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Prescrizione e atti interruttivi nel processo penale: il caso Taricco e gli ulteriori sviluppi

Prescrizione e atti interruttivi nel processo penale: il caso Taricco e gli ulteriori sviluppi
Prescrizione e atti interruttivi nel processo penale: il caso Taricco e gli ulteriori sviluppi

SOMMARIO: 1. Il Caso - 2. Cenni al caso Taricco - 3. Prescrizione, contro limiti e principio di Legalità - 4. Considerazioni conclusive

ABSTRACT – Nel commento verrà esaminata la prima sentenza della Cassazione post Taricco, sentenza del 15 settembre 2015, le cui motivazioni sono state depositate soltanto il 20 gennaio 2016, si accennerà al caso Taricco e ai principi ivi espressi dalla Corte di Giustizia, a cui la Cassazione, nel caso oggetto di questo commento, si è uniformata. Concludendo con una breve riflessione sulle conseguenze negative che la disapplicazione degli articoli 160 e 161 del codice penale, in tema di limite massimo del tempo necessario a prescrivere in presenza di atti interruttivi, comporta su alcuni principi fondamentali, quali il principio di legalità in materia penale e la certezza del diritto.

1. Il caso 

Sono state depositate le motivazioni della sentenza con cui la Corte di Cassazione, il 15 settembre 2015, all’indomani della ormai nota e dibattuta sentenza Taricco, in ossequio al principio ivi espresso dalla Corte di Giustizia, ha disapplicato gli articoli 160 e 161 del codice penale sulla base di un presunto contrasto con una disposizione Comunitaria, l’articolo 325 TFUE.

Nel caso oggetto della pronuncia in esame, il ricorrente ha proposto ricorso contro la sentenza della Corte di appello di Ancora che, in parziale riforma della sentenza di primo grado emessa da tribunale di Pesaro, lo aveva riconosciuto colpevole del reato di cui all’articolo 2 del Decreto legislativo 74/2000 ( dichiarazione fraudolenta Iva mediante uso di fatture o altri documenti per operazione inesistenti) riducendo la pena a 2 anni e 8 mesi di reclusione, in relazione all’intervenuta prescrizione, nelle more de giudizio, dei fatti relativi al periodo di imposta 2004. Il reato contestato si riferiva ai periodi di imposta dal 2005 al 2007. Il Ricorrente, proprietario di una ditta automobilistica, poneva in essere operazioni soggettivamente inesistenti, al fine di evadere l’IVA, mediante la costituzione di società “cartiere” cioè società che non avevano sede effettiva, né dipendenti, né erano in grado di effettuare le operazioni in questione, né avevano mai presentato dichiarazioni e risultavano evasori totali, istituite con il precipuo scopo di emettere fatture false, poi utilizzate in dichiarazione dal ricorrente.

Nel ricorso per Cassazione, l’imputato  lamentava, tra le altre cose, la mancata motivazione, da parte della Corte di appello, relativamente al diniego della concessione delle attenuanti generiche. La Suprema Corte accoglie questo motivo di ricorso e rinvia alla Corte di appello di Perugia affinché  conceda le generiche e di conseguenza ridetermini la pena.

Nel passo successivo, la Corte specifica che, sebbene, ai sensi del combinato disposto degli articoli 157 e 161 codice penale, sia già maturata la prescrizione per i fatti relativi al periodo di imposta 2005, tuttavia,  non ricorrono i presupposti per procedere alla declaratoria di annullamento senza rinvio per tali fatti, poiché il collegio ritiene di dover disapplicare il disposto di cui all’ultima parte del terzo comma dell’articolo 160 ed al secondo comma dell’articolo 161 codice penale a seguito della sentenza della Corte di Giustizia U.E dell’8settembre 2015, Taricco, causa C-105/14.

2. Cenni al caso Taricco

Per valutare la compatibilità di questa pronuncia con i principi fondanti del sistema penale italiano è necessario, preliminarmente, analizzare quali siano state le conclusioni a cui è addivenuta la Corte di Giustizia nel caso Taricco, a cui la sentenza in esame si ispira. Infatti, la stessa Corte per giustificare e motivare la sua decisione ripercorre l’opinione dell’avvocato generale e i passaggi fondamentali della stessa sentenza Taricco.

