Poteri del giudice ordinario sugli atti amministrativi ed esperibilità delle azioni possessorie nei confronti della pubblica amministrazione
Sulla base dell’ordinario di riparto di giurisdizione, in conformità al criterio della causa petendi, il giudice ordinario ha la cognizione delle controversie aventi per oggetto un diritto soggettivo; mentre il giudice amministrativo, salvo le ipotesi di giurisdizione esclusiva ove conosce anche di diritti soggettivi, quelle di interesse legittimo.
Come regola, quindi, il giudice ordinario non ha poteri di sindacato sugli atti posti in essere dalla P.A. Pur tuttavia il legislatore ha previsto espressamente, con la legge abolitiva del contenzioso amministrativo (legge n. 2248/1865 allegato E), la possibilità che il giudice ordinario possa conoscere anche di atti amministrativi; la suddetta legge prevede che, per determinate materie, il giudice ordinario può sindacare atti emanati da una P.A. che abbiano per oggetto, ai sensi della legge n. 2248/1865, “tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico”.
Tale disposizione trova oggi un referente nella Carta fondamentale negli articoli 24 e 113 Costituzione, l’articolo 24 prevede espressamente che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi” anche nei confronti di atti emanati dalla P.A. lesivi della sfera giuridica del privato, l’articolo 113, invece dopo aver affermato nel comma 1 che “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa”, specifica al comma 2 che “la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa”.
Con tale disposizione il legislatore individua i casi e fissa i limiti relativi all’ambito di operatività dei poteri del giudice ordinario sui provvedimenti ed atti della P.A.
La legge abolitiva del contenzioso individua tali limiti, esterni ed interni, negli articoli 4 e 5. L’articolo 4 fissa i limiti esterni nella ipotesi in cui un atto emanato da una pubblica autorità sia causa di lesione di un diritto soggettivo.
La dottrina e la giurisprudenza tradizionale hanno inteso interpretare estensivamente il concetto di atto amministrativo, facendo rientrare anche i comportamenti materiali di una P.A. che non siano espressione di una potestà pubblicistica. L’orientamento prevalente, invece, oggi in giurisprudenza, anche sulla scorta delle due sentenze della Corte Costituzionale n. 204/04 e n. 191/06, intende per atto amministrativo solo quegli atti che siano espressione di una potestà pubblicistica.
L’orientamento prevalente ritiene che , nelle ipotesi in cui il giudice ordinario conosce degli effetti dell’atto lesivi di un diritto soggettivo, lo stesso emani una sentenza dichiarativa della inesistenza o nullità dell’atto stesso e non della mera illegittimità.
Il secondo comma dell’articolo 4 legge n. 2248/1865, invece, prevede un vero e proprio sbarramento al giudice ordinario posto che non può né revocare, né annullare, né modificare l’atto “se non sovra ricorso alla competente autorità amministrativa”.
Tuttavia però parte della giurisprudenza riconosce la piena cognizione del giudice ordinario su quegli atti amministrativi che comprimono o ledono diritti fondamentali; in tali ipotesi, essendo alla base la tutela di un diritto soggettivo assoluto, si ritiene che il giudice ordinario possa adottare tutti i provvedimenti opportuni per la tutela di tale diritto, il quale non viene ad essere affievolito dalla mediazione del potere amministrativo (trattasi della tesi, elaborata dalla dottrina amministrativistica, dei diritti inaffievolibili).
Sul punto, recentemente, è intervenuta la Corte Costituzionale la quale, con la sentenza n. 140/07, prevede espressamente che non è prerogativa assoluta del giudice ordinario la materia dei diritti fondamentali della persona, posto che gli stessi possono essere conosciuti dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva (una chiara applicazione si rinviene in materia di rifiuti ove il decreto legge n. 90 /08 prevede la cognizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie che attengono diritti fondamentali della persona).
L’articolo 5 della legge abolitiva del contenzioso, invece, disciplina l’istituto della disapplicazione incidentale da parte del giudice ordinario con riguardo ad atti e regolamenti amministrativi che non siano conformi alla legge.
