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Responsabilità genitoriale per danno cagionato dai figli minori

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Terza Civile, Sentenza 14 marzo 2008, n. 7050
“La responsabilità dei genitori non può ritenersi esclusa per il solo fatto del temporaneo allontanamento del minore dalla casa familiare, qualora l’illecito da lui commesso consista nel mancato rispetto delle regole di comportamento vigenti nel contesto sociale, in termini tali da manifestare oggettive carenze dell’attività educativa. La negligenza, l’indisciplina e l’irresponsabilità nella condotta di guida, in termini tali da mettere a rischio i beni o l’incolumità altrui, costituiscono per appunto manifestazioni di tal genere di comportamenti” (Cassazione civile, sezione III, 14 marzo 2008 n. 7050).

Con la decisione in commento la Suprema Corte si è nuovamente pronunciata per definire e precisare i presupposti in virtù dei quali sussiste la responsabilità genitoriale nell’ipotesi di danno cagionato dai figli minori.

La vicenda processuale traeva origine da una domanda risarcitoria per un danno determinatosi in conseguenza di uno scontro tra due motocicli, entrambi condotti da minorenni; la Corte d’Appello, riformando la sentenza di primo grado, aveva escluso la responsabilità dei genitori del minore che aveva cagionato il sinistro, affermando che costoro non avrebbero potuto esercitare alcuna efficace attività preventiva di vigilanza sul figlio (all’epoca sedicenne), poiché quest’ultimo si era stabilmente trasferito a vivere fuori dalla residenza familiare per ragioni di lavoro.

Investita della questione a seguito del ricorso proposto dalla parte danneggiata, la terza sezione della Corte di Cassazione ha riaffermato la responsabilità dei genitori del minore responsabile del sinistro: l’eventuale allontanamento del figlio dalla casa familiare non costituisce esimente se la condotta illecita del minore sia conseguente non all’omissione della contingente e quotidiana sorveglianza su di lui, ma ad oggettive carenze educative, nel novero delle quali rientrano i danni “provocati dalle manifestazioni di indisciplina, negligenza o irresponsabilità, nello svolgimento delle attività suscettibili di arrecare danno a terzi, fra cui in particolare l’inosservanza delle norme della circolazione stradale”.

La norma di riferimento è l’articolo 2048 del codice civile, che configura l’ipotesi di responsabilità diretta dei genitori per il danno cagionato dal fatto illecito del figlio minore.

La rigorosa presunzione di responsabilità stabilita dalla norma può essere vinta solo mediante la prova, a carico dei genitori, di “non aver potuto impedire il fatto” come dispone il terzo comma dell’articolo appena citato.

Il sorgere della responsabilità è dunque connesso non solo alla semplice commissione di un fatto illecito da parte del figlio, ma ad una condotta (attiva o, più frequentemente, omissiva) ascrivibile al genitore, il quale ha l’obbligo di sorvegliare i figli minori, per impedire loro di nuocere a se stessi e ad altri, e di impartire a costoro l’educazione ed istruzione adeguate e consone alle condizioni sociali e familiari.

Il ruolo del genitore e le funzioni che quest’ultimo è tenuto a svolgere nei riguardi del minore derivano da alcuni precetti di rango costituzionale (articoli 30 e 31), nonché dagli articoli 147 e 315 del codice civile.

L’esercizio della sorveglianza rappresenta attività conseguente allo svolgimento della funzione educativa: la stessa Corte di legittimità ha affermato che la vigilanza del minore “consiste nella verifica del corretto apprendimento dell’educazione impartita, poiché l’educazione deve ricevere i necessari adeguamenti ed aggiustamenti tenendo conto della personalità del minore e del suo grado di abilità nel calare nella pratica quanto gli viene impartito” (così si legge in Cassazione civile, 28 marzo 2001 n. 4481).

La colpa giuridicamente rilevante ai fini dell’imputazione di responsabilità non consiste nel non aver impedito il verificarsi dell’illecito, ma nella violazione di un obbligo antecedente a questo e consistente nel mancato adempimento dei doveri di educazione e vigilanza correlati all’esercizio della potestà genitoriale.

In altre parole, per il genitore che voglia sottrarsi alla responsabilità risarcitoria non è sufficiente dimostrare di non aver potuto materialmente impedire la commissione dell’illecito; sarà invece necessario che egli dimostri di aver impartito al figlio una sana e corretta educazione e di aver sorvegliato sulla sua condotta in modo da prevenirne l’attività lesiva.

