Quando la terza arte incontra la nona arte: personaggi dei fumetti e appropriation art

 Paolo Rivera, Omaggio a Salvador Dali, variant cover di The Amazing Spider-Man n. 592.
Paolo Rivera, Omaggio a Salvador Dali, variant cover di The Amazing Spider-Man n. 592.

Quando ho voglia di rilassarmi leggo un saggio di Engels, se invece desidero impegnarmi leggo Corto Maltese” (Umberto Eco) [1]

Il fumetto ha ormai da tempo assunto dignità di autonomo linguaggio artistico, così da essere riconosciuta quale “nona arte[2] che si pone in un ideale crocevia tra letteratura e pittura.

Questa maturazione è in larga parte riconducibile alla diffusione negli ultimi anni delle graphic novel, veri e propri romanzi disegnati che hanno consentito al fumetto di abbattere i confini con la letteratura e di inserirsi nelle sue pietre miliari. Basti pensare a riconosciuti capolavori come Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons, Maus di Art Spiegelmann, o al ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller.

I primi ad infrangere il muro tra fumetti intesi come genere di svago popolare e l’arte in senso tradizionale sono però probabilmente stati gli artisti della Pop Art. È infatti il 1961 quando Roy Liechtenstein, sfidato da uno dei suoi figli a riprodurre un disegno del fumetto per ragazzi Donald Duck Lost and Found di Walt Disney, dipinge Look Mickey: Donald Duck, con la canna da pesca sollevata sopra la sua testa ed impigliata nella sua giubba, esclama "look mickey, hooked a big one", pensando di aver catturato un grosso pesce, mentre alle sue spalle Mickey Mouse soffoca una risata per l'errore del suo amico.

paperino
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Negli stessi anni Andy Warhol si cimentava a riprodurre, a fianco di bottiglie della Coca Cola e barattoli di zuppa, anche alcuni personaggi classici delle comic strips, come Popeye o Superman.

Di questo periodo è arrivata a noi Dick Tracy, tavola del 1960 dedicata all’investigatore privato creato da Chester Gould.

Dick Tracy

La Pop Art trae, come noto, ispirazione dalla società consumistica e dei mass media e si caratterizza per la ripetuta riproduzione, con tecniche di derivazione dada e surrealista, di oggetti che costituiscono espressione di questa società e della cultura popolare.

In quest’ottica, la riproduzione di noti personaggi dei fumetti costituisce un modo di evocare la loro valenza di “icone pop”, al pari  di quella dei barattoli di zuppe Campbell e o del ritratto di Marylin Monroe.

Il legame tra arte ed icone del fumetto è rimasto solido anche nelle manifestazioni successive di arte contemporanea e nella più recente street art i cui esponenti raffigurano frequentemente all’interno delle loro opere i più noti personaggi dei fumetti, non solo per evocarne il valore iconico, secondo gli stilemi della pop art, ma anche per veicolare messaggi di critica sociale o più semplicemente per omaggiare lo stile dei più noti autori della “nona arte” a cui molti di loro si ispirano stilisticamente.

Tra le opere più note, si possono qui ricordare:

- “Napalm” del celebre Banksy in cui un Mickey Mouse umanizzato ed il clown Ronald testimonial di McDonald tengono per mano la bambina vietnamita resa celebre dalla fotografia scattata da Nick Ut nel 1972 durante i bombardamenti americani;

Banksy

- “Coney Island Grinnies” del writer americano Ron English raffigurante il Teletubby Dipsy, Mickey Mouse, Ronald Mc Donald e Dino, il dinosauro domestico dei Flinstones, tutti con enorme bocche da cui fuoriescono teschi ghignanti;

Teletubbies

- Mickey and Minny del writer francese Mr Brainwash con i due celebri topi di Walt Disney ritratti in un romantico abbraccio dietro ad un cuore;

Minny

- “Bad Apple” del writer francese Goin in cui Biancaneve, nella versione della Walt Disney, con il volto coperto da una bandana, stringe tra le mani una bomba a mano, in luogo della tradizionale mela della strega cattiva.

