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L’omicidio stradale tra istanze repressive e principi costituzionali in materia penale

L’omicidio stradale tra istanze repressive e principi costituzionali in materia penale
L’omicidio stradale tra istanze repressive e principi costituzionali in materia penale

Relazione al convegno

Il nuovo reato di omicidio stradale.

Fra enfasi mediatica e problematiche giuridiche

6 marzo 2015

* Il presente contributo analizza i progetti di leggi presentati alla data in cui si è svolto il convegno e riguardanti la possibile introduzione di una fattispecie dolosa di "omicidio stradale"

 

Nell’attuale assetto normativo l’omicidio connesso alla violazione delle norme sulla circolazione stradale è normalmente riconducibile alla fattispecie comune dell’omicidio colposo, ancorché aggravato, salva l’eventuale e concorrente integrazione di altre fattispecie di illecito amministrativo o penale specificamente previste dal codice della strada.

Il regime sanzionatorio dei delitti di omicidio e di lesioni personali colpose peraltro ha subito, nel corso degli ultimi anni, un progressivo inasprimento.

Per effetto della legge 21 febbraio 2006, n. 102, in particolare, la pena per l’omicidio colposo è aggravata – e comporta la reclusione da due a sette anni - se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale.

Nel 2008, inoltre, è stato previsto un ulteriore aggravamento di pena per i casi in cui il fatto fosse commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’art. 186, comma 2, lettera c), del codice della strada o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. La pena è stata individuata, in questi casi, nella reclusione da tre a dieci anni (art. 589, co. 3, c.p.).

Analoghe innovazioni sono state introdotte nei confronti del delitto di lesioni personali colpose previsto dall’art. 590 c.p., ove anche in tal caso sono previste specifiche aggravanti nel caso in cui le lesioni siano cagionate in violazione delle norme sulla circolazione stradale da soggetto in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze psicotrope.

L’art. 590-bis c.p., inoltre, esclude che le aggravanti previste per i casi di omicidio colposo o di lesioni colpose commessi in stato di ebbrezza (o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti) possano essere vanificate per effetto di un giudizio di bilanciamento o di prevalenza fra circostanze aggravanti ed attenuanti. In pratica si delinea una sorta di vera e propria fattispecie autonoma di reato.

E’ però pur sempre vero che la pena minima dell’omicidio colposo aggravato  (tre anni) può essere abbassata fino ad un terzo (in pratica fino a due anni di reclusione) per effetto delle circostanze attenuanti generiche, con la conseguente possibilità, per il condannato, di beneficiare della sospensione condizionale della pena.

Proprio nel tentativo da ricercare risposte punitive più incisive, negli ultimi anni la giurisprudenza di merito e di legittimità ha talvolta ravvisato una responsabilità a titolo doloso in presenza di incidenti automobilistici caratterizzati da una macroscopica e consapevole violazione delle regole cautelari.

In questo quadro normativo sono state avanzate proposte di introdurre una nuova fattispecie di reato cui ricondurre l’omicidio stradale, così da renderlo autonomo dall’omicidio colposo.

L’obiettivo - si dice - è quello di intervenire non solo sull’entità della pena, ma anche sull’inquadramento dell’approccio psicologico di chi, consapevole della pericolosità della propria condotta, accetterebbe il rischio delle conseguenze lesive della stessa.

L’omicidio stradale richiederebbe, come elemento costitutivo, la guida in stato di ebbrezza alcolica o sotto l’influenza di sostanze stupefacenti. In questa ipotesi sarebbe configurabile una particolare condizione soggettiva del conducente, che giustificherebbe, nel caso di morte di una o più persone, un trattamento penale diverso da quello previsto per l’omicidio colposo: ponendosi al volante in stato di ebbrezza alcolica o sotto l’influenza di sostanze stupefacenti, infatti, il conducente sarebbe consapevole del pericolo di provocare un incidente e ne accetterebbe il rischio.

Il porsi alla guida di un veicolo nelle situazioni descritte, dunque, individuerebbe l’elemento soggettivo nella sua accezione di dolo cosiddetto eventuale.