Con la suddetta sentenza la Grande Camera della Corte di Lussemburgo ha denunciato l’incompatibilità degli articoli 160 e 161 codice penale con la normativa europea, nella parte in cui prevedono un termine massimo, pari ad ¼ del termine di prescrizione, in presenza di atti interruttivi. Tale meccanismo può comportare in pratica la sistematica impunità delle gravi frodi in materia di IVA, andando cosi a ledere non solo gli interessi finanziari dell’erario italiano ma anche e soprattutto quelli dell’unione. In virtù del principio del primato del diritto Ue rispetto a quello nazionale, la Corte di Giustizia ha affermato l’obbligo per il giudice italiano di disapplicare il combinato disposto degli articoli 160 e 161 codice penale, perché si pongono in contrasto con l’art 325 del trattato sul funzionamento dell’unione, il quale richiede una tutela effettiva degli interessi finanziari dell’ unione ed in particolare, obbliga gli stati membri ad adottare, per combattere la frode lesiva dei medesimi interessi, “le stesse misure che adottano per combattere la frode lesiva dei loro interessi finanziari”.

Bisogna chiarire alcuni aspetti relativi al caso Taricco:

innanzitutto, la Corte di giustizia non ritiene che si debba disapplicare la disciplina dei termini di prescrizione prevista dall’articolo 157 codice penale, che non è contrastante con gli obblighi dell’unione, né la prima parte dell’art 160 che disciplina gli atti interruttivi in generale e gli effetti che producono, bensì a dover essere disapplicata è solo l’ultima preposizione dell’ ultimo comma dell’articolo 160, ove si dispone che “ in nessun caso i termini stabiliti nell’articolo 157 possono essere prolungati oltre il termine di cui all’articolo 161 secondo comma …”

In secondo luogo, bisogna stabilire a quali reati è possibile applicare l’obbligo enunciato nel dispositivo della sentenza della Corte di Giustizia. Con tutta probabilità, il suddetto obbligo non concerne soltanto le frodi in materia di IVA di cui agli articoli 2 e 3 del decreto legislativo 74 del 2000, ma potrebbe estendersi a qualsiasi reato che comporti una grave evasione dell’  IVA , ad esempio omessa dichiarazione ex articolo 5 del decreto citato.

In terzo luogo, la frode di cui si controverte deve essere “grave”, la  valutazione circa la soglia minima di gravità è lasciata al giudice penale italiano.

Orbene, il collegio ritiene che tutti questi requisiti enunciati dalla Corte di Lussenburgo siano presenti nel caso sottoposto al suo esame, in particolare la Suprema Corte osserva come le frodi contestate abbiano raggiunto la soglia di gravità, avendo comportato rilevanti evasioni dell’IVA con conseguente lesione degli interessi finanziari dell’unione.

3. Prescrizione, Contro-limiti e Principio di legalità

Il punto della sentenza, forse di maggiore interesse, è quello relativo al problema dei contro limiti e dunque al principio di legalità. Nello specifico, la Corte di Giustizia prima, e la Corte di Cassazione immediatamente dopo, hanno ritenuto che nel caso in esame non sia necessario sollevare una questione di legittimità costituzionale, dal momento che è evidente la mancanza di contro limiti, cioè non sussiste contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale italiano, nel caso di specie il principio di legalità ex articolo 25 della Costituzione, secondo cui nessuna responsabilità penale può sussistere se non in forza di una legge. Questo stesso dubbio, invece, ha portato la Corte di appello di Milano, il 18 settembre 2015, a soli pochi giorni dalla pronuncia della Cassazione, a rimettere la questione davanti la Consulta, che presto dovrà pronunciarsi sul punto.

La Suprema Corte riprende le argomentazioni della Corte di giustizia secondo cui il principio di legalità non è in alcun modo violato. Per affermare ciò la corte di lussenburgo fa riferimento all’articolo 49 della carta dei diritti fondamentali dell’unione, che recepisce il principio del nullum crimen sine lege cosi come è stato interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo con riferimento all’art 7 CEDU.  Secondo tale giurisprudenza la materia della prescrizione del reato attiene alle condizioni di procedibilità del reato stesso, la prescrizione è un istituto di carattere eminentemente processuale e come tale non è coperta dalla garanzia del nullum crimen sine lege. I fatti commessi dagli imputati integrano gli stessi reati previsti dalla legge prima della commissione del fatto, e gli imputati sono soggetti alle stesse pene che erano previste dalle norme allora già in vigore. Ciò è sufficiente per garantire il principio di legalità.

