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Proprietà intellettuale/1: il trade-off tra risparmi e innovazione nella riforma degli SPC

Riflessioni sulla riforma a livello Ue dei Supplementary Protection Certificates che interessano l’industria farmaceutica
proprietà intellettuale
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Abstract

Il seguente contributo è la prima parte di studio sul sistema di protezione della proprietà intellettuale (IP) e, in particolare, sull’opportunità di adeguare gli strumenti di privativa alle peculiarità dell’industria di riferimento, al fine di contemperare benefici e costi, tanto individuali quanto sociali. In questo post, dopo una breve introduzione, si analizzerà il settore farmaceutico, tradizionalmente considerato come il testimonial ideale dei vantaggi di un sistema di protezione IP, al contempo inquadrando i contenuti e gli effetti della riforma degli SPC voluta dalla Commissione europea. Nel secondo post, di prossima pubblicazione, si analizzerà il settore dell’industria informatica e si offriranno delle riflessioni conclusive in merito a una migliore conformazione del sistema di protezione IP.

 

Indice

1. Il dibattito sulla proprietà intellettuale e i supplementary protection certificates

2. La riforma degli SPC

3. Il trade-off tra innovazione e risparmi

 

1. Il dibattito sulla proprietà intellettuale e i supplementary protection certificates

Tutti concordano sul fatto che non può esistere sistema economico efficiente (e libero) in assenza di un solido e diffuso riconoscimento dei diritti di proprietà.

Questa comunanza di vedute si incrina, però, nel momento in cui ci si chiede quale sia il corretto ambito di un simile riconoscimento: se, cioè, esso debba estendersi fino a includere non solo gli oggetti “materiali”, ma anche quelli “immateriali”.

Il che, in altre parole, vuole dire chiedersi se il sistema di cosiddetta proprietà intellettuale (IP) sia un volano ovvero un freno all’efficienza (e alla libertà) del sistema economico.

La risposta a questa domanda resta a tutt’oggi a dir poco controversa: il sistema di IP è tra i più articolati e complicati e perfino l’analisi economica del diritto sembra aver rinunciato a fornire una risposta complessivamente nel senso del mantenimento ovvero del superamento del sistema così come lo conosciamo (cfr. W. M. Landes e R. A. Posner, The Economic Structure of Intellectual Property Law, 2003, p. 9).

Ad oggi, la posizione più comune nel mondo “liberale” (e non solo) è quella per cui una qualche forma di tutela della proprietà intellettuale risulta necessaria per incentivare la ricerca e lo sviluppo di nuovi e originali contenuti (cfr. P. Romer, “Endogenous Technological Change”, in Journal of Political Economy, 1990, vol. 98, n. 5, part 2, pp. S71-S102).

A questa linea di pensiero se ne oppone un’altra (e minoritaria) secondo cui, ben lungi dall’esserne una fonte, questo genere di tutela finisce per danneggiare l’innovazione, soffocando la concorrenza e sussidiando le rendite di posizioni (su tutti, vd. M. Boldrin e D. K. Levine, Abolire la proprietà intellettuale, 2012).

Per individuare il livello ottimale di contemperamento tra i benefici e i costi (sociali e individuali) di un sistema di protezione intellettuale, è necessario valutare il rapporto tra i costi che chiameremo di “invenzione” e quelli che chiameremo di “copia”:

quanto più alti saranno i primi, e quanto più bassi saranno i secondi, allora tanto più sarà opportuna una duratura garanzia di proprietà intellettuale;

viceversa, quanto più bassi saranno i primi (e i secondi), allora tanto meno sarà necessario proteggere un inventore dalla concorrenza (cfr. Landes e Posner, The Economic Structure, pp. 294-297 e 312-313).

Volendo chiarire quanto appena espresso con degli esempi concreti, uno per una parte del fronte (quello dell’opportunità della protezione brevettuale) e uno per l’altra parte del fronte (quello della non opportunità della protezione brevettuale), si potrebbe dire che i due testimonial ideali sono, rispettivamente, l’industria farmaceutica e l’industria dei software.

