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Speciale Afghanistan: rifugiati, corridoi o muri? (ISPI)

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications)
Afghanistan (ISPI)
Afghanistan (ISPI)

“La strada che porta all’aeroporto è bloccata. Gli afghani non possono fare la strada che porta all’aeroporto”. Il portavoce talebano Zabiullah Mujahid martedì 24 agosto ha dichiarato che gli afghani devono tornare alle loro case e che l’evacuazione deve proseguire solo per gli stranieri. Sono ore concitate quelle che precedono il termine ultimo per lasciare il paese del 31 agosto, che il G7 di ieri non è riuscito a posticipare. Il presidente USA Joe Biden ha riconfermato la sua intenzione di completare le operazioni di evacuazione entro fine mese (e probabilmente addirittura prima), ma sono migliaia gli afghani – in particolare quelli che hanno collaborato con le potenze occidentali negli ultimi vent’anni – che cercano rifugio fuori dal paese. Da quando i Talebani hanno ripreso la capitale Kabul lo scorso 15 agosto, gli Stati Uniti hanno evacuato più di 82.000 persone, di cui 12.000 solo nella giornata di martedì, dando comunque priorità ai propri connazionali e a quelli dei paesi alleati, mentre più di 10.000 persone sono al momento già all’aeroporto di Kabul in attesa di essere portate in salvo. I principali paesi europei si stanno impegnando per accogliere diverse quote di afghani, anche se non è chiaro quante persone potranno raggiungere l’Europa e se l’Unione Europea riuscirà a predisporre un piano d’accoglienza condiviso tra gli stati membri. Si è anche parlato della possibilità di creare corridoi umanitari per consentire un passaggio sicuro a coloro (in particolare donne e minori) che temono di subire abusi e violazioni dei diritti umani nell’Afghanistan controllato dai Talebani, ma la proposta è destinata a dividere ancora una volta gli stati europei.

Quante persone lasceranno l’Afghanistan?

Al momento è difficile fare previsioni sul numero di afghani che lasceranno il paese, sia in modo regolare che in altro modo. La guerra e l’instabilità degli ultimi vent’anni hanno provocato 2,2 milioni di rifugiati nei paesi confinanti, oltre a 3,5 milioni di sfollati interni. Inoltre, non è possibile tenere traccia di coloro che hanno attraversato i confini nazionali – gran parte dei quali sono controllati dai Talebani – nel caos seguito alla presa di Kabul, anche se è verosimile che molti afghani abbiano raggiunto il Pakistan o l’Iran, come accaduto nel corso del 2020. Secondo i dati dell’UNHCR, infatti, l’anno scorso il Pakistan ha accolto un milione e mezzo di afghani, mentre l’Iran ne ha accolti 780mila. L’emergenza migratoria sarà quindi innanzitutto regionale ed è per questo che alcune proposte, come quella della cancelliera tedesca Angela Merkel, mirano a sostenere i paesi dell’Asia Centrale, ed evitare che si generino flussi migratori gestiti dai trafficanti.
Infine, le operazioni di evacuazione che andranno avanti fino a fine mese porteranno in Occidente solo alcune decine di migliaia di afghani e la mancata estensione della deadline non consentirà di portare in salvo tutti coloro che stanno cercando una via di fuga verso i paesi occidentali. È anche per questo motivo che si è tornato a parlare di corridoi umanitari, ma senza che venissero specificate modalità e tempistiche.

Corridoi umanitari: mito o realtà?

Aiutare gli afghani è “un dovere morale” dell’Unione Europea. Con queste parole la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha definito sabato scorso l’impegno di cui i paesi membri dell’UE devono farsi carico di fronte alla crisi in corso, aggiungendo che la Commissione è pronta a fornire fondi agli stati che aiuteranno nel reinsediamento dei rifugiati, così come di fornire aiuti all’Afghanistan qualora venissero rispettati i diritti umani e delle donne nel paese. Parole però che si scontrano quasi subito con altre voci provenienti da alcuni paesi membri dell’Unione Europea. “Non è un dovere dell’UE e della Slovenia aiutare e pagare ogni persona del pianeta che scappa quando potrebbe combattere per la propria patria”, ha dichiarato l’indomani Janez Janša, primo ministro della Slovenia, paese che da luglio detiene la presidenza del Consiglio dell’UE. Janša appartiene al blocco europeo di leader politici di estrema destra anti-immigrazione, guidato da Polonia e Ungheria, che ostacolerebbe la creazione di corridoi umanitari. Una posizione però parzialmente condivisa anche dal presidente francese Emanuele Macron che sostiene la necessità di difendersi dell’Europa. In generale, in molti temono, per i prossimi anni, il ripetersi dello scenario del 2015, quando milioni di profughi siriani raggiunsero l’Unione Europea attraverso la cosiddetta “rotta balcanica”. Uno scenario che avrebbe dirette ricadute politiche sia per l’UE che per i singoli paesi membri. I leader europei, già molto distanti sul superamento del Regolamento di Dublino e sull’adozione di una politica migratoria comune, temono infatti il rinvigorirsi dei populismi dei partiti anti-immigrazione, soprattutto in vista delle elezioni in Germania e Francia.

AFGHANI EUROPA

Allerta imminente?

È legittimo che i paesi europei siano preoccupati qualora si arrivi a un nuovo picco dell’emergenza migratoria, ma quello su cui ci si interroga ora è se questa sia un’allerta imminente per gli stati dell’UE. Se si considerano i trend degli ultimi dieci anni, la risposta sembra essere negativa. Infatti, tra il 2009 e il 2020 gli afghani che hanno raggiunto i paesi dell’Unione Europea in maniera irregolare sono stati circa 500mila, ma ben 320mila di loro sono arrivati tra la seconda metà del 2015 e l’inizio del 2016. L’esperienza sembra quindi dirci che un nuovo picco dell’emergenza migratoria non sia imminente, a meno che stati di transito (come Iran e Turchia) non ci mettano del proprio. Come detto, quindi, l’emergenza sarà innanzitutto regionale.
Quello che sarebbe invece urgente è trovare una posizione comune sugli afghani già presenti sul territorio europeo ed aumentarne la protezione ora che il loro paese non può più essere considerato “sicuro”, così come su coloro che si trovano alle porte dell’UE, bloccati lungo la rotta balcanica ed esposti a violenze e respingimenti.

 

Il commento

Di Matteo Villa, programma migrazioni ISPI

Accoglienza sì, ma limitata. Con un occhio ai pochi che arrivano ma non ai 300.000 che sono già qui irregolarmente e che, secondo alcuni governi europei (come quello austriaco), dovrebbero addirittura essere rimpatriati al più presto in Afghanistan.

A oggi gli stati UE di cui si conoscono le intenzioni potrebbero accogliere circa 20.000 afghani che hanno collaborato con loro nel corso degli anni. Tanti quanti la sola Londra e meno di un terzo rispetto agli USA (65.000). Su tutto il resto, si vedrà.

C’era da aspettarselo da governi europei che da anni guardano alle migrazioni come a una patata bollente di cui fare volentieri a meno. La risposta condivisa è solo una: esternalizzare, cioè sperare che gli altri paesi (più poveri ma più vicini) si facciano carico di gestire l’accoglienza. Sinora ha funzionato, ma il rischio è quello del 2015: rimandare il problema finché non diventi troppo grande per essere governato.

26 agosto 2021