La tesi muove probabilmente da un risalente orientamento dottrinale sviluppatosi in relazione all’articolo 92 del codice penale, che disciplina l’ubriachezza. Secondo questa impostazione la natura dolosa o colposa della responsabilità dipenderebbe dal carattere volontario o colposo dell’ubriachezza, e quindi il dolo e la colpa, andrebbero accertati al momento dell’assunzione dell’alcol e non al momento del fatto.

Sennonché in questo modo si confonde lo stato psicologico che ha provocato lo stato di ubriachezza con quello che accompagna la successiva realizzazione dell’evento lesivo, con la conseguenza di punire come dolosi comportamenti magari involontari. Ad esempio, risponderebbe di omicidio (doloso) stradale chi, essendosi ubriacato volontariamente, investa involontariamente un pedone.

In sostanza si finirebbe per sostenere l’esistenza del dolo per il solo fatto della condotta rimproverabile (essersi posti alla guida in stato d’ebbrezza) con conseguente inversione dell’onere della prova.

Per ottenere una commisurazione della pena ad effetto carcere si forza l’imputazione soggettiva del reato commesso in stato di ubriachezza (cfr. Donini, Il dolo eventuale. Fatto illecito e colpevolezza, in Diritto penale contemporaneo, 24.2.2014): si scardinano sia il principio di colpevolezza - che presuppone la sussistenza dell’elemento psicologico del soggetto agente al momento del fatto - sia il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), perché si parificano situazioni fra loro diverse (rimprovero a titolo di dolo di comportamenti meramente colposi).

Occorre allora prendere atto del fatto che non basta accertare che l’incidente stradale è stato cagionato da una persona che si trovava in stato di ebbrezza alcolica o sotto l’influenza di sostanze stupefacenti, ma è necessario ricostruire l’effettivo atteggiamento interiore del conducente. Sia  che si voglia ricostruire il dolo eventuale al momento in cui il soggetto si è ubriacato (il soggetto ha assunto sostanze alcoliche nonostante la previsione della realizzazione di un evento lesivo ed accettandone il rischio), sia che – in modo più conforme ai principi costituzionali – si ricostruisca il dolo al momento della realizzazione del fatto, non si può comunque prescindere da un concreto accertamento dell’elemento psicologico.

Insomma, il dolo eventuale andrebbe pur sempre verificato in concreto alla luce dei criteri indicati finora dalla giurisprudenza. E sotto questo aspetto occorre tener presente che la sentenza 38343/2014, con la quale le Sezioni Unite si sono pronunciate nel caso ThyssenKrupp, sia destinata a segnare profondamente, negli anni a venire, l’analisi del dolo eventuale.

L’intero impianto della sentenza si presenta come un “micro trattato” sul dolo eventuale; del resto, vi era grande attesa da parte degli operatori sulla soluzione adottata dalle Sezioni Unite riguardo alla controversa applicazione del dolo eventuale proprio  nella circolazione stradale, che da tempo impegna il dibattito giuridico e politico criminale.

In breve, secondo le Sezioni Unite per aversi dolo eventuale non basta la previsione del possibile verificarsi dell’evento, bensì è necessario anche – e soprattutto – che l’evento sia considerato come prezzo (eventuale) da pagare per il raggiungimento di un determinato risultato.

In particolare, sottolinea la Cassazione, “Le più volte ripetute sottolineature delle differenze tra dolo eventuale e colpa cosciente consentono di rimarcare ulteriormente la fallacia dell’opinione che identifica il dolo eventuale con l’accettazione del rischio. L’espressione è tra le più abusate, ambigue, non chiare, dell’armamentario concettuale e lessicale nella materia in esame. La si vede utilizzata in giurisprudenza in forma retorica, quale espressione di maniera, per coprire le soluzioni più diverse. (…) Trovarsi in una situazione di rischio, avere consapevolezza di tale contingenza e pur tuttavia regolarsi in modo malaccorto, trascurato, irrazionale, senza cautelare il pericolo, è tipico della colpa. (…)”.

