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Risarcibile l’imprenditore leso nella propria immagine da provvedimento illegittimo dell’Amministrazione

Nota a Tribunale Amministrativo del Lazio Sezione di Roma – Sezione Seconda TER, Sentenze 30 agosto 2010, nn.31996 e 31994
IL CASO

In data 29.04.08 viene emessa solo nei confronti della Società XXXXX una informativa prefettizia interdittiva.

Il provvedimento impugnato dell’XXXX aveva, diversamente, disposto l’interdizione dall’ottenimento di contratti, autorizzazioni ed in generale di benefici, non solo a carico della destinataria dell’informativa (XXXX), ma, anche, dell’impresa individuale del ricorrente, benché soggetto distinto dalla XXXX e, cosa ancor più grave, in possesso di un proprio certificato antimafia in corso di validità e positivo.

Tanto ha comportato, ovviamente, immediate implicazioni lesive di carattere economico e no.

Difatti, nello stesso momento di assunzione del provvedimento da parte dell’XXXX nei confronti dell’impresa individuale del ricorrente l’anzidetto provvedimento veniva divulgato a tutti gli organi Regionali e Ministeriali di stretto riferimento.

Ergo, il ricorrente si è visto, da subito, non solo defraudato della propria capacità negoziale, ma, al contempo, inevitabilmente leso nelle proprie capacità di relazionarsi con soggetti pubblici presso i quali era previamente e notoriamente accreditato, nonché nella considerazione che di Esso aveva il contesto sociale e lavorativo di cui, da sempre, era autorevole componente.

Impugnato il provvedimento, esso veniva, immediatamente, sospeso dal Tribunale Amministrativo del Lazio e conclusivamente, in ottemperanza al provvedimento giudiziario cautelare, revocato in autotutela da parte dell’XXXX .

La difesa dei ricorrenti, curata dalla Scrivente, già, con il ricorso introduttivo, aveva dedotto la sussistenza di un danno economico, sotto il profilo del danno emergente e del lucro cessante, nonché di un danno non economico, in termini di danno esistenziale, con particolare riguardo al danno all’immagine imprenditoriale dello stesso ed infine di un danno morale in senso stretto.

Avendo richiesto il ristoro di tanto, le sentenze in esame nel prosieguo del giudizio si sono misurate con dette esigenze aderendo alla ricostruzione giuridica dell’interesse leso, per come offerta in atti.

*

Si è ritenuto di portare a conoscenza le articolate sentenze in commento e, quindi, i casi alle suddette sottesi curati, nei relativi giudizi, dalla Scrivente, perché Essi  considerando, anche, la connotazione temporale tra il momento dell’emissione dei provvedimenti impugnati (aprile 2008) e la nota Sentenza della Suprema Corte di Cassazione a S.U. N. 26972/08 (intervenuta successivamente al deposito del ricorso introduttivo dei giudizi risalente al mese di giugno del 2008) che, in funzione di monofilachia, ha dettato i criteri di liquidazione del risarcimento del danno non patrimoniale e la tipologia dell’interesse leso, possono valere come singolari precedenti nel solco di una Giurisprudenza che mostra di volersi muovere in questa direzione.

Prima di tutto vale la pena fare una puntualizzazione prettamente procedurale, per come registrata dal TAR che correttamente ha ritenuto che “ … l’interesse alla declatoria di illegittimità del provvedimento impugnato da parte del ricorrente permane esclusivamente ai fini della contestuale richiesta di risarcimento dei danni conseguenti”.

Difatti, la difesa dei ricorrenti aveva sostenuto che “la revoca, diversamente da un provvedimento di annullamento dell’atto gravato, nel non riconoscere la illegittimità di quanto previamente operato a danno del ricorrente, ha mantenuto, inalterati i giudizi espressi nel provvedimento previamente emesso, benchè lo stesso, già, cautelarmente ritenuto illegittimo.”

E, allo stesso modo si era puntualizzato come “proprio perché esecutivo dell’ordinanza cautelare, il provvedimento di revoca non è, certamente, idoneo a far cessare l’interesse al giudizio sotto il profilo risarcitorio e dunque assolutamente ininfluente ai fini della procedibilità della domanda ristoratrice per i danni tutti maturati nell’efficacia intertemporale maturata e, comunque, dispiegatesi nel tempo per effetto del comportamento dell’agente“ .