L’orientamento oggi prevalente, in dottrina ed in giurisprudenza, ritiene che il giudice ordinario sia legittimato, ex lege, ad una conoscenza incidentale di un atto amministrativo che si pone quale antecedente logico di una decisione che deve prendere il giudice ordinario.
Il sindacato incidentale concerne l’accertamento amministrativo sia legittimo ovverosia non inficiato da uno dei vizi di cui all’articolo 21 octies della legge 241/90, trattasi dell’articolo che cristallizza la categoria della annullabilità.
Nello specifico il giudice ordinario deve accertare che l’atto non sia stato emanato da un organo incompetente, che l’atto non violi una disposizione di legge, ed infine, secondo l’orientamento oggi prevalente in giurisprudenza, che non sussista il vizio dell’eccesso di potere, fatto salvo il divieto, in quest’ultimo caso, per il giudice ordinario di sindacare le scelte, il merito e l’opportunità della P.A.
La giurisprudenza ha statuito che il giudice ordinario accerta la mera illegittimità di un atto amministrativo produttivo di effetti giuridici disapplicandolo se illegittimo, a differenza della ipotesi di cui all’articolo 4 legge n. 2248/1865 ove l’atto amministrativo non è produttivo di effetti. Per via di quanto detto la giurisprudenza oggi prevalente esclude un potere di disapplicazione generale ex articoli 4 e 5 da parte del giudice ordinario.
Sulla base del disposto costituzionale di all’ultimo comma dell’articolo 113 Costituzione il legislatore ha individuato determinati ambiti ove i poteri del giudice ordinario travalicano i limiti di cui agli articoli 4 e 5 citati.
Si pensi all’era del pubblico impiego privatizzato, ove l’articolo 63 Testo unico pubblico impiego (decreto legislativo n. 165/01), devolve quasi tutte le controversie relative al pubblico impiego al giudice ordinario, al Codice della privacy, approvato con decreto legislativo n. 196/03, o ancora alla legge n. 689/81 in materia di sanzioni amministrative conosciute dal giudice ordinario.
In tali settori il medesimo è legittimato anche ad annullare provvedimenti emanati da una pubblica autorità. Con l’estensione della cognizione del giudice ordinario sugli atti amministrativi ci si è chiesti fino a che limite sia ammissibile una tale ingerenza nei confronti della P.A.
L’orientamento oggi prevalente, anche sulla base delle sentenze della Consulta n. 204/04 e n. 191/06, ritiene che non si possa parlare di una giurisdizione esclusiva del giudice ordinario, come sostenuto da alcuni, poiché le materie in cui si rinviene una estensione delle prerogative del giudice ordinario che attengono a posizioni non di interesse legittimo, le quali in base al criterio della causa petendi sono conosciute dal giudice amministrativo, ma di diritto soggettivo, conosciute dal giudice ordinario quale giudice per eccellenza della tutela di tali situazione soggettiva.
Con specifico riguardo, invece, ai provvedimenti che il giudice ordinario può emanare nei confronti della P.A. la dottrina tradizionale e la giurisprudenza prevalente fanno rientrare le sentenze dichiarative mediante le quali l’organo giudicante accerta un obbligo di dare, di facere e non facere del privato nei confronti della P.A.; sentenze costitutive le quali, oltre ad accertare un obbligo o una pretesa, possono costituire, modificare o estinguere un dato rapporto giuridico anche nei confronti della P.A. nelle ipotesi in cui essa opera iure privatorum (ovvero come soggetto privato) e non attraverso l’esercizio di una potestà pubblicistica; da ultimo sentenze di condanna ove la P.A. abbia posto in essere un comportamento materiale illecito che sia causa di responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’articolo 2043 codice civile, o nelle ipotesi in cui il privato esperisca una azione reintegratoria sempre nella ipotesi di condotta illecita della P.A. che non sia manifestazione di un potere autoritativo.