Ciò che si richiede al giudice è verificare “Se l’agente si sia lucidamente raffigurata la realistica prospettiva della possibile verificazione dell’evento concreto costituente effetto collaterale della sua condotta, si sia per così dire confrontato con esso e infine, dopo avere tutto soppesato, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia consapevolmente determinato ad agire comunque, ad accettare l’eventualità della causazione dell’offesa”.

Sempre nella stessa pronuncia viene fissato un altro principio di grande rilievo, che deriva direttamente dalla regola processuale che impone l’accertamento della responsabilità dell’agente “oltre ogni ragionevole dubbio”: in caso di incertezza sull’elemento soggettivo, il giudice deve condannare per il fatto colposo, non per quello doloso.

Se, dunque, anche la nuova fattispecie di omicidio stradale deve richiedere il concreto accertamento del dolo al momento del fatto, seguendo i rigidi criteri di accertamento posti dalle sezioni unite occorre chiedersi se effettivamente una siffatta norma possa risultare davvero utile e concretamente applicabile.

In effetti i casi in cui è stato finora riconosciuto il dolo eventuale in relazione agli incidenti stradali sono scarsi e del tutto peculiari. Le sezioni unite, nella citata sentenza, ne riportano due.

Il primo riguardava il conducente di un Suv che aveva percorso l’autostrada contromano per diversi chilometri e a fortissima velocità andando ad impattare frontalmente contro altro veicolo che procedeva nel giusto senso di marcia, provocando la morte di quattro persone (Cass., sez. I, 30.5.2011, n. 23588)

Nel secondo caso l’imputato, alla guida di un furgone rubato, per sottrarsi al controllo da parte della polizia che lo inseguiva, si dava alla fuga a forte velocità in pieno centro urbano oltrepassando una serie di semafori rossi e cagionando eventi lesivi e mortali (Cass., sez. I, 1.2.2011, n. 10411).

A mio avviso la nuova norma darebbe luogo al paradossale effetto di svolgere una funzione attenuante della pena. Essendo il dolo eventuale null’altro che una forma di dolo, esso è già ricompreso nella fattispecie di omicidio doloso di cui all’articolo 575 del codice penale, il quale prevede la pena della reclusione non inferiore ad anni ventuno. Tuttavia, alla luce della nuova ipotesi, il soggetto alla guida sotto l’effetto di alcol o sostanze stupefacenti verrebbe punito in modo più mite.

Ed ancora: a ben vedere - almeno nei progetti di legge che ho analizzato - non vi è alcun elemento dal quale si possa desumere che la fattispecie di “omicidio stradale” è destinata a punire esclusivamente i fatti commessi con dolo eventuale. Non mi pare, infatti, che si faccia alcun riferimento al fatto di aver agito “accettando la realizzazione del fatto” o nonostante la “concreta rappresentazione della probabile realizzazione del fatto” (indici, appunto, di dolo eventuale); semplicemente, invece, si parla di “cagionare” la morte o le lesioni come conseguenza della guida in stato di ebbrezza.

Si tratterebbe allora una fattispecie dolosa tout court?

Sembrerebbe proprio di si. Ma allora: che rapporto si verrebbe a creare tra il nuovo  reato e il “normale” omicidio doloso? La nuova norma potrebbe essere addirittura vista come “speciale” rispetto all’articolo 575 del codice penale? L’effetto sarebbe di nuovo paradossale: anche un omicidio con dolo diretto ma commesso alla guida di un’auto e sotto l’effetto di alcol o sostanze stupefacenti (che fungerebbero da elementi “specializzanti” rispetto all’omicidio di cui all’articolo 575 del codice penale, nel quale la condotta è a forma libera) sarebbe punito in modo più blando rispetto alla fattispecie “generale” di omicidio doloso.

Sono possibili altre opzioni interpretative?