Si tratta di una prova indubbiamente molto rigorosa e difficile da offrire in sede processuale: il verificarsi stesso dell’illecito dimostrerebbe già di per sé l’inadeguatezza dell’educazione impartita e l’omessa o negligente sorveglianza sul comportamento del minore.

Il peculiare rigore di questa disciplina si giustifica nell’opzione normativa di offrire un’efficace tutela risarcitoria al danneggiato: solitamente i minori non dispongono di un proprio patrimonio e le conseguenze dell’illecito rischierebbero di rimanere in capo a colui che lo ha subito.

Nella sentenza in commento la Suprema Corte precisa il contenuto degli obblighi di vigilanza e di educazione, con particolare riguardo all’ipotesi in cui il minore, soggetto alla potestà dei genitori, non conviva con essi.

Qualora il danno sia dovuto ad una carente sorveglianza del minore, l’eventuale allontanamento del figlio dalla residenza dei genitori potrà costituire ragione di esonero dalla responsabilità, stante l’evidente impossibilità materiale per il genitore di predisporre adeguate attività di controllo e prevenzione.

Viceversa, qualora la condotta illecita costituisca manifestazione di un atteggiamento contrario alle regole della civile convivenza, nei rapporti con il prossimo e nello svolgimento delle attività extrafamiliari, essa è suscettibile di rivelare oggettive carenze nell’attività educativa, tali da non escludere la responsabilità di cui all’art. 2048 del codice civile. L’adeguata formazione ed educazione al rispetto delle persone, dei beni e dell’incolumità altrui esplica i suoi effetti anche per il tempo successivo alla cessazione della coabitazione con i genitori, cosicché – si legge nella sentenza in commento – “l’eventuale allontanamento del minore dalla casa dei genitori non vale di per sé ad esimere questi ultimi da responsabilità ove l’illecito comportamento del figlio sia riconducibile non all’omissione della contingente e quotidiana sorveglianza sul comportamento di lui, ma ad oggettive carenze educative” .

Ad una prima lettura si potrebbe ritenere che, anche in quest’occasione, il rigore interpretativo giurisprudenziale (improntato, come si è detto, ad un favore per le ragioni del danneggiato) non consenta alcuna possibilità di offrire la prova liberatoria.

Il genitore si vedrebbe infatti sempre esposto alle conseguenze dannose delle violazioni al codice della strada commesse dal figlio sedicenne o diciassettenne che, abilitato alla guida di ciclomotori (e dunque nell’utilizzo del tutto legittimo del mezzo), per il solo fatto di aver concorso a cagionare un sinistro rivelerebbe di non aver ricevuto un’adeguata educazione.

Analogo ragionamento potrebbe essere svolto con riferimento all’illecito compiuto durante una pratica sportiva e di qualunque altra attività extrafamiliare.

A differenza del passato, oggi i minori trascorrono buona parte del proprio tempo fuori casa, senza la presenza dei genitori (molto spesso anche senza la presenza di modelli di riferimento adulti), hanno un’esperienza relazionale ricca ed articolata in una pluralità di opportunità (si vedano gli ultimi rapporti Censis dedicati all’analisi dei dati relativi alle modalità con cui i minori trascorrono il proprio tempo libero).

In questo ambito riveste una crescente importanza la corretta impostazione dei rapporti tra i giovanissimi e l’ambiente extrafamiliare, che tenga conto anche di quella sfera di libertà che può essere legittimamente concessa al minore in relazione all’età, alla personalità, al contesto sociale: quanto più il figlio si avvicina alla maggiore età, tanto più ampio sarà lo spazio di autonomia in cui egli viene lasciato libero di esprimersi, ma tanto più rilevanti saranno gli effetti di un’educazione efficace ed improntata al rispetto della propria persona e della persona altrui.

In altra occasione, la Suprema Corte ha affermato che la prova liberatoria richiesta ai genitori dall’articolo 2048 del codice civile non comporta la dimostrazione di una costante ed ininterrotta presenza fisica accanto al figlio, qualora “per l’educazione impartita, l’età del figlio e l’ambiente in cui egli viene lasciato libero di muoversi, risultino correttamente impostati i rapporti del minore con l’ambiente extrafamiliare, facendo ragionevolmente presumere che tali rapporti non possano costituire fonte di pericoli di per sé e per i terzi” (così Cassazione civile, sezione III, 28 marzo 2001 n. 4481, sopra citata).

