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Quando Telesio Interlandi aiutò Curzio Malaparte

La liberazione dello scrittore dal confino di polizia in alcune lettere inedite (1934-1935).
Curzio Malaparte
Curzio Malaparte

Curzio Malaparte e Telesio Interlandi forse si conoscevano appena, non avevano mai collaborato alle proprie rispettive riviste, e non esisteva tra loro nessuna particolare affinità culturale. Avevano persino una concezione diversa del fascismo, tanto che non erano mancate le occasioni per punzecchiarsi vicendevolmente, in passato, nel nome di una maggiore purezza rivoluzionaria. eppure, quando Malaparte cadde in disgrazia fu proprio Interlandi a intervenire in maniera quasi risolutrice nel giugno del 1934 e nel giugno del 1935. A rivelare questo fatto finora ignoto sono le sette lettere di Malaparte a Interlandi e la “domanda di grazia” dello scrittore al ministro Galeazzo Ciano, di seguito pubblicate.

Le missive appartenevano a Tommaso Chiaretti (Roma, 1926-1987), giornalista e critico cinematografico per il quotidiano comunista l’«Unità» e collaboratore di Palmiro Togliatti. Chiaretti venne espulso dal Pci dopo i fatti d’Ungheria nel 1956 insieme a quegli intellettuali che avevano criticato la repressione sovietica, ma continuò a svolgere attività giornalistica e divenne critico teatrale di «la Repubblica» dal 1976 sino alla sua scomparsa.

Le lettere sono state rintracciate dalla figlia, Sara Chiaretti, tra le carte del padre ma se ne ignora la provenienza. Non è da escludere che provenissero dall’archivio del quotidiano comunista e fossero state affidate a Chiaretti per ricavarne un articolo (in effetti erano conservate in una grande busta con intestazione del quotidiano comunista), magari da usare contro Malaparte in quel difficile periodo del dopoguerra, tra il 1947 e il 1950, che aveva visto Malaparte, dopo un iniziale quanto fugace avvicinamento al Pci, passare tra gli intellettuali più critici nei confronti della politica del comunismo italiano [1]. Del resto, nell’immediato dopoguerra il nome di Interlandi evocava il “male assoluto” perché egli, per quanto solo da giornalista, aveva sostenuto convintamente il razzismo e la campagna antiebraica scatenata dal regime a partire dal 1938. L’aver avuto a che fare con lui poteva costituire fonte di discredito e offriva materiale prezioso per polemiche culturali e letterarie.

È possibile avanzare anche un’altra ipotesi sulla provenienza delle lettere. Chiaretti, persona attenta e curiosa, avrebbe potuto, per esempio, averle acquistate da qualche rigattiere o conoscente per puro interesse personale ovvero per collezionismo. Fatto sta che oggi queste lettere permettono di fare luce su un episodio importante della romanzesca biografia dell’intellettuale toscano [2].

Richiamiamo rapidamente i fatti. Rientrato in Italia da Parigi ai primi di ottobre 1933, Malaparte fu arrestato a Roma, la sera del 6 ottobre in albergo e nella notte del 7 fu tradotto nel carcere di Regina Coeli. Contro di lui c’era stata una denuncia presentata dall’influente ministro dell’Aeronautica, Italo Balbo, che pure era stato un suo antico sodale. Nell’estate del 1924, infatti, il giovane Kurt Suckert aveva fondato il settimanale «La Conquista dello Stato» anche grazie all’aiuto del quadrumviro della rivoluzione e per lui avrebbe inoltre svolto le funzioni di collaboratore parlamentare. Non solo. Dopo la nascita del quotidiano di Balbo, il «Corriere Padano», Suckert ne divenne corrispondente romano e parlamentare e strinse solidi rapporti di lavoro e amicizia con il direttore Nello Quilici. Malaparte e Balbo si erano poi allontanati. il primo aveva fatto una rapida ascesa giornalistica e aveva ottenuto la direzione del quotidiano torinese «La Stampa», il secondo aveva proseguito nella carriera politica ed era di- ventato non solo ministro dell’Aeronautica ma anche l’uomo più in vista del regime per la notorietà piovutagli addosso in seguito alle entusiasmanti trasvolate atlantiche [3].

Dopo una rocambolesca e inattesa uscita dalla «Stampa» (per far posto all’ex segretario generale del Pnf, Augusto Turati), Malaparte aveva intrapreso viaggi di studio e si era trasferito a Parigi dedicandosi alla scrittura [4]. In Francia era riuscito a “emanciparsi” dalle strette del regime e stava vivendo, diciamo così, di luce propria: aveva pubblicato due libri, Le bonhomme Lenin e La Technique du coup d’état [5], scritti direttamente in francese, con un discreto successo di pubblico e di vendite, e aveva in animo di produrre altri lavori tra i quali un saggio sulla figura di Mussolini (Muss., edito poi postumo e incompiuto nel 1999) [6]. A quell’epoca egli era ancora in bilico tra accettazione e rifiuto di quel fascismo del quale aveva iniziato a disprezzare molti aspetti e che – in sostanza – lo stava emarginando [7]. era costantemente e attentamente sorvegliato dalla polizia politica italiana, che gli aveva messo alle costole ben 34 esperti informatori, i quali non mancavano di tenere aggiornato l’apparato di controllo del governo [8]. Le sue insinuazioni contro Balbo (contenute in lettere private scritte a Nello Quilici), accusato di ambire subdolamente a rimpiazzare il duce, sembrarono a molti immotivate. Tuttavia, proprio in quei mesi del 1932 erano dilagate polemiche e discussioni tra i più importanti gerarchi sulla possibile “successione” a Mussolini, e le insinuazioni epistolari di Malaparte – che pure ne scrisse contemporaneamente ad altri amici, come per esempio lo scrittore ed editore francese Daniel Halevy [9] – si inserivano in questo clima. Del resto, Malaparte, non insensibile all’aria che stava tirando, aveva avuto, sempre nell’estate del 1932 in occasione di un suo momentaneo rimpatrio, colloqui con Mussolini, Grandi e altri gerarchi, dai quali aveva ricavato l’impressione che qualcosa si stesse muovendo [10].