Per evitare gli effetti paradossali accennati si potrebbe leggere l’omicidio stradale quale specifica ipotesi di delitto preterintenzionale, ove cioè a seguito di una condotta dolosa di base (guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti) si verifica un evento lesivo necessariamente non voluto (se l’evento è voluto si configura l’omicidio doloso).

Anche in tal caso, però, si aprono alcuni scenari problematici. A che titolo viene attribuito all’agente l’evento (necessariamente) non voluto? A titolo di c.d. responsabilità oggettiva o di colpa?

Si tratta di un tema ben noto alla dottrina penalistica e comune a tutte le ipotesi di delitti preterintenzionali ed ai cosiddetti delitti aggravati dall’evento.

Segnalo solamente come la responsabilità oggettiva non dovrebbe trovare patria nel nostro ordinamento penale, perché si pone in contrasto con il principio di colpevolezza alla luce del quale occorre pur sempre muovere un rimprovero sotto il profilo psicologico al soggetto agente per il fatto commesso.

In questo senso si sono pronunciate anche le sezioni unite della Cassazione  in relazione alla fattispecie di morte o lesioni come conseguenza di un altro delitto (art. 586 c.p.). Con la sentenza del 22 giugno 2009 n. 22676, infatti, si è imposta un’interpretazione costituzionalmente orientata della fattispecie: in sostanza, precisa la Cassazione, occorre che l’evento non voluto sia rimproverabile all’agente a titolo di colpa generica, richiedendosi la prova della sua prevedibilità in concreto da parte del reo.

Secondo questa lettura conforme a costituzione, allora, anche il “nostro” delitto preterintenzionale di omicidio stradale richiederebbe la prova del dolo in relazione al fatto base (guida in stato d’ebbrezza) e la colpa per l’evento non voluto. Ma così si torna al punto di partenza, e cioè proprio all’approccio che fa leva sulla rimproverabiltà colposa che si vorrebbe abbandonare.

In conclusione, mi pare che alla luce delle problematiche appena esposte non si possa prescindere dall’inquadramento dell’omicidio stradale al di fuori  del terreno “sicuro” della colpa. Certo, nei casi più gravi ed eclatanti (rapinatore che fugge dalla polizia guidando contromano a forte velocità) si potrà pur sempre invocare il dolo eventuale, e quindi una responsabilità a titolo di omicidio doloso ex art. 575 c.p.. Ma si tratta pur sempre - anche alla luce della sentenza Thyssen - di casi piuttosto rari e peculiari.

L’attuale quadro sanzionatorio non mi pare, peraltro, inadeguato se solo si pensa alla pena massima irrogabile. Piuttosto, la concreta applicabilità di una pena severa non può prescindere dall’attenta analisi delle circostanze fattuali e dalla lettura che ne darà il giudice in sede di commisurazione della pena.

Di certo la nuova fattispecie potrebbe avere un effetto concreto nelle fasi delle indagini: trattandosi di ipotesi dolosa punita severamente sarebbe più agevole disporre una misura custodiale in carcere per l’indagato. In questo modo si renderebbe possibile un “assaggio” di carcere, placando così le istanze punitive dell’opinione pubblica.

Si tratterebbe, però, di una evidente esempio di diritto penale incerto (nella concreta applicazione della pena definitiva) ma efficace (nel placare, nell’immediato, istanze punitive). E non credo sia questo il modello di diritto penale cui dovrebbe tendere il legislatore.

Più concretamente, si potrà incidere (innalzandolo) sul minimo edittale della pena delle attuali fattispecie colpose, in modo tale da ridurre le possibilità di mitigare la sanzione beneficiando così della sospensione condizionale. Potrebbe anche essere prevista una nuova circostanza aggravante, per i casi in cui è più evidente la gravità del pericolo al quale il conducente si è esposto, ferma restando – ovviamente – la configurabilità dell’omicidio doloso nei casi estremi (cfr. Lattanzi, L’omicidio stradale. Relazione al Convegno sul tema “ipotesi su una nuova figura di reato: L’omicidio stradale: - Napoli, 7 marzo 2014 in Cass. pen., 2014, 1978). Ma mi rendo conto che un siffatto, modesto, intervento normativo risulterebbe di minore impatto sotto il profilo del puro marketing penale.