*

Ciò detto torniamo alla questione della risarcibilità dell’immagine imprenditoriale illegittimamente violata dall’agere amministrativo.

In particolare, quanto al danno non patrimoniale, la difesa dei ricorrenti si è incentrata sull’immagine imprenditoriale dello stesso nonché sul suo onore e decoro e sulla sua reputazione personale, diritti inviolabili della persona che troverebbero la propria matrice costituzionale negli artt. 2 e 3 della Costituzione, e sul conseguente perturbamento psicologico per le ripercussioni negative sul proprio stile di vita, tra le quali, in particolare, l’abbandono della carica di consigliere del C.d.A. della cooperativa XXXX nonché il trasferimento del proprio domicilio e della propria residenza nel comune di Giulianova (in provincia di Teramo) dal comune di XXXX.

Difatti la risarcibilità di tanto, sotto il profilo della rilevanza costituzionale dell’interesse leso, la si è fatta derivare dal precetto di cui agli artt. 2 e 3 Cost. ed art. 10 c.c. , sotto il profilo della inviolabilità della persona.

Allo stesso modo, essendo i ricorrenti noti imprenditori, prìvati della propria capacità negoziale a seguito del gravato provvedimento illegittimo, non potevano non essere ritenuti lesi sul piano dei diritti della persona costituzionalmente garantiti, anche, con ulteriore riguardo, agli articoli 4, 36 e 41 della Costituzione.

Tale danno, di tipo esistenziale componente della fattispecie onnicomprensiva del genus danno non patrimoniale, lo si è, dunque, identificato nella compromissione dell’autostima, del benessere e della sfera relazionale del danneggiato, in termini suscettibili di apprezzamento presuntivo e di liquidazione in via equitativa.

Nella fattispecie che ci occupava, poi, trattandosi di ditta individuale, in specie quella Agricola, il danno patito dall’imprenditore alla propria immagine e dignità inevitabilmente si è ripercosso concorsualmente in capo alla propria Ditta che vive, identificandosi nell’anzidetta immagine, convertendosi in una obiettiva limitazione della capacità di operare sul mercato e di proporsi, comunque, a terzi ( v. Consiglio di Stato 12.02.2008 n. 491).

La superiore ricostruzione è stata ulteriormente avvalorata dalla difesa che ha citato il principio per il quale dal necessario riconoscimento per i diritti inviolabili della persona, della minima tutela costituita dal risarcimento è conseguito che la lesione dei diritti inviolabili della persona che abbia determinato un danno non patrimoniale comporta l’obbligo di risarcire tale danno ( vedi da ultimo Corte di Cassazione n. 26777/09) .

Si è, poi, argomentato, in tema di inviolabilità della persona come l’onore e reputazione siano «valori relativi, influenzabili dall’appartenenza del soggetto passivo ad un determinato gruppo sociale, culturale o professionale» (T. Milano, 24.11. 1995, DResp., 1996, 226), ed in quanto tali non suscettibili di essere «definiti una volta per tutte, per ogni tempo e per ogni luogo, dovendo essere calati nella realtà specifica in cui sono esercitati e relativizzati.

Rappresentano, in definitiva, valori intrinseci dell’uomo in quanto inerenti alla sua qualità di persona ovvero di individuo integrato in una determinata realtà sociale e culturale» (G. GARDINI, Le regole dell’informazione).

Pur in presenza, allora, di una certa difficoltà a delineare la nozione unitaria di onore, il quale appare frammentato in numerose e molteplici categorie, quali l’onore minimo che riguarda l’onorabilità propria di ogni individuo in quanto persona (a qualunque categoria sociale o professionale appartenga e qualunque sia il livello dei suoi meriti ed il rango del suo lavoro) e l’onore specifico o qualificato, che riguarderebbe un tipo di onorabilità superiore alla media o, quanto meno, caratterizzata con riferimento ad una determinata categoria sociale o professionale o, ancora, con riferimento meriti e funzioni particolarmente apprezzati dalla collettività, si fatto riferimento alla dottrina più accreditata che configura l’onore come un bene giuridico complesso, in grado di ricomprendere sia il valore interno della persona che la sua considerazione sociale.