I costi da sopportare per scoprire un nuovo principio attivo non sono gli stessi di quelli richiesti dalla scrittura di una stringa algoritmica o dalla combinazione di più esempi di quest’ultima in un nuovo programma: lo stesso è vero rispetto ai costi regolatori da assolvere per l’immissione sul mercato dei diversi prodotti. Di converso, i costi di “copiatura” dei due prodotti sono tutto sommato analoghi (e relativamente bassi) (sul punto vd., più diffusamente, il nostro “Proprietà intellettuale: one size doesn’t fit all, IBL, 2019).

Proprio per le peculiarità del settore industriale farmaceutico, non deve sorprendere che gli ordinamenti (nazionali, prima, ed europeo, poi) abbiano attivato una serie di strumenti di tutela della proprietà intellettuale ulteriori, tra cui vanno ricordati i cosiddetti certificati protettivi complementari (supplementary protection certificates) (di seguito, anche: SPC) (su cui vd., per una prima introduzione, A. Vanzetti e V. Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, 2012, pp. 445-448). Gli SPC (introdotti dal regolamento CEE n. 1768/1992, poi sostituito dal n. 469/2009) sono concessi a tutela del “prodotto” in quanto “autorizzato come medicinale”: nonostante l’ambiguità che l’uso del termine “prodotto” può ingenerare, è bene chiarire che quest’ultimo non è il medicinale in sé e per sé considerato, ma il principio attivo in esso contenuto (cfr. CGUE Actavis v. Boehringer; Actavis v. Sanofi; Eli Lilly).

 

2. La riforma degli SPC

La Commissione Europea ha messo in cantiere una riforma della disciplina degli SPC, al dichiarato scopo di aiutare le imprese farmaceutiche europee, produttrici di farmaci generici e biosimilari, a sfruttare i mercati mondiali in rapida crescita, attraverso l’introduzione di un esonero speciale dalla rigorosa protezione accordata dai certificati in parola, per consentire alle imprese con sede nell’UE di produrre una versione generica o biosimilare di un medicinale protetto da un SPC già in pendenza della validità del certificato.

In questo modo, l’obiettivo è colmare quello che la Commissione stessa ha definito lo «svantaggio competitivo» che le imprese europee fabbricanti di medicinali generici e/o biosimilari soffrirebbero nei confronti di quelle extra-europee.

Il tema principale è, in tutta evidenza, quello della conquista dei mercati extra-comunitari e, in specie, di quelli dei paesi più poveri (i quali, peraltro, beneficerebbero dell’accesso a tecnologie più evolute, così aumentando le possibilità di affrancamento da malattie e sottosviluppo).

Ma ve n’è anche uno secondario, eppure non di minore importanza: con il sistema degli SPC, è particolarmente complesso per i fabbricanti europei entrare, e dunque competere alla pari con le altre imprese, sul mercato interno immediatamente dopo la scadenza dei certificati complementari, dal momento in cui è preclusa la possibilità di sviluppare una capacità di produzione fino a quando non sia venuta meno la protezione conferita dal certificato.

In gennaio, la commissione giuridica del Parlamento europeo (JURI) ha adottato una serie di emendamenti alla proposta formulata dalla Commissione, che hanno allargato l’ambito dell’esenzione stessa: per effetto dell’emendamento n. 26, infatti, sarà consentito, alle imprese non titolari del brevetto, di iniziare la produzione (non preordinata all’esportazione) della propria versione del medicinale già durante gli ultimi due anni di validità di un certificato SPC; i farmaci così ottenuti dovranno essere immagazzinati sul territorio dello stato membro in cui è localizzata la fabbrica e potranno essere immessi sul mercato europeo direttamente il giorno successivo alla venuta meno della protezione garantita dai certificati complementari.

Come è del tutto evidente, JURI ha scelto di rendere ancora più significativa la finalità – come l’abbiamo definita– “secondaria” della riforma del sistema degli SPC, consentendo alle imprese farmaceutiche produttrici di generici e biosimilari non solo di coltivare la propria capacità produttiva, ma di poter, già in pendenza della validità di un SPC, iniziare la produzione e lo stoccaggio dei farmaci destinati al mercato europeo, così da essere poste nella possibilità di competere con le imprese produttrici dei farmaci originator, non solo in via teorica ma effettiva, già a partire dal giorno successivo alla scadenza della protezione brevettuale.