Relazione al convegno

Il nuovo reato di omicidio stradale.

Fra enfasi mediatica e problematiche giuridiche

6 marzo 2015

* Il presente contributo analizza i progetti di leggi presentati alla data in cui si è svolto il convegno e riguardanti la possibile introduzione di una fattispecie dolosa di "omicidio stradale"

 

Nell’attuale assetto normativo l’omicidio connesso alla violazione delle norme sulla circolazione stradale è normalmente riconducibile alla fattispecie comune dell’omicidio colposo, ancorché aggravato, salva l’eventuale e concorrente integrazione di altre fattispecie di illecito amministrativo o penale specificamente previste dal codice della strada.

Il regime sanzionatorio dei delitti di omicidio e di lesioni personali colpose peraltro ha subito, nel corso degli ultimi anni, un progressivo inasprimento.

Per effetto della legge 21 febbraio 2006, n. 102, in particolare, la pena per l’omicidio colposo è aggravata – e comporta la reclusione da due a sette anni - se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale.

Nel 2008, inoltre, è stato previsto un ulteriore aggravamento di pena per i casi in cui il fatto fosse commesso da soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’art. 186, comma 2, lettera c), del codice della strada o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. La pena è stata individuata, in questi casi, nella reclusione da tre a dieci anni (art. 589, co. 3, c.p.).

Analoghe innovazioni sono state introdotte nei confronti del delitto di lesioni personali colpose previsto dall’art. 590 c.p., ove anche in tal caso sono previste specifiche aggravanti nel caso in cui le lesioni siano cagionate in violazione delle norme sulla circolazione stradale da soggetto in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze psicotrope.

L’art. 590-bis c.p., inoltre, esclude che le aggravanti previste per i casi di omicidio colposo o di lesioni colpose commessi in stato di ebbrezza (o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti) possano essere vanificate per effetto di un giudizio di bilanciamento o di prevalenza fra circostanze aggravanti ed attenuanti. In pratica si delinea una sorta di vera e propria fattispecie autonoma di reato.

E’ però pur sempre vero che la pena minima dell’omicidio colposo aggravato  (tre anni) può essere abbassata fino ad un terzo (in pratica fino a due anni di reclusione) per effetto delle circostanze attenuanti generiche, con la conseguente possibilità, per il condannato, di beneficiare della sospensione condizionale della pena.

Proprio nel tentativo da ricercare risposte punitive più incisive, negli ultimi anni la giurisprudenza di merito e di legittimità ha talvolta ravvisato una responsabilità a titolo doloso in presenza di incidenti automobilistici caratterizzati da una macroscopica e consapevole violazione delle regole cautelari.

In questo quadro normativo sono state avanzate proposte di introdurre una nuova fattispecie di reato cui ricondurre l’omicidio stradale, così da renderlo autonomo dall’omicidio colposo.

L’obiettivo - si dice - è quello di intervenire non solo sull’entità della pena, ma anche sull’inquadramento dell’approccio psicologico di chi, consapevole della pericolosità della propria condotta, accetterebbe il rischio delle conseguenze lesive della stessa.

L’omicidio stradale richiederebbe, come elemento costitutivo, la guida in stato di ebbrezza alcolica o sotto l’influenza di sostanze stupefacenti. In questa ipotesi sarebbe configurabile una particolare condizione soggettiva del conducente, che giustificherebbe, nel caso di morte di una o più persone, un trattamento penale diverso da quello previsto per l’omicidio colposo: ponendosi al volante in stato di ebbrezza alcolica o sotto l’influenza di sostanze stupefacenti, infatti, il conducente sarebbe consapevole del pericolo di provocare un incidente e ne accetterebbe il rischio.

Il porsi alla guida di un veicolo nelle situazioni descritte, dunque, individuerebbe l’elemento soggettivo nella sua accezione di dolo cosiddetto eventuale.

