Verso una possibile rilevanza del Modello organizzativo “sostanziale” ex Decreto Legislativo n.231/2001?
sentenza Tribunale Brescia 2012_Modello 231 'sostanziale'
La vicenda oggetto della pronuncia in commento riguarda l’infortunio occorso al dipendente di un’impresa che, al fine di riposizionare correttamente alcuni mattoni sulla navetta in uscita dall’impianto “pressa n. 3” di formatura mattoni e consentirne il prelievo ad opera del robot per il caricamento automatico nell’apposito carrello, si inseriva con il braccio destro e parte del busto nello spazio libero e non segregato esistente tra il carrello porta mattoni in movimento e una struttura metallica fissa dell’impianto (il telaio della serranda di chiusura) nell’intento di riallineare manualmente i pezzi suddetti.
Tuttavia, essendo l’impianto ancora in modalità di funzionamento automatica rimaneva intrappolato nella zona di schiacciamento esistente tra la struttura fissa ed il carrello porta-mattoni rimessosi in movimento subendo così un trauma toracico.
In relazione a tale episodio veniva ipotizzata la responsabilità, oltre che del direttore dello stabilimento, della stessa società (ex art. 25-septies d.lgs. n. 231/2001) per non aver prevenuto, mediante la specifica adozione di un modello organizzativo, la commissione del reato di lesioni personali colpose.
La difesa dell’ente, oltre a contestare la sussistenza del reato presupposto, riteneva in ogni caso non integrati i criteri di ascrizione della responsabilità all’ente: quanto al profilo oggettivo, in particolare, si sosteneva la non configurabilità di un interesse o vantaggio per la società; in ordine al profilo soggettivo, invece, si riteneva provata l’esistenza – all’epoca dei fatti – di un modello organizzativo realizzato in concreto, sebbene non formalizzato, ma in ogni caso idoneo ad escludere la “colpa di organizzazione”.
Nell’esaminare i profili relativi all’eventuale insussistenza del fatto di reato presupposto, il Tribunale si interroga, anzitutto, circa la possibilità di attribuire l’evento-infortunio ad un comportamento anomalo del lavoratore tale da escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva dell’azienda (e della persona fisica) ed il fatto verificatosi.
Come noto, infatti, secondo l’insegnamento della Suprema Corte il comportamento del lavoratore avventato ed esorbitante rispetto alle normali attribuzioni interrompe il nesso di causalità, ponendosi come serie causale autonoma rispetto alla precedente condotta del datore di lavoro che non abbia adempiuto a tutti gli obblighi che gli sono propri[1].
Ritenuto provato il comportamento anomalo del lavoratore e, dunque, l’insussistenza del fatto e la conseguente mancanza del reato presupposto ex d.lgs. n. 231/2001, il Tribunale perviene ad una pronuncia assolutoria (anche) nei confronti della società, ritenendosi esonerato dall’esaminare le argomentazioni difensive relative alla insussistenza del requisito dell’interesse o del vantaggio nonché della colpa organizzativa.
Si tratta di due aspetti, tuttavia, in relazione ai quali – sebbene in modo marginale – il Tribunale lascia intravedere il proprio convincimento.
Quanto alla nozione di interesse o vantaggio, anzitutto, ponendosi in linea con la prevalente giurisprudenza di merito formatasi sul punto, i giudici bresciani condividono l’orientamento secondo cui la nozione di interesse deve intendersi in senso oggettivo, come “qualità che caratterizza la condotta in sé idonea astrattamente a produrre un beneficio per l’ente e non come dolo specifico del suo autore”, ritenendo in tal modo tale nozione compatibile con l’impianto generale del d.lgs. n. 231/2001[2].
Il Tribunale sembra invece non condividere la tesi secondo cui affinché sia configurabile l’interesse o vantaggio dell’ente occorre che venga provata una “generale politica d’impresa volta alla svalutazione della gestione nella materia della sicurezza”[3]. Similmente, si è anche affermato che l’interesse o vantaggio “può essere ravvisato laddove un soggetto agisca per conto dell’ente, con sistematiche violazioni di norme cautelari così da far rientrare quella condotta nella politica di impresa volta alla svalutazione della gestione in materia di sicurezza con conseguente abbattimento dei costi e spese per l’adozione ad attuazione dei presidi antinfortunistici, nonché ottimizzazione dei profitti”[4].