Biancaneve

- L’hospice, installazione dell’artista francese Gilles Barbier riproducente alcuni dei più noti supereroi Marvel e DC (Mr. Fantastic, Hulk, Superman, Cat Woman, Wonder Woman e Capitan America) in età avanzata e all’interno della stanza di un ospizio;

Supereroi

- Mickey del famoso artista contemporaneo Damien Hirst, omaggio a Mickey Mouse realizzato evocandone le fattezze attraverso soli cerchi colorati.

topolino

Sotto il profilo giuridico, è legittimo domandarsi se ed in che misura la riproduzione di un personaggio dei fumetti all’interno di un’opera dell’arte figurativa sia lecita senza il consenso del titolare dei diritti, questione che si inserisce nel più ampio e dibattuto tema del rapporto tra appropriation art e diritto d’autore[3].

Al riguardo, un primo principio pacifico, ripetutamente affermato in giurisprudenza, è che i personaggi di fantasia, con proprie peculiari fattezze e caratterizzazione, beneficiano della tutela prevista dalla legge sul diritto d’autore, come opere dell’arte figurativa. Con la conseguenza che “costituisce violazione del diritto d’autore su un personaggio la sua riproduzione con identità degli elementi caratterizzanti, tali da rendere riconoscibile il personaggio da parte del normale osservatore[4]

In quest’ottica, la riproduzione riconoscibile di un personaggio dei fumetti è illecita anche se non coincide con una sua raffigurazione già realizzata dal suo autore originario ed anche nel caso in cui il personaggio di fantasia venga utilizzato, senza il consenso del titolare dei diritti, per la realizzazione di storie inedite diverse da quelle pubblicate dal suo autore.

Resta solo da chiarire che il fatto di modificare il nome del personaggio, come avviene in molte opere di appropriation art, non attenua la gravità dell’illecito, ma anzi la aumenta, traducendosi in una violazione dei diritti morali d’autore sia sul piano del diritto alla paternità dell’opera, sia sotto quello all’integrità della stessa.

Il secondo punto fermo è che la Legge sul diritto d’autore vieta qualsiasi riproduzione non autorizzata di un’opera protetta, indipendentemente dalla finalità che tale riproduzione persegue e, dunque, a rigore, anche se fatta a fini artistici in ambito privato.

L’unica eccezione al riguardo sembra rappresentata dalla libertà di “riproduzione di singole opere o brani di opere per uso personale dei lettori, fatta a mano o con mezzi di riproduzione non idonei a spaccio o diffusione dell'opera nel pubblico” sancita dall’articolo 68.1 LDA. Senonché, anche ammesso che tale norma non sia limitata alle opere letterarie, come si evincerebbe dal riferimento contenuta in essa ai “lettori”, e si estenda dunque anche alle opere figurative, sembra difficile sostenere che la riproduzione fatta da un artista nell’ambito della sua attività professionale possa considerarsi “per uso personale”, e ciò indipendentemente dal fatto che l’opera sia destinata o meno alla rivendita.

Non destinata a migliore fortuna sarebbe il tentativo di ricondurre la riproduzione del personaggio dei fumetti con finalità artistiche alla libera utilizzazione prevista dall’articolo 70 LDA e ciò sia in quanto, come noto, essa è limitata all’utilizzo di “parti” di opera, con esclusione dunque della riproduzione integrale del personaggio, sia in quanto legittima il solo uso dell’opera “per uso di critica e di discussione” in cui non rientra l’uso per scopi artistici.

L’unico apparente strumento di difesa per l’artista sembra dunque essere rappresentato dal diritto di parodia, specie alla luce dell’insegnamento fornito dalla Corte di Giustizia nel caso Deckmyn e Vrijheidsfonds[5] che sembra smarcare la nozione di parodia dagli stringenti termini in cui l’aveva confinata la nostra giurisprudenza che richiedeva a tal fine “lo stravolgimento dei contenuti concettuali dell'opera parodiata, il radicale ribaltamento del suo significato, la realizzazione della relativa antitesi sostanziale, l'inversione sostanziale del mezzo espressivo, operato per finalità comiche, burlesche o satiriche, attraverso l'utilizzazione dei suoi stessi elementi estrinseci e la conservazione della sua forma esteriore[6].