In tal modo Esso si delinerebbe come un bene giuridico ad ampio spettro costituito da un duplice carattere personale-relazionale: ossia un bene «personalissimo», inserito nel contesto sociale di riferimento dei rapporti umani (P. SIRACUSANO, Digesto pen., Utet, Torino, 1993).

In ogni caso, considerato il radicamento costituzionale del bene giuridico “onore “ negli artt. 2 e 3 Cost., esso rappresenta un elemento irrinunciabile della dignità esistenziale e sociale della persona umana in quanto tale.

A tale riguardo la difesa ha ritenuto, conclusivamente, di richiamare quanto dalla Cassazione stabilito ovvero che «la nozione di onore è relativa alle qualità che concorrono a determinare il valore di un determinato individuo, mentre quella di decoro si riferisce al rispetto o al riguardo di cui ciascuno, in quanto essere umano, è comunque degno (in motivazione, la suprema corte ha rilevato che le due nozioni vanno unitariamente riferite al concetto di dignità della persona che trova fondamento nell’art. 2 cost.)» (Cass. pen., sez. V, 04.07.2008, Ced Cass., rv. 241346).

Per come, allo stesso modo, nell’esigenza di correttamente inquadrare l’entità del ristoro, si è puntualizzato quanto la Suprema Corte ebbe a precisare ,giusta sentenza Cassazione civile, sez. III, sentenza 10.03.2010 n° 5770 ove così aveva riferito: «……al fine della liquidazione del danno non patrimoniale, è appena il caso di ricordare che nella quantificazione del danno morale la valutazione di tale voce di danno, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona ovvero all’integrità morale, quale massima espressione della dignità umana, desumibile dall’art. 2 della Costituzione in relazione all’art. 1 della Carta di Nizza, contenuta nel Trattato di Lisbona, ratificato dall’Italia con legge 2 agosto 2008 n. 190, deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della concreta gravità del fatto, senza che possa quantificarsi il valore dell’integrità morale come una quota minore proporzionale al danno alla salute, dovendo dunque escludersi la adozione di meccanismi semplificativi di liquidazione di tipo automatico».

D’altronde, anche la Suprema Corte con sentenza N. 2008/31, in adesione ad un indirizzo oramai pacifico ( vedi per tutte Cass. 15 giugno 2006 n. 13829, 29 marzo 2006 n. 7145, 28 ottobre 2005 n. 21094 e 30 agosto 2005 n. 17550 e tutta la giurisprudenza di legittimità più recente), ha puntualizzato come "anche per le persone giuridiche e le società di persone, il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, in conformità alla giurisprudenza della C.E.D.U., è da ritenere conseguenza normale della violazione del diritto, di cui all’art. 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, a causa dei patemi d’anima e disagi psicologici che provoca tale lesione alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri, con la conseguenza che il giudice deve ritenere tale danno esistente, salvo circostanze particolari che lo escludano".

*

In detto contesto argomentativo e deduttivo, è intervenuto il Tribunale Amministrativo del Lazio che, per tramite delle pronunce in commento, ha, così, puntualizzato: “Giova premettere, in linea generale, quanto alla prova, che in materia di risarcimento del danno, vertendosi in tema di diritti soggettivi, trova piena applicazione il principio dell’onere della prova, e non invece l’onere del principio di prova che, almeno tendenzialmente, si applica in materia di interessi legittimi. Il giudice può intervenire in via suppletiva, con la liquidazione equitativa del danno, solo quando non possa essere fornita la prova precisa del quantum del danno, ma resta fermo che l’an del danno va provato dall’interessato.

Quanto alla prima voce di danno richiesta, ossia il danno esistenziale, si evidenzia che, secondo i principi comunemente noti in tema di danno risarcibile, alla diminuzione patrimoniale può aggiungersi, ove ne sussistano i presupposti, il pregiudizio subito dall’individuo, in termini di danno morale, biologico o esistenziale ”.