La peculiarità della fattispecie analizzata nella sentenza in commento è rappresentata dal fatto che il minore, trasferitosi a vivere stabilmente presso il fratello, aveva cessato la coabitazione con il padre e la madre ed era quindi uscito dalla materiale sfera di sorveglianza e di controllo di questi ultimi, ma – in quanto minorenne – era ancora soggetto alla potestà genitoriale (che, come noto, cessa solo con il compimento della maggiore età).

Di conseguenza, all’epoca del sinistro i genitori erano ancora obbligati ad esercitare sul figlio i doveri che la legge impone loro in virtù del ruolo rivestito a salvaguarda e cura della persona del minore ed anche nell’interesse dei terzi.

E’ pur vero che solo la materiale coabitazione consente lo svolgimento assiduo e costante delle attività di vigilanza ed educazione, il cui mancato assolvimento determina il sorgere della responsabilità.

Tuttavia è anche vero che la convivenza, intesa come consuetudine di vita in comune e condivisione di un sistema valoriale, non è interrotta dall’allontanamento del minore (anche per un tempo prolungato) dalla casa dei genitori, proprio perché in capo a questi ultimi incombono precisi obblighi educativi diretti alla promozione di una sana ed equilibrata personalità del minore ed il semplice fatto della cessazione della coabitazione non è di per sé idoneo a cancellare gli effetti dell’educazione impartita.

Nella fattispecie esaminata dai giudici di legittimità, il sinistro non era riconducibile ad un’omessa attività di sorveglianza: l’utilizzo del motorino, lecito, non avrebbe richiesto la vigilanza del genitore.

La causa dell’incidente era invece riconducibile ad una condotta di guida pericolosa, rivelatrice di un contegno genericamente irresponsabile e suscettibile di creare rischio per sé e per altri.

Correttamente dunque nella sentenza in commento, i giudici di legittimità hanno dedotto la responsabilità del genitore con una valutazione a posteriori, in relazione alle caratteristiche ed alle modalità di svolgimento del sinistro, per inferirne una valutazione di inadeguatezza dell’attività di prevenzione da parte del genitore e conseguentemente il giudizio di responsabilità.

“La responsabilità dei genitori non può ritenersi esclusa per il solo fatto del temporaneo allontanamento del minore dalla casa familiare, qualora l’illecito da lui commesso consista nel mancato rispetto delle regole di comportamento vigenti nel contesto sociale, in termini tali da manifestare oggettive carenze dell’attività educativa. La negligenza, l’indisciplina e l’irresponsabilità nella condotta di guida, in termini tali da mettere a rischio i beni o l’incolumità altrui, costituiscono per appunto manifestazioni di tal genere di comportamenti” (Cassazione civile, sezione III, 14 marzo 2008 n. 7050).

Con la decisione in commento la Suprema Corte si è nuovamente pronunciata per definire e precisare i presupposti in virtù dei quali sussiste la responsabilità genitoriale nell’ipotesi di danno cagionato dai figli minori.

La vicenda processuale traeva origine da una domanda risarcitoria per un danno determinatosi in conseguenza di uno scontro tra due motocicli, entrambi condotti da minorenni; la Corte d’Appello, riformando la sentenza di primo grado, aveva escluso la responsabilità dei genitori del minore che aveva cagionato il sinistro, affermando che costoro non avrebbero potuto esercitare alcuna efficace attività preventiva di vigilanza sul figlio (all’epoca sedicenne), poiché quest’ultimo si era stabilmente trasferito a vivere fuori dalla residenza familiare per ragioni di lavoro.

Investita della questione a seguito del ricorso proposto dalla parte danneggiata, la terza sezione della Corte di Cassazione ha riaffermato la responsabilità dei genitori del minore responsabile del sinistro: l’eventuale allontanamento del figlio dalla casa familiare non costituisce esimente se la condotta illecita del minore sia conseguente non all’omissione della contingente e quotidiana sorveglianza su di lui, ma ad oggettive carenze educative, nel novero delle quali rientrano i danni “provocati dalle manifestazioni di indisciplina, negligenza o irresponsabilità, nello svolgimento delle attività suscettibili di arrecare danno a terzi, fra cui in particolare l’inosservanza delle norme della circolazione stradale”.