Chiarendo che la parodia “ha come caratteristiche essenziali, da un lato, quella di evocare un’opera esistente, pur presentando percettibili differenze rispetto a quest’ultima, e, dall’altro, quella di costituire un atto umoristico o canzonatorio” e che essa “costituisce un mezzo appropriato per esprimere un’opinione e deve dunque rispettare un giusto equilibrio tra, da un lato, gli interessi e i diritti dell’autore e, dall’altro, la libertà di espressione dell’utente di un’opera protetta, il quale si avvalga dell’eccezione per parodia”, la giurisprudenza comunitaria non sembra infatti richiedere un radicale ribaltamento del significato o addirittura una “antitesi sostanziale”, accontentandosi invece di una più semplice finalità umoristica o canzonatoria dell’opera.

In quest’ottica, è legittimo sostenere che anche la ripresa di un’opera altrui con finalità di critica sociale si traduca in una parodia, allorché l’opera venga inserita in un contesto che muova al sorriso.  

Occorre però a questo punto ampliare lo sguardo e andare alla caccia di possibili soluzioni negli Stati Uniti in cui il tema della liceità dell’appropriation art ha formato oggetto di numerose decisioni assunte tuttavia sulla scorta di diverse coordinate normative ed in particolare della generale eccezione di fair use prevista nella Section 107 dell’US Copyright Act.

Tale norma consente all’interpretare di valutare la liceità dell’uso dell’opera altrui alla stregua di criteri sensibilmente più ampi di quelli previsti dall’articolo 70 LDA, prendendo in particolare in considerazione, oltre alla natura dell’opera protetta, l’entità della sua riproduzione e l’effetto della riproduzione sul valore e sul mercato potenziale dell’opera protetta, anche “the purpose and character of the use”.

Questo criterio impone di verificare se l’uso di un’opera protetta sia giustificato alla luce degli obiettivi del copyright, in qualità di strumento di diffusione della cultura ed in particolare di determinare se ed in quale misura tale uso sia o meno “transformative”, ossia se l’opera contestata aggiunga qualcosa di nuovo, con uno scopo ulteriore o un carattere diverso, alterando la l’opera originaria con una nuova espressione, un nuovo significato o messaggio.

Esaminando l’ampia casistica giurisprudenziale, è possibile estrapolare almeno due casi che presentano indubbi punti di contatto con la fattispecie di cui qui ci occupiamo.

Il primo[7] vedeva contrapposti la United Feature Syndacate, quale titolare dei diritti di copyright sul fumetto del gatto Garfield e sui relativi personaggi, contro il noto artista contemporaneo Jeff Koons e verteva sulla realizzazione di una serie di sculture per la Sonnabend Gallery di New York tra cui una intitolata “Wild Boy and Puppy” riproducente il personaggio di Odie, il beagle coinquilino di Garfield.

La Corte distrettuale di New York respingeva in questo caso l’eccezione di fair use dell’artista il quale sosteneva che la sua opera fosse una parodia del personaggio in questione, rilevando che il Puppy della scultura di Koons non era altro che una riproduzione esatta e fedele di Odie, differenziandosi solo per la modifica  della lunghezza della lingua che costituiva una modifica talmente minima rispetto al personaggio originario, da passare praticamente inosservata agli occhi di qualsiasi osservatore. Chiunque, secondo la Corte, avrebbe dunque riconosciuto il personaggio di Odie guardando l’opera di Koons, e la presenza degli atri due personaggi nella scultura era del tutto ininfluente.

In quest’ottica, secondo i giudici americani, l’opera di Koons non poteva configurarsi come una parodia del personaggio di Odie, ma rappresentava piuttosto parodia della società nel suo complesso,  anche in questo caso insufficiente a giustificare l’utilizzo di un’opera protetta.

Il secondo caso[8] non ha visto coinvolto un vero e proprio personaggio dei fumetti, bensì la nota bambola Barbie della Mattel la quale citava in giudizio il fotografo Thomas Forsythe, lamentando come le  settantotto fotografie della serie Food Chain Barbie che raffiguravano la nota bambola nuda, in pose comiche o a sfondo sessuale, costituissero, tra l’altro, una violazione del copyright sul personaggio in questione.