Per quanto concerne quest’ ultima tipologia di azione, che può portare a condannare la P.A. ad un facere specifico, assumono particolare rilievo le azioni possessorie esperibili, ai sensi degli articoli 1168 e seguenti del codice civile, dal privato nel caso di spoglio illegittimo di un determinato bene da parte della P.A.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con più arresti nel corso degli ultimi anni (ex multis le pronunzie n. 4632/07, n. 7388/07, n. 15469/09), oramai ammettono la possibilità per il privato l’esperimento di tali azioni nei confronti della P.A. innanzi al giudice ordinario in presenza di determinati presupposti.
Sia l’azione di spoglio e sia l’azione di manutenzione, ex articoli 1168 e seguenti codice civile, sono esperibili nelle ipotesi in cui la P.A. abbia proceduto all’impossessamento del bene, appartenente al privato, senza che si rinvenga, neanche mediatamente, alcun comportamento che sia riconducibile ad un procedimento o provvedimento della stessa P.A.
In tale situazione appare quanto mai legittima la giurisdizione del giudice ordinario posto che la P.A. adotta un mero comportamento che, anche in base all’insegnamento della Corte Costituzionale con le già richiamate sentenze n. 204/04 e n. 191/06, non si collega, in nessun modo, ad un data manifestazione di una potestà pubblicistica, presupposto questo indefettibile perché la controversia possa essere conosciuta dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.
Le Sezioni Unite hanno rinvenuto la possibilità dell’esercizio di dette azioni nelle ipotesi di occupazione usurpativa di un bene del privato, sia nelle ipotesi in cui la P.A. abbia gito sine titulo, sia nelle ipotesi in cui la P.A. abbia agito per vie di fatto, con comportamenti materiali o jure privatorum.
Le stesse Sezioni Unite ritengono, invece, che sussista la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle ipotesi in cui il privato voglia sindacare la legittimità dell’operato della P.A. (si pensi alla impugnazione da parte di un privato di un decreto di esproprio), in tali ipotesi vige lo sbarramento, per il giudice ordinario, dell’articolo 4 legge n. 2248/1865 contenente, come detto, il divieto per lo stesso di annullare atti emanati da una P.A.
In presenza di tali condizioni viene ad essere rispettato, senza subire stravolgimenti, sia l’articolo 34 decreto legislativo n. 80/98, che prevede la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per quanto concerne le controversie aventi per oggetto atti e provvedimenti della P.A. in materia urbanistica ed edilizia, sia l’articolo 53 del Testo unico espropri, approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 327/01, per quanto concerne le controversie relative alla materia della espropriazione per pubblica utilità, articoli questi modificati prima dall’articolo 7 della legge n. 205/00, poi dalle pronunzie, fondamentali e dai cui non si può prescindere nella subiecta materia, della Consulta n. 204/04, n.281/04, n. 191/06.
Sulla base dell’ordinario di riparto di giurisdizione, in conformità al criterio della causa petendi, il giudice ordinario ha la cognizione delle controversie aventi per oggetto un diritto soggettivo; mentre il giudice amministrativo, salvo le ipotesi di giurisdizione esclusiva ove conosce anche di diritti soggettivi, quelle di interesse legittimo.
Come regola, quindi, il giudice ordinario non ha poteri di sindacato sugli atti posti in essere dalla P.A. Pur tuttavia il legislatore ha previsto espressamente, con la legge abolitiva del contenzioso amministrativo (legge n. 2248/1865 allegato E), la possibilità che il giudice ordinario possa conoscere anche di atti amministrativi; la suddetta legge prevede che, per determinate materie, il giudice ordinario può sindacare atti emanati da una P.A. che abbiano per oggetto, ai sensi della legge n. 2248/1865, “tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico”.
Tale disposizione trova oggi un referente nella Carta fondamentale negli articoli 24 e 113 Costituzione, l’articolo 24 prevede espressamente che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi” anche nei confronti di atti emanati dalla P.A. lesivi della sfera giuridica del privato, l’articolo 113, invece dopo aver affermato nel comma 1 che “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa”, specifica al comma 2 che “la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa”.
Con tale disposizione il legislatore individua i casi e fissa i limiti relativi all’ambito di operatività dei poteri del giudice ordinario sui provvedimenti ed atti della P.A.