Quelle lettere contenevano insinuazioni esplicite e pesanti e Malaparte non aveva le spalle così solide da poter competere con la posizione e la popolarità di Balbo. Questi non rimase in silenzio ma nell’autunno del 1932 denunciò al duce e al Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato Malaparte con l’accusa di “aver svolto attività antifascista all’estero”. Si trattava di un’accusa piuttosto pesante (anche se non vera) e pericolosa anche perché tale tribunale era una magistratura speciale che aveva, in taluni casi, la possibilità di pronunziare condanne a morte.

Nell’ottobre del ’32, frattanto, Malaparte, era rientrato a Parigi. Si decise a tornare in italia più o meno un anno esatto dopo la sua “campagna epistolare”, alla fine di set- tembre del 1933. era convinto, probabilmente, che di quelle sue lettere e di quelle sue insinuazioni sulle presunte manovre balbiane per la successione, nessuno si sarebbe ricordato. Non immaginava che sulla sua testa pendeva una denuncia al Tribunale Speciale. Ma fu Balbo a richiamare l’attenzione di Mussolini sulla denuncia, e, quindi, a provocare il repentino arresto dello scrittore che, alle prime luci dell’alba del 7 ottobre, fece il suo primo (e non ultimo) ingresso in carcere, Regina Coeli.

Mussolini non aveva, in fondo, reali motivi per colpire Malaparte, ma la posizione di questi era difficile. Il capo d’accusa di “aver svolto attività antifascista all’estero” non resse l’istruttoria, ma la condotta e le frequentazioni oltralpe di Malaparte suscitarono dubbi e sospetti e il capo d’accusa fu trasformato in quello meno grave di “diffamazione di ministro in carica” giudicabile direttamente dagli organi di polizia attraverso la Commissione provinciale per l’assegnazione al confino di polizia. il giudizio della Commissione provinciale di Roma fu severo e il 13 novembre 1933 portò alla condanna a 5 anni di confino [11]. Malaparte fu avviato al confino nell’isola di Lipari (dietro intervento diretto di Mussolini) il 30 novembre 1933 e la carriera professionale ne fu fortemente compromessa [12].

Tuttavia, segnali di una certa benevolenza dall’alto non mancarono. il 20 giugno 1934 Malaparte ottenne il trasferimento (anche per la sua invalidità di guerra dovuta al gas yprite respirato nella battaglia di Bligny), prima a Ischia (vi giunse il 27 giugno) e poi a Forte dei Marmi, dove arrivò il 20 ottobre 1934. Già a Ischia, nell’estate del 1934, aveva ripreso a collaborare, con lo pseudonimo Candido, al «Corriere della Sera» e a scrivere asterischi e qualche lirica per «Quadrivio», un settimanale letterario fondato e diretto da Telesio Interlandi. e proprio a questi si dovette il primo intervento per il trasferimento da un’isola all’altra, dall’insalubre Lipari alla più accogliente Ischia.

Interlandi era un brillante giornalista che aveva fatto le prime esperienze su «il Giornale dell’isola» e su «La Nazione» di Firenze. Si era schierato con l’ala più intransigente e radicale del fascismo, era diventato redattore del quotidiano «L’impero» di Mario Carli ed Emilio Settimelli e aveva fondato il 27 dicembre 1924, in un momento complesso e difficile per le sorti del governo, grazie all’appoggio di Mussolini, il quotidiano romano «il Tevere». il giornale divenne, in breve, il portavoce ufficioso del duce, occupò sempre posizioni settarie e intransigenti e rivaleggiò in tema di estremismo con il quotidiano cremonese «il Regime fascista» di Roberto Farinacci.

Interlandi non ricoprì mai cariche politiche o istituzionali, tuttavia la sua opinione, espressa dalle colonne del «Tevere», era tenuta in conto come espressione della volontà ministeriale, e Mussolini considerò a lungo il giornalista siciliano suo principale punto di riferimento in campo giornalistico. Nell’estate del 1933 Interlandi ampliò il proprio raggio di azione fondando un settimanale di cultura, arte e letteratura, «Quadrivio», che portò avanti, così come il quotidiano, fino alla caduta del regime nel luglio 1943.

«Quadrivio» divenne un’importante vetrina per i giovani intellettuali e permise a interlandi di sostenere in campo culturale una linea “ufficiale”, nonché di accrescere la collaborazione con Mussolini e con Galeazzo Ciano. Uomo di indubbie entrature e di reale influenza nel sottobosco politico della capitale, Interlandi sarebbe poi diventato il maggiore esponente del razzismo e dell’antisemitismo italiani, quando nell’agosto del 1938 avrebbe fondato, ancora con l’appoggio del Partito nazionale fascista e del governo, il quindicinale «La Difesa della Razza»[13].

Del resto già dal 1934 Interlandi, attraverso le pagine di «il Tevere», aveva sostenuto la campagna razzista e cominciato a diffondere l’antisemitismo, entrando in urto proprio con Balbo, Quilici e il «Corriere Padano». A questa attività giornalistica frenetica e polemica, Interlandi affiancò una produzione letteraria e politica di scarsa fortuna e importanza [14]. Dopo il 25 luglio venne arrestato, ma con l’8 settembre fu liberato dai tedeschi e condotto in Germania; fu tra i primi ad aderire alla Repubblica Sociale italiana e gli vennero affidati incarichi legati alla propaganda. evaso rocambolescamente dal carcere nell’immediato dopo-guerra, riparò a Roma, dove rimase nascosto fin dopo il giugno del 1946, quando, con l’amnistia, i reati di cui era stato accusato vennero sostanzialmente cancellati. Non riprese più l’attività pubblica e giornalistica, ma il suo nome rimase indelebilmente legato all’antisemitismo italiano.