La Corte d’Appello statunitense, confermando la decisione di prime cure, riconduceva tuttavia le fotografie in questione nell’ambito dell’eccezione di fair use, valorizzando il fatto che l’artista avesse completamento trasformato il significato di Barbie, che appariva slegata da qualsiasi ideale di bellezza, perfezione e glamour, e veniva collocata in un contesto totalmente diverso, cosicché  l’utilizzo di Barbie nelle opere contestate era “[of] transformative nature and parodic quality”.

Entrambe le decisioni paiono porsi in linea con l’orientamento generale dei giudici americani secondo cui l’utilizzo di un’altrui opera all’interno di una propria opera, secondo i canoni della appropriation art, possa integrare un fair use e dunque considerarsi lecito solo allorché si traduca in un suo uso trasformativo che può riguardare o l’opera in sé considerata che viene modificata sostanzialmente o inserita in un contesto tale da renderla difficilmente riconoscibile, ovvero il significato che l’opera trasmette che viene trasformato o si pone addirittura in antitesi rispetto all’opera originaria, secondo canoni analoghi a quelli della parodia.

Per converso, ove l’opera non subisca una effettiva trasformazione sul piano della forma o del messaggio, l’uso trasformativo non può essere invocato, indipendentemente dalle finalità dell’opera nel suo complesso e dal messaggio che essa intende trasmettere.

I principi affermati dalla giurisprudenza americana hanno fatto inaspettatamente breccia anche tra i nostri giudici i quali ne hanno fatto applicazione nei due soli casi editi, a quanto ci consta, in tema di appropriation art.

Questa adesione ai canoni del fair use è addirittura esplicita ed incondizionata nel noto caso Fondazione Giacometti / Fondazione Prada deciso dal tribunale di Milano[9].

Chiamati infatti a pronunciarsi sulla liceità dell’installazione “The Giacometti Variations” realizzate dall’artista americano John Baldessari ed ispirate alla scultura Grande Femme II dell’artista svizzero Alberto Maestro Giacometti realizzata, i giudici milanesi ripercorrono nel testo dell’ordinanza le principali decisioni della giurisprudenza americana in tema di “appropriation art” e di “fair use”, concludendo per l’applicazione di tali principi anche al caso di specie, “dove per tratti, dimensioni, materiali, forme delle sculture di Baldessari rispetto a quelle di Giacometti, l'intervento dell'artista statunitense appare consistente, mentre anche l'utilizzo dell'immagine della donna di Giacometti appare drammaticamente trasformato, dalla magrezza e dall'espressione tragica del dopo-guerra, all'espressione estatica della donna magra, non per le privazioni del conflitto bellico, ma per le esigenze severe della moda”.

Più ispirata alla nostrana eccezione di parodia appare invece il caso Gianfranco Sanguinetti / Fondazione la Biennale di Venezia[10] .

Oggetto del contendere era un'installazione intitolata “Sanguinetti Breakout Area” in cui Samson Kambalu, artista del Malawi, esponeva circa tremila fotografie tutte ritraenti documenti di Gianfranco Sanguinetti, esponente di spicco del movimento situazionista propugnante – come si legge nella decisione – “il superamento dell'arte intesa come mercificazione ed approdata a forme di critica sociale, economica, politica e del lavoro, mediante la pratica dello scandalo, del détournement, della correzione o usurpazione d'identità, dell'impostura e della beffa con fini sovversivi”.

Tale installazione, accompagnata dall'avviso che detto materiale si sarebbe potuto maneggiare, fotografare e condividere on line dai visitatori della mostra propugnante, voleva, negli intenti del suo autore, essere una critica alla scelta di Sanguinetti di vendere, tramite una nota casa d’asta gli archivi situazionisti, in contrasto con i valori propugnati dal movimento di cui egli faceva parte.