La legge abolitiva del contenzioso individua tali limiti, esterni ed interni, negli articoli 4 e 5. L’articolo 4 fissa i limiti esterni nella ipotesi in cui un atto emanato da una pubblica autorità sia causa di lesione di un diritto soggettivo.
La dottrina e la giurisprudenza tradizionale hanno inteso interpretare estensivamente il concetto di atto amministrativo, facendo rientrare anche i comportamenti materiali di una P.A. che non siano espressione di una potestà pubblicistica. L’orientamento prevalente, invece, oggi in giurisprudenza, anche sulla scorta delle due sentenze della Corte Costituzionale n. 204/04 e n. 191/06, intende per atto amministrativo solo quegli atti che siano espressione di una potestà pubblicistica.
L’orientamento prevalente ritiene che , nelle ipotesi in cui il giudice ordinario conosce degli effetti dell’atto lesivi di un diritto soggettivo, lo stesso emani una sentenza dichiarativa della inesistenza o nullità dell’atto stesso e non della mera illegittimità.
Il secondo comma dell’articolo 4 legge n. 2248/1865, invece, prevede un vero e proprio sbarramento al giudice ordinario posto che non può né revocare, né annullare, né modificare l’atto “se non sovra ricorso alla competente autorità amministrativa”.
Tuttavia però parte della giurisprudenza riconosce la piena cognizione del giudice ordinario su quegli atti amministrativi che comprimono o ledono diritti fondamentali; in tali ipotesi, essendo alla base la tutela di un diritto soggettivo assoluto, si ritiene che il giudice ordinario possa adottare tutti i provvedimenti opportuni per la tutela di tale diritto, il quale non viene ad essere affievolito dalla mediazione del potere amministrativo (trattasi della tesi, elaborata dalla dottrina amministrativistica, dei diritti inaffievolibili).
Sul punto, recentemente, è intervenuta la Corte Costituzionale la quale, con la sentenza n. 140/07, prevede espressamente che non è prerogativa assoluta del giudice ordinario la materia dei diritti fondamentali della persona, posto che gli stessi possono essere conosciuti dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva (una chiara applicazione si rinviene in materia di rifiuti ove il decreto legge n. 90 /08 prevede la cognizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie che attengono diritti fondamentali della persona).
L’articolo 5 della legge abolitiva del contenzioso, invece, disciplina l’istituto della disapplicazione incidentale da parte del giudice ordinario con riguardo ad atti e regolamenti amministrativi che non siano conformi alla legge.
L’orientamento oggi prevalente, in dottrina ed in giurisprudenza, ritiene che il giudice ordinario sia legittimato, ex lege, ad una conoscenza incidentale di un atto amministrativo che si pone quale antecedente logico di una decisione che deve prendere il giudice ordinario.
Il sindacato incidentale concerne l’accertamento amministrativo sia legittimo ovverosia non inficiato da uno dei vizi di cui all’articolo 21 octies della legge 241/90, trattasi dell’articolo che cristallizza la categoria della annullabilità.
Nello specifico il giudice ordinario deve accertare che l’atto non sia stato emanato da un organo incompetente, che l’atto non violi una disposizione di legge, ed infine, secondo l’orientamento oggi prevalente in giurisprudenza, che non sussista il vizio dell’eccesso di potere, fatto salvo il divieto, in quest’ultimo caso, per il giudice ordinario di sindacare le scelte, il merito e l’opportunità della P.A.
La giurisprudenza ha statuito che il giudice ordinario accerta la mera illegittimità di un atto amministrativo produttivo di effetti giuridici disapplicandolo se illegittimo, a differenza della ipotesi di cui all’articolo 4 legge n. 2248/1865 ove l’atto amministrativo non è produttivo di effetti. Per via di quanto detto la giurisprudenza oggi prevalente esclude un potere di disapplicazione generale ex articoli 4 e 5 da parte del giudice ordinario.
Sulla base del disposto costituzionale di all’ultimo comma dell’articolo 113 Costituzione il legislatore ha individuato determinati ambiti ove i poteri del giudice ordinario travalicano i limiti di cui agli articoli 4 e 5 citati.