Nell’invero del 1934, nel momento più difficile per Malaparte, Interlandi fu uno dei pochi a mostrarsi molto vicino allo scrittore caduto in disgrazia e a cercare in ogni maniera di alleviargli la condizione di confinato tanto da un punto di vista umano quanto professionale. Malaparte poteva contare ancora sul fido amico Aldo Borelli, il potente direttore del «Corriere della Sera», sugli editori francese Daniel Halevy, Bernard Grasset e Pierre Bessand-Massenet, e sulla affascinante amica intima, Bona Morozzo della Rocca di Bianzé (che rimase accanto allo scrittore in maniera discreta, sensibile e affettuosa), ma l’intercessione di Interlandi fu risolutiva per almeno tre importanti ragioni [15].

La prima: fu proprio grazie al giornalista siciliano che Malaparte poté riprendere a scrivere su una rivista letteraria, appunto «Quadrivio», dove, pur essendo ancora al confino di polizia, fece apparire alcuni asterischi e alcune liriche; la seconda: Interlandi gli consentì di firmare con il proprio nome persino i suoi primi racconti (per quanto lontani da tematiche di attualità) sempre su «Quadrivio»; infine, la terza: fu ancora Interlandi a seguire la vicenda della sua condanna, intervenendo a suo favore sia con Cia- no sia con Mussolini, con il quale aveva un canale privilegiato tanto che i suoi incontri con il duce avvenivano spesso senza la necessità di un vero e proprio appuntamento.

Insieme alle lettere a Interlandi, pubblichiamo la “domanda di grazia” che Mala- parte fece giungere a Ciano. Si trattava, verosimilmente, di una domanda formale e di aperta sottomissione, perché il percorso di riabilitazione doveva essere stato, nel frattempo, già ben avviato. infatti la richiesta di Malaparte per la liberazione dal con- fino diretta a Ciano (fatta pervenire in copia riservatissima anche a Interlandi) era da- tata Forte dei Marmi, 9 giugno 1935 e la decisione venne subito assunta in senso assolutamente favorevole. Mussolini decise di cancellare il resto della pena (oltre tre anni di confino) e di restituire alla piena libertà lo scrittore, che venne a conoscenza della notizia tramite la prefettura di Lucca il 19 giugno 1935. e proprio 19 giugno è datata la lettera di ringraziamento a Interlandi.

Si concludeva per Malaparte, un calvario molto duro, sia da un punto di vista fisico (per l’aggravarsi della malattia ai polmoni, che lo avrebbe accompagnato alla morte nel 1957), sia da un punto di vista psicologico. Comunque, dopo la brutta parentesi del confino, per Malaparte si aprivano altre prospettive, questa volta positive, sotto il profilo sentimentale (il fidanzamento con Virginia Bourbon del Monte, vedova di Edoardo Agnelli), sotto quello letterario (di lì a breve sarebbero usciti due suoi importanti volumi di narrativa) [16] e infine sotto quello giornalistico perché sarebbe stato inviato del «Corriere della Sera» in Africa orientale italiana durante il periodo della conquista dell’impero [17]. Riacquistato spazio nelle lettere italiane e in quelle europee, Malaparte non avrebbe più scritto su «Quadrivio» e i suoi rapporti con Interlandi si diradarono fino a esaurirsi. Né sarebbe più tornato sulla vicenda della sua liberazione dal confino in termini veritieri: troppo scomodo, e ingombrante, ormai, era diventato il nome del razzista e antisemita Interlandi, col quale era meglio non avere nulla a che fare negli anni del conflitto mondiale, dell’immediato dopoguerra e del periodo postbellico, segnato dalle arroventate polemiche sui trascorsi politici e culturali che gli intellettuali si rinfacciavano senza remora. era meglio atteggiarsi a vittima e attribuire il merito della liberazione a Ciano. Anche Interlandi, bandito da ogni spazio civile nell’Italia democratica e repubblicana, non avrebbe più toccato l’argomento né interagito ancora con Malaparte, lanciato di nuovo verso la vetta della letteratura internazionale del ’900 e intento a descrivere nuove dimensioni culturali, sempre alla ricerca di una vera “Europa, patria dell’uomo [18].

 

Lettere di Curzio Malaparte a Telesio Interlandi

1.

Lipari, 8 giugno 1934, XII

Caro Interlandi,

ho ricevuto ieri sera la tua raccomandata, e ti puoi facilmente immaginare con quanta gioia, con quanta commozione abbia accolto la notizia, e la promessa, benché vaga, di giorni migliori. È la prima lettera buona, la tua, che io ricevo dal 6 ottobre [1933] in qua. Te ne ringrazio di tutto cuore, caro Interlandi: la mia situazione è tale, che puoi credere alla mia sincerità. Debbo constatare ancora una volta che il solo ad aiutarmi, in questo caso come in tanti altri, è stato un siciliano.

Ti manderò presto qualcosa, di natura letteraria o artistica: ma non prima di aver ottenuto il permesso dalla questura di Messina, da cui dipendo. Sarebbe bene che tu fa- cessi scrivere alla questura di Messina, ufficialmente, dalla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, alta patrona dei confinati. Risparmierai, così, un mucchio di tempo.

il responso della Commissione superiore medica di Palermo è uguale a quello della Commissione di Messina: “Adenite latero-cervicale cronica di natura tubercolotica”; credo che non mi riconosceranno “invalido di guerra”, data la severità delle ragioni ministeriali in proposito, per ragioni di bilancio. Ma non ci tengo affatto a ottenere una pensioncina di 60 lire al mese. Mi preme avere il solo riconoscimento che il mio male ha origine dalla ferita di gas yprite ricevuta a Bligny. il che è inoppugnabile e risulta da tutta la documentazione dell’origine e del corso del mio guaio. Ma temo che non mi riconosceranno. il responso, in ogni caso, mi servirà per chiedere il trasferimento in luogo più salubre. il clima di Lipari è fatto apposta per far venire l’adenite alla gente più sana.