Il Tribunale di Venezia rigettava la richiesta di inibitoria dell’artista, rilevando come Kambalu avesse “realizzato una installazione articolata e complessa che non si riduce ad una mera esposizione di opere o parti di opere di Sanguinetti, senza autorizzazione alcuna, posto che detta installazione si fa veicolo di un messaggio creativo, originale ed autonomo chiaramente percepibile e che nel suo complesso, utilizzando il linguaggio del movimento situazionista in ragione dell'uso del détournement, dello scandalo e della beffa, ha evidenziato la contraddizione tra la teorizzata lotta alla mercificazione dell'opera dell'intelletto propria dello stesso ricorrente e la messa in vendita delle opere da parte di Sanguinetti”, così da concludere che “L'intera installazione ha la sua coerenza creativa e di messaggio di critica sarcastica chiaramente riferibile come proveniente da Kambalu e non può certo ridursi a mera contraffazione e plagio delle opere di Sanguinetti o di parti di esse, dovendosi rammentare che la presenza della creatività rammentata permette di ritenere integrata anche l'esimente della parodia, secondo quanto argomentato dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea n. 201 del 3.9.2014 (causa C-201/2013), essendo pacificamente riconosciuta la parodia medesima come diritto costituzionalmente garantito nell'ordinamento interno dagli articoli 21 e 33 Cost.”.

Preme solo aggiungere, per completare il quadro, come a principi non dissimili da quelli statunitensi in tema di uso trasformativo, si sia ispirata anche la suprema Corte[11], nel caso del preteso plagio della parte letteraria della canzone Zingara ad opera del successivo brano “Prendi questa mano Zingara” di Francesco De Gregori, affermando il principio per cui “in tema di plagio di un'opera musicale, un frammento poetico-letterario di una canzone che venga ripreso in un'altra non costituisce di per sé plagio, dovendosi accertare, da parte del giudice di merito, se il frammento innestato nel nuovo testo poetico-letterario abbia o meno conservato una identità di significato poetico-letterario ovvero abbia evidenziato, in modo chiaro e netto, uno scarto semantico rispetto a quello che ha avuto nell'opera anteriore.” Ed è evidente che lo scarto semantico di cui parla la Cassazione, inteso come “significato artistico del tutto diverso” finisce per coincidere in larga parte con l’uso trasformativo della tradizione giurisprudenziale americana.

All’esito della ricognizione dello stato della giurisprudenza, è possibile giungere alla conclusione che, allo stato, la riproduzione di un personaggio dei fumetti all’interno di un’opera d’arte può considerarsi legittimo solo allorché nella traslazione dal suo contesto originario al nuovo contesto il personaggio abbia subito una trasformazione o, per usare la categoria cara alla Cassazione, uno scarto semantico che può riguardare sia l’opera in sé considerata, ovverosia le fattezze del personaggio, sia il messaggio che il suo uso all’interno della nuova opera intende veicolare.

Possono essere sicuramente ricondotti alla prima ipotesi di uso trasformativo “figurativo” Mickey di Damien Hirst, i Coney Island Grinnies di Ron English, per tornare agli esempi inizialmente citati,  a cui si possono aggiungere probabilmente le opere della pittrice americana Sharon Moody che trasforma in tromp l’oeil bidimensionali le pagine aperte dei vecchi fumetti della Marvel.

All’uso trasformativo “semantico” devono invece ascriversi Napalm di Banksy, l’Hospice di Barbier e Bad Apple di Goin, tutte ipotesi che sarebbero ragionevolmente anche coperte dall’eccezione di parodia.

Maggiori perplessità suscita invece Mickey and Minnie di Mr. Brainwash, così come, per la verità, Look Mickey di Lichtenstein e Dick Tracy di Andy Warhol, non essendo percepibile una significativa trasformazione rispetto ai personaggi originari se non sul piano delle tecniche pittoriche utilizzate.

Resta solo da domandarsi se non ci si possa spingere oltre, spostandosi dai rigidi paletti delle norme sul diritto d’autore per entrare nel più ampio recinto della libertà di espressione artistica costituzionalmente garantita.

Il terreno sembrerebbe ancora poco esplorato e abbastanza scivoloso, ma è indubbio che, nel momento in cui determinati elementi diventano soggetti ricorrenti con una precisa valenza simbolica di una corrente dell’arte figurativa, impedire ai partecipanti di questa corrente la raffigurazione di questi soggetti in quanto protetti da un dritto d’autore altrui si traduce inevitabilmente in un ostacolo all’evoluzione di questa corrente e, dunque, alla libertà di espressione.