La tesi muove probabilmente da un risalente orientamento dottrinale sviluppatosi in relazione all’articolo 92 del codice penale, che disciplina l’ubriachezza. Secondo questa impostazione la natura dolosa o colposa della responsabilità dipenderebbe dal carattere volontario o colposo dell’ubriachezza, e quindi il dolo e la colpa, andrebbero accertati al momento dell’assunzione dell’alcol e non al momento del fatto.

Sennonché in questo modo si confonde lo stato psicologico che ha provocato lo stato di ubriachezza con quello che accompagna la successiva realizzazione dell’evento lesivo, con la conseguenza di punire come dolosi comportamenti magari involontari. Ad esempio, risponderebbe di omicidio (doloso) stradale chi, essendosi ubriacato volontariamente, investa involontariamente un pedone.

In sostanza si finirebbe per sostenere l’esistenza del dolo per il solo fatto della condotta rimproverabile (essersi posti alla guida in stato d’ebbrezza) con conseguente inversione dell’onere della prova.

Per ottenere una commisurazione della pena ad effetto carcere si forza l’imputazione soggettiva del reato commesso in stato di ubriachezza (cfr. Donini, Il dolo eventuale. Fatto illecito e colpevolezza, in Diritto penale contemporaneo, 24.2.2014): si scardinano sia il principio di colpevolezza - che presuppone la sussistenza dell’elemento psicologico del soggetto agente al momento del fatto - sia il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), perché si parificano situazioni fra loro diverse (rimprovero a titolo di dolo di comportamenti meramente colposi).

Occorre allora prendere atto del fatto che non basta accertare che l’incidente stradale è stato cagionato da una persona che si trovava in stato di ebbrezza alcolica o sotto l’influenza di sostanze stupefacenti, ma è necessario ricostruire l’effettivo atteggiamento interiore del conducente. Sia  che si voglia ricostruire il dolo eventuale al momento in cui il soggetto si è ubriacato (il soggetto ha assunto sostanze alcoliche nonostante la previsione della realizzazione di un evento lesivo ed accettandone il rischio), sia che – in modo più conforme ai principi costituzionali – si ricostruisca il dolo al momento della realizzazione del fatto, non si può comunque prescindere da un concreto accertamento dell’elemento psicologico.

Insomma, il dolo eventuale andrebbe pur sempre verificato in concreto alla luce dei criteri indicati finora dalla giurisprudenza. E sotto questo aspetto occorre tener presente che la sentenza 38343/2014, con la quale le Sezioni Unite si sono pronunciate nel caso ThyssenKrupp, sia destinata a segnare profondamente, negli anni a venire, l’analisi del dolo eventuale.

L’intero impianto della sentenza si presenta come un “micro trattato” sul dolo eventuale; del resto, vi era grande attesa da parte degli operatori sulla soluzione adottata dalle Sezioni Unite riguardo alla controversa applicazione del dolo eventuale proprio  nella circolazione stradale, che da tempo impegna il dibattito giuridico e politico criminale.

In breve, secondo le Sezioni Unite per aversi dolo eventuale non basta la previsione del possibile verificarsi dell’evento, bensì è necessario anche – e soprattutto – che l’evento sia considerato come prezzo (eventuale) da pagare per il raggiungimento di un determinato risultato.

In particolare, sottolinea la Cassazione, “Le più volte ripetute sottolineature delle differenze tra dolo eventuale e colpa cosciente consentono di rimarcare ulteriormente la fallacia dell’opinione che identifica il dolo eventuale con l’accettazione del rischio. L’espressione è tra le più abusate, ambigue, non chiare, dell’armamentario concettuale e lessicale nella materia in esame. La si vede utilizzata in giurisprudenza in forma retorica, quale espressione di maniera, per coprire le soluzioni più diverse. (…) Trovarsi in una situazione di rischio, avere consapevolezza di tale contingenza e pur tuttavia regolarsi in modo malaccorto, trascurato, irrazionale, senza cautelare il pericolo, è tipico della colpa. (…)”.