Basta con i miei guai, caro Interlandi. Appena avrò pronto qualcosa di pubblicabile, e appena avrò ottenuto il permesso ufficiale, ti manderò la mia disgraziatissima prosa, che ha ancora il merito, tuttavia, di interessarmi alle mie possibilità e al mio futuro.

Grazie, caro Interlandi, e accogli la mia riconoscenza, che è l’unica cosa che io ti posso dare.

Affettuosamente,

tuo Malaparte

 

2.

Villa Carcaterra, via Cremato, Porto d’Ischia (Napoli) 20 luglio 1934

Carissimo Interlandi,

finalmente posso mantenere la promessa e, quel che più conta, posso finalmente riprendere la mia attività letteraria, dopo così lungo e così triste silenzio. Ti mando quattro liriche Liparote, in attesa di poterti mandare un lungo racconto [19]. Ho  creduto bene di iniziare la mia collaborazione a «Quadrivio» con delle liriche, che sono, o mi sembrano, meno impegnative, e meno compromettenti, dal lato, diciamo così, politico. Sebbene ormai, anche dal punto di vista politico, io possa dirmi in via di guarigione. infatti, come saprai, fin dal 6 giugno scorso mi è stato dato il permesso di riprendere la mia collaborazione regolare al «Corriere della Sera», però con uno pseudonimo: che non ho ancora scelto. e se firmassi Curzio Suckert? Come pseudonimo non c’è male. A parte gli scherzi, credo che nel «Corriere» firmerò Candido.

Avrei voluto mandarti qualcosa già fin dal principio dello scorso giugno: ma non ero in buone condizioni di spirito. il clima di Lipari mi ammazzava. Tu sai, per avertene informato io stesso, che il responso della Commissione medica superiore di Palermo è stato, purtroppo, affermativo. ho avuto ufficialmente la comunicazione della diagnosi il 12 giugno: e il 21 giugno, improvvisamente, è giunto l’ordine telegrafico di trasferirmi a Ischia, dove mi trovo dalla fine del mese e dove comincio a rimettermi. Qui, almeno, respiro: l’aria è ottima, abito in una casetta rustica al margine della pi- neta e non fa molto caldo. Mi sento, caro Interlandi, rinascere. e debbo tutto questo a te, perché sei stato tu a interessare della mia nuova situazione Galeazzo Ciano; il primo annuncio, per quanto vago, di un probabile cambiamento, mi è venuto da te, in data 4 giugno. La mia immensa gratitudine per il Duce e per Galeazzo Ciano non diminuisce, caro Interlandi, la mia viva e affettuosa riconoscenza per te, al quale debbo se ora posso curarmi e se posso illudermi di ritardare il progresso inevitabile del male. Non sto a farti molti discorsi: quello che è il mio stato d’animo nei tuoi riguardi lo capisci da te. Tu mi hai fatto un dono inestimabile, che io non potrò ricambiare che con un affetto e una gratitudine di fratello.

Nei primi giorni ho un po’ sofferto del cambiamento d’aria: mi son dovuto mettere a letto per alcuni giorni, con un ascesso bronchiale che mi dava forte febbre. La mia solita storia. Per fortuna ora sto bene e posso rimettermi a lavorare. Non so quando inizierò la mia collaborazione al «Corriere»: non mi sono ancora rifatta la mano a scrivere. in ogni modo volevo assolutamente rifarmi vivo per la prima volta in «Quadrivio», e spero che tu accoglierai il mio desiderio. Più in là ti manderò, oltre un lungo racconto, anche delle variazioni inglesi, sul tipo di quelle che mandavo al «Corriere». A Borelli darò degli articoli di varietà. Se le liriche non ti dispiacciono, avvertimi, e io ti spedirò una “epistola a Vincenzo Cardarelli” e altre cose su Lipari o su Ischia.

ho visto nei giorni scorsi [Umberto] Guglielmotti, che ora è partito con la moglie per Capri [20]. Le notizie che Guglielmotti mi ha dato sono buone: sembra che la mia permanenza a Ischia non si debba protrarre a lungo. Se così fosse, andrei a passare l’inverno in un sanatorio. il mio più grande dolore è questo mio stato d’animo depresso, che mi impedisce di lavorare come vorrei, a un libro, a un romanzo.

Caro Interlandi, ancora una volta ti dico quanto la mia gratitudine per te è sincera e affettuosa. Tu mi hai tolto da uno stato d’animo molto vicino alla disperazione. e tu solo puoi capire quanta speranza e quanto affetto vi siano nel mio abbraccio fraterno.

Tuo, Malaparte

 

3.

Forte dei Marmi (Lucca), 5 maggio 1935 XII Caro Interlandi,

sebbene in ritardo, mantengo la promessa. Fra due o tre giorni ti mando un artico- lo-racconto, Scandalo a Parigi. Vorrei poterti mandare qualcosa, ogni tanto, ma ho da finire il libro sugli inglesi, che in ottobre deve assolutamente uscire, e ogni mese mi tocca scrivere 4 articoli per il «Corriere». e tu capisci che la collaborazione al «Corriere» non posso trascurarla, è la mia unica fonte di guadagno. Aggiungi che ho passato un inverno in pineta, in una casa senza riscaldamento: lavorare in tali condizioni era un problema. Per fortuna siamo alla buona stagione, e potrò lavorare, d’ora in poi, con maggior profitto.

Si intende che ti mando l’articolo senza sperare nessun compenso, e senza chiedertelo. (Ma se mi manderai qualcosa, mi farai un vero piacere!) Maroncelli diede una rosa al medico, io ti mando un articolo. “Telesio prese l’articolo e pianse”.