Uno spunto in tal senso può forse provenire dalla nota decisione con cui la Corte dell’Aja ha ritenuto lecita la raffigurazione della borsa Audra di Luis Vuitton al braccio di un bambino africano denutrito nell’ambito dell’opera Darfunica dell’artista danese Nadia Plesner diretta ad sensibilizzare il pubblico sulla situazione del Darfur, ritenendo, sulla scorta di un bilanciamento degli opposti diritti quello di libertà di espressione artistica sancito dall’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo rispetto a quello di proprietà, comprensivo dei diritti di proprietà industriale, previsto dall’articolo 1 del primo Protocollo addizionale della Convenzione[12].

Per concludere deve solo aggiungersi come, sul piano pratico, la conflittualità tra titolari dei diritti sui fumetti ed artisti rimane ridotta, come dimostra la scarsità di precedenti in materia e ciò molto semplicemente perché, dopo alcune iniziali resistenze,  le case editrici hanno iniziato a comprendere come l’appropriation art non integri un utilizzo concorrenziale dei loro personaggi, bensì uno straordinario veicolo promozionale della loro fama e notorietà, tanto da sviluppare iniziative in partnership con i più noti street artist, come nel caso del lancio del film della Marvel Avengers: End Game.

Non tutti i disegnatori di fumetti sono tuttavia così contenti che gli esponenti della “terza arte” si approprino dei loro personaggi e le ragioni sono ben illustrate nella lettera con cui  Brian Bolland, autore del fumetto indie Tank Girl, stigmatizza quale plagiarism la condotta del pittore postmodernista islandese Errò che si era appropriato di una sua tavola raffigurante Tank Girl ed il suo ragazzo, il canguro mutante Booga, seduti su un divano, aggiungendovi semplicemente sullo sfondo una serie di figure ispirate ai movimenti di liberazione rivoluzionari del novecento[13].

 

[1] In copertina, Paolo Rivera, Omaggio a Salvador Dali, variant cover di The Amazing Spider-Man n. 592. Per una splendida panoramica di cover Marvel ispirate a famosi dipinti si rinvia a. link.

[2] Il primo a proporre questa qualifica per i fumetti è stato nel 1964 il critico e storico del cinema francese Claude Beylie.

[3] Cfr., per un’ampia panoramica della giurisprudenza in argomento, L'Appropriation Art alla prova del diritto d'autore: l'orientamento della giurisprudenza internazionale e italiana. Intervista all'avvocato Silvia Stabile, in: link.

[4]  In questi termini, cfr. Trib. Milano, 6 maggio 1993, in AIDA, 1993, 714; e, nel medesimo senso, già Cass. 20 febbraio 1978 n. 810, in Giust. civ. 1978, 1108, in relazione ai personaggi di Walt Disney. Per un’ampia ricostruzione, si rinvia a P. GALLI, in UBERTAZZI, Commentario breve alle leggi su proprietà industriale e concorrenza, Padova, 2019, 1655  s..

[5] cfr. Corte Giust. 3 settembre 2014, in causa C‑201/13

[6] cfr. Tribunale Napoli, 15 febbraio 2000, in Dir. autore 2001 , 471

[7] Cfr. United Feature Syndicate, Inc. v. Koons, 817 F. Supp. 370 (S.D.N.Y. 1993)

[8] Mattel, Inc. v. Walking Mountain Productions 353 F.3d 792 (9th Cir. 2003)

[9] Cfr. Trib. Milano, in Riv. Dir. Ind., 2011, II, 347, con nota di L. BRICEÑO MORAIA, « Arte appropriativa », elaborazioni creative e parodia.

[10] Cfr. Trib. Venezia, 7 novembre 2015, in Riv. Dir. Ind. 2018, II,. 86, con nota di DONATI, Quando l'artista si appropria dell'opera altrui.

[11] Cfr. Cass 19 febbraio2015, n.3340, in Riv. Dir. Ind. 2015, II, 263, con nota di PARRELLO, Osservazioni in tema di plagio musicale: il caso “Zingara”

[12] Per un commento si rinvia a GILBERTO CAVAGNA DI GUALDANA Marchi celebri e arte. Un rapporto burrascoso: link.

[13] Link.