I giudici bresciani sostengono, al riguardo, che tale impostazione non può essere condivisa in quanto sganciata dal “dato normativo che riconduce la singola condotta all’interesse o al vantaggio dell’ente”.
Va rilevato, tuttavia, come sembri certamente apprezzabile lo sforzo di parte della giurisprudenza (ci si riferisce alle citate pronunce del Tribunale di Novara e di Cagliari) di rifuggire verso logiche presuntive tese a ravvisare l’interesse o il vantaggio nello stesso ciclo produttivo in cui è realizzata la condotta causalmente connessa all’infortunio. Sotto questo aspetto, infatti, parrebbe ravvisarsi il tentativo di circoscrivere la responsabilità dell’ente esclusivamente a quei casi in cui il delitto colposo sia effettivamente conseguenza della politica d’impresa, ovvero di carenze strutturali di carattere generale volte all’abbattimento dei costi.
Veniamo ora al profilo della “colpa di organizzazione” e, nello specifico, alla possibile efficacia esimente di un modello organizzativo “sostanziale”.
Tale tesi, ritenuta “interessante” dal Tribunale, veniva fondata sulle risultanze testimoniali e sulla rapidità con cui era stata successivamente all’infortunio ottenuta dalla società la certificazione BS OHSAS 18001, compatibile con la preesistenza di protocolli di sicurezza e di sistemi di vigilanza e sanzionatori sostanzialmente conformi ai requisiti di legge.
Sotto questo aspetto occorre preliminarmente soffermarsi sul rapporto tra mappatura del rischio ex art. 30 d.lgs. n. 81/2008 (t.u. sicurezza sul lavoro) e valutazione del rischio ex artt. 15, 18 e 29 del medesimo decreto.
Secondo un primo orientamento la mappatura della rischiosità in tema di igiene e sicurezza ex d.lgs. n. 231/2001 non coincide in toto con la valutazione dei rischi ex d.lgs. n. 81/2008, dovendosi estendere anche a fattori agevolativi ulteriori che, pur non direttamente relativi al rischio, possono però essere strumentali alla realizzazione dei reati di cui agli artt. 589 e 590 c.p.[5]
Diversamente, altra dottrina sostiene che tra modello prevenzionistico e modello organizzativo (per le parti corrispondenti) vi è sostanziale coincidenza: la complessità delle prescrizioni già richieste dal t.u. sicurezza sul lavoro rende difficile immaginare di poter pretendere, da parte dell’ente, l’adozione di standard di diligenza ulteriori nella valutazione e/o predisposizione di misure di prevenzione, a meno che non si voglia gravare l’ente medesimo di incombenti eccessivi e insopportabili[6].
Tale seconda preferibile opzione interpretativa troverebbe conforto:
a) nell’art. 30, co. 1, t.u. sicurezza sul lavoro, che indica gli obblighi il cui adempimento deve essere assicurato dalla realizzazione del modello e che coincidono con il sistema di cautele che il t.u. stesso impone al datore di lavoro;
b) nell’art. 30, co. 5, t.u. sicurezza sul lavoro, ove si introduce una presunzione di idoneità del modello che sia conforme (per le parti corrispondenti) alle linee guida UNI-INAIL o BS OHSAS, così stabilendo che componente essenziale del modello di organizzazione è l’adozione di un sistema di gestione della sicurezza quale quello delineato nei due documenti tecnici citati.
Ebbene, cosa succede allorché – come nel caso di specie – l’ente abbia ottenuto solamente ex post facto la certificazione BS OHSAS ma fosse già dotato di protocolli di sicurezza e sistemi di vigilanza e sanzionatori sostanzialmente conformi ai requisiti di legge?
La tesi della rilevanza del modello organizzativo sostanziale è stata avanzata dalle difese anche nel caso ThyssenKrupp. Nel processo di primo grado, infatti, si era sostenuto che il modello organizzativo esisteva di fatto perché la sua elaborazione, iniziata e terminata in data antecedente agli infortuni, aveva lo stesso contenuto e forma di quello poi approvato dal C.d.a. in epoca successiva ai fatti di reato contestati. Inoltre, si sosteneva, tale modello era già stato divulgato all’interno dell’azienda ed era già stato attuato[7].