Lo stesso principio viene affermato con riferimento all’articolo 25 secondo comma della Costituzione, in relazione al quale la Suprema Corte afferma in modo netto che la garanzia offerta dall’articolo 25 secondo comma della Costituzione non copre il disposto di cui agli articoli 160 e 161 del codice penale.

E ciò per una serie di argomenti:

1. Il fatto che lo stato italiano abbia firmato il Quarto protocollo alla Convenzione del Consiglio D’Europa del 1957 sulla estradizione, in cui si prevede il principio per cui il decorso della prescrizione nello stato richiesto non impedisce la consegna della persona allo stato richiedente, dimostra come anche per il legislatore “la prescrizione non è propriamente un elemento della fattispecie penale”.

2. Il secondo argomento è tratto dal fatto che la pronuncia della Corte di giustizia è di natura dichiarativa e non costitutiva, quindi non crea nulla ma si limita ad interpretare correttamente una situazione già esistente in precedenza, nel caso specifico le norme comunitarie come sono in origine al momento della loro approvazione. L’interpretazione della norma comunitaria, pertanto, ha efficacia retroattiva e si applica, dunque, anche a quelle leggi degli stati membri eventualmente emanate nel tempo intermedio tra la data della norma comunitaria e la data della sentenza dichiarativa della Corte.  L’articolo 325 del Trattato sul funzionamento dell’unione europea,norma la cui interpretazione era oggetto del caso taricco, esiste già da tempo nel diritto dell’unione, era contenuta inizialmente nel trattato di Maastricht per poi cambiare collocazione nel trattato di Amsterdam e infine  confluire nel trattato di Lisbona, quindi essa fin dal 1992 esprime il principio di tutela effettiva degli interessi finanziari dell’unione ed equivalente alla tutela apprestata ai corrispondenti interessi finanziari interni; tutto ciò per dire che è una norma già esistente al momento della commissione del fatto, quindi, gli imputati non possono lamentarsi di un’applicazione a loro sfavore di una norma che esisteva già prima della commissione del fatto e che già era incompatibile con gli articoli 160 e 161 del codice penale. Dunque, nessuna violazione del principio di legalità, non ravvisandosi un’applicazione in via retroattiva di norme penali incriminatrici. Anche questo argomento suscita qualche perplessità, è vero che le pronunce della corte hanno efficacia dichiarativa e quindi effetto retroattivo, pero è difficile, anzi impossibile, credere che il contribuente, nei periodi di imposta 2005 - 2007 avesse potuto prevedere che la norma sull’ interruzione della prescrizione sarebbe stata disapplicata nel 2015. Questa interpretazione data dalla Corte rischia di infrangere non solo il principio di legalità in materia penale ma anche la certezza del diritto. Aderendo a questa tesi, i cittadini/contribuenti si troverebbero, naturalmente in presenza di atti interruttivi, in balia di un processo penale per un tempo indefinito o quantomeno troppo lungo.

3. Infine, la Corte di Cassazione ritiene di trovare un elemento decisivo a conferma della propria tesi nella sentenza della Corte Costituzionale  n. 236 del 2011 in cui al punto 15 si afferma che dalla giurisprudenza comunitaria emerge come l’istituto della prescrizione, a prescindere dalla sua natura sostanziale o processuale, non sia coperto dalla tutela dell’articolo 7 della Convenzione europea dei diritto dell’uomo, posto che la Corte EDU non considera la prescrizione coperta dal nullum crimen sine lege, pertanto, se in quella circostanza la Consulta ha aderito a questa impostazione, decidendo di non sollevare il principio dei contro limiti, allo stesso modo deve procedersi in realzione all’articolo 25 Costituzione, Altrimenti la Corte Costituzionale nel caso richiamato non avrebbe invocato l’articolo 7 CEDU se, alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte EDU, lo avesse ritenuto in contrasto con il nostro art. 25 Comma 2 della Costituzione.

4. Considerazioni conclusive

In conclusione, bisogna precisare che in caso di disapplicazione degli articoli 160 e 161 del codice penale, non potrà rivivere il regime della prescrizione antecedente a quello attuale, ma, semplicemente, la disapplicazione comporta che alle frodi gravi in materia di IVA non si applicherà il tetto massimo di ¼ previsto dal combinato disposto degli articoli 160 e 161 e dunque troverà applicazione il termine massimo previsto per i reati di cui all’ articolo 51 bis codice penale, rispetto ai quali, in presenza di un atto interruttivo, la prescrizione ricomincia a decorrere ex novo per lo stesso tempo necessario a prescrivere senza il limite massimo di cui sopra.