Si pensi all’era del pubblico impiego privatizzato, ove l’articolo 63 Testo unico pubblico impiego (decreto legislativo n. 165/01), devolve quasi tutte le controversie relative al pubblico impiego al giudice ordinario, al Codice della privacy, approvato con decreto legislativo n. 196/03, o ancora alla legge n. 689/81 in materia di sanzioni amministrative conosciute dal giudice ordinario.
In tali settori il medesimo è legittimato anche ad annullare provvedimenti emanati da una pubblica autorità. Con l’estensione della cognizione del giudice ordinario sugli atti amministrativi ci si è chiesti fino a che limite sia ammissibile una tale ingerenza nei confronti della P.A.
L’orientamento oggi prevalente, anche sulla base delle sentenze della Consulta n. 204/04 e n. 191/06, ritiene che non si possa parlare di una giurisdizione esclusiva del giudice ordinario, come sostenuto da alcuni, poiché le materie in cui si rinviene una estensione delle prerogative del giudice ordinario che attengono a posizioni non di interesse legittimo, le quali in base al criterio della causa petendi sono conosciute dal giudice amministrativo, ma di diritto soggettivo, conosciute dal giudice ordinario quale giudice per eccellenza della tutela di tali situazione soggettiva. >Brevi note sull’esercizio, da parte del giudice ordinario, dei propri poteri nei confronti della P.A. con particolare riferimento alle azioni possessorie esperibili, a tutela del propria sfera giuridica, da parte del privato.
Sulla base dell’ordinario di riparto di giurisdizione, in conformità al criterio della causa petendi, il giudice ordinario ha la cognizione delle controversie aventi per oggetto un diritto soggettivo; mentre il giudice amministrativo, salvo le ipotesi di giurisdizione esclusiva ove conosce anche di diritti soggettivi, quelle di interesse legittimo.
Come regola, quindi, il giudice ordinario non ha poteri di sindacato sugli atti posti in essere dalla P.A. Pur tuttavia il legislatore ha previsto espressamente, con la legge abolitiva del contenzioso amministrativo (legge n. 2248/1865 allegato E), la possibilità che il giudice ordinario possa conoscere anche di atti amministrativi; la suddetta legge prevede che, per determinate materie, il giudice ordinario può sindacare atti emanati da una P.A. che abbiano per oggetto, ai sensi della legge n. 2248/1865, “tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico”.
Tale disposizione trova oggi un referente nella Carta fondamentale negli articoli 24 e 113 Costituzione, l’articolo 24 prevede espressamente che “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi” anche nei confronti di atti emanati dalla P.A. lesivi della sfera giuridica del privato, l’articolo 113, invece dopo aver affermato nel comma 1 che “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa”, specifica al comma 2 che “la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa”.
Con tale disposizione il legislatore individua i casi e fissa i limiti relativi all’ambito di operatività dei poteri del giudice ordinario sui provvedimenti ed atti della P.A.
La legge abolitiva del contenzioso individua tali limiti, esterni ed interni, negli articoli 4 e 5. L’articolo 4 fissa i limiti esterni nella ipotesi in cui un atto emanato da una pubblica autorità sia causa di lesione di un diritto soggettivo.
La dottrina e la giurisprudenza tradizionale hanno inteso interpretare estensivamente il concetto di atto amministrativo, facendo rientrare anche i comportamenti materiali di una P.A. che non siano espressione di una potestà pubblicistica. L’orientamento prevalente, invece, oggi in giurisprudenza, anche sulla scorta delle due sentenze della Corte Costituzionale n. 204/04 e n. 191/06, intende per atto amministrativo solo quegli atti che siano espressione di una potestà pubblicistica.
L’orientamento prevalente ritiene che , nelle ipotesi in cui il giudice ordinario conosce degli effetti dell’atto lesivi di un diritto soggettivo, lo stesso emani una sentenza dichiarativa della inesistenza o nullità dell’atto stesso e non della mera illegittimità.