Ciò che si richiede al giudice è verificare “Se l’agente si sia lucidamente raffigurata la realistica prospettiva della possibile verificazione dell’evento concreto costituente effetto collaterale della sua condotta, si sia per così dire confrontato con esso e infine, dopo avere tutto soppesato, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia consapevolmente determinato ad agire comunque, ad accettare l’eventualità della causazione dell’offesa”.

Sempre nella stessa pronuncia viene fissato un altro principio di grande rilievo, che deriva direttamente dalla regola processuale che impone l’accertamento della responsabilità dell’agente “oltre ogni ragionevole dubbio”: in caso di incertezza sull’elemento soggettivo, il giudice deve condannare per il fatto colposo, non per quello doloso.

Se, dunque, anche la nuova fattispecie di omicidio stradale deve richiedere il concreto accertamento del dolo al momento del fatto, seguendo i rigidi criteri di accertamento posti dalle sezioni unite occorre chiedersi se effettivamente una siffatta norma possa risultare davvero utile e concretamente applicabile.

In effetti i casi in cui è stato finora riconosciuto il dolo eventuale in relazione agli incidenti stradali sono scarsi e del tutto peculiari. Le sezioni unite, nella citata sentenza, ne riportano due.

Il primo riguardava il conducente di un Suv che aveva percorso l’autostrada contromano per diversi chilometri e a fortissima velocità andando ad impattare frontalmente contro altro veicolo che procedeva nel giusto senso di marcia, provocando la morte di quattro persone (Cass., sez. I, 30.5.2011, n. 23588)

Nel secondo caso l’imputato, alla guida di un furgone rubato, per sottrarsi al controllo da parte della polizia che lo inseguiva, si dava alla fuga a forte velocità in pieno centro urbano oltrepassando una serie di semafori rossi e cagionando eventi lesivi e mortali (Cass., sez. I, 1.2.2011, n. 10411).

A mio avviso la nuova norma darebbe luogo al paradossale effetto di svolgere una funzione attenuante della pena. Essendo il dolo eventuale null’altro che una forma di dolo, esso è già ricompreso nella fattispecie di omicidio doloso di cui all’articolo 575 del codice penale, il quale prevede la pena della reclusione non inferiore ad anni ventuno. Tuttavia, alla luce della nuova ipotesi, il soggetto alla guida sotto l’effetto di alcol o sostanze stupefacenti verrebbe punito in modo più mite.

Ed ancora: a ben vedere - almeno nei progetti di legge che ho analizzato - non vi è alcun elemento dal quale si possa desumere che la fattispecie di “omicidio stradale” è destinata a punire esclusivamente i fatti commessi con dolo eventuale. Non mi pare, infatti, che si faccia alcun riferimento al fatto di aver agito “accettando la realizzazione del fatto” o nonostante la “concreta rappresentazione della probabile realizzazione del fatto” (indici, appunto, di dolo eventuale); semplicemente, invece, si parla di “cagionare” la morte o le lesioni come conseguenza della guida in stato di ebbrezza.

Si tratterebbe allora una fattispecie dolosa tout court?

Sembrerebbe proprio di si. Ma allora: che rapporto si verrebbe a creare tra il nuovo  reato e il “normale” omicidio doloso? La nuova norma potrebbe essere addirittura vista come “speciale” rispetto all’articolo 575 del codice penale? L’effetto sarebbe di nuovo paradossale: anche un omicidio con dolo diretto ma commesso alla guida di un’auto e sotto l’effetto di alcol o sostanze stupefacenti (che fungerebbero da elementi “specializzanti” rispetto all’omicidio di cui all’articolo 575 del codice penale, nel quale la condotta è a forma libera) sarebbe punito in modo più blando rispetto alla fattispecie “generale” di omicidio doloso.

Sono possibili altre opzioni interpretative?

Per evitare gli effetti paradossali accennati si potrebbe leggere l’omicidio stradale quale specifica ipotesi di delitto preterintenzionale, ove cioè a seguito di una condotta dolosa di base (guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti) si verifica un evento lesivo necessariamente non voluto (se l’evento è voluto si configura l’omicidio doloso).