Al paragrafo 23 della sentenza in esame, la Corte sembra giungere ad una soluzione di compromesso: distinguere nei singoli casi concreti se la prescrizione sia già maturata o essa sia ancora pendente. Nel primo caso la decorrenza della prescrizione comporta l’estinzione del reato ed il soggetto al quale è stato dichiarato estinto il reato consegue un diritto  quesito, un diritto soggettivo prevalente sulle istanza punitive dello stato.  Quindi, in questo caso nulla quaestio: il contrasto con la norma dell’unione non incide per i reati già dichiarati estinti per prescrizione.

Nel caso dei reati  non ancora estinti per prescrizione, invece, nulla quaestio, se la eventuale futura dichiarazione di prescrizione dipende dal rispetto dei termini di cui all’articolo 157 codice penale, norma che non è stata investita dalla pronuncia della Corte di Giustizia dell’ unione europea, se invece la eventuale futura dichiarazione di prescrizione dipende dall’applicazione del combinato disposto degli articoli 160 comma terzo e 161 comma secondo codice penale, è necessario che queste norme vengano disapplicate perché in contrasto con la normativa comunitaria, nello specifico l’articolo 325 del Trattato sul funzionamento dell’unione europea.

Alla luce della ormai notissima sentenza Taricco, della sentenza della nostra Suprema Corte, in questa sede analizzata, che applica quanto disposto nella pronuncia della Corte di giustizia, ed anche tenendo conto della questione di legittimità Costituzionale sollevata dalla corte di appello di Milano all’indomani del caso Taricco, possiamo, senza timore, affermare che la situazione è controversa e poco chiara, basti pensare che quasi contestualmente due corti diverse decidono in maniera difforme sulla stessa questione di diritto, l’una, la Corte di appello di Milano, solleva questione di legittimità costituzionale, l’altra, la Corte di cassazione, disapplica i succitati articoli, inoltre, sussistono gravi rischi di lesione di alcuni principi fondamentali del nostro ordinamento, quali il principio di legalità e la certezza del diritto. Alla Corte costituzionale “l’ardua sentenza”.

SOMMARIO: 1. Il Caso - 2. Cenni al caso Taricco - 3. Prescrizione, contro limiti e principio di Legalità - 4. Considerazioni conclusive

ABSTRACT – Nel commento verrà esaminata la prima sentenza della Cassazione post Taricco, sentenza del 15 settembre 2015, le cui motivazioni sono state depositate soltanto il 20 gennaio 2016, si accennerà al caso Taricco e ai principi ivi espressi dalla Corte di Giustizia, a cui la Cassazione, nel caso oggetto di questo commento, si è uniformata. Concludendo con una breve riflessione sulle conseguenze negative che la disapplicazione degli articoli 160 e 161 del codice penale, in tema di limite massimo del tempo necessario a prescrivere in presenza di atti interruttivi, comporta su alcuni principi fondamentali, quali il principio di legalità in materia penale e la certezza del diritto.

1. Il caso 

Sono state depositate le motivazioni della sentenza con cui la Corte di Cassazione, il 15 settembre 2015, all’indomani della ormai nota e dibattuta sentenza Taricco, in ossequio al principio ivi espresso dalla Corte di Giustizia, ha disapplicato gli articoli 160 e 161 del codice penale sulla base di un presunto contrasto con una disposizione Comunitaria, l’articolo 325 TFUE.

Nel caso oggetto della pronuncia in esame, il ricorrente ha proposto ricorso contro la sentenza della Corte di appello di Ancora che, in parziale riforma della sentenza di primo grado emessa da tribunale di Pesaro, lo aveva riconosciuto colpevole del reato di cui all’articolo 2 del Decreto legislativo 74/2000 ( dichiarazione fraudolenta Iva mediante uso di fatture o altri documenti per operazione inesistenti) riducendo la pena a 2 anni e 8 mesi di reclusione, in relazione all’intervenuta prescrizione, nelle more de giudizio, dei fatti relativi al periodo di imposta 2004. Il reato contestato si riferiva ai periodi di imposta dal 2005 al 2007. Il Ricorrente, proprietario di una ditta automobilistica, poneva in essere operazioni soggettivamente inesistenti, al fine di evadere l’IVA, mediante la costituzione di società “cartiere” cioè società che non avevano sede effettiva, né dipendenti, né erano in grado di effettuare le operazioni in questione, né avevano mai presentato dichiarazioni e risultavano evasori totali, istituite con il precipuo scopo di emettere fatture false, poi utilizzate in dichiarazione dal ricorrente.