Ciao, caro Interlandi. Da un paio di mesi non ricevo più «Quadrivio», «il Tevere» lo ricevo tutti i giorni, puntualmente.

Dimmi, appena l’avrai ricevuto, se l’articolo ti va.

Potresti farmi avere l’indirizzo del pittore Massimo Campigli [21]? e [Luigi] Chiarini che fa? Leggo sempre i suoi articoli, che sono interessantissimi. Ma è quel Chiarini che era con Gentile [22]?

Con i più affettuosi e grati saluti,

tuo aff. Malaparte

 

4.

Forte dei Marmi, 9 giugno 1935

Questa lettera l’affido a mia madre, che te la imposterà “extra muras”. Perciò, se mi rispondi, non dar l’impressione di rispondere ad una mia lettera, ma a una lettera di mia madre.

Come vedi mi metto nelle tue mani.

Personalissima

Carissimo Interlandi,

proprio un anno fa, mentre ero all’ospedale militare di Palermo, ti ho scritto delle mie condizioni di salute, pregandoti di ottenermi, se possibile, il trasferimento da Lipari a altro luogo di pena, dove meglio curarmi. Tu parlasti a Galeazzo Ciano, e in pochi giorni fui trasferito a Ischia. A prescindere da ogni altra considerazione sulla generosità del tuo intervento, posso ben dire che mi hai portato fortuna!

Oggi, a un anno di distanza, ho mandato a Galeazzo Ciano la lettera “Riservata Personale” qui acclusa. (Ti prego perciò, appena l’avrai letta, di chiuderla a chiave in un cassetto) Te la spedisco in copia perché mi par doveroso metterti al corrente, te solo, della mia situazione, e dei miei passi per modificarla a mio vantaggio. e perché tu possa, se ne hai l’occasione e il desiderio, di spendere una parola a mio favore, senza però aver l’aria di andare da Ciano apposta per questo.

Quello che ti chiedo non mi sembra eccessivo. Son quasi due anni che mi trovo in questi impicci, e ho dato sufficienti prove di saper accettare serenamente la prigione, il confino e le conseguenti inevitabili umiliazioni, senza rancori, senza proteste e senza darmi l’aria di vittima. Da Ischia, Ciano mi ha fatto immediatamente trasferire al Forte dei Marmi (da me non chiesto: scelto proprio da lui. io avevo chiesto una qualunque località in Toscana, fuorché Prato, per ragioni di opportunità), appena ho potuto stabilire che il clima umido di Ischia mi aveva arrecato un peggioramento. e qui mi trovo benissimo, dal punto di vista della salute. Lavoro, mi curo e ho deciso di stabilirmi qui definitivamente. Considero il Forte come il mio sanatorio, e mi preme troppo la salute per andarmene altrove. Tutti sanno che io scrivo nel «Corriere», che sto al Forte, e la mia situazione non manca di apparire un po’ strana. Non sarebbe più opportuno rimettermi in libertà, sia pure sotto certe condizioni?

È questa la domanda che ho rivolta a Ciano, sia per obbedire alla preghiera di mia madre, che ha sessant’anni ed è malata, e di mio padre, che ne ha già settanta, ha paura di morire e vorrebbe vedermi libero, almeno negli ultimi anni della sua vita; sia per seguire il consiglio di [Orazio] Pedrazzi [23].

Non vorrei, ora che mi sono comprato una casa al Forte, che un bel giorno mi si trasferisse in qualche altro luogo. A parte il fatto che ormai tutti i miei interessi son qui, che in questo paese ho deciso di fissarmi, di lavorare, anche quando sarò libero, c’è da considerare che un trasloco significherebbe per me l’obbligo (è la legge sul confino che me l’obbliga) di affittare a mie spese un’altra casa nella nuova località. Le spese dei traslochi sono a carico del confinato. ormai mi sono accomodato qui – per tutta la vita – non do noia a nessuno, qui ho la mia casa, i miei libri. Perché non lasciarmi libero al Forte?

Non potresti, se te ne capiterà l’occasione, far presente tutto ciò a Galeazzo Ciano?

Ma, per delicatezza, non dirgli che ti ho mandato in copia la lettera destinata a lui. Anche se egli non potesse ottenermi quanto gli chiedo, mi si dia almeno l’assicura- zione che ormai mi si lascerà vivere in pace, se non proprio in libertà, qui al Forte.

Ma, sopra tutto, non mancare d’informarmi dell’accoglienza che avrà la mia lettera. L’incertezza è la peggiore delle situazioni, per uno che vive, come vivo io da quasi due anni, di speranza e di attesa. Se ti chiedo troppo, non farne nulla. Capisco quanto sia delicato ciò che ti ho chiesto, e per nulla al mondo vorrei metterti in imbarazzo.

Ciao, caro Interlandi, e mille affettuose grazie di tutto cuore.

Tuo aff. Malaparte

 

5.

Forte dei Marmi (Lucca), 9 giugno 1935

A Sua eccellenza

il Conte Galeazzo Ciano Ministro della Propaganda Roma

Cara eccellenza,

è diverso tempo che ho l’intenzione di scriverti, ma fino ad oggi non ho saputo decidermi, per comprensibile sentimento di delicatezza. Stamani, in occasione del mio trentasettesimo compleanno (il tempo passa, e questi, che dovrebbero essere gli anni conclusivi della mia vita, sono invece i meno felici), è venuta a trovarmi mia madre, ed è lei che mi ha persuaso a ricorrere a te anche questa volta.

Tu sai che io non ho nulla da lamentarmi, per quel che riguarda la mia situazione. il confino, da quando ho lasciato Lipari, è ridotto per me a una pura formalità. e sono grato al Duce e sono grato a te, caro Ciano, di aver considerato il mio caso con larghezza di spirito e con un senso di umanità e di generosità, che mi ripagano di tante passate amarezze.

