svista collegata al dato letterale della norma.
La Corte d’Appello infatti dopo avere qualificato il servizio “Yahoo Video” come “servizio di “ospitalità” di dati” e Yahoo! Italia come mero “hosting provider”, ha escluso una qualsiasi forma di responsabilità della resistente sulla base delle disposizioni dettate - sia a livello europeo che nazionale - con unico riferimento ai “prestatori intermediari” che forniscono i servizi di “mere conduit” e di “caching”.
La violazione è resa evidente dal dato letterale utilizzato dalla Corte d’Appello: esso infatti sembra ricalcare fedelmente il dato testuale utilizzato dal legislatore europeo (e nazionale) per indicare le condizioni a cui è subordinata l’applicazione dello speciale regime di responsabilità per i prestatori dei servizi di “mere conduit” e di “caching”.
Le espressioni in sentenza si sovrappongono con le norme che disciplinano la responsabilità dei fornitori di servizi di “mere conduit” e di “caching”.
Al punto ventotto la Corte d’Appello afferma: l’eccezione al principio di non responsabilità dell’hosting provider prevede, dunque […] che sia nei fatti profilabile solo e propriamente un’attività deliberatamente finalizzata a collaborare con il terzo fruitore del servizio al fine di commettere atti illeciti.
In verità, il considerando 44 della Direttiva 2000/31/CE espressamente prevede che sono i prestatori dei servizi di semplice trasporto (“mere conduit”) e di “caching” a non poter “beneficiare delle deroghe in materia di responsabilità previste per tali attività” se “deliberatamente collaborano con un destinatario del suo servizio al fine di commettere atti illeciti”.
Il Giudice di secondo grado ha quindi applicato a Yahoo! Italia - dallo stesso espressamente qualificato come “hosting”- disposizioni normative espressamente destinate a soggetti che hanno uno status ai fatti differente (di “mere conduit” e di “caching”) da quello attribuito dalla stessa
Dal tenore letterale delle norme propriamente riferibili al servizio di “hosting” non emerge affatto che tale prestatore non possa beneficiare del regime attenuato di responsabilità “solo ed esclusivamente” se “deliberatamente collabora” col destinatario del servizio “al fine di commettere atti illeciti”.
Sostanzialmente affinchè il prestatore di hosting soggiaccia al regime ordinario di responsabilità civile previsto dal diritto interno - e sia quindi escluso dal regime di favore previsto dall’articolo 14 della Direttiva cit. (e dall’articolo 16 del Decreto Legislativo n. 70/2003) - occorre molto meno:
è sufficiente cioè che egli non sia “neutro” rispetto alla memorizzazione di informazioni e che in qualunque modo “conosca” o “controlli” le medesime informazioni.
Per la Corte invece ad oggi “la nozione di hosting provider attivo risulta oggi sicuramente fuorviante e sicuramente da evitare concettualmente in quanto mal si addice ai servizi di ospitalità in rete in cui il prestatore non interviene in alcun modo sul contenuto caricato dagli utenti”; non opera “alcuna ulteriore elaborazione” delle informazioni stesse; non “altera l’integrità dell’informazione”.
Quindi, muovendo dal presupposto che Yahoo! Italia “non interviene in alcun modo sul contenuto caricato dagli utenti”, non opera “alcuna ulteriore elaborazione” delle informazioni stesse e non “altera l’integrità dell’informazione”, la Corte ritiene che vada applicato al caso de quo il regime normativo previsto dall’articolo 16 del Decreto Legislativo n. 70/2003 e che quindi “erroneamente” il primo giudice abbia ritenuto di dovere “valutare la condotta di Yahoo! Italia secondo le comuni regole di responsabilità civile”.
In verità la svista sembra averla commessa proprio la Corte d’Appello per avere nuovamente ritenuto applicabili al servizio Yahoo Video - costantemente definito hosting- previsioni normative riferibili esclusivamente al “mere conduit” ed al “caching”.
Il considerando 43 della direttiva infatti stabilisce che solo il mere conduit ed il caching possono beneficiare delle deroghe alla responsabilità ad essi destinate a condizione che:
(a) non siano “in alcun modo coinvolti nell’informazione trasmessa”;
(b) “non modifichino l’informazione” trasmessa e
(c) “non alterino l’integrità dell’informazione contenuta nella trasmissione”.
La stessa formulazione letterale la si ritrova infatti nuovamente agli articoli 12 della Direttiva cit. e 14 del Decreto Legislativo n. 70/2003 in riferimento al mere conduit e agli articoli 13 della Direttiva cit. e 15 del Decreto Legislativo n. 70/2003 in riferimento al caching:
(a) il mere conduit “non è responsabile delle informazioni trasmesse a condizione che egli […] non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse”;
(b) il caching “non è responsabile della memorizzazione automatica, intermedia e temporanea di tali informazioni effettuata al solo scopo di rendere più efficace il successivo inoltro ad altri destinatari a loro richiesta, a condizione che egli […] non modifichi le informazioni”.
Sul punto quindi la Corte d’Appello sembra aver erroneamente applicato i “considerando” 43 e 44 della Direttiva 2000/31/CE, gli articoli 12 e 13 della medesima direttiva e gli articoli 14 e 15 del Decreto Legislativo n. 70/2003 per avere applicato tale quadro normativo - espressamente destinato ai servizi di mere conduit e di caching - al servizio oggetto di sentenza, costantemente qualificato dalla stessa Autorità giudicante come hosting.
Ed infatti dal complesso delle norme su citate, lette unitamente al considerando 42 ed agli articoli 14 della Direttiva cit. e 16 del Decreto Legislativo n. 70/2003, emergono due regimi di responsabilità totalmente diversi: 1) il mere conduit ed il caching non possono beneficiare delle “deroghe” all’ordinario regime di responsabilità solo se “deliberatamente collaborano” alla realizzazione dell’illecito o se “modificano” o “alterano” le informazioni trasmesse o temporaneamente memorizzate (cfr. considerando 43 e 44).; 2) l’hosting non può beneficiare delle “deroghe” all’ordinario regime di responsabilità se molto più semplicemente la sua attività non è “di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, il che implica che il prestatore di servizi della società dell’informazione non conosce né controlla” le informazioni memorizzate (cfr. considerando 42).
Ne segue che la Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare se applicare a Yahoo! Italia il regime di responsabilità ordinario, previsto indistintamente per tutti i servizi della società dell’informazione, o il regime “speciale”, previsto esclusivamente a vantaggio dei fornitori di servizi di hosting la cui attività è “neutra” e “passiva”, e - analizzando il servizio “Yahoo Video” alla luce del considerando 42, il solo applicabile ai fornitori di hosting e non come invece è stato fatto - alla luce dei considerando 43 e 44, rivolti esclusivamente ai servizi di mere conduit e di caching - arrivare probabilmente ad una conclusione diversa.