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Rinvio entrata in vigore del Codice dell’Impresa e dell’Insolvenza. Utile o dannoso in tempi di Coronavirus?

crisi d'impresa
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Prendo spunto dall’articolo 5 del Decreto-Legge 8 aprile 2020, n. 23 “Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali” pubblicato nella Gazzetta Ufficiale serie generale n. 94 dell’8/4/2020, per alcune riflessioni.

Con tale articolo è stato sancito il differimento dal 15 agosto del corrente anno al primo settembre 2021 della entrata in vigore del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019 n. 14.

Una delle motivazioni che hanno fatto propendere per tale rinvio – indicate nella relazione di accompagnamento al decreto in oggetto – è relativa proprio alla “filosofia di fondo del Codice e cioè quella di operare nell’ottica di un quanto più ampio possibile salvataggio delle imprese e della loro continuità, adottando lo strumento liquidatorio (quello che ancora oggi è definito fallimento) come extrema ratio, cui ricorrere in assenza di concrete alternative” che ha i suoi corollari nella necessità di “ovviare allo strumento dell’allerta che costituisce la novità più rilevante del Codice volta a provocare l’emersione anticipata della crisi delle imprese” e pertanto “risulta più opportuno che l’attuale momento di incertezza economica venga affrontato con uno strumento comunque largamente sperimentato come la Legge Fallimentare, in modo da rassicurare tutti gli operatori circa la possibilità di ricorrere a strumenti e categorie su cui è maturata una consuetudine”.

Anche se tali motivazioni non fanno, da un punto di vista logico, una piega, rappresentano in maniera evidente l’incapacità della classe politica nella sua interezza, passata e credo purtroppo futura, di intercettare, per tempo, le esigenze della collettività e di porvi rimedio con una legislazione moderna, al passo con i tempi e anticipatrice dei problemi.

Da moltissimo tempo, infatti, era sentita la necessità di una riforma complessiva della disciplina dell’insolvenza e della crisi di impresa destinata ad avere un impatto rilevantissimo sull’intero sistema imprenditoriale ed anche sull’operato degli uffici giudiziari che oggi stanno mostrando tutta la propria arretratezza organizzativa e tecnologica. Ora che tale normativa sarebbe servita non solo non è già in vigore ma, anzi, viene rinviata.

Spiace altresì constatare che proprio molte delle imprese che oggi chiedono un giusto aiuto economico sono state però, anche, protagoniste, unitamente alle proprie associazioni di categoria, di richieste continue di rinvii dell’entrata in vigore del nuovo codice o di parti di esso, sin dalla sua prima approvazione. Le motivazioni sono state molteplici soprattutto nei confronti del nuovo istituto dell’Allerta, alcune condivisibili, altre meno.

Ma tutto questo ritardo rischia di trasformarsi, ora, in un "boomerang" nel suo significato metaforico, ovvero di azione che si ritorce contro chi l’ha iniziata.

Il nuovo codice infatti avrebbe dato proprio alle imprese minori (PMI), che potrebbero essere, in futuro, quelle più duramente colpite da questa crisi, lo strumento adeguato per uscirne.

Si pensi, infatti, alla nuova procedura di concordato minore cui potranno accedere ma, ormai, solo dal settembre 2021 (quando purtroppo “i buoi saranno già usciti dalla stalla”) i professionisti (artisti e altri lavoratori autonomi), gli imprenditori minori, l’imprenditore agricolo, le start up innovative e ogni altro debitore non assoggettabile alla procedura ordinaria della liquidazione giudiziale.

Questa procedura sarà riservata, tra gli altri, proprio all’impresa minore, nuova figura di impresa delineata dal CCI, che presenterà congiuntamente i seguenti requisiti: 1) un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito del ricorso o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 2) ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito del ricorso o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore; 3) un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.

Per dette imprese vi sarebbe stata la possibilità, dunque, di utilizzare attraverso il nuovo CCI uno strumento di concordato semplificato che prevede anche la prosecuzione dell’attività imprenditoriale o professionale (forma peraltro prediletta dal codice) svolta in via diretta e indiretta.

