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Spiragli di pace ma la Libia resta divisa e in mano agli “sponsor” stranieri

Libia
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L’annuncio delle cessate ostilità tra le due opposte fazioni libiche reso noto venerdì dal presidente del Consiglio presidenziale del governo di accordo nazionale libico (GNA), Fayez Al Sarraj e dal presidente del Parlamento di Tobruk, Aguila Saleh si presta a diverse valutazioni.

Tutta la comunità internazionale, inclusi gli sponsor delle fazioni libiche hanno espresso compiacimento per la decisione che apre la strada a una possibile intesa politica di lunga durata.

Al-Sarraj ha infatti annunciato la ripresa del processo politico che “porterà a nuove elezioni legislative e presidenziali a marzo” con un interlocutore in Cirenaica diverso dal generale Khalifa Haftar, appunto il presidente Saleh che però non si è sbilanciato circa le elezioni.

“Il presidente del Parlamento, Aguila Saleh, ha chiesto a tutte le parti un cessate il fuoco immediato e l’interruzione di tutte le operazioni di combattimento in tutto il Paese”, si legge nella nota di Tobruk che esprime l’aspirazione che “la città di Sirte diventi un quartier generale temporaneo del nuovo Consiglio presidenziale, che riunisca tutti i libici e li avvicini”.

Al-Sarraj ha ordinato a tutte le forze militari “di osservare un cessate il fuoco immediato e di fermare tutte le operazioni di combattimento in tutti i territori libici”. La decisione è stata presa “alla luce della situazione attuale che sta vivendo il Paese e la regione, e alla luce dell’emergenza coronavirus” ma del resto le ostilità erano di fatto sospese ormai da due mesi, da quando ‘l’Esercito nazionale libico (LNA) di Haftar si era ritirato dalla Tripolitania sulle roccaforti di Sirte e al-Jufra presidiate anche dai cacciabombardieri e dai contractors russi della società Wagner.

Roccaforti che il GNA ha sempre detto di voler espugnare prima di giungere a un cessate il fuoco: un obiettivo a cui Tripoli e i suoi alleati turchi e qatarini hanno dovuto rinunciare per non provocare un intervento militare egiziano.

La nuova fase distensiva, mediata da settimane dalle diplomazie russa e turca coinvolgendo anche emiratini ed egiziani, era stata del resto anticipata dalla decisione del generale Khalifa Haftar di dare il via libera alla ripresa dell’export petrolifero che in questi mesi ha procurato danni finanziari per quasi 9 miliardi di dollari alla Libia.

Ciò detto è meglio non farsi illusioni: l’intesa per il cessate il fuoco non unisce il paese ma ne cristallizza la separazione tra GNA in buona parte della Tripolitania ed Esercito Nazionale Libico (LNA) di Haftar nel resto del paese, indebolendone potenzialmente i rispettivi leader a vantaggio di altre figure politiche libiche e degli sponsor internazionali la cui influenza oggi sui due fronti libici è maggiore anche rispetto a GNA e LNA.

La fine delle ostilità e soprattutto il fallimento nell’offensiva tesa a conquistare Tripoli sembrano aver messo in ombra il generale Haftar (con cui Tripoli, che lo considera “un criminale di guerra” non vuole negoziare) rilanciando il ruolo di Aguila Saleh come figura-chiave della Cirenaica già da tempo individuato come la figura politica più idonea per gestire un processo negoziale. Del resto ieri il portavoce di Haftar ha definito i proclami di Tripoli “marketing mediatico” per mascherare il rafforzamento militare turco in Tripolitania.

Cessato l’assedio nemico anche a Tripoli le forti critiche interne al GNA ad al-Sarraj, finora rimaste latenti per l’emergenza bellica, potrebbero portare a cambiamenti al vertice.

Non è un mistero che il ministro dell’Interno, il misuratino Fathi Bashaga molto vicino alla Turchia e al movimento islamista dei Fratelli Musulmani, punti da tempo al posto di al-Sarraj a cui potrebbe aspirare anche il moderato Ahmed Maitig (nella foto sopra col ministro degli Esteri turco Cavusoglu), stimato da molti negli USA e in Europa. Annunciando il supporto di USA, Turchia ed Egitto al cessate il fuoco, Bashaga ha precisato che ora occorre “un serio dialogo politico”.

La ripresa dell’export petrolifero permetterà a entrambe le fazioni di ricominciare a incassare denaro favorendo forse un dialogo in cui la Germania cerca di inserire anche l’Unione europea con la proposta del ministro degli Esteri, Heiko Mass, di istituire una fascia smilitarizzata che separi i due contendenti tra Sirte e al-Jufra. Ipotesi a cui mostrano aperture Tripoli e la Turchia ma respinta decisamente dal portavoce di Haftar.

“Il cessate il fuoco – ha dichiarato Saleh – sbarra la strada a qualsiasi intervento militare straniero e si conclude con l’allontanamento dei mercenari e lo smantellamento delle milizie, al fine di ottenere il ripristino della piena sovranità nazionale”.

Difficile però credere che emiratini e russi lasceranno la Cirenaica e ancor più difficile ipotizzare che i turchi lascino la Tripolitania dopo che il GNA ha concesso loro l’uso delle basi di Misurata e al-Watya per 99 anni nell’ambito di un trattato firmato (e finanziato) anche dal Qatar.

Tutto in salita infine il ruolo dell’Italia, relegata a un ruolo di comparsa dall’intesa tra Tripoli, Ankara e Doha che farà arrivare al GNA una pioggia di denaro qatarino per la ricostruzione post bellica destinata ad arricchire soprattutto le aziende turche.

Del resto Roma ha cessato da circa un anno di occuparsi in modo credibile della crisi libica e ora ne paga il prezzo: basti penare che nel dicembre 2019 il ministro degli Esteri, Luigi Dui Maio, annunciò l’imminente nomina di un inviato speciale per la Libia.

Circolarono un po’ di nomi, dall’ex ministro Marco Minniti all’ambasciatore Giampiero Massolo ma dopo nove mesi non c’è stata nessuna nomina a quell’incarico che di fatto non è mai stato istituito. E’ probabile che a questa vicenda tragicomica in Italia abbiano fatto caso in pochi ma è certo che a Tripoli e Tobruk non sia sfuggita a nessuno.