Se oggi le mie condizioni di salute sono assai migliori di quel che fossero sei mesi or sono, lo debbo al Duce e a te, poiché è chiaro, a detta dei medici, che se io fossi rimasto a Lipari, dove il clima è ventoso e l’aria impregnata di zolfo per la vicinanza di Vulcano, o se anche avessi passato l’inverno a Ischia, umidissima in quella stagione, la mia lacerazione polmonare avrebbe provocato ascessi ed emottisi sempre più frequenti e pericolose. A Lipari subivo tre o quattro crisi al mese; a Ischia avevo una ricaduta ogni dieci giorni, anche in luglio e in agosto. in autunno, poi, mi sopravvenne una complicazione, e cioè un dolore acuto al polmone sinistro nell’atto di respirare. Fu questa complicazione che mi spinse a scriverti, lo scorso ottobre, per chiedere un trasloco in clima più sano. La scelta, che io debbo al tuo buon cuore, di Forte dei Marmi, è stata la mia salvezza. ho potuto curarmi, e, sebben abbia trascorso un inverno piuttosto disagiato, per l’umidità della mia casetta in mezzo alla pineta (e perciò senza sole) e per la mancanza di qualsiasi comodità, riscaldamento, ecc, ho visto decrescere progressivamente la frequenza dei miei ascessi polmonari e sparire del tutto le emottisi. L’ultima grave crisi l’ho avuta in gennaio, e sono stato male una quindicina di giorni. Da allora in poi sono andato sempre migliorando. e se te lo scrivo non è per la nota mania dei malati di parlare dei loro mali, ma per darti la misura della mia gratitudine.

Visto che il clima di Forte dei Marmi fa per me, ho deciso di fissarmi qui per sempre, di rimanere qui a lavorare tranquillamente anche quando sarò libero. Per darti una prova di questo proposito, aggiungerò che ho ripreso recentemente le trattative già iniziate nel settembre del 1932, poco prima del mio arresto, per il tramite di Angioletti, che allora abitava qui (quella di fissarmi al Forte non è, come vedi, una mia idea di oggi), e ho comprato una casa sul mare, dove fisserò le mie tende per sempre, e che abito già. ho quattro anni di tempo davanti a me per pagarla, e perciò mi tocca mettermi sul serio al lavoro, far delle economie, scrivere articoli e libri. e spero di poter lavorare in pace, senza più tribolazioni, malattie e trasferimenti.

Il fatto che io abbia comprato una casa qui, che abbia ormai tutti i miei interessi al Forte, dovrebbe essere una seria garanzia della mia volontà di vivere tranquillo, in casa mia, di far la mia vita di scrittore serenamente e seriamente. L’editore Grasset e l’editore Heinemann di Londra mi stanno facendo pressioni su pressioni perché io consegni al più presto il manoscritto del mio libro sugli inglesi, di cui gli articoli apparsi sul «Corriere» non sono che brani. Avrebbero voluto pubblicarlo in maggio, ma non sarà pronto prima di ottobre. il contratto stabilisce la pubblicazione contemporanea in Francia e in Inghilterra: la prima metà del libro è già tradotta, ed è piaciuta tanto a Parigi quanto a Londra. Certo, il libro è una presa in giro piuttosto pepata dei signori inglesi: Grasset ci si diverte un mondo, e lo stesso editore inglese Heinemann assicura che sarà un successo anche in Inghilterra, appunto per le verità pepate che dico. Ma per finire il libro debbo lavorare sul serio, e spero che ormai la mia tranquillità non sarà più turbata.

Dopo tutti i guai che ho passati in questi due anni, non credo che le mie speranze di una definitiva liquidazione del mio caso siano troppo indiscrete. il regime di “confino” a cui sono soggetto è una pura formalità. Tutti sanno che il Candido del «Corriere» sono io. Tutti sanno che da sette mesi sono al Forte. La mia situazione equivoca, tuttavia, mette in imbarazzo quanti mi avvicinano, e io pure mi accorgo di avere l’aria molto buffa. Non posso certo dire a tutti quali siano le ragioni di salute per le quali sono qui. ed oggi che ho comprato una casa, che mi sono fissato qui per sempre (a meno che non mi si trasferisca in un’altra residenza, il che sarebbe per me un grosso guaio: ma per fortuna non vedo perché mi si dovrebbe trasferire), ora che ho dato, mettendo radici, una seria garanzia della mia volontà di viver tranquillo e di non... scappare, mi decido a chiederti se non sarebbe possibile, sotto certe condizioni, togliermi la qualifica di confinato.

Mi impegnerei a non venire a Roma, neppure per un giorno, fintanto che non lo credereste opportuno. Mi impegnerei a non muovermi dal Forte, e a non rimettermi in circolazione, fintanto che, dopo un periodo di quarantena, non mi giudichereste meritevole di riprendere la mia liberà attività di scrittore. Che interesse avrei io a non mantenere l’impegno assunto? Perderei di colpo il terreno riguadagnato, perderei la collaborazione al «Corriere», mi toglierei cioè la possibilità di pagar la casa che mi sono comprata. Mi sembrano che siano queste considerazioni e garanzie abbastanza serie. Ti chiedo troppo? Mi è difficile, isolato come sono, rendermi conto delle probabilità favorevoli che può avere la mia richiesta. Ma mi sembra che il momento non sia inopportuno, dopo quasi due anni di confino, per chiedere alla generosità del Duce e al tuo buon cuore un provvedimento a mio favore. Mettetemi pure le condizioni che vorrete: ma toglietemi, se è possibile, l’umiliante qualifica di confinato.

