Partecipazione al processo costituzionale
Mi ritrovo, per una serie di circostanze, ad approfondire la Delibera 8 gennaio 2020 della Corte Costituzionale recante modificazioni alle “Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale” pubblicata in G.U. n. 17 del 22.1.2020.
Come noto, la stessa ha introdotto rilevanti modifiche al giudizio dinanzi la Corte aprendo le “porte” alla società civile e consentendo a “esperti” di chiara fama di fornire informazioni ai giudici in specifiche discipline per le quali occorre adeguato supporto specialistico.
La Delibera ha apportato modifiche alle originarie “Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale” approvate il 16 marzo 1956 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 24 marzo 1956 n. 71 incidendo, per la parte che qui interessa, sull’articolo 4 dove è stato introdotto, dopo l’articolo 4-bis dedicato all’accesso degli intervenienti agli atti processuali, l’articolo 4-ter dal titolo “Amici curiae”.
È bene sin da subito premettere che l’istituto diverge da quello della partecipazione del “terzo” al processo costituzionale che, invero, ha nell’articolo 4 commi da 1 a 7 la sua disciplina ad hoc separata ed autonoma rispetto a quella dedicata all’amicus curiae; sono istituti autonomi in ragione del fatto che il terzo assume poteri analoghi a quelli delle parti e partecipa al contraddittorio a seguito della decisione di ammissibilità. È peraltro un soggetto avente un interesse qualificato che potrebbe essere direttamente pregiudicato dalla decisione costituzionale, e per questo la stessa partecipazione è espressione del diritto di difesa ex articolo 24 della Costituzione.
L’ingresso degli amici curiae nel processo è connotato sia negli aspetti soggettivi che oggettivi.
Sotto il primo profilo, sono qualificati “amici” le formazioni sociali senza scopo di lucro e i soggetti istituzionali, portatori di interessi collettivi o diffusi, sotto il secondo tali soggetti devono avere un interesse che sia “attinente alla questione di costituzionalità”.
L’attinenza, come pure la titolarità dell’interesse, è verificata attraverso il procedimento previsto ante ammissibilità della partecipazione; i predetti soggetti possono, infatti, presentare opinioni scritte entro il limite massimo di 25 mila caratteri depositandole via PEC alla cancelleria della Corte, ed è il Presidente, a quel punto, sentito il giudice relatore, a vagliare l’ammissibilità delle “memorie” tenuto conto di quelle che offrono elementi utili alla conoscenza e alla valutazione del caso, anche in ragione della sua complessità.
La partecipazione, proprio in ragione della differenza sostanziale rispetto alla partecipazione dei “terzi”, non determina la qualità di parte, né i soggetti “amici” possono ottenere copia degli atti e partecipare all’udienza (articolo 4-ter comma 5).
L’introduzione delle formazioni sociali e di interlocutori portatori di interessi qualificati non pare affondare le radici nel diritto europeo, più precisamente nel diritto della CEDU e nel regolamento disciplinante il giudizio dinanzi la Corte Europea.
Là infatti, la disposizione di riferimento, costituita dall’articolo 44 comma 3 del Regolamento della Corte europea dei diritti dell’uomo del 4 novembre 1998 nel prevedere che “3. a) Dopo che il ricorso è portato alla conoscenza della Parte contraente convenuta in virtù degli articoli 51 paragrafo 1 o 54 paragrafo 2 lettera b del presente regolamento, il presidente della Camera può, nell’interesse di una buona amministrazione della giustizia, come previsto nell’articolo 36 para-grafo 2 della Convenzione, invitare o autorizzare ogni Parte contraente non parte nella procedura, o ogni persona interessata diversa dal ricorrente, a presentare delle osservazioni scritte o, in circostanze eccezionali, a prendere parte all’udienza. b) Le domande d’autorizzazione a tal fine devono essere debitamente motivate e presentate per scritto in una delle lingue ufficiali, come previsto nell’articolo 34 paragrafo 4 del presente regolamento, al più tardi dodici settimane dopo che il ricorso è stato portato alla conoscenza della Parte contraente convenuta. Il presidente della Camera può, in via eccezionale, fissare un ulteriore termine” determina una facoltà in ordine alla partecipazione scritta o all’udienza (seppure quest’ultima solo in circostanze eccezionali) e non individua analiticamente la tipologia di interessi attorno ai quali può formarsi la partecipazione; anzi, estendendo la possibilità di partecipazione ad “ogni persona interessata diversa dal ricorrente”, pare aver esteso l’ambito partecipativo anche ad organizzazioni governative e ONG.
La Corte Costituzionale ha invero perimetrato rigorosamente l’ambito limitando la legittimazione ad associazioni senza scopo di lucro e a soggetti portatori di interessi qualificati, diffusi o collettivi. Non pare, quindi, il sistema europeo aver influenzato il nostro modello costituzionale, tenuto contro, oltretutto, delle peculiarità processuali che si sviluppano a seguito dell’ammissione dell’amicus.
Una volta ammesse le opinioni con decreto del Presidente, la memoria che le incorpora entra a far parte del processo a tutti gli effetti. Essa entra di diritto nel fascicolo del giudizio e possono, le parti, prenderne visione e contestarne il contenuto, e gli stessi giudici possono menzionarle nella decisione finale.
Pare quindi, l’intero procedimento, avvolgersi intorno all’importanza delle opinioni espresse in memoria, sia al fine dell’ammissibilità che al fine della rilevanza nella decisione finale.
Ciò che è certo, comunque, è che l’apertura verso la società civile e l’ascolto degli interessi meritevoli segna virtuosamente il “nuovo” processo costituzionale, sebbene lo stesso non resterà immune da “derive” originate dalla stessa partecipazione.
La possibilità mediante brevi scritti di intervenire anche su scelte costituzionali potrà essere usata da molti gruppi in modo meno sano di quanto auspichi la Corte; vi potranno essere pressioni, o “suggestioni”, che sotto forma di “opinioni” alcuni interlocutori proveranno ad inserire dinanzi a questioni attinenti diritti quali la libertà, la salute, l’economia.
Sperando in un uso “appropriato”, vi è il rischio – come correttamente rilevato (A. Ruggeri “La “democratizzazione” del processo costituzionale: una novità di pregio non priva però di rischi” in Giustizia insieme, 24.1.2020) – anche di una mole di lavoro maggiore, legata ai molteplici interventi e a opinioni cartolari frequenti che possono “distorcere” l’uso e soprattutto la finalità dell’istituto.
Starà alla Corte, cui le norme integrative assicurano una certa flessibilità, dare un’impronta in sede applicativa, valorizzando al meglio l’effettivo “confronto” tra società civile e giudici costituzionali per una giustizia “giusta”.