Ha, quindi, precisato che : “ È risarcibile - anche in via equitativa - l’ingiusta lesione di interessi inerenti alla persona, con riferimento ai diritti inviolabili, di cui all’art. 2 cost.. In particolare, deve ritenersi che l’imprenditore, privato della propria attività a seguito di un provvedimento illegittimo, non può non essere ritenuto leso sul piano dei diritti della persona costituzionalmente garantiti, con particolare riguardo agli artt. 4, 36 e 41 cost.; tale danno, di tipo esistenziale, si identifica con una compromissione dell’autostima, del benessere e della sfera relazionale del danneggiato, in termini suscettibili di apprezzamento presuntivo e di liquidazione in via equitativa; in assenza di qualsiasi principio di prova, invece, non possono ravvisarsi i presupposti del danno biologico in senso stretto (ovvero del danno all’integrità fisica e psichica riconducibile all’art. 32 cost.).” ( Consiglio di Stato, sez. VI, 08 settembre 2009, n. 5266).

Tale danno esistenziale, alla luce dell’attuale orientamento della Corte di Cassazione (S.U. 11 novembre 2008, n. 26972) non si configura come categoria autonoma di danno ma può rientrante, sussistendone i presupposti, nel più ampio genus del danno non patrimoniale ai fini della sua risarcibilità.

In conclusione il Tribunale Amministrativo del Lazio ha significativamente ritenuto che “ Nel caso di specie il ricorrente, conseguentemente all’adozione dell’illegittimo provvedimento di cui trattasi, non è stato privato della propria attività imprenditoriale bensì gli è stata esclusivamente tolta la possibilità di beneficiare delle erogazioni pubbliche nonché di stipulare contratti con la pubblica amministrazione.................. si ritiene, proprio alla luce di quanto in precedenza esposto relativamente ai principi di cui da ultimo in materia di danno esistenziale, che non possa essere revocabile in dubbio l’influenza negativa che il provvedimento impugnato, atteso il suo specifico contenuto, abbia avuto sul piano dell’immagine imprenditoriale del ricorrente.”

IL CASO

In data 29.04.08 viene emessa solo nei confronti della Società XXXXX una informativa prefettizia interdittiva.

Il provvedimento impugnato dell’XXXX aveva, diversamente, disposto l’interdizione dall’ottenimento di contratti, autorizzazioni ed in generale di benefici, non solo a carico della destinataria dell’informativa (XXXX), ma, anche, dell’impresa individuale del ricorrente, benché soggetto distinto dalla XXXX e, cosa ancor più grave, in possesso di un proprio certificato antimafia in corso di validità e positivo.

Tanto ha comportato, ovviamente, immediate implicazioni lesive di carattere economico e no.

Difatti, nello stesso momento di assunzione del provvedimento da parte dell’XXXX nei confronti dell’impresa individuale del ricorrente l’anzidetto provvedimento veniva divulgato a tutti gli organi Regionali e Ministeriali di stretto riferimento.

Ergo, il ricorrente si è visto, da subito, non solo defraudato della propria capacità negoziale, ma, al contempo, inevitabilmente leso nelle proprie capacità di relazionarsi con soggetti pubblici presso i quali era previamente e notoriamente accreditato, nonché nella considerazione che di Esso aveva il contesto sociale e lavorativo di cui, da sempre, era autorevole componente.

Impugnato il provvedimento, esso veniva, immediatamente, sospeso dal Tribunale Amministrativo del Lazio e conclusivamente, in ottemperanza al provvedimento giudiziario cautelare, revocato in autotutela da parte dell’XXXX .

La difesa dei ricorrenti, curata dalla Scrivente, già, con il ricorso introduttivo, aveva dedotto la sussistenza di un danno economico, sotto il profilo del danno emergente e del lucro cessante, nonché di un danno non economico, in termini di danno esistenziale, con particolare riguardo al danno all’immagine imprenditoriale dello stesso ed infine di un danno morale in senso stretto.