Nel caso di specie, tuttavia, la Corte d’Assise di Torino precisa che “anche seguendo il c.d. ‘principio di effettività’ e, quindi, superando in tale prospettiva il dato formale della non avvenuta adozione del ‘modello’ da parte dell’organo competente, in epoca precedente rispetto al verificarsi del reato”, non risulta provato che tale modello “sostanziale” fosse stato divulgato ed attuato prima degli infortuni occorsi[8].
A diverse conclusioni è invece giunto il Gup presso il Tribunale di Milano[9] in relazione ad un caso di aggiotaggio informativo. La decisione, di recente confermata dalla Corte d’Appello di Milano[10], rappresenta peraltro la prima pronuncia in cui è stata riconosciuta l’efficacia esimente di un modello organizzativo in relazione a fatti di reato-presupposto commessi dai vertici della società.
Nel caso di specie, il giudice osserva anzitutto come la società aveva tempestivamente adottato il modello organizzativo nei termini stabiliti e secondo le linee guida indicate da Confindustria. Il modello, inoltre, era stato adottato prima della commissione degli illeciti contestati agli imputati, tranne che per una ipotesi criminosa, posta in essere circa un mese
prima dell’adozione del modello. Tuttavia, afferma la pronuncia, a quella data era già stata avviata la procedura di adozione del modello e in ogni caso la società aveva già autonomamente adottato un proprio codice di autodisciplina sulla base dei principi dettati da Borsa Italiana s.p.a. (con un preposto ai controlli interni coincidente poi con l’organismo di vigilanza del modello organizzativo successivamente adottato). Ciò dimostrerebbe “la volontà della società – giustificata dalla sua dimensione internazionale e dalla delicatezza dei servizi trattati – di adeguarsi alla nuova normativa con una tempestività quasi senza precedenti nel panorama delle aziende italiane del settore costruzioni”.
I giudici d’appello, inoltre, precisano che “poco importa l’etichetta che viene data al modello che può essere anche quella di codice di autodisciplina, ‘documento di Corporate Governance’: ciò che importa è che il modello presenti il contenuto minimo essenziale previsto dall’art. 6 cioè un organo di controllo e protocolli di decisione, un sistema disciplinare, procedure che regolino flussi informativi verso l’Organismo di Vigilanza e prevedano veri e propri obblighi di informazione, precisa individuazione delle aree di rischio”[11].
In conclusione, la timida apertura (che parrebbe trasparire nella pronuncia in esame) verso la plausibilità della tesi difensiva tesa a dimostrare l’efficacia esimente del modello organizzativo sostanziale - sebbene non ancora formalizzato -, anche in materia di salute e sicurezza sul lavoro, potrebbe aprire nuove prospettive applicative in materia di responsabilità degli enti improntate non già ad un rigido formalismo, bensì al pieno riconoscimento del principio di effettività che dovrebbe permeare ogni aspetto del diritto penale.
[1] Cfr., fra le altre, Cass., 3 giugno 1999, in Ced rv. n. 214999; sottolinea come il datore di lavoro è esonerato da responsabilità quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive di organizzazione ricevute, Cass., 23 marzo 2007, n. 21587, in Cass. pen., 2008, 1007.
[2] Cfr. Tribunale di Trani, sez. di Molfetta, 11 gennaio 2010, in Società, 2010, 1116, con nota di M. M. Scoletta, Responsabilità ex crimine dell’ente e delitti colposi d’evento: la prima sentenza di condanna; in Dir. pen. e proc., 2010, 842 s., con commento di G. Amarelli, Morti sul lavoro: arriva la prima condanna per le società; Trib. Pinerolo, 23 settembre 2010, in www.rivista231.it e in www.penalecontemporaneo.it; Trib. Novara, 1 ottobre 2010, in Corr. merito, 2010, 404 e in www.penalecontemporaneo.it con commento di M. Pelazza, Responsabilità amministrativa dell’ente per omicidio colposo del lavoratore commesso con violazione della normativa antinfortunistica; Trib. Cagliari, 4 luglio 2011 (dep. 13 luglio 2011), in www.penalecontemporaneo.it; Corte d’Assise di Torino, 15 aprile 2011 (dep. 14 novembre 2011), in www.penalecontemporaneo.it, con commento di S. Zirulia, Thyssenkrupp, fu omicidio volontario: le motivazioni della Corte d’Assise e di M.L. Minnella, D.lgs. n. 231 del 2001 e reati colposi nel caso ThyssenKrupp, ivi; un estratto della motivazione è reperibile anche in Guida al dir., 2011, 50 s., con commento di G. Marra, Il Ceo ha fatto prevalere la logica del profitto sulla necessità di installare i sistemi “salva vita”, ivi, 70 s.