Nel ricorso per Cassazione, l’imputato  lamentava, tra le altre cose, la mancata motivazione, da parte della Corte di appello, relativamente al diniego della concessione delle attenuanti generiche. La Suprema Corte accoglie questo motivo di ricorso e rinvia alla Corte di appello di Perugia affinché  conceda le generiche e di conseguenza ridetermini la pena.

Nel passo successivo, la Corte specifica che, sebbene, ai sensi del combinato disposto degli articoli 157 e 161 codice penale, sia già maturata la prescrizione per i fatti relativi al periodo di imposta 2005, tuttavia,  non ricorrono i presupposti per procedere alla declaratoria di annullamento senza rinvio per tali fatti, poiché il collegio ritiene di dover disapplicare il disposto di cui all’ultima parte del terzo comma dell’articolo 160 ed al secondo comma dell’articolo 161 codice penale a seguito della sentenza della Corte di Giustizia U.E dell’8settembre 2015, Taricco, causa C-105/14.

2. Cenni al caso Taricco

Per valutare la compatibilità di questa pronuncia con i principi fondanti del sistema penale italiano è necessario, preliminarmente, analizzare quali siano state le conclusioni a cui è addivenuta la Corte di Giustizia nel caso Taricco, a cui la sentenza in esame si ispira. Infatti, la stessa Corte per giustificare e motivare la sua decisione ripercorre l’opinione dell’avvocato generale e i passaggi fondamentali della stessa sentenza Taricco.

Con la suddetta sentenza la Grande Camera della Corte di Lussemburgo ha denunciato l’incompatibilità degli articoli 160 e 161 codice penale con la normativa europea, nella parte in cui prevedono un termine massimo, pari ad ¼ del termine di prescrizione, in presenza di atti interruttivi. Tale meccanismo può comportare in pratica la sistematica impunità delle gravi frodi in materia di IVA, andando cosi a ledere non solo gli interessi finanziari dell’erario italiano ma anche e soprattutto quelli dell’unione. In virtù del principio del primato del diritto Ue rispetto a quello nazionale, la Corte di Giustizia ha affermato l’obbligo per il giudice italiano di disapplicare il combinato disposto degli articoli 160 e 161 codice penale, perché si pongono in contrasto con l’art 325 del trattato sul funzionamento dell’unione, il quale richiede una tutela effettiva degli interessi finanziari dell’ unione ed in particolare, obbliga gli stati membri ad adottare, per combattere la frode lesiva dei medesimi interessi, “le stesse misure che adottano per combattere la frode lesiva dei loro interessi finanziari”.

Bisogna chiarire alcuni aspetti relativi al caso Taricco:

innanzitutto, la Corte di giustizia non ritiene che si debba disapplicare la disciplina dei termini di prescrizione prevista dall’articolo 157 codice penale, che non è contrastante con gli obblighi dell’unione, né la prima parte dell’art 160 che disciplina gli atti interruttivi in generale e gli effetti che producono, bensì a dover essere disapplicata è solo l’ultima preposizione dell’ ultimo comma dell’articolo 160, ove si dispone che “ in nessun caso i termini stabiliti nell’articolo 157 possono essere prolungati oltre il termine di cui all’articolo 161 secondo comma …”

In secondo luogo, bisogna stabilire a quali reati è possibile applicare l’obbligo enunciato nel dispositivo della sentenza della Corte di Giustizia. Con tutta probabilità, il suddetto obbligo non concerne soltanto le frodi in materia di IVA di cui agli articoli 2 e 3 del decreto legislativo 74 del 2000, ma potrebbe estendersi a qualsiasi reato che comporti una grave evasione dell’  IVA , ad esempio omessa dichiarazione ex articolo 5 del decreto citato.

In terzo luogo, la frode di cui si controverte deve essere “grave”, la  valutazione circa la soglia minima di gravità è lasciata al giudice penale italiano.