La norma di riferimento è l’articolo 2048 del codice civile, che configura l’ipotesi di responsabilità diretta dei genitori per il danno cagionato dal fatto illecito del figlio minore.

La rigorosa presunzione di responsabilità stabilita dalla norma può essere vinta solo mediante la prova, a carico dei genitori, di “non aver potuto impedire il fatto” come dispone il terzo comma dell’articolo appena citato.

Il sorgere della responsabilità è dunque connesso non solo alla semplice commissione di un fatto illecito da parte del figlio, ma ad una condotta (attiva o, più frequentemente, omissiva) ascrivibile al genitore, il quale ha l’obbligo di sorvegliare i figli minori, per impedire loro di nuocere a se stessi e ad altri, e di impartire a costoro l’educazione ed istruzione adeguate e consone alle condizioni sociali e familiari.

Il ruolo del genitore e le funzioni che quest’ultimo è tenuto a svolgere nei riguardi del minore derivano da alcuni precetti di rango costituzionale (articoli 30 e 31), nonché dagli articoli 147 e 315 del codice civile.

L’esercizio della sorveglianza rappresenta attività conseguente allo svolgimento della funzione educativa: la stessa Corte di legittimità ha affermato che la vigilanza del minore “consiste nella verifica del corretto apprendimento dell’educazione impartita, poiché l’educazione deve ricevere i necessari adeguamenti ed aggiustamenti tenendo conto della personalità del minore e del suo grado di abilità nel calare nella pratica quanto gli viene impartito” (così si legge in Cassazione civile, 28 marzo 2001 n. 4481).

La colpa giuridicamente rilevante ai fini dell’imputazione di responsabilità non consiste nel non aver impedito il verificarsi dell’illecito, ma nella violazione di un obbligo antecedente a questo e consistente nel mancato adempimento dei doveri di educazione e vigilanza correlati all’esercizio della potestà genitoriale.

In altre parole, per il genitore che voglia sottrarsi alla responsabilità risarcitoria non è sufficiente dimostrare di non aver potuto materialmente impedire la commissione dell’illecito; sarà invece necessario che egli dimostri di aver impartito al figlio una sana e corretta educazione e di aver sorvegliato sulla sua condotta in modo da prevenirne l’attività lesiva.

Si tratta di una prova indubbiamente molto rigorosa e difficile da offrire in sede processuale: il verificarsi stesso dell’illecito dimostrerebbe già di per sé l’inadeguatezza dell’educazione impartita e l’omessa o negligente sorveglianza sul comportamento del minore.

Il peculiare rigore di questa disciplina si giustifica nell’opzione normativa di offrire un’efficace tutela risarcitoria al danneggiato: solitamente i minori non dispongono di un proprio patrimonio e le conseguenze dell’illecito rischierebbero di rimanere in capo a colui che lo ha subito.

Nella sentenza in commento la Suprema Corte precisa il contenuto degli obblighi di vigilanza e di educazione, con particolare riguardo all’ipotesi in cui il minore, soggetto alla potestà dei genitori, non conviva con essi.

Qualora il danno sia dovuto ad una carente sorveglianza del minore, l’eventuale allontanamento del figlio dalla residenza dei genitori potrà costituire ragione di esonero dalla responsabilità, stante l’evidente impossibilità materiale per il genitore di predisporre adeguate attività di controllo e prevenzione.

Viceversa, qualora la condotta illecita costituisca manifestazione di un atteggiamento contrario alle regole della civile convivenza, nei rapporti con il prossimo e nello svolgimento delle attività extrafamiliari, essa è suscettibile di rivelare oggettive carenze nell’attività educativa, tali da non escludere la responsabilità di cui all’art. 2048 del codice civile. L’adeguata formazione ed educazione al rispetto delle persone, dei beni e dell’incolumità altrui esplica i suoi effetti anche per il tempo successivo alla cessazione della coabitazione con i genitori, cosicché – si legge nella sentenza in commento – “l’eventuale allontanamento del minore dalla casa dei genitori non vale di per sé ad esimere questi ultimi da responsabilità ove l’illecito comportamento del figlio sia riconducibile non all’omissione della contingente e quotidiana sorveglianza sul comportamento di lui, ma ad oggettive carenze educative” .

Ad una prima lettura si potrebbe ritenere che, anche in quest’occasione, il rigore interpretativo giurisprudenziale (improntato, come si è detto, ad un favore per le ragioni del danneggiato) non consenta alcuna possibilità di offrire la prova liberatoria.