[3] Trib. Cagliari, 4-13 luglio 2011, cit.
[4] Trib. Novara, 1 ottobre 2010, cit.
[5] S. Bartolomucci, La metamorfosi normativa del modello penal preventivo in obbligatorio e pre-validato: dalle prescrizioni regolamentari per gli emittenti S.T.A.R. al recente art. 30 T.U. sicurezza sul lavoro, in Resp. amm. soc. enti., 2003, 3, 163; per una efficace sintesi, R. Lottini, I modelli di organizzazione e gestione, in F. Giunta-D. Micheletti (a cura di), Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro, Giuffré, Milano, 2010, 178.
[6] Cfr. R. Lottini, I modelli di organizzazione, cit., 173 s.
[7] Corte d’Assise di Torino, 15 aprile 2011 (dep. 14 novembre 2011), cit., p. 378.
[8] Corte d’Assise di Torino, 15 aprile 2011 (dep. 14 novembre 2011), cit., p. 378.
[9] Trib. Milano, 17 novembre 2009, in www.rivista231.it e in Società, 2010, p. 473 s., con commento di C.E. Paliero, Responsabilità dell’ente e cause di esclusione della colpevolezza: decisione lassista o interpretazione costituzionalmente orientata?, ivi, p. 476 s., e di V. Salafia, Per la prima volta il Gip Milano assolve una Spa da responsabilità amministrativa, ivi, p. 482. Si veda anche T.E. Epidendio, Il Modello Organizzativo 231 con efficacia esimente, in Resp. amm. soc. enti, 2010, 4, p. 149 s.
[10] Corte App. Milano, 21 marzo 2012 (dep. 18 giugno 2012), in www.rivista231.it
[11] Corte App. Milano, 21 marzo-18 giugno 2012, cit.
sentenza Tribunale Brescia 2012_Modello 231 'sostanziale'
La vicenda oggetto della pronuncia in commento riguarda l’infortunio occorso al dipendente di un’impresa che, al fine di riposizionare correttamente alcuni mattoni sulla navetta in uscita dall’impianto “pressa n. 3” di formatura mattoni e consentirne il prelievo ad opera del robot per il caricamento automatico nell’apposito carrello, si inseriva con il braccio destro e parte del busto nello spazio libero e non segregato esistente tra il carrello porta mattoni in movimento e una struttura metallica fissa dell’impianto (il telaio della serranda di chiusura) nell’intento di riallineare manualmente i pezzi suddetti.
Tuttavia, essendo l’impianto ancora in modalità di funzionamento automatica rimaneva intrappolato nella zona di schiacciamento esistente tra la struttura fissa ed il carrello porta-mattoni rimessosi in movimento subendo così un trauma toracico.
In relazione a tale episodio veniva ipotizzata la responsabilità, oltre che del direttore dello stabilimento, della stessa società (ex art. 25-septies d.lgs. n. 231/2001) per non aver prevenuto, mediante la specifica adozione di un modello organizzativo, la commissione del reato di lesioni personali colpose.
La difesa dell’ente, oltre a contestare la sussistenza del reato presupposto, riteneva in ogni caso non integrati i criteri di ascrizione della responsabilità all’ente: quanto al profilo oggettivo, in particolare, si sosteneva la non configurabilità di un interesse o vantaggio per la società; in ordine al profilo soggettivo, invece, si riteneva provata l’esistenza – all’epoca dei fatti – di un modello organizzativo realizzato in concreto, sebbene non formalizzato, ma in ogni caso idoneo ad escludere la “colpa di organizzazione”.
Nell’esaminare i profili relativi all’eventuale insussistenza del fatto di reato presupposto, il Tribunale si interroga, anzitutto, circa la possibilità di attribuire l’evento-infortunio ad un comportamento anomalo del lavoratore tale da escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva dell’azienda (e della persona fisica) ed il fatto verificatosi.
