Rapina: significato letterale e sistematico del delitto
Rapina: introduzione
La sentenza della seconda sezione della Cassazione penale n° 23779 del 2021 rappresenta un esempio di buona giurisprudenza in materia penale, poiché mostra la figura del giudice quale esegeta capace di analizzare da un punto di vista letterale la disposizione normativa, procedendo poi alla ricerca del suo significato in conformità con lo spirito dell’ordinamento, nonché con lo scopo perseguito dal Legislatore.
Rapina: breve esposizione del caso
Il caso analizzato dalla Suprema Corte riguarda l’imputato P.G. al quale viene imputato il reato di rapina improprio – rubricato ex art. 628 co. 2 c.p. – poiché si è appropriato di una somma di danaro presente in un cambiamonete e, per riuscire a fuggire, ha adoperato violenza contro la vittima M.D., la quale aveva ottenuto le monete attraverso l’introduzione di banconota falsa nella macchina.
Nel proprio ricorso l’avvocato difensore dell’imputato lamenta che la Corte d’Appello di Torino non ha preso in considerazione uno dei motivi col quale aveva impugnato la sentenza di primo grado; in particolare secondo la tesi difensiva il reato che è stato imputato al ricorrente è errato, poiché non vi è una “aggressione diretta del bene”[1] in quanto il delitto di rapina prevede l’ottenimento del profitto attraverso una sottrazione e non attraverso l’uso di artifizi o raggiri. Questa tesi – come allegato negli atti difensivi – viene sostenuta dalla Corte d’Appello di Milano nella sentenza n°2213 del 26 luglio 2010 e – seguendo la scorta di questo ragionamento – viene chiesto alla Cassazione di riqualificare il reato al quale è stato già condannato nel merito l’imputato e, più nello specifico, dalla rapina impropria al concorso di truffa e violenza priva.
In aggiunta, l’avvocato del ricorrente asserisce che non si può parlare nemmeno di una vera e propria sottrazione perché i beni sono stati ottenuti attraverso la manomissione della macchina elettronica.
Rapina: il ragionamento della Corte
Il giudice di legittimità, anche in ottemperanza alla sua funzione nomofilattica, si concentra sull’analisi della configurabilità del delitto di rapina ed in particolare sul significato dell’espressione “sottrazione”, usata dal Legislatore per connotare anche la condotta del delitto di rapina impropria.
Prima di entrare nell’analisi stringente della Suprema Corte è congeniale inquadrare – almeno per sommi capi – l’art. 628 c.p., definendone i suoi caratteri principali e, successivamente, comprendendone i momenti di perfezionamento e consumazione.
La rapina è un reato che si trova all’interno del Titolo XIII del Codice penale, tutela il bene giuridico del patrimonio e si configura allorquando vi è la presenza del dolo specifico dell’agente, il quale ha come propria finalità l’ottenimento di un profitto che, a sua volta, è ricavato mediante il compimento atti violenti oppure di una minaccia per appropriarsi di un bene mobile altrui. Il momento consumativo si identifica quando “la cosa sottratta cade nel dominio esclusivo del soggetto agente” [2]. Rispetto a quanto si è appena detto, la differenza rilevante del delitto di rapina impropria è che la violenza e la minaccia sono successive all’impossessamento del bene mobile e hanno lo scopo di “assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità”. Entrambe le fattispecie appena descritte sono regolate dal medesimo regime sanzionatorio. [3]
A questo punto, addentrandosi nel vivo del ragionamento della Cassazione, si nota che la riflessione elaborata nel corpo della sentenza riguarda l’interpretazione del termine “sottrazione”, usato dal Legislatore nel testo dell’art.628 c.p. . La problematica è sottesa nell’estensione del significato letterale del termine, che non identifica una azione specifica volta al perseguimento dello scopo. Per questa ragione il giudice di legittimità generalizza il significato del termine attraverso l’attribuzione di un significato di particolare “ampiezza”, quale è la perdita della disponibilità della res da parte della vittima.
Andando oltre il dato letterale, la Suprema Corte procede con l’esame del parametro sistematico considerando il delitto di furto, rubricato all’art. 624 c.p., e quello di truffa, normato all’art.640 c.p.. Si riportano, quindi, le considerazioni presenti nel testo della sentenza che affermano che "questa Corte è ferma nel ritenere che l'eventuale uso di violenza o minaccia da parte di uno dei concorrenti nel reato di furto per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o ad altri l'impunità costituisce logico e prevedibile sviluppo della condotta finalizzata alla commissione del furto. Analoghe considerazioni ben possono valere con riferimento ad altri reati contro il patrimonio, come la truffa, ugualmente caratterizzati - come il furto - da una condotta volta a carpire un bene ad un soggetto, pur se non sottraendoglielo a sua insaputa, come nel furto, ma ottenendone la disponibilità in virtù della precostituzione artificiosa di una realtà apparente, della quale il deceptus ha, peraltro, pur sempre possibilità di accorgersi, anche nell'immediatezza, svelando l'artifizio od avvedendosi del raggiro."[4].
In quest’ottica si comprende l’opinione della giurisprudenza di legittimità che non accoglie la tesi del ricorrente, in forza della quale il furto rappresenta una condizione per la configurabilità della rapina. Difatti il termine “sottrazione”, in definitiva, deve essere interpretato come qualsiasi azione che porti all’acquisizione del bene senza l’autorizzazione del proprietario o di colui che lo detiene.
[1] Cass. 23779/2021, pag.2
[2] R. Tedesco, Il reato di rapina e rapina impropria: analisi della recente questione di legittimità costituzionale sollevata, Ius in itinere, 25 settembre 2019
[3] In questo senso è rilevante ricordare che recentemente il Tribunale di Torino con l’ordinanza del 9 maggio 2019 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale sul punto, poiché ha ravvisato un contrasto con gli articoli 3, 25 e 27 della Costituzione. La Consulta, con la sentenza 190/2020, ha dichiarato infondate le questioni proposte dall’ordinanza, nonché inammissibili le censure in relazione all’art.117 Cost. e dell’art. 49 della Carta di Nizza. Per un maggiore approfondimento si consiglia la lettura di G. Leo, La Consulta esclude la manifesta irragionevolezza dei nuovi (ed elevati) minimi edittali di pena per la rapina impropria, Sistema Penale, 3 agosto 2020.
[4] Cass. 23779/2021, pagg. 2-3