Avendo richiesto il ristoro di tanto, le sentenze in esame nel prosieguo del giudizio si sono misurate con dette esigenze aderendo alla ricostruzione giuridica dell’interesse leso, per come offerta in atti.

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Si è ritenuto di portare a conoscenza le articolate sentenze in commento e, quindi, i casi alle suddette sottesi curati, nei relativi giudizi, dalla Scrivente, perché Essi  considerando, anche, la connotazione temporale tra il momento dell’emissione dei provvedimenti impugnati (aprile 2008) e la nota Sentenza della Suprema Corte di Cassazione a S.U. N. 26972/08 (intervenuta successivamente al deposito del ricorso introduttivo dei giudizi risalente al mese di giugno del 2008) che, in funzione di monofilachia, ha dettato i criteri di liquidazione del risarcimento del danno non patrimoniale e la tipologia dell’interesse leso, possono valere come singolari precedenti nel solco di una Giurisprudenza che mostra di volersi muovere in questa direzione.

Prima di tutto vale la pena fare una puntualizzazione prettamente procedurale, per come registrata dal TAR che correttamente ha ritenuto che “ … l’interesse alla declatoria di illegittimità del provvedimento impugnato da parte del ricorrente permane esclusivamente ai fini della contestuale richiesta di risarcimento dei danni conseguenti”.

Difatti, la difesa dei ricorrenti aveva sostenuto che “la revoca, diversamente da un provvedimento di annullamento dell’atto gravato, nel non riconoscere la illegittimità di quanto previamente operato a danno del ricorrente, ha mantenuto, inalterati i giudizi espressi nel provvedimento previamente emesso, benchè lo stesso, già, cautelarmente ritenuto illegittimo.”

E, allo stesso modo si era puntualizzato come “proprio perché esecutivo dell’ordinanza cautelare, il provvedimento di revoca non è, certamente, idoneo a far cessare l’interesse al giudizio sotto il profilo risarcitorio e dunque assolutamente ininfluente ai fini della procedibilità della domanda ristoratrice per i danni tutti maturati nell’efficacia intertemporale maturata e, comunque, dispiegatesi nel tempo per effetto del comportamento dell’agente“ .

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Ciò detto torniamo alla questione della risarcibilità dell’immagine imprenditoriale illegittimamente violata dall’agere amministrativo.

In particolare, quanto al danno non patrimoniale, la difesa dei ricorrenti si è incentrata sull’immagine imprenditoriale dello stesso nonché sul suo onore e decoro e sulla sua reputazione personale, diritti inviolabili della persona che troverebbero la propria matrice costituzionale negli artt. 2 e 3 della Costituzione, e sul conseguente perturbamento psicologico per le ripercussioni negative sul proprio stile di vita, tra le quali, in particolare, l’abbandono della carica di consigliere del C.d.A. della cooperativa XXXX nonché il trasferimento del proprio domicilio e della propria residenza nel comune di Giulianova (in provincia di Teramo) dal comune di XXXX.

Difatti la risarcibilità di tanto, sotto il profilo della rilevanza costituzionale dell’interesse leso, la si è fatta derivare dal precetto di cui agli artt. 2 e 3 Cost. ed art. 10 c.c. , sotto il profilo della inviolabilità della persona.

Allo stesso modo, essendo i ricorrenti noti imprenditori, prìvati della propria capacità negoziale a seguito del gravato provvedimento illegittimo, non potevano non essere ritenuti lesi sul piano dei diritti della persona costituzionalmente garantiti, anche, con ulteriore riguardo, agli articoli 4, 36 e 41 della Costituzione.

Tale danno, di tipo esistenziale componente della fattispecie onnicomprensiva del genus danno non patrimoniale, lo si è, dunque, identificato nella compromissione dell’autostima, del benessere e della sfera relazionale del danneggiato, in termini suscettibili di apprezzamento presuntivo e di liquidazione in via equitativa.

Nella fattispecie che ci occupava, poi, trattandosi di ditta individuale, in specie quella Agricola, il danno patito dall’imprenditore alla propria immagine e dignità inevitabilmente si è ripercosso concorsualmente in capo alla propria Ditta che vive, identificandosi nell’anzidetta immagine, convertendosi in una obiettiva limitazione della capacità di operare sul mercato e di proporsi, comunque, a terzi ( v. Consiglio di Stato 12.02.2008 n. 491).

La superiore ricostruzione è stata ulteriormente avvalorata dalla difesa che ha citato il principio per il quale dal necessario riconoscimento per i diritti inviolabili della persona, della minima tutela costituita dal risarcimento è conseguito che la lesione dei diritti inviolabili della persona che abbia determinato un danno non patrimoniale comporta l’obbligo di risarcire tale danno ( vedi da ultimo Corte di Cassazione n. 26777/09) .

Si è, poi, argomentato, in tema di inviolabilità della persona come l’onore e reputazione siano «valori relativi, influenzabili dall’appartenenza del soggetto passivo ad un determinato gruppo sociale, culturale o professionale» (T. Milano, 24.11. 1995, DResp., 1996, 226), ed in quanto tali non suscettibili di essere «definiti una volta per tutte, per ogni tempo e per ogni luogo, dovendo essere calati nella realtà specifica in cui sono esercitati e relativizzati.

Rappresentano, in definitiva, valori intrinseci dell’uomo in quanto inerenti alla sua qualità di persona ovvero di individuo integrato in una determinata realtà sociale e culturale» (G. GARDINI, Le regole dell’informazione).

Pur in presenza, allora, di una certa difficoltà a delineare la nozione unitaria di onore, il quale appare frammentato in numerose e molteplici categorie, quali l’onore minimo che riguarda l’onorabilità propria di ogni individuo in quanto persona (a qualunque categoria sociale o professionale appartenga e qualunque sia il livello dei suoi meriti ed il rango del suo lavoro) e l’onore specifico o qualificato, che riguarderebbe un tipo di onorabilità superiore alla media o, quanto meno, caratterizzata con riferimento ad una determinata categoria sociale o professionale o, ancora, con riferimento meriti e funzioni particolarmente apprezzati dalla collettività, si fatto riferimento alla dottrina più accreditata che configura l’onore come un bene giuridico complesso, in grado di ricomprendere sia il valore interno della persona che la sua considerazione sociale.

In tal modo Esso si delinerebbe come un bene giuridico ad ampio spettro costituito da un duplice carattere personale-relazionale: ossia un bene «personalissimo», inserito nel contesto sociale di riferimento dei rapporti umani (P. SIRACUSANO, Digesto pen., Utet, Torino, 1993).

In ogni caso, considerato il radicamento costituzionale del bene giuridico “onore “ negli artt. 2 e 3 Cost., esso rappresenta un elemento irrinunciabile della dignità esistenziale e sociale della persona umana in quanto tale.

A tale riguardo la difesa ha ritenuto, conclusivamente, di richiamare quanto dalla Cassazione stabilito ovvero che «la nozione di onore è relativa alle qualità che concorrono a determinare il valore di un determinato individuo, mentre quella di decoro si riferisce al rispetto o al riguardo di cui ciascuno, in quanto essere umano, è comunque degno (in motivazione, la suprema corte ha rilevato che le due nozioni vanno unitariamente riferite al concetto di dignità della persona che trova fondamento nell’art. 2 cost.)» (Cass. pen., sez. V, 04.07.2008, Ced Cass., rv. 241346).

Per come, allo stesso modo, nell’esigenza di correttamente inquadrare l’entità del ristoro, si è puntualizzato quanto la Suprema Corte ebbe a precisare ,giusta sentenza Cassazione civile, sez. III, sentenza 10.03.2010 n° 5770 ove così aveva riferito: «……al fine della liquidazione del danno non patrimoniale, è appena il caso di ricordare che nella quantificazione del danno morale la valutazione di tale voce di danno, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che pure attiene ad un diritto inviolabile della persona ovvero all’integrità morale, quale massima espressione della dignità umana, desumibile dall’art. 2 della Costituzione in relazione all’art. 1 della Carta di Nizza, contenuta nel Trattato di Lisbona, ratificato dall’Italia con legge 2 agosto 2008 n. 190, deve tener conto delle condizioni soggettive della persona umana e della concreta gravità del fatto, senza che possa quantificarsi il valore dell’integrità morale come una quota minore proporzionale al danno alla salute, dovendo dunque escludersi la adozione di meccanismi semplificativi di liquidazione di tipo automatico».

D’altronde, anche la Suprema Corte con sentenza N. 2008/31, in adesione ad un indirizzo oramai pacifico ( vedi per tutte Cass. 15 giugno 2006 n. 13829, 29 marzo 2006 n. 7145, 28 ottobre 2005 n. 21094 e 30 agosto 2005 n. 17550 e tutta la giurisprudenza di legittimità più recente), ha puntualizzato come "anche per le persone giuridiche e le società di persone, il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, in conformità alla giurisprudenza della C.E.D.U., è da ritenere conseguenza normale della violazione del diritto, di cui all’art. 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, a causa dei patemi d’anima e disagi psicologici che provoca tale lesione alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri, con la conseguenza che il giudice deve ritenere tale danno esistente, salvo circostanze particolari che lo escludano".

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In detto contesto argomentativo e deduttivo, è intervenuto il Tribunale Amministrativo del Lazio che, per tramite delle pronunce in commento, ha, così, puntualizzato: “Giova premettere, in linea generale, quanto alla prova, che in materia di risarcimento del danno, vertendosi in tema di diritti soggettivi, trova piena applicazione il principio dell’onere della prova, e non invece l’onere del principio di prova che, almeno tendenzialmente, si applica in materia di interessi legittimi. Il giudice può intervenire in via suppletiva, con la liquidazione equitativa del danno, solo quando non possa essere fornita la prova precisa del quantum del danno, ma resta fermo che l’an del danno va provato dall’interessato.

Quanto alla prima voce di danno richiesta, ossia il danno esistenziale, si evidenzia che, secondo i principi comunemente noti in tema di danno risarcibile, alla diminuzione patrimoniale può aggiungersi, ove ne sussistano i presupposti, il pregiudizio subito dall’individuo, in termini di danno morale, biologico o esistenziale ”.

Ha, quindi, precisato che : “ È risarcibile - anche in via equitativa - l’ingiusta lesione di interessi inerenti alla persona, con riferimento ai diritti inviolabili, di cui all’art. 2 cost.. In particolare, deve ritenersi che l’imprenditore, privato della propria attività a seguito di un provvedimento illegittimo, non può non essere ritenuto leso sul piano dei diritti della persona costituzionalmente garantiti, con particolare riguardo agli artt. 4, 36 e 41 cost.; tale danno, di tipo esistenziale, si identifica con una compromissione dell’autostima, del benessere e della sfera relazionale del danneggiato, in termini suscettibili di apprezzamento presuntivo e di liquidazione in via equitativa; in assenza di qualsiasi principio di prova, invece, non possono ravvisarsi i presupposti del danno biologico in senso stretto (ovvero del danno all’integrità fisica e psichica riconducibile all’art. 32 cost.).” ( Consiglio di Stato, sez. VI, 08 settembre 2009, n. 5266).

Tale danno esistenziale, alla luce dell’attuale orientamento della Corte di Cassazione (S.U. 11 novembre 2008, n. 26972) non si configura come categoria autonoma di danno ma può rientrante, sussistendone i presupposti, nel più ampio genus del danno non patrimoniale ai fini della sua risarcibilità.

In conclusione il Tribunale Amministrativo del Lazio ha significativamente ritenuto che “ Nel caso di specie il ricorrente, conseguentemente all’adozione dell’illegittimo provvedimento di cui trattasi, non è stato privato della propria attività imprenditoriale bensì gli è stata esclusivamente tolta la possibilità di beneficiare delle erogazioni pubbliche nonché di stipulare contratti con la pubblica amministrazione.................. si ritiene, proprio alla luce di quanto in precedenza esposto relativamente ai principi di cui da ultimo in materia di danno esistenziale, che non possa essere revocabile in dubbio l’influenza negativa che il provvedimento impugnato, atteso il suo specifico contenuto, abbia avuto sul piano dell’immagine imprenditoriale del ricorrente.”