Come noto, infatti, secondo l’insegnamento della Suprema Corte il comportamento del lavoratore avventato ed esorbitante rispetto alle normali attribuzioni interrompe il nesso di causalità, ponendosi come serie causale autonoma rispetto alla precedente condotta del datore di lavoro che non abbia adempiuto a tutti gli obblighi che gli sono propri[1].
Ritenuto provato il comportamento anomalo del lavoratore e, dunque, l’insussistenza del fatto e la conseguente mancanza del reato presupposto ex d.lgs. n. 231/2001, il Tribunale perviene ad una pronuncia assolutoria (anche) nei confronti della società, ritenendosi esonerato dall’esaminare le argomentazioni difensive relative alla insussistenza del requisito dell’interesse o del vantaggio nonché della colpa organizzativa.
Si tratta di due aspetti, tuttavia, in relazione ai quali – sebbene in modo marginale – il Tribunale lascia intravedere il proprio convincimento.
Quanto alla nozione di interesse o vantaggio, anzitutto, ponendosi in linea con la prevalente giurisprudenza di merito formatasi sul punto, i giudici bresciani condividono l’orientamento secondo cui la nozione di interesse deve intendersi in senso oggettivo, come “qualità che caratterizza la condotta in sé idonea astrattamente a produrre un beneficio per l’ente e non come dolo specifico del suo autore”, ritenendo in tal modo tale nozione compatibile con l’impianto generale del d.lgs. n. 231/2001[2].
Il Tribunale sembra invece non condividere la tesi secondo cui affinché sia configurabile l’interesse o vantaggio dell’ente occorre che venga provata una “generale politica d’impresa volta alla svalutazione della gestione nella materia della sicurezza”[3]. Similmente, si è anche affermato che l’interesse o vantaggio “può essere ravvisato laddove un soggetto agisca per conto dell’ente, con sistematiche violazioni di norme cautelari così da far rientrare quella condotta nella politica di impresa volta alla svalutazione della gestione in materia di sicurezza con conseguente abbattimento dei costi e spese per l’adozione ad attuazione dei presidi antinfortunistici, nonché ottimizzazione dei profitti”[4].
I giudici bresciani sostengono, al riguardo, che tale impostazione non può essere condivisa in quanto sganciata dal “dato normativo che riconduce la singola condotta all’interesse o al vantaggio dell’ente”.
Va rilevato, tuttavia, come sembri certamente apprezzabile lo sforzo di parte della giurisprudenza (ci si riferisce alle citate pronunce del Tribunale di Novara e di Cagliari) di rifuggire verso logiche presuntive tese a ravvisare l’interesse o il vantaggio nello stesso ciclo produttivo in cui è realizzata la condotta causalmente connessa all’infortunio. Sotto questo aspetto, infatti, parrebbe ravvisarsi il tentativo di circoscrivere la responsabilità dell’ente esclusivamente a quei casi in cui il delitto colposo sia effettivamente conseguenza della politica d’impresa, ovvero di carenze strutturali di carattere generale volte all’abbattimento dei costi.
Veniamo ora al profilo della “colpa di organizzazione” e, nello specifico, alla possibile efficacia esimente di un modello organizzativo “sostanziale”.
Tale tesi, ritenuta “interessante” dal Tribunale, veniva fondata sulle risultanze testimoniali e sulla rapidità con cui era stata successivamente all’infortunio ottenuta dalla società la certificazione BS OHSAS 18001, compatibile con la preesistenza di protocolli di sicurezza e di sistemi di vigilanza e sanzionatori sostanzialmente conformi ai requisiti di legge.
Sotto questo aspetto occorre preliminarmente soffermarsi sul rapporto tra mappatura del rischio ex art. 30 d.lgs. n. 81/2008 (t.u. sicurezza sul lavoro) e valutazione del rischio ex artt. 15, 18 e 29 del medesimo decreto.