Orbene, il collegio ritiene che tutti questi requisiti enunciati dalla Corte di Lussenburgo siano presenti nel caso sottoposto al suo esame, in particolare la Suprema Corte osserva come le frodi contestate abbiano raggiunto la soglia di gravità, avendo comportato rilevanti evasioni dell’IVA con conseguente lesione degli interessi finanziari dell’unione.

3. Prescrizione, Contro-limiti e Principio di legalità

Il punto della sentenza, forse di maggiore interesse, è quello relativo al problema dei contro limiti e dunque al principio di legalità. Nello specifico, la Corte di Giustizia prima, e la Corte di Cassazione immediatamente dopo, hanno ritenuto che nel caso in esame non sia necessario sollevare una questione di legittimità costituzionale, dal momento che è evidente la mancanza di contro limiti, cioè non sussiste contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale italiano, nel caso di specie il principio di legalità ex articolo 25 della Costituzione, secondo cui nessuna responsabilità penale può sussistere se non in forza di una legge. Questo stesso dubbio, invece, ha portato la Corte di appello di Milano, il 18 settembre 2015, a soli pochi giorni dalla pronuncia della Cassazione, a rimettere la questione davanti la Consulta, che presto dovrà pronunciarsi sul punto.

La Suprema Corte riprende le argomentazioni della Corte di giustizia secondo cui il principio di legalità non è in alcun modo violato. Per affermare ciò la corte di lussenburgo fa riferimento all’articolo 49 della carta dei diritti fondamentali dell’unione, che recepisce il principio del nullum crimen sine lege cosi come è stato interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo con riferimento all’art 7 CEDU.  Secondo tale giurisprudenza la materia della prescrizione del reato attiene alle condizioni di procedibilità del reato stesso, la prescrizione è un istituto di carattere eminentemente processuale e come tale non è coperta dalla garanzia del nullum crimen sine lege. I fatti commessi dagli imputati integrano gli stessi reati previsti dalla legge prima della commissione del fatto, e gli imputati sono soggetti alle stesse pene che erano previste dalle norme allora già in vigore. Ciò è sufficiente per garantire il principio di legalità.

Lo stesso principio viene affermato con riferimento all’articolo 25 secondo comma della Costituzione, in relazione al quale la Suprema Corte afferma in modo netto che la garanzia offerta dall’articolo 25 secondo comma della Costituzione non copre il disposto di cui agli articoli 160 e 161 del codice penale.

E ciò per una serie di argomenti:

1. Il fatto che lo stato italiano abbia firmato il Quarto protocollo alla Convenzione del Consiglio D’Europa del 1957 sulla estradizione, in cui si prevede il principio per cui il decorso della prescrizione nello stato richiesto non impedisce la consegna della persona allo stato richiedente, dimostra come anche per il legislatore “la prescrizione non è propriamente un elemento della fattispecie penale”.

2. Il secondo argomento è tratto dal fatto che la pronuncia della Corte di giustizia è di natura dichiarativa e non costitutiva, quindi non crea nulla ma si limita ad interpretare correttamente una situazione già esistente in precedenza, nel caso specifico le norme comunitarie come sono in origine al momento della loro approvazione. L’interpretazione della norma comunitaria, pertanto, ha efficacia retroattiva e si applica, dunque, anche a quelle leggi degli stati membri eventualmente emanate nel tempo intermedio tra la data della norma comunitaria e la data della sentenza dichiarativa della Corte.  L’articolo 325 del Trattato sul funzionamento dell’unione europea,norma la cui interpretazione era oggetto del caso taricco, esiste già da tempo nel diritto dell’unione, era contenuta inizialmente nel trattato di Maastricht per poi cambiare collocazione nel trattato di Amsterdam e infine  confluire nel trattato di Lisbona, quindi essa fin dal 1992 esprime il principio di tutela effettiva degli interessi finanziari dell’unione ed equivalente alla tutela apprestata ai corrispondenti interessi finanziari interni; tutto ciò per dire che è una norma già esistente al momento della commissione del fatto, quindi, gli imputati non possono lamentarsi di un’applicazione a loro sfavore di una norma che esisteva già prima della commissione del fatto e che già era incompatibile con gli articoli 160 e 161 del codice penale. Dunque, nessuna violazione del principio di legalità, non ravvisandosi un’applicazione in via retroattiva di norme penali incriminatrici. Anche questo argomento suscita qualche perplessità, è vero che le pronunce della corte hanno efficacia dichiarativa e quindi effetto retroattivo, pero è difficile, anzi impossibile, credere che il contribuente, nei periodi di imposta 2005 - 2007 avesse potuto prevedere che la norma sull’ interruzione della prescrizione sarebbe stata disapplicata nel 2015. Questa interpretazione data dalla Corte rischia di infrangere non solo il principio di legalità in materia penale ma anche la certezza del diritto. Aderendo a questa tesi, i cittadini/contribuenti si troverebbero, naturalmente in presenza di atti interruttivi, in balia di un processo penale per un tempo indefinito o quantomeno troppo lungo.