Anche in tal caso, però, si aprono alcuni scenari problematici. A che titolo viene attribuito all’agente l’evento (necessariamente) non voluto? A titolo di c.d. responsabilità oggettiva o di colpa?

Si tratta di un tema ben noto alla dottrina penalistica e comune a tutte le ipotesi di delitti preterintenzionali ed ai cosiddetti delitti aggravati dall’evento.

Segnalo solamente come la responsabilità oggettiva non dovrebbe trovare patria nel nostro ordinamento penale, perché si pone in contrasto con il principio di colpevolezza alla luce del quale occorre pur sempre muovere un rimprovero sotto il profilo psicologico al soggetto agente per il fatto commesso.

In questo senso si sono pronunciate anche le sezioni unite della Cassazione  in relazione alla fattispecie di morte o lesioni come conseguenza di un altro delitto (art. 586 c.p.). Con la sentenza del 22 giugno 2009 n. 22676, infatti, si è imposta un’interpretazione costituzionalmente orientata della fattispecie: in sostanza, precisa la Cassazione, occorre che l’evento non voluto sia rimproverabile all’agente a titolo di colpa generica, richiedendosi la prova della sua prevedibilità in concreto da parte del reo.

Secondo questa lettura conforme a costituzione, allora, anche il “nostro” delitto preterintenzionale di omicidio stradale richiederebbe la prova del dolo in relazione al fatto base (guida in stato d’ebbrezza) e la colpa per l’evento non voluto. Ma così si torna al punto di partenza, e cioè proprio all’approccio che fa leva sulla rimproverabiltà colposa che si vorrebbe abbandonare.

In conclusione, mi pare che alla luce delle problematiche appena esposte non si possa prescindere dall’inquadramento dell’omicidio stradale al di fuori  del terreno “sicuro” della colpa. Certo, nei casi più gravi ed eclatanti (rapinatore che fugge dalla polizia guidando contromano a forte velocità) si potrà pur sempre invocare il dolo eventuale, e quindi una responsabilità a titolo di omicidio doloso ex art. 575 c.p.. Ma si tratta pur sempre - anche alla luce della sentenza Thyssen - di casi piuttosto rari e peculiari.

L’attuale quadro sanzionatorio non mi pare, peraltro, inadeguato se solo si pensa alla pena massima irrogabile. Piuttosto, la concreta applicabilità di una pena severa non può prescindere dall’attenta analisi delle circostanze fattuali e dalla lettura che ne darà il giudice in sede di commisurazione della pena.

Di certo la nuova fattispecie potrebbe avere un effetto concreto nelle fasi delle indagini: trattandosi di ipotesi dolosa punita severamente sarebbe più agevole disporre una misura custodiale in carcere per l’indagato. In questo modo si renderebbe possibile un “assaggio” di carcere, placando così le istanze punitive dell’opinione pubblica.

Si tratterebbe, però, di una evidente esempio di diritto penale incerto (nella concreta applicazione della pena definitiva) ma efficace (nel placare, nell’immediato, istanze punitive). E non credo sia questo il modello di diritto penale cui dovrebbe tendere il legislatore.

Più concretamente, si potrà incidere (innalzandolo) sul minimo edittale della pena delle attuali fattispecie colpose, in modo tale da ridurre le possibilità di mitigare la sanzione beneficiando così della sospensione condizionale. Potrebbe anche essere prevista una nuova circostanza aggravante, per i casi in cui è più evidente la gravità del pericolo al quale il conducente si è esposto, ferma restando – ovviamente – la configurabilità dell’omicidio doloso nei casi estremi (cfr. Lattanzi, L’omicidio stradale. Relazione al Convegno sul tema “ipotesi su una nuova figura di reato: L’omicidio stradale: - Napoli, 7 marzo 2014 in Cass. pen., 2014, 1978). Ma mi rendo conto che un siffatto, modesto, intervento normativo risulterebbe di minore impatto sotto il profilo del puro marketing penale.