Il secondo comma dell’articolo 4 legge n. 2248/1865, invece, prevede un vero e proprio sbarramento al giudice ordinario posto che non può né revocare, né annullare, né modificare l’atto “se non sovra ricorso alla competente autorità amministrativa”.
Tuttavia però parte della giurisprudenza riconosce la piena cognizione del giudice ordinario su quegli atti amministrativi che comprimono o ledono diritti fondamentali; in tali ipotesi, essendo alla base la tutela di un diritto soggettivo assoluto, si ritiene che il giudice ordinario possa adottare tutti i provvedimenti opportuni per la tutela di tale diritto, il quale non viene ad essere affievolito dalla mediazione del potere amministrativo (trattasi della tesi, elaborata dalla dottrina amministrativistica, dei diritti inaffievolibili).
Sul punto, recentemente, è intervenuta la Corte Costituzionale la quale, con la sentenza n. 140/07, prevede espressamente che non è prerogativa assoluta del giudice ordinario la materia dei diritti fondamentali della persona, posto che gli stessi possono essere conosciuti dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva (una chiara applicazione si rinviene in materia di rifiuti ove il decreto legge n. 90 /08 prevede la cognizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie che attengono diritti fondamentali della persona).
L’articolo 5 della legge abolitiva del contenzioso, invece, disciplina l’istituto della disapplicazione incidentale da parte del giudice ordinario con riguardo ad atti e regolamenti amministrativi che non siano conformi alla legge.
L’orientamento oggi prevalente, in dottrina ed in giurisprudenza, ritiene che il giudice ordinario sia legittimato, ex lege, ad una conoscenza incidentale di un atto amministrativo che si pone quale antecedente logico di una decisione che deve prendere il giudice ordinario.
Il sindacato incidentale concerne l’accertamento amministrativo sia legittimo ovverosia non inficiato da uno dei vizi di cui all’articolo 21 octies della legge 241/90, trattasi dell’articolo che cristallizza la categoria della annullabilità.
Nello specifico il giudice ordinario deve accertare che l’atto non sia stato emanato da un organo incompetente, che l’atto non violi una disposizione di legge, ed infine, secondo l’orientamento oggi prevalente in giurisprudenza, che non sussista il vizio dell’eccesso di potere, fatto salvo il divieto, in quest’ultimo caso, per il giudice ordinario di sindacare le scelte, il merito e l’opportunità della P.A.
La giurisprudenza ha statuito che il giudice ordinario accerta la mera illegittimità di un atto amministrativo produttivo di effetti giuridici disapplicandolo se illegittimo, a differenza della ipotesi di cui all’articolo 4 legge n. 2248/1865 ove l’atto amministrativo non è produttivo di effetti. Per via di quanto detto la giurisprudenza oggi prevalente esclude un potere di disapplicazione generale ex articoli 4 e 5 da parte del giudice ordinario.
Sulla base del disposto costituzionale di all’ultimo comma dell’articolo 113 Costituzione il legislatore ha individuato determinati ambiti ove i poteri del giudice ordinario travalicano i limiti di cui agli articoli 4 e 5 citati.
Si pensi all’era del pubblico impiego privatizzato, ove l’articolo 63 Testo unico pubblico impiego (decreto legislativo n. 165/01), devolve quasi tutte le controversie relative al pubblico impiego al giudice ordinario, al Codice della privacy, approvato con decreto legislativo n. 196/03, o ancora alla legge n. 689/81 in materia di sanzioni amministrative conosciute dal giudice ordinario.
In tali settori il medesimo è legittimato anche ad annullare provvedimenti emanati da una pubblica autorità. Con l’estensione della cognizione del giudice ordinario sugli atti amministrativi ci si è chiesti fino a che limite sia ammissibile una tale ingerenza nei confronti della P.A.
L’orientamento oggi prevalente, anche sulla base delle sentenze della Consulta n. 204/04 e n. 191/06, ritiene che non si possa parlare di una giurisdizione esclusiva del giudice ordinario, come sostenuto da alcuni, poiché le materie in cui si rinviene una estensione delle prerogative del giudice ordinario che attengono a posizioni non di interesse legittimo, le quali in base al criterio della causa petendi sono conosciute dal giudice amministrativo, ma di diritto soggettivo, conosciute dal giudice ordinario quale giudice per eccellenza della tutela di tali situazione soggettiva.