Può darsi che non desideriate rivedermi troppo presto in circolazione. Ti garantisco, caro Ciano, che non mi muoverò dal Forte, dalla mia casa, dalla mia biblioteca. Rimarrò qui a lavorare, per pagare le rate della somma che mi sono impegnato di versare per l’acquisto della casa. e poi, quando si ha addosso il male che ho io, ti assicuro che non si domanda se non di viver tranquillo, per tirare avanti più a lungo che sia possibile. il fatto stesso di sapermi confinato, anche se sono confinato al Forte, non può darmi la tranquillità di spirito di cui ho bisogno. Vivo sempre col vago sospetto di star troppo bene e col timore continuo che questo bene volga in peggio.

Ho forse fatto male a scriverti. Ma a chi potrei rivolgermi, se non a te? Se questa lettera non ti sembrasse opportuna, dimenticala, e non serbarmene rancore. io ti sarò egualmente grato, con tutto il cuore, anche se non ti sarà possibile accontentarmi.

Con devozione affettuosa.

 

6.

Forte dei Marmi (Lucca), viale Savoia 31 19 giugno 1935 XII

Carissimo Interlandi,

la notizia della mia liberazione mi è giunta così improvvisa e così a poca distanza dall’invio della mia lettera, che ne sono ancora tutto trasecolato. Non so più da che parte rifarmi. Ma una cosa non dimentico, in tutto questo trambusto, caro Interlandi: e cioè scriverti e ringraziarti. Tu mi porti fortuna, ne sono assolutamente convinto. e te ne sono grato, perché la fortuna che mi porti nasce dalla tua buona volontà, dalla tua amicizia, dal tuo sentimento di generosità.

ho deciso di non muovermi dal Forte, di restare qui, a lavorare tranquillamente, come se niente fosse e niente fosse stato. Non andrò né a Firenze, né a Milano, né a Roma, non mi rimetterò in circolazione: resterò al Forte, in casa mia. e credo di far bene. La mia liberazione è incondizionata: posso, cioè, muovermi come voglio. Ma credo opportuno non rimettermi troppo presto sul mercato, e non mi sembra di far male. Tu che ne dici?

Se vieni da queste parti, ricordati che io sono qui. Sarei proprio contento di rivederti, e di poterti dire a voce quanto ti sono grato.

Ciao, caro Interlandi, e mille fraterni saluti dal tuo Malaparte

 

7.

[Forte dei Marmi] 23 novembre 1935 XIV

Caro Interlandi,

ti mando un articolo per «Quadrivio», Una sommossa in inferno. È una fantasia, una descrizione di quel che avverrebbe in inferno se cristiani e pagani si azzuffassero [24].

Come sai, ho ottenuto di firmare Malaparte, non più Candido, nel «Corriere».

Io lavoro, solo qui col mio cane. e ti sarò veramente, ma veramente, grato, se potrai mandarmi qualcosa, subito. Sono al verde, e tutto quello che mi dà il «Corriere» passa alla clinica dove mia madre è ricoverata fin dal giugno scorso.

Perdonami, caro Interlandi. S’intende che, se tu non puoi, fa lo stesso. L’articolo è tuo.

Con affettuosa cordialità,

tuo Malaparte

 

8.

Forte dei Marmi (Lucca), 21 dicembre 1935

Carissimo Interlandi,

ho ricevuto con grande sorpresa e con grandissimo piacere lo chéque di «Quadrivio», e te ne ringrazio. Tu sai che mi servono, specie in questo diavolo di mese.

Spero, in gennaio, di fare un salto a Roma: e verrò naturalmente a darti un saluto. Ti faccio intanto, caro Telesio, i miei più affettuosi auguri di buon Natale, a te e ai tuoi.

Con grata amicizia,

tuo Malaparte

 

1 Al riguardo, cfr. F. PerFetti, Curzio Malaparte, 1947-1949: contro il fascismo dell’antifascismo, in «Nuova Storia Contemporanea», 3, 2002, pp. 93-120.

2 Sull’intellettuale toscano, cfr. G.B. GUerri, L’arcitaliano. Vita di Curzio Malaparte, Milano, Bompiani, 2008, M. SerrA, Malaparte. Vite e leggende, Venezia, Marsilio, 2012, nonché il mio G. PArDiNi, Curzio Ma- laparte, biografia politica, Milano, Luni, 1998.

3 Al riguardo, G.B. GUerri, Italo Balbo, Milano, Bompiani, 2013, G. roChAt, Italo Balbo. Lo squadrista, l’aviatore, il gerarca, Utet, torino, 2004, C.G. SeGré, Italo Balbo. Una vita fascista, Bologna, il Mulino, 2000.

4 Per l’approfondimento di questa importante pagina, mi permetto di rimandare adesso al mio G. PArDiNi, Le Muss[olini] di Curzio Malaparte, in «Cahiers del L’herne», Malaparte (a cura di M. P. De Paulis), editions de L’herne, Paris, 2018, pp. 64-70.

5 Si vedano adesso entrambi i libri nelle belle edizioni della “Piccola Bibliotecadi Adelphi, C. MALAPArte, Il buonuomo Lenin, Milano, Adelphi, 2018 e C. MALAPArte, Tecnica del colpo di Stato, Milano, Adelphi, 2011. i due libri sono ancora disponibili nella versione originale in lingua francese nell’altrettanto prestigiosa collana de «Les Cahiers rouges» di Grasset, C. MALAPArte, Le Bonhomme Lenin, Paris, Grasset & Fasquelle, 2013 e C. MALAPArte, Technique du coup d’Etat, Paris, Grasset, 2008. Sempre in lingua francese occorre al- tresì menzionare la bella e recente ristampa dell’importante testo malapartiano, in realtà a lungo sottovalutato, C. MALAPArte, Journal secret, 1914-1944, Paris, Quai Voltaire, 2019.

6 Cfr. C. MALAPArte, Muss. Il grande imbecille, Milano, Luni, 1999, adesso pure nella ristampa C. MALAPArte, Muss. Ritratto di un dittatore. Seguito da Il grande imbecille, Firenze, Passigli editori, 2017.