3. Infine, la Corte di Cassazione ritiene di trovare un elemento decisivo a conferma della propria tesi nella sentenza della Corte Costituzionale  n. 236 del 2011 in cui al punto 15 si afferma che dalla giurisprudenza comunitaria emerge come l’istituto della prescrizione, a prescindere dalla sua natura sostanziale o processuale, non sia coperto dalla tutela dell’articolo 7 della Convenzione europea dei diritto dell’uomo, posto che la Corte EDU non considera la prescrizione coperta dal nullum crimen sine lege, pertanto, se in quella circostanza la Consulta ha aderito a questa impostazione, decidendo di non sollevare il principio dei contro limiti, allo stesso modo deve procedersi in realzione all’articolo 25 Costituzione, Altrimenti la Corte Costituzionale nel caso richiamato non avrebbe invocato l’articolo 7 CEDU se, alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte EDU, lo avesse ritenuto in contrasto con il nostro art. 25 Comma 2 della Costituzione.

4. Considerazioni conclusive

In conclusione, bisogna precisare che in caso di disapplicazione degli articoli 160 e 161 del codice penale, non potrà rivivere il regime della prescrizione antecedente a quello attuale, ma, semplicemente, la disapplicazione comporta che alle frodi gravi in materia di IVA non si applicherà il tetto massimo di ¼ previsto dal combinato disposto degli articoli 160 e 161 e dunque troverà applicazione il termine massimo previsto per i reati di cui all’ articolo 51 bis codice penale, rispetto ai quali, in presenza di un atto interruttivo, la prescrizione ricomincia a decorrere ex novo per lo stesso tempo necessario a prescrivere senza il limite massimo di cui sopra.

Al paragrafo 23 della sentenza in esame, la Corte sembra giungere ad una soluzione di compromesso: distinguere nei singoli casi concreti se la prescrizione sia già maturata o essa sia ancora pendente. Nel primo caso la decorrenza della prescrizione comporta l’estinzione del reato ed il soggetto al quale è stato dichiarato estinto il reato consegue un diritto  quesito, un diritto soggettivo prevalente sulle istanza punitive dello stato.  Quindi, in questo caso nulla quaestio: il contrasto con la norma dell’unione non incide per i reati già dichiarati estinti per prescrizione.

Nel caso dei reati  non ancora estinti per prescrizione, invece, nulla quaestio, se la eventuale futura dichiarazione di prescrizione dipende dal rispetto dei termini di cui all’articolo 157 codice penale, norma che non è stata investita dalla pronuncia della Corte di Giustizia dell’ unione europea, se invece la eventuale futura dichiarazione di prescrizione dipende dall’applicazione del combinato disposto degli articoli 160 comma terzo e 161 comma secondo codice penale, è necessario che queste norme vengano disapplicate perché in contrasto con la normativa comunitaria, nello specifico l’articolo 325 del Trattato sul funzionamento dell’unione europea.

Alla luce della ormai notissima sentenza Taricco, della sentenza della nostra Suprema Corte, in questa sede analizzata, che applica quanto disposto nella pronuncia della Corte di giustizia, ed anche tenendo conto della questione di legittimità Costituzionale sollevata dalla corte di appello di Milano all’indomani del caso Taricco, possiamo, senza timore, affermare che la situazione è controversa e poco chiara, basti pensare che quasi contestualmente due corti diverse decidono in maniera difforme sulla stessa questione di diritto, l’una, la Corte di appello di Milano, solleva questione di legittimità costituzionale, l’altra, la Corte di cassazione, disapplica i succitati articoli, inoltre, sussistono gravi rischi di lesione di alcuni principi fondamentali del nostro ordinamento, quali il principio di legalità e la certezza del diritto. Alla Corte costituzionale “l’ardua sentenza”.