Ed ancora, le avrebbe permesso di sfruttare la previsione dell’ultimo comma dell’articolo 75, novità assoluta, secondo cui “quando è prevista la continuazione dell’attività aziendale, è possibile prevedere il rimborso, alla scadenza convenuta, delle rate a scadere del contratto di mutuo con garanzia reale gravante su beni strumentali all’esercizio dell’impresa se il debitore, alla data della presentazione della domanda di concordato, ha adempiuto le proprie obbligazioni o se il giudice lo autorizza al pagamento del debito per capitale ed interessi scaduto a tale data”.

Non si può, infine, non richiamare l’altra grande novità contenuta nel nuovo CCI relativa alla possibile omologazione del concordato minore anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria quando la stessa, come spesso accade:

- è decisiva al fine del raggiungimento delle percentuali stabilite per l’omologa;

- il soddisfacimento dei creditori è, anche sulla base delle risultanze della specifica relazione dell’OCC, conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria. In tal modo si è teso garantire l’omologa anche quando l’amministrazione finanziaria non si accorge della convenienza del concordato o con la sua inerzia non intende assumersi le proprie responsabilità.

Che dire poi del rafforzamento dell’istituto dell’esdebitazione effettuato con il nuovo CCI – che comporta la liberazione di dritto a seguito della chiusura della procedura di liquidazione controllata o anteriormente decorsi tre anni dalla sua apertura, dei debiti residui non soddisfatti – che sarà precluso a tutti coloro i quali, come conseguenza della pandemia, rivestiranno i panni del debitore. A costoro dovrebbe essere permesso, ora più che mai, di liberarsi di detti debiti al fine di ripartire da zero e di riacquistare un ruolo attivo nell’economia senza restare schiacciati dal carico dell’indebitamento preesistente. Esdebitazione ammessa nel CCI, come novità assoluta in ambito europeo, non solo per i debitori persone fisiche (come già previsto nella legge del ‘42) ma anche per le società, sia di persone che di capitali.

Ai “debitori del coronairusnon si potrà neanche riconoscere lo status di sovraindebitato incapiente, nuova figura prevista dall’articolo 283 CCI in ottemperanza al principio della legge delega di cui all’articolo 9 lett. b) che ha stabilito di “consentire al debitore persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno futura, di accedere all’esdebitazione solo per una volta, fatto salvo l’obbligo di pagamento del debito entro quattro anni, laddove, sopravvengano utilità”.

E dire che proprio secondo la relazione accompagnatoria al codice la “ratio della norma - che prende atto della esistenza, anche a livello europeo, di una larga fascia di soggetti qualificabili come sovraindebitati - consiste nell’offrire una seconda chance a coloro che non avrebbero alcuna prospettiva di superare lo stato di sovraindebitamento, per fronteggiare un problema sociale e reimmettere nel mercato soggetti potenzialmente produttivi.

In conclusione e riprendendo un concetto espresso in premessa se le motivazioni che hanno portato ad un rinvio dell’entrata in vigore del nuovo CCI non fanno, da un punto di vista logico, una piega, dall’altra sono però il segno evidente di un potere legislativo sempre in ritardo che con grande affanno cerca di portare avanti riforme richieste da anni a gran voce e che quando finalmente le realizza, per un motivo o per l’altro, non riesce mai a darne completa attuazione pratica.

Affronteremo dunque gli effetti di questa crisi con strumenti che se “largamente sperimentati come la Legge Fallimentare, in modo da rassicurare tutti gli operatori circa la possibilità di ricorrere a strumenti e categorie su cui è maturata una consuetudine, non saranno purtroppo adeguati per fornire le risposte che un paese moderno deve saper dare a tutti i suoi cittadini non solo in momenti di “guerra” come è definita questa terribile pandemia ma anche e soprattutto di pace.

Gli strumenti in mano agli operatori del diritto saranno anche “consueti” però è indubbio che siano ormai obsoleti e speriamo solo che non siano come gli otto milioni di baionette di cui un uomo si vantava di avere per i suoi soldati, perché sappiamo tutti come è andata a finire.