Con specifico riguardo, invece, ai provvedimenti che il giudice ordinario può emanare nei confronti della P.A. la dottrina tradizionale e la giurisprudenza prevalente fanno rientrare le sentenze dichiarative mediante le quali l’organo giudicante accerta un obbligo di dare, di facere e non facere del privato nei confronti della P.A.; sentenze costitutive le quali, oltre ad accertare un obbligo o una pretesa, possono costituire, modificare o estinguere un dato rapporto giuridico anche nei confronti della P.A. nelle ipotesi in cui essa opera iure privatorum (ovvero come soggetto privato) e non attraverso l’esercizio di una potestà pubblicistica; da ultimo sentenze di condanna ove la P.A. abbia posto in essere un comportamento materiale illecito che sia causa di responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’articolo 2043 codice civile, o nelle ipotesi in cui il privato esperisca una azione reintegratoria sempre nella ipotesi di condotta illecita della P.A. che non sia manifestazione di un potere autoritativo.
Per quanto concerne quest’ ultima tipologia di azione, che può portare a condannare la P.A. ad un facere specifico, assumono particolare rilievo le azioni possessorie esperibili, ai sensi degli articoli 1168 e seguenti del codice civile, dal privato nel caso di spoglio illegittimo di un determinato bene da parte della P.A.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con più arresti nel corso degli ultimi anni (ex multis le pronunzie n. 4632/07, n. 7388/07, n. 15469/09), oramai ammettono la possibilità per il privato l’esperimento di tali azioni nei confronti della P.A. innanzi al giudice ordinario in presenza di determinati presupposti.
Sia l’azione di spoglio e sia l’azione di manutenzione, ex articoli 1168 e seguenti codice civile, sono esperibili nelle ipotesi in cui la P.A. abbia proceduto all’impossessamento del bene, appartenente al privato, senza che si rinvenga, neanche mediatamente, alcun comportamento che sia riconducibile ad un procedimento o provvedimento della stessa P.A.
In tale situazione appare quanto mai legittima la giurisdizione del giudice ordinario posto che la P.A. adotta un mero comportamento che, anche in base all’insegnamento della Corte Costituzionale con le già richiamate sentenze n. 204/04 e n. 191/06, non si collega, in nessun modo, ad un data manifestazione di una potestà pubblicistica, presupposto questo indefettibile perché la controversia possa essere conosciuta dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.
Le Sezioni Unite hanno rinvenuto la possibilità dell’esercizio di dette azioni nelle ipotesi di occupazione usurpativa di un bene del privato, sia nelle ipotesi in cui la P.A. abbia gito sine titulo, sia nelle ipotesi in cui la P.A. abbia agito per vie di fatto, con comportamenti materiali o jure privatorum.
Le stesse Sezioni Unite ritengono, invece, che sussista la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle ipotesi in cui il privato voglia sindacare la legittimità dell’operato della P.A. (si pensi alla impugnazione da parte di un privato di un decreto di esproprio), in tali ipotesi vige lo sbarramento, per il giudice ordinario, dell’articolo 4 legge n. 2248/1865 contenente, come detto, il divieto per lo stesso di annullare atti emanati da una P.A.
In presenza di tali condizioni viene ad essere rispettato, senza subire stravolgimenti, sia l’articolo 34 decreto legislativo n. 80/98, che prevede la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per quanto concerne le controversie aventi per oggetto atti e provvedimenti della P.A. in materia urbanistica ed edilizia, sia l’articolo 53 del Testo unico espropri, approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 327/01, per quanto concerne le controversie relative alla materia della espropriazione per pubblica utilità, articoli questi modificati prima dall’articolo 7 della legge n. 205/00, poi dalle pronunzie, fondamentali e dai cui non si può prescindere nella subiecta materia, della Consulta n. 204/04, n.281/04, n. 191/06.