 

3. Il trade-off tra innovazione e risparmi

Come è emerso dalla sintetica analisi fin qui condotta – per un maggior approfondimento, rimandiamo ancora al nostro “Proprietà intellettualeil livello di protezione accordato all’industria farmaceutica è stato giustificato in nome della promozione dell’innovazione e, in ragione di questa, della garanzia di un “premio”, in termini di profitto sicuro, per l’inventore.

Questa conclusione, ancorché largamente maggioritaria, non va comunque esente da critiche, più o meno radicali formulate, da vari ambienti accademici.

Questa non è la sede appropriata per pensare di poter offrire una risposta anche solo soddisfacente al problema dell’individuazione del bilanciamento più adeguato tra i benefici e i costi del sistema di protezione della proprietà intellettuale in campo farmaceutico. Quello che dobbiamo al lettore è, invece, tentare di offrire qualche riflessione conclusiva sulla riforma dei certificati protettivi complementari proposta dalla Commissione europea, così come emendata dalla JURI.

L’analisi della disciplina degli SPC ci restituisce l’impressione che il primo motore della proposta di riforma avanzata dal legislatore europeo sia costituito dall’obiettivo di consentire agli enti erogatori di prestazione sanitarie di poter conseguire, in via anticipata rispetto alla situazione odierna, i consistenti risparmi di spesa derivanti dall’impiego di generici e biosimilari.

Difatti, il quadro regolatorio vigente si caratterizza per una sorta di “ultra-attività” dei propri effetti di tutela: se alle imprese che forniscono generici e biosimilari viene impedito anche solo di coltivare una capacità produttiva sino al giorno successivo alla scadenza di qualsiasi diritto di privativa, è chiaro che per un paio di anni almeno le imprese dei farmaci branded o originator potranno continuare a dominare il mercato, pur in assenza di qualsiasi restrizione alla concorrenza.

Ma se, invece, sarà possibile addirittura produrre e stoccare i farmaci “alternativi” già durante gli ultimi due anni di validità degli SPC, verrà meno qualsiasi effetto di “ultra-attività”: con la doppia e connessa possibilità, fin dal primo giorno utile, per i competitor di immettere il proprio prodotto sul mercato, e per i servizi sanitari nazionali di godere dei conseguenti risparmi di spesa. Non si può dismettere con leggerezza il tema dei maggiori risparmi per le casse statali, specialmente in tempi di mordenti crisi fiscali.

A patto, però, che si abbia ben chiaro che l’innovazione nel settore farmaceutico (senza la quale il diritto alla salute non sarebbe che una vuota enunciazione di principio) è realizzata dalle imprese dei farmaci branded o originator, non dai produttori di generici o biosimilari, che si limitano a “copiare” i farmaci il cui brevetto è scaduto e che quindi non avrebbero neanche cosa vendere, se qualcuno prima di loro non si fosse fatto carico dei costi dell’incertezza.

Il trade-off che viene in rilievo, dunque, è quello tra innovazione e risparmi: ed è per questo che il legislatore deve compiere con particolare attenzione la scelta in ordine a modalità, tempistiche ed efficacia della protezione IP.

Il messaggio che si ricava dalla proposta di riforma della disciplina degli SPC è che un maggior risparmio di spesa val bene un’erosione dei diritti di proprietà intellettuale: è opportuno che le conseguenze di una simile decisione siano considerate con cura ed è per questo che è da accogliere con favore l’emendamento n. 21a varato dalla JURI, il quale impegnerà la Commissione europea a realizzare, ogni tre anni, una valutazione puntale degli effetti della riforma. In questo modo sarà possibile rendersi conto, con adeguata precisione, se e in quale misura la diminuzione della portata dei diritti di privativa abbia un impatto sulla spesa in R&D delle imprese farmaceutiche, e, di conseguenza, se sia opportuno mantenere in esistenza l’equilibrio raggiunto dalla nuova regolamentazione.