Secondo un primo orientamento la mappatura della rischiosità in tema di igiene e sicurezza ex d.lgs. n. 231/2001 non coincide in toto con la valutazione dei rischi ex d.lgs. n. 81/2008, dovendosi estendere anche a fattori agevolativi ulteriori che, pur non direttamente relativi al rischio, possono però essere strumentali alla realizzazione dei reati di cui agli artt. 589 e 590 c.p.[5]
Diversamente, altra dottrina sostiene che tra modello prevenzionistico e modello organizzativo (per le parti corrispondenti) vi è sostanziale coincidenza: la complessità delle prescrizioni già richieste dal t.u. sicurezza sul lavoro rende difficile immaginare di poter pretendere, da parte dell’ente, l’adozione di standard di diligenza ulteriori nella valutazione e/o predisposizione di misure di prevenzione, a meno che non si voglia gravare l’ente medesimo di incombenti eccessivi e insopportabili[6].
Tale seconda preferibile opzione interpretativa troverebbe conforto:
a) nell’art. 30, co. 1, t.u. sicurezza sul lavoro, che indica gli obblighi il cui adempimento deve essere assicurato dalla realizzazione del modello e che coincidono con il sistema di cautele che il t.u. stesso impone al datore di lavoro;
b) nell’art. 30, co. 5, t.u. sicurezza sul lavoro, ove si introduce una presunzione di idoneità del modello che sia conforme (per le parti corrispondenti) alle linee guida UNI-INAIL o BS OHSAS, così stabilendo che componente essenziale del modello di organizzazione è l’adozione di un sistema di gestione della sicurezza quale quello delineato nei due documenti tecnici citati.
Ebbene, cosa succede allorché – come nel caso di specie – l’ente abbia ottenuto solamente ex post facto la certificazione BS OHSAS ma fosse già dotato di protocolli di sicurezza e sistemi di vigilanza e sanzionatori sostanzialmente conformi ai requisiti di legge?
La tesi della rilevanza del modello organizzativo sostanziale è stata avanzata dalle difese anche nel caso ThyssenKrupp. Nel processo di primo grado, infatti, si era sostenuto che il modello organizzativo esisteva di fatto perché la sua elaborazione, iniziata e terminata in data antecedente agli infortuni, aveva lo stesso contenuto e forma di quello poi approvato dal C.d.a. in epoca successiva ai fatti di reato contestati. Inoltre, si sosteneva, tale modello era già stato divulgato all’interno dell’azienda ed era già stato attuato[7].
Nel caso di specie, tuttavia, la Corte d’Assise di Torino precisa che “anche seguendo il c.d. ‘principio di effettività’ e, quindi, superando in tale prospettiva il dato formale della non avvenuta adozione del ‘modello’ da parte dell’organo competente, in epoca precedente rispetto al verificarsi del reato”, non risulta provato che tale modello “sostanziale” fosse stato divulgato ed attuato prima degli infortuni occorsi[8].
A diverse conclusioni è invece giunto il Gup presso il Tribunale di Milano[9] in relazione ad un caso di aggiotaggio informativo. La decisione, di recente confermata dalla Corte d’Appello di Milano[10], rappresenta peraltro la prima pronuncia in cui è stata riconosciuta l’efficacia esimente di un modello organizzativo in relazione a fatti di reato-presupposto commessi dai vertici della società.
Nel caso di specie, il giudice osserva anzitutto come la società aveva tempestivamente adottato il modello organizzativo nei termini stabiliti e secondo le linee guida indicate da Confindustria. Il modello, inoltre, era stato adottato prima della commissione degli illeciti contestati agli imputati, tranne che per una ipotesi criminosa, posta in essere circa un mese
prima dell’adozione del modello. Tuttavia, afferma la pronuncia, a quella data era già stata avviata la procedura di adozione del modello e in ogni caso la società aveva già autonomamente adottato un proprio codice di autodisciplina sulla base dei principi dettati da Borsa Italiana s.p.a. (con un preposto ai controlli interni coincidente poi con l’organismo di vigilanza del modello organizzativo successivamente adottato). Ciò dimostrerebbe “la volontà della società – giustificata dalla sua dimensione internazionale e dalla delicatezza dei servizi trattati – di adeguarsi alla nuova normativa con una tempestività quasi senza precedenti nel panorama delle aziende italiane del settore costruzioni”.
I giudici d’appello, inoltre, precisano che “poco importa l’etichetta che viene data al modello che può essere anche quella di codice di autodisciplina, ‘documento di Corporate Governance’: ciò che importa è che il modello presenti il contenuto minimo essenziale previsto dall’art. 6 cioè un organo di controllo e protocolli di decisione, un sistema disciplinare, procedure che regolino flussi informativi verso l’Organismo di Vigilanza e prevedano veri e propri obblighi di informazione, precisa individuazione delle aree di rischio”[11].