7 Al riguardo, cfr. M. BioNDi, Scrittori e miti totalitari. Malaparte, Pratolini, Silone, Firenze, Polistampa, 2002.

8 Cfr. i fascicoli personali di Malaparte in Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore esercito (Roma), Servizio informazioni Militare (SiM), 1ª Divisione, b. 292, fasc. Capitano Curzio Suckert Malaparte e 12ª Divisione, b. 326, fasc. Curzio Malaparte.

9 Così Malaparte scrisse infatti anche al suo stretto amico e confidente Daniel halevy, il 29 ottobre 1932: “italo Balbo, seul, qui se prepare ouvertement à la succession, ne me cache pas ses antiphaties. il veut faire tabula rasa de tout ce qui le gêne, ou peut le gêner...”.

10 Per queste vicende, cfr. il mio G. PArDiNi, Il “Partito del Principino”. Farinacci, il Fante rosso e altri disegni, in «Nuova Storia Contemporanea», 4, 2004, pp. 21-54.

11 Per tutto, cfr. il voluminoso fascicolo conservato in Archivio Centrale dello Stato, Ministero degli interni, Confinati politici, b. 985, fasc. Suckert Curzio (Malaparte).

12 Per un approfondimento di questa intricata vicenda, mi permetto ancora di rimandare al mio fascicolo di Introduzione nella ristampa anastatica di «Prospettive», 1939-1943, Firenze, Cesati editore, 2006.

13 Sul periodico, cfr. V. PiSANty, «La Difesa della razza». Antologia, 1938-1943, Milano, Bompiani, 2006,

M. Loré, Antisemitismo e razzismo ne «La Difesa della Razza», Soveria Mannelli, rubbettino, 2008, P. FiSChietti, La Difesa della razza. Genesi e analisi di una rivista del razzismo fascista, Lecce, youcanprint, 2018 e, soprattutto, F. CASSAtA, «La Difesa della razza». Politica, ideologia e immagine del razzismo fascista, to- rino, einaudi, 2008.

14 tra questi, cfr., almeno, T. Interlandi, Pane bigio. Scritti politici, Bologna, L’italiano, 1927, t. iNterLANDi, I nostri amici inglesi, roma, Cremonese, 1935, t. Interlandi, Contra judaeos, Milano, tumminelli, 1938, t. Interlandi Le vele nere, Milano, Circolo della Stampa, 1944 e infine il breve volume di memorie t. Interlandi, Cosi, per (doppio) gioco. Rapsodia d'una generazione, Lanciano, Quadrivio, 1962

15 Anche la corrispondenza che lo scrittore intratteneva con i suoi molti amici e corrispondenti, nel periodo

della condanna e del confino risultò molto ridotta e limitata alle sole persone accennate, più, naturalmente gli stretti familiari; cfr. e. SUCKert roNChi, Malaparte, iii. 1932-1935, Firenze, Ponte alle Grazie, 1992.

16 Si tratta di C. MALAPArte, Fughe in prigione, Firenze, Vallecchi, 1936 (adesso anche Milano, Mondadori, 2004) e del successivo C. MALAPArte, Sangue, Firenze, Vallecchi, 1937 (adesso anche Firenze, Passigli, 2017).

17 Al riguardo, cfr. adesso Viaggio in Etiopia e altri scritti africani (a cura di e.r. Laforgia), Firenze, Vallecchi, 2006 e, per gli anni successivi, e.r. LAForGiA, Malaparte scrittore di guerra, Firenze, Vallecchi, 2011.

18 C. MALAPArte, Mamma marcia, Firenze, Vallecchi, 1959.

19 Interlandi pubblicò 3 della 4 poesie di Curzio Malaparte, Donna sul prato, Mattino a Marina corta e Alba marina, in «Quadrivio», 5 agosto 1934; il racconto, invece, Malaparte riuscì a inviarlo solo qualche mese più tardi, cfr. C. MALAPArte, Uno scandalo a Parigi, in «Quadrivio», 19 maggio 1935.

20 Umberto Guglielmotti (Perugia, 1892 - Roma, 1976) è stato un importante giornalista e uomo politico italiano, quale ultimo segretario dell’Associazione nazionalista italiana, deputato per tre legislature, già direttore del quotidiano fiorentino «La Nazione», era il potente segretario del Sindacato nazionale fascista dei giornalisti. Di lì a breve, nel giugno 1936, avrebbe anche assunto la direzione del quotidiano romano «La Tribuna».

21 estimatore del grande pittore Massimo Campigli, Malaparte terrà sempre nel suo studio il ritratto fattogli da quest’ultimo e avrà sempre piacere di illustrarne l’arte e le opere, in particolare su «Prospettive».

22 Malaparte si riferisce a Luigi Chiarini, nato a Roma nel 1900, laureato in giurisprudenza, aveva preso a collaborare assiduamente con la rivista «educazione fascista» di Giovanni Gentile, per scrivere di arte, lettera- tura, cultura, per passare poi a «Quadrivio», in qualità di vicedirettore, dove avrebbe iniziato a occuparsi di cinematografia, divenne successivamente anche direttore dell’importante Centro Sperimentale di Cinematografia, fondò la rivista «Bianco e Nero» e giocò un ruolo molto rilevante nella nascita della cinematografia italiana.

23 Orazio Pedrazzi (Piacenza, 1889 - Firenze, 1962), è stato un attivo giornalista, inviato speciale e corrispondente di guerra, nonché un vivace scrittore, per passare poi alla carriera politica (deputato nel 1924) e, soprattutto diplomatica; già ambasciatore italiano a Santiago, in Cile, di lì a breve, nel 1935, sarebbe stato nominato ambasciatore italiano a Madrid, in Spagna. Aveva appena pubblicato il romanzo Terra di Dio, Milano, Mondadori, 1933.

24 Cfr. C. MALAPArte, Una sommossa in inferno, in «Quadrivio», 1 dicembre 1935.