Il genitore si vedrebbe infatti sempre esposto alle conseguenze dannose delle violazioni al codice della strada commesse dal figlio sedicenne o diciassettenne che, abilitato alla guida di ciclomotori (e dunque nell’utilizzo del tutto legittimo del mezzo), per il solo fatto di aver concorso a cagionare un sinistro rivelerebbe di non aver ricevuto un’adeguata educazione.

Analogo ragionamento potrebbe essere svolto con riferimento all’illecito compiuto durante una pratica sportiva e di qualunque altra attività extrafamiliare.

A differenza del passato, oggi i minori trascorrono buona parte del proprio tempo fuori casa, senza la presenza dei genitori (molto spesso anche senza la presenza di modelli di riferimento adulti), hanno un’esperienza relazionale ricca ed articolata in una pluralità di opportunità (si vedano gli ultimi rapporti Censis dedicati all’analisi dei dati relativi alle modalità con cui i minori trascorrono il proprio tempo libero).

In questo ambito riveste una crescente importanza la corretta impostazione dei rapporti tra i giovanissimi e l’ambiente extrafamiliare, che tenga conto anche di quella sfera di libertà che può essere legittimamente concessa al minore in relazione all’età, alla personalità, al contesto sociale: quanto più il figlio si avvicina alla maggiore età, tanto più ampio sarà lo spazio di autonomia in cui egli viene lasciato libero di esprimersi, ma tanto più rilevanti saranno gli effetti di un’educazione efficace ed improntata al rispetto della propria persona e della persona altrui.

In altra occasione, la Suprema Corte ha affermato che la prova liberatoria richiesta ai genitori dall’articolo 2048 del codice civile non comporta la dimostrazione di una costante ed ininterrotta presenza fisica accanto al figlio, qualora “per l’educazione impartita, l’età del figlio e l’ambiente in cui egli viene lasciato libero di muoversi, risultino correttamente impostati i rapporti del minore con l’ambiente extrafamiliare, facendo ragionevolmente presumere che tali rapporti non possano costituire fonte di pericoli di per sé e per i terzi” (così Cassazione civile, sezione III, 28 marzo 2001 n. 4481, sopra citata).

La peculiarità della fattispecie analizzata nella sentenza in commento è rappresentata dal fatto che il minore, trasferitosi a vivere stabilmente presso il fratello, aveva cessato la coabitazione con il padre e la madre ed era quindi uscito dalla materiale sfera di sorveglianza e di controllo di questi ultimi, ma – in quanto minorenne – era ancora soggetto alla potestà genitoriale (che, come noto, cessa solo con il compimento della maggiore età).

Di conseguenza, all’epoca del sinistro i genitori erano ancora obbligati ad esercitare sul figlio i doveri che la legge impone loro in virtù del ruolo rivestito a salvaguarda e cura della persona del minore ed anche nell’interesse dei terzi.

E’ pur vero che solo la materiale coabitazione consente lo svolgimento assiduo e costante delle attività di vigilanza ed educazione, il cui mancato assolvimento determina il sorgere della responsabilità.

Tuttavia è anche vero che la convivenza, intesa come consuetudine di vita in comune e condivisione di un sistema valoriale, non è interrotta dall’allontanamento del minore (anche per un tempo prolungato) dalla casa dei genitori, proprio perché in capo a questi ultimi incombono precisi obblighi educativi diretti alla promozione di una sana ed equilibrata personalità del minore ed il semplice fatto della cessazione della coabitazione non è di per sé idoneo a cancellare gli effetti dell’educazione impartita.

Nella fattispecie esaminata dai giudici di legittimità, il sinistro non era riconducibile ad un’omessa attività di sorveglianza: l’utilizzo del motorino, lecito, non avrebbe richiesto la vigilanza del genitore.

La causa dell’incidente era invece riconducibile ad una condotta di guida pericolosa, rivelatrice di un contegno genericamente irresponsabile e suscettibile di creare rischio per sé e per altri.

Correttamente dunque nella sentenza in commento, i giudici di legittimità hanno dedotto la responsabilità del genitore con una valutazione a posteriori, in relazione alle caratteristiche ed alle modalità di svolgimento del sinistro, per inferirne una valutazione di inadeguatezza dell’attività di prevenzione da parte del genitore e conseguentemente il giudizio di responsabilità.