In conclusione, la timida apertura (che parrebbe trasparire nella pronuncia in esame) verso la plausibilità della tesi difensiva tesa a dimostrare l’efficacia esimente del modello organizzativo sostanziale - sebbene non ancora formalizzato -, anche in materia di salute e sicurezza sul lavoro, potrebbe aprire nuove prospettive applicative in materia di responsabilità degli enti improntate non già ad un rigido formalismo, bensì al pieno riconoscimento del principio di effettività che dovrebbe permeare ogni aspetto del diritto penale.
[1] Cfr., fra le altre, Cass., 3 giugno 1999, in Ced rv. n. 214999; sottolinea come il datore di lavoro è esonerato da responsabilità quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive di organizzazione ricevute, Cass., 23 marzo 2007, n. 21587, in Cass. pen., 2008, 1007.
[2] Cfr. Tribunale di Trani, sez. di Molfetta, 11 gennaio 2010, in Società, 2010, 1116, con nota di M. M. Scoletta, Responsabilità ex crimine dell’ente e delitti colposi d’evento: la prima sentenza di condanna; in Dir. pen. e proc., 2010, 842 s., con commento di G. Amarelli, Morti sul lavoro: arriva la prima condanna per le società; Trib. Pinerolo, 23 settembre 2010, in www.rivista231.it e in www.penalecontemporaneo.it; Trib. Novara, 1 ottobre 2010, in Corr. merito, 2010, 404 e in www.penalecontemporaneo.it con commento di M. Pelazza, Responsabilità amministrativa dell’ente per omicidio colposo del lavoratore commesso con violazione della normativa antinfortunistica; Trib. Cagliari, 4 luglio 2011 (dep. 13 luglio 2011), in www.penalecontemporaneo.it; Corte d’Assise di Torino, 15 aprile 2011 (dep. 14 novembre 2011), in www.penalecontemporaneo.it, con commento di S. Zirulia, Thyssenkrupp, fu omicidio volontario: le motivazioni della Corte d’Assise e di M.L. Minnella, D.lgs. n. 231 del 2001 e reati colposi nel caso ThyssenKrupp, ivi; un estratto della motivazione è reperibile anche in Guida al dir., 2011, 50 s., con commento di G. Marra, Il Ceo ha fatto prevalere la logica del profitto sulla necessità di installare i sistemi “salva vita”, ivi, 70 s.
[3] Trib. Cagliari, 4-13 luglio 2011, cit.
[4] Trib. Novara, 1 ottobre 2010, cit.
[5] S. Bartolomucci, La metamorfosi normativa del modello penal preventivo in obbligatorio e pre-validato: dalle prescrizioni regolamentari per gli emittenti S.T.A.R. al recente art. 30 T.U. sicurezza sul lavoro, in Resp. amm. soc. enti., 2003, 3, 163; per una efficace sintesi, R. Lottini, I modelli di organizzazione e gestione, in F. Giunta-D. Micheletti (a cura di), Il nuovo diritto penale della sicurezza nei luoghi di lavoro, Giuffré, Milano, 2010, 178.
[6] Cfr. R. Lottini, I modelli di organizzazione, cit., 173 s.
[7] Corte d’Assise di Torino, 15 aprile 2011 (dep. 14 novembre 2011), cit., p. 378.
[8] Corte d’Assise di Torino, 15 aprile 2011 (dep. 14 novembre 2011), cit., p. 378.
[9] Trib. Milano, 17 novembre 2009, in www.rivista231.it e in Società, 2010, p. 473 s., con commento di C.E. Paliero, Responsabilità dell’ente e cause di esclusione della colpevolezza: decisione lassista o interpretazione costituzionalmente orientata?, ivi, p. 476 s., e di V. Salafia, Per la prima volta il Gip Milano assolve una Spa da responsabilità amministrativa, ivi, p. 482. Si veda anche T.E. Epidendio, Il Modello Organizzativo 231 con efficacia esimente, in Resp. amm. soc. enti, 2010, 4, p. 149 s.
[10] Corte App. Milano, 21 marzo 2012 (dep. 18 giugno 2012), in www.rivista231.it
[11] Corte App. Milano, 21 marzo